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Nel primo capitolo viene descritto il passaggio storico dalla Lira
all’Euro, mettendo in luce i punti più salienti che lo hanno
caratterizzato, le teorie delle aree valutarie ottimali e i criteri di
convergenza che hanno incentrato la politica economica del nostro
Paese, fin dal 1992, sul rispetto di tali criteri per l’ingresso nell’UEM
con un contenimento del deficit di bilancio, con una politica di
riduzione dell’inflazione e la conseguente riduzione dei tassi di
interesse.
Negli ultimi paragrafi sono esposti i provvedimenti che sono stati
messi in atto dal Governo (nel periodo di tempo immediatamente
successivo al changeover) al fine di contrastare l’inflazione e le sue
critiche.
Nel secondo capitolo, invece, l’obiettivo principale è quello di
verificare se in questo periodo di changeover è avvenuto realmente un
aumento dei prezzi, e a tal fine, particolare attenzione è riservata
all’esame delle diverse posizione assunte dall’Istat e dalle
Associazioni a difesa dei consumatori. In particolare la prima parte è
dedicata all’analisi delle teorie in base alle quali il cambio di valuta
avrebbe potuto generare inflazione, è seguita poi dall’esposizione del
contrasto Istat – Associazioni dei consumatori avente per oggetto
l’aumento dei prezzi che si è verificato nel periodo Dicembre 2001 –
Gennaio 2002 ed è infine conclusa da un’analisi dei consumi delle
diverse fasce dei consumatori e dell’inflazione percepita da ognuna di
tali categorie nel periodo di riferimento.
L’ultimo paragrafo è dedicato ad una analisi empirica che mette a
confronto i prezzi del 2001 con quelli del 2006, esaminando la quale è
facile notare che effettivamente un rincaro dei prezzi è avvenuto su
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molti beni e servizi di consumo, influendo sulle tasche delle famiglie
italiane.
Alla fine del secondo capitolo, sono presentate due appendici in cui
sono elencati i principali aumenti, sia annuali che mensili, tra i generi
alimentari ed i servizi nel periodo in cui è avvenuta la transizione.
Il terzo capitolo, infine, ha come obiettivo quello di verificare se
l’entrata in vigore della moneta unica abbia portato o meno ad una
variazione nella distribuzione del reddito e di individuare, nel caso vi
sia stata una variazione nella distribuzione del reddito, quali categorie
di reddito sono state influenzate positivamente dall’entrata in vigore
dell’Euro e quali sono state influenzate negativamente.
In particolare sono messi in rilievo i motivi per i quali una
variazione del tasso di inflazione comporta una variazione della
distribuzione di reddito, le variazioni che si sono verificate nella
distribuzione del reddito in Italia in seguito all’introduzione della
moneta unica e viene presentato un quadro del problema della povertà
in Italia.
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Capitolo primo
IL PASSAGGIO DALLA LIRA ALL’EURO
1.1 Premessa
La creazione dell’Euro e dell’Eurosistema è il risultato di un
cammino pluridecennale, attraverso il quale l’Europa del Novecento,
dopo un periodo di asperrimi conflitti economici, politici e militari,
ha cercato di costruire un nuovo ordine per garantire pace e benessere
al popolo del vecchio continente e l’inizio di una nuova era di
collaborazione.
Nel dicembre del 1991, quando i capi di stato e di governo dei Paesi
dell’Unione Europea decisero di sostituire con una moneta unica le
proprie valute nazionali, molti ebbero l’impressione che fosse ancora
molto presto, ma molti altri erano convinti che i tempi fossero ormai
maturi per l’unione monetaria: la moneta unica era una tappa
fondamentale per sostenere lo sviluppo del mercato unico (Padoa-
Schioppa, 2002).
Storicamente l’idea di creare un’unione economica e monetaria in
Europa risale a oltre mezzo secolo fa, con la creazione di un’area di
interesse comune che si concretizzò con la stipula del trattato che
istituisce la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA),
alla quale aderirono sei paesi: Francia, Germania, Italia, Lussemburgo,
Belgio e Paesi Bassi.
Nel 1957 nasce invece la CEE (Comunità Economica Europea) che
crea per la prima volta degli organismi e delle istituzioni espressione
d’interessi nazionali e sopranazionali.
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Per fronteggiare l’instabilità economica dovuta alle crisi petrolifere
degli anni Settanta, nel 1979 gli allora nove Stati membri della
Comunità Economica Europea (CEE) istituirono il Sistema Monetario
Europeo (SME) , incentrato su un meccanismo di cambio che definiva
le parità, fisse ma modificabili, fra le valute di tali paesi.
Nel 1986 l’adozione dell’Atto Unico Europeo, che diede vita al
mercato unico, rilanciò il progetto di unione economica e monetaria.
Tuttavia, si comprese che per trarre pieno vantaggio da un mercato
unico era necessario introdurre una moneta comune per i paesi
partecipanti.
Nel 1988 il Consiglio Europeo assegnò al Comitato Delors il
compito di valutare le modalità per la realizzazione dell’Unione
Economica e Monetaria (UEM) .
Il Rapporto Delors del 1989 determinò l’avvio dei negoziati relativi
al Trattato sull’Unione Europea, che avrebbe creato l’Unione Europea
(UE) e modificato il Trattato che istituisce la Comunità Europea. Il
Trattato fu firmato a Maastricht nel febbraio del 1992 (di qui la
denominazione “Trattato di Maastricht”), e ha spinto ancora più avanti
l’integrazione: moneta unica, politica estera comune, perfezionamento
del mercato unico delle persone, dei servizi e del capitale. Esso entrò
in vigore il 1° novembre 1993 (BCE, 2006).
I quattro anni e mezzo intercorsi tra il momento in cui entrò in
vigore il trattato (1° novembre 1993) e l’istituzione della Banca
Centrale Europea (BCE, 1°giugno 1998) furono anni in cui venne
ripristinata la stabilità macroeconomica in Europa. Furono eliminate le
pressioni inflazionistiche e portate a termine correzioni decisive degli
squilibri di bilancio dei Paesi partecipanti.
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In quegli anni i mercati finanziari obbligarono gli Stati a rispettare
l’impegno preso firmando il Trattato. Ciò accadde perché i mercati
coniugarono due disposizioni contenute nel Trattato: i criteri di
convergenza (di cui si parlerà in seguito) definiti numericamente e la
data fissata per l’adozione finale della moneta unica (Padoa-Schioppa,
2002).
Il processo di realizzazione dell’UEM si è articolato in tre fasi:
a) La prima fase (1990-1993) è stata principalmente
caratterizzata dal pieno conseguimento del mercato unico
europeo attraverso lo smantellamento di tutte le barriere
interne alla libera circolazione di persone, beni, capitali e
servizi entro i suoi confini.
b) La seconda fase (1994-1998), iniziata con la fondazione
dell’Istituto monetario europeo, è stata dedicata ai preparativi
tecnici per l’introduzione della moneta unica, ha imposto ai
governi l’obbligo di evitare i disavanzi eccessivi e ha
rafforzato la convergenza delle politiche economiche e
monetarie degli Stati membri (al fine di assicurare la stabilità
dei prezzi e la solidità della finanza pubblica).
c) La terza fase si è aperta il 1° gennaio 1999 con la fissazione
irrevocabile dei tassi di cambio, il trasferimento delle
competenze di politica monetaria alla BCE e l’introduzione
dell’Euro quale moneta unica.
Il 1° gennaio 2002 le banconote e le monete in Euro sono entrate in
circolazione nei paesi che avevano adottato la nuova valuta e alla fine
di febbraio 2002 le precedenti valute nazionali hanno cessato di avere
corso legale (BCE, 2006).
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1.2 Le aree valutarie ottimali
Agli inizi degli anni Sessanta del XX secolo ebbe inizio con Robert
Mundell la “Teoria delle Aree Valutarie Ottimali” (Mundell, 1961).
Egli si domandò quali condizioni dovessero essere soddisfatte affinché
per un paese non fosse costoso rinunciare all’indipendenza monetaria
e valutaria, quali mezzi per stimolare la domanda aggregata e la
produzione. Il soddisfacimento di tali condizioni avrebbe permesso di
individuare l’ambito territoriale ottimale per l’adozione di una moneta
unica (unione monetaria), o per la fissazione irrevocabile dei tassi di
cambio (unione valutaria).
Il contributo di Mundell alla teoria dell’area valutaria ottimale
(AVO) è importante ed è fondamentale il suo articolo sui costi ed i
benefici di un unione monetaria che portava a conclusioni abbastanza
scettiche su un’unificazione monetaria in Europa.
L’analisi classica di Mundell si svolge in un contesto in cui si
verifica uno spostamento della domanda dai prodotti di un paese a
favore di quelli di un altro che formano un’unione monetaria.
Entrambi i paesi dovranno affrontare un problema di aggiustamento: il
paese colpito dallo shock negativo avrà una maggiore disoccupazione
ed una minore produzione; viceversa il paese colpito dallo shock
positivo fronteggerà una minore disoccupazione ed una maggiore
produzione.
Per fronteggiare questi problemi senza ricorrere a svalutazioni o
rivalutazioni, vengono considerati due meccanismi che riconducono
automaticamente al riequilibrio: uno è la flessibilità salariale, l’altro la
mobilità del lavoro; se una delle due condizioni è soddisfatta, il
problema dell’aggiustamento scompare automaticamente. Se invece,
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nessuna delle due condizioni è soddisfatta, allora l’unione monetaria
comporterà dei costi elevati di aggiustamento.
Esistono diverse differenze tra i Paesi che possono divenire un
ostacolo all’unificazione monetaria.
Infatti i paesi si differenziano perché hanno preferenze diverse
sull’inflazione e disoccupazione: alcuni paesi sono meno allergici
all’inflazione rispetto ad altri e ciò può rendere l’introduzione di una
moneta comune un’operazione transitoria costosa.
Altre differenze sono rappresentate dai diversi mercati del lavoro,
dai differenti sistemi giuridici e diversi tassi di crescita.
La teoria dell’AVO ha subito numerose critiche portando a
conclusioni meno pessimistiche sulla possibilità che un paese possa
entrare a far parte di un’unione monetaria senza sostenere costi elevati
inerenti alla perdita dello strumento del tasso di cambio per correggere
eventuali disequilibri.
Infatti, la probabilità che i suddetti shock si verifichino tra i paesi in
maniera meno frequente con la creazione di un’unione monetaria, è
sostenuta da due posizioni: la prima è la posizione della Commissione
Europea, difesa nel documento ufficiale “Un mercato, una moneta”,
l’altra è delineata da Krugman.
Secondo la Commissione Europea, all’aumentare dell’integrazione,
la divergenza diminuirà e in una futura unione monetaria gli shock
differenziali di domanda saranno meno probabili.
Secondo, invece, la visione sostenuta da Krugman, all’aumentare
dell’integrazione aumenterà la divergenza e il verificarsi di shock
diviene più probabile. La sua tesi è sostenuta dal fatto che
all’aumentare dell’integrazione aumenterà anche la concentrazione
regionale ed industriale.