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La prima dimensione pone in gioco l’identità, in quanto presupposto per
operare la separazione io/non io che guida, espone ed apre la strada alla
relazione d’oggetto, ovvero alla relazione del soggetto con il mondo.
Tale relazione, originatasi dal sentimento di esistere, porta alla capacità di
creare, possibile solo a partire dalla capacità di preservare un oggetto
interno, di essere contenente e, in seguito, allo stesso tempo, grazie a
meccanismi designati come proiezione, introiezione e identificazione
proiettiva, di organizzare contenuti ed una relazione con l’altro.
La teoria psicoanalitica considera tali assunti attraverso l’esplicitazione
della natura delle relazioni precoci con la figura materna e paterna, e la
costituzione delle rispettive immagini sottostanti l’identificazione in senso
allargato, ovvero primaria (identità soggettiva), e secondaria (edipiana);
fondanti e inauguranti, a loro volta, singolarità e individualità.
Quanto alla seconda dimensione, che sotto la designazione di
femminile/materno vuole considerare e condensare la sessualità e la
relazione, espressione del vissuto dell’essere, porta a riflettere sul maschile
ed il femminile nelle relazioni con l’attivo ed il passivo, l’interattivo e
l’intersoggettivo, dimensioni correlate, in quanto comportamenti rivolti
verso il mondo esterno, alle relazioni rivolte verso il mondo interno, a loro
volta originatesi dall’intrinsecarsi dei moti pulsionali libidinali e aggressivi.
L’assimilazione dei concetti femminile-maschile a quelli di identità-
identificazione costituisce la base su cui la scuola francese di Rorschach-
Rausch de Traubenberg (1990); Boizou, Chabert & Rausch de Traubenberg
(1978); Chabert (1983), costruisce la sua analisi.
Nel nostro studio tenteremo di esemplificare, ampliare e descrivere tali
nozioni, grazie all’attenzione particolare che offrono relativamente
all’esistenza di uno spazio mentale del materno e del femminile in quanto
costituenti il sentimento dell’essere e dell’essere con, sviluppato a partire
dalla relazione oggettuale più antica – primaria, neonato/seno materno –
attraverso un gioco di percezioni e proiezioni.
A partire da qui, infatti, si muovono i primi passi verso la creazione e
strutturazione di un apparato del pensare e di pensieri, di uno spazio capace
di procedere al legame, alla trasformazione, creazione e ri-creazione di
elementi estranei, non compresi e non integrati, in elementi poi utilizzabili
nel sogno e nel pensiero cosciente, contribuendo alla formazione di un
nuovo oggetto arricchito e arricchente, a fondamento della conoscenza e
della crescita di tutta l’attività mentale.
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PARTE I La teoria
CAPITOLO I
Linee teorico interpretative intorno al materno/femminile
1.1 Il femminile
La questione del femminile ha da sempre comportato una serie di
controversie tra concetti relativi al genere sessuale, alla donna in quanto
tale e in veste di madre, venendo loro abitualmente attribuito lo stesso
valore e connotazione, come se si potesse aleatoriamente scegliere tra una
di queste tre definizioni per designare le altre due. Oggi, tuttavia, sappiamo
che femminile non è uguale a donna, donna non è sinonimo di madre ed
infine femminile non significa materno.
Da un punto di vista sociale ciò che è femminile viene comunemente
considerato come dotato di una qualità intrinseca superiore, di una
sensibilità peculiare e specifica, il sesto senso femminile, caratteristico
nelle donne e più raramente negli uomini, frequentemente associato alla
creatività e sensibilità dell’artista.
Il femminile sembra poi trovare il suo apice nella maternità, in quanto
obbiettivo ultimo della donna, senza la quale questa verrebbe quasi
sminuita per non aver raggiunto il pieno sviluppo delle proprie capacità e
potenzialità.
Riflettendo su tali considerazioni ci sembra lecito ritenerle piuttosto
limitanti, categoriche e affatto esaustive; di fatto non tutte le donne sono
madri così come non tutte le donne sono femminili.
Esistono inoltre genitori di sesso maschile che assolvono adeguatamente,
quando non addirittura meglio della madre stessa, alle funzioni materne,
così come vi sono uomini più femminili di altrettante donne.
In ambito psicologico esistono tutta una serie di considerazioni e di correnti
teoriche sulla formazione, strutturazione e sviluppo del femminile e del
materno descritte a livello psicofisiologico e psicoanalitico, anche
all’interno di una prospettiva più dinamica si incontrano varie convergenze
e divergenze che meritano interesse relativamente al nostro campo
d’indagine.
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In questo studio ci interessa, tuttavia, trattare del femminile e del materno
come due concetti che fanno parte di tutto l’essere pensante, in quanto
strutturanti e fondanti l’unità dell’essere, piuttosto che considerarne
l’espressione nel binomio maschile/femminile, donna/uomo, madre/padre.
Ci appoggiamo principalmente alla teoria Kleiniana e post-kleiniana per
tracciare la linea descrittiva e comprensiva di tali concetti, in quanto la
scelta della definizione di materno e femminile come qualità psichiche
sarebbe altrimenti difficile e causa di confusione nell’essere delineata ed
esplicitata.
Allo stesso tempo riteniamo che la comprensione di tali qualità all’interno
della teoria psicoanalitica sia facilitata dall’approccio storico evolutivo che
ci permette di accompagnare lo sviluppo dei concetti materno e femminile
fino alle considerazioni più recenti.
1.1.1 Freud
Nel ripercorrere la vita e l’opera di Freud emerge come egli si sia
interessato alla natura della sessualità femminile considerando
essenzialmente il femminile nei suoi aspetti “…sicuramente incompleti e
frammentari…”, descrivendo la donna come “… determinata nel suo
essere dalla funzione sessuale.”, (Freud, 1933/1948).
Le considerazioni che permettono lo sviluppo della sua prospettiva partono
da osservazioni “…di donne dominate da un forte legame con il proprio
padre.”, (Freud, 1931/1974) a contenuti animali che non riflettono le sulle
quali l’autore si sofferma per evidenziare gli aspetti essenziali che
determinano l’importanza della fase pre-edipica nello sviluppo della
sessualità femminile nella donna.
Attraverso la sua analisi si comprende come il forte legame che tali donne
manifestano in relazione al proprio padre sia preceduto da una relazione
ugualmente intensa con la madre, per cui si assisterebbe unicamente ad un
cambiamento nella scelta dell’oggetto.
Il legame che tali donne presentano in relazione alla figura materna
durerebbe fino al quarto, quinto anno di vita e subirebbe in seguito una
svalutazione da parte delle stesse.
All’interno dell’opera “Tre saggi sulla teoria sessuale”, Freud (1905/1948)
descrive il fondamento del femminile a partire dalla monade fallico-
sessuale, comune ad entrambi i sessi, che individua nell’esistenza di un
unico apparato genitale - l’organo genitale maschile - costituito dal pene.
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Nella bambina troviamo come organo equivalente il clitoride, essendo la
sessualità femminile così concepita in comparazione con quella maschile.
Freud, inoltre, descrive in entrambi i sessi la presenza della castrazione: il
bambino, quando si accorge che esistono individui che non hanno il pene,
si sentirebbe minacciato interpretando tale minaccia come quella di una
castrazione; la bambina, a sua volta, quando capisce di essere priva di
qualcosa che i bambini hanno, proverebbe invidia, invidia del pene.
Tali fantasie permangono fino alla pubertà, tempo in cui avverrebbe la
comprensione della differenza reale tra i sessi ed il riconoscimento della
vagina da parte di entrambi, con il conseguente insorgere ed instaurarsi
della posizione femminile e/o maschile.
Nell’articolo intitolato “Organizzazione genitale della libido infantile”
(1923/1948), Freud constata la presenza di una differenza, per quanto
minima, nello sviluppo sessuale del bambino e dell’adulto, caratterizzata da
un’organizzazione principalmente fallica nel primo e genitale nel secondo.
Il passaggio dalla prima alla seconda fase avviene al raggiungimento della
pubertà, prima che questo si compia maschile ha significato di fallico,
relativamente ad un soggetto attivo e fornito del pene, e femminile di
castrazione, in quanto oggetto passivo.
In “Declino del Complesso di Edipo” (1924/1948), Freud descrive le
differenze nei modi di risoluzione del Complesso di Edipo nei bambini e
nelle bambine.
Il bambino si masturba, sotto l’influenza dei desideri edipici tesi ad
ottenere l’amore materno, e, allo stesso tempo, si sente minacciato dalla
propria madre di perdere il pene. La minaccia di castrazione è legata, così,
a tali desideri e si consolida quando il bambino scopre che le bambine non
hanno il pene.
Si osserva inoltre come la minaccia acquisti intensità quando relazionata ad
altre privazioni più arcaiche, come la privazione del seno e la separazione
quotidiana dalle proprie feci, separazione, quest’ultima, che ha permesso al
bambino di riconoscere la perdita di parti preziose del proprio corpo.
Il bambino si trova allora all’interno di un conflitto tra i suoi desideri
libidinali, che nel caso di un Edipo positivo sono diretti verso la madre, e
un interesse di tipo narcisistico, che generalmente prevale sul primo, rivolto
al proprio pene.
In questo momento il bambino non prova nessun desiderio di penetrare la
madre, non avendo alcuna coscienza relativa alla vagina; il suo interesse è
ancora, principalmente, fallico.
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La bambina, quando si accorge di non avere il pene, si sente inferiore al
bambino e prova invidia per l’organo sessuale maschile di cui è priva.
Contrariamente al bambino, che abbandona i suoi desideri edipici quando
percepisce la minaccia di castrazione, la bambina si rivolge al proprio
padre nel tentativo di avere da lui un bebè sostitutivo del pene.
Di conseguenza il complesso di castrazione innesca nella bambina il
Complesso di Edipo, mentre nel bambino ne sancisce il declino; in
entrambi i sessi, tuttavia, è attraverso tale processo che si apre la strada alla
formazione del Super Ego.
Nel bambino il complesso di castrazione promuove l’interiorizzazione
dell’autorità parentale sotto forma di Super Ego. L’abbandono degli
investimenti oggettuali lascia posto all’identificazione con l’autorità
paterna, forma che garantisce l’interdizione all’incesto.
Il processo che in tal modo salva il pene conduce anche alla sospensione
della sua funzione, consentendo al bambino l’ingresso nel periodo di
latenza.
Nella bambina, nonostante Freud riconosca l’esistenza di un Super Ego, la
formazione di tale apparato viene descritta come più insidiosa, venendo a
mancare l’angoscia di castrazione che nel bambino ne facilita l’instaurarsi.
Nel suo caso i fattori che intervengono nella formazione dell’apparato
super-egoico sono essenzialmente esterni: l’educazione, l’intimidazione ed
il rifiuto di essere amata (in opposizione alle interdizioni nel bambino), che
determinerebbero il costituirsi di un Super Ego meno vigoroso rispetto al
bambino.
In “Alcune conseguenze psichiche della differenza anatomica tra i sessi”
(1925/1974), Freud sviluppa qualcuna delle idee prima descritte:
per il maschio la madre si manterrebbe come oggetto di desiderio
privilegiato, desiderio, questo, che non viene minacciato dall’Edipo; nella
fase che precede il Complesso di Edipo il bambino sarebbe capace di
identificarsi teneramente con il padre, non presentando sentimenti di
rivalità verso la madre. E’ questo duplice orientamento edipico, attivo e
passivo, in virtù della bisessualità psichica, che consentirebbe al bambino,
in un determinato momento del suo sviluppo, di sostituire la madre al
padre.
Nella femmina sorgerebbero, invece, sentimenti di rivalità in relazione alla
propria madre, conseguenti all’idea che quest’ultima non è stata capace di
darle ciò che gli altri bambini hanno – il pene – e determinando
l’insorgenza di una caratteristica tipicamente femminile, l’invidia.
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La bambina rinuncia al pene solo quando si rivolge al padre, nel tentativo
di ottenere da lui un bebè sostitutivo, così facendo intensifica i sentimenti
di ostilità verso la madre vissuta come rivale.
Il Complesso di Edipo si configura allora come una formazione secondaria
nella femmina e primaria nel maschio; dato che la bambina desidererebbe
prima la madre e, solo successivamente, un pene, infine un bebè, dal padre.
In entrambi i sessi il complesso di castrazione inibisce il maschile e
incoraggia il femminile. La differenza tra gli effetti del Complesso di Edipo
è dovuta alla differenza dei sessi.
Nel maschio il complesso di castrazione provocherebbe un rinforzo dei
desideri edipici con desessualizzazione, sublimazione e abbandono degli
investimenti libidinali, questi ultimi verrebbero incorporati nell’Io con la
formazione del Super Ego, erede dell’Edipo, in un processo consentito e
facilitato dall’investimento narcisistico sul pene.
Nella femmina manca il motivo di distruzione dell’Edipo, una volta che la
castrazione ha già prodotto i suoi effetti. L’Edipo svanisce lentamente o si
rinforza, o ancora può persistere durante il corso della vita mentale della
donna. In qualunque caso il Super Ego femminile non è mai tanto
“...inesorabile, impersonale e indipendente dalle sue origini affettive come
esigiamo lo sia nell’uomo.”, (Freud, 1925/1974).
Esiste nel pensiero freudiano una linea di continuità relativa principalmente
alle considerazioni sulla differenza tra maschile e femminile, riassumibile
nell’espressione “avere o non avere un pene”.
Indipendentemente dal fatto che la castrazione provochi conseguenze
diverse nel bambino e nella bambina si osserva un tratto comune ad
entrambi, che consiste nella stimolazione del femminile e nell’inibizione
del maschile.
Le differenze, tuttavia, sono ancora determinanti per lo sviluppo del
Complesso di Edipo e nella formazione dell’apparato superegoico, in un
processo consentito e promosso dall’investimento narcisistico, in relazione
al pene, che sancisce il passaggio dell’eredità dall’Ego al Super Ego.
Nei suoi ultimi lavori sulla sessualità femminile (1925/1974 e 1933/1948),
Freud consolida le sue idee intorno allo sviluppo della sessualità femminile
nella donna con l’evoluzione del Complesso di Edipo: durante uno
sviluppo normale un bambino/a si lega al genitore di sesso opposto con
trasporto ed al genitore dello stesso sesso con ostilità.
Nei maschi tale processo è semplice, essendo la madre il primo oggetto
d’amore; con l’ingresso nel Complesso di Edipo si intensificano i desideri
erotici nel bambino e aumenta la consapevolezza della relazione esistente
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tra i genitori in modo tale che il padre assume naturalmente la posizione di
rivale nei suoi confronti.
Nel caso delle femmine le cose si complicano configurandosi diversamente
dall’Edipo maschile.
Il legame pre-edipico con la madre ha un ruolo cruciale nel successivo
sviluppo sessuale della bambina, così come nel caso degli effetti della
castrazione: la bambina deve ora desistere dalla propria zona genitale
esterna, il clitoride.
Il complicarsi dell’Edipo nella femmina si deve essenzialmente a due
ragioni: la prima è relativa all’abbandono dell’investimento sulla propria
zona genitale più importante, il clitoride, a favore di una nuova zona, la
vagina; la seconda si deve al cambiamento nella scelta dell’oggetto per cui
si osserva un passaggio dall’investimento oggettuale materno a quello
paterno.
Freud postula l’esistenza, nella mente sia femminile che maschile, di una
bisessualità innata dimostrata dal fatto che “…certi elementi dell’apparato
sessuale maschile, malgrado siano atrofizzati, costituiscono parte
integrante di quello femminile e viceversa.”,(Freud 1933/1948).
Freud considera che, inizialmente, un individuo non sia ancora né uomo né
donna, ma un’amalgama di entrambi, e osserva, grazie all’analisi del gioco
condotta dagli psicoanalisti, che fino alla fase fallica non esiste alcuna
differenza tra bambini e bambine.
L’autore afferma : “Siamo obbligati a riconoscere che la bambina è un
piccolo uomo.”, (Freud 1933/1948).
Freud fa riferimento alla fase fallica perché qui avviene l’acquisizione di
piacere attraverso la masturbazione del pene, per quanto riguarda il
bambino, e l’ottenimento di analoghe sensazioni piacevoli, attraverso la
manipolazione del clitoride, per la bambina, in modo da sancire una sorta
di equazione simbolica clitoride = pene.
Questo è possibile perché la bambina non ha ancora coscienza della propria
vagina e dunque attua un’analogia tra il pene ed il clitoride.
In tal modo, per Freud, che considera il clitoride il corrispettivo dell’organo
sessuale maschile nella donna, la bisessualità femminile presenta due
specifiche caratteristiche, a parte quelle più evidenti: la prima riguarda il
passaggio dalla fase maschile a quella femminile dovuto allo spostamento
dalla zona clitoridea verso quella vaginale, la seconda è relativa al
cambiamento nella scelta dell’oggetto materno per quello paterno.
“Alla fine dello sviluppo della bambina, tuttavia, è necessario che l’uomo-
padre sia stato convertito in un nuovo oggetto d’amore, ovvero: nella
11
misura in cui avvengono in lei cambiamenti nel sesso devono avvenirne
anche relativamente al sesso dell’oggetto.”, (Freud 1925/1974).
Quando Freud mette in relazione lo sviluppo infantile con l’Edipo
interrelaziona ulteriormente quest’ultimo con il complesso di castrazione
(in quanto l’ingresso nell’Edipo porta con sé vissuti di castrazione),
caratterizzando quindi lo sviluppo sessuale femminile con un sentimento di
castrazione. Ne consegue un sentimento di superiorità nell’uomo, in
relazione all’inferiorità femminile, che, quando percepita, porterebbe la
donna a ribellarsi giungendo ad acquisire la posizione femminile.
In altre parole la bambina vivrebbe in un mondo maschile ottenendo
soddisfazione per la manipolazione di un organo equivalente al pene, il
clitoride.
Quando si accorge dell’esistenza del pene nel bambino la bambina prova
invidia, sentendosi a lui inferiore, e perde interesse nella propria sessualità
fallica rinunciando all’attività masturbatoria e all’amore per la madre
fallica.
La presa di coscienza del fatto che anche la madre è un essere senza pene,
un essere castrato, consente alla bambina di abbandonarla, in quanto
oggetto d’amore, rivolgendole in cambio sentimenti negativi di ostilità.
Con l’abbandono della masturbazione la bambina rinuncia, inoltre, ad una
qualche attività, in modo tale che l’approssimarsi al padre sia
accompagnato da pulsioni passive. La bambina si rivolge a lui nella
speranza di ottenere il pene che la madre le ha negato.
Quando questo desiderio viene sostituito dall’equivalente simbolico, il
desiderio di avere un bebè, Freud considera insediatasi la posizione
femminile.
I giochi che le bambine intraprendono con le bambole aiutano ad illustrare
tale sviluppo della sessualità femminile; questi non corrispondono ad una
forma espressiva del femminile quanto piuttosto ad un’identificazione con
la madre, nell’intento di sostituire le pulsioni attive a quelle passive.
Quando le bambole rappresentano un bebè che le bambine hanno avuto dal
padre si realizza il desiderio di avere un pene/bebè.
La bambina entra così nel conflitto edipico con tutti i sentimenti di
tenerezza rivolti al padre e di ostilità alla madre.
Si comprende infine come il complesso di castrazione prepari l’Edipo, una
volta che questi si sia presentato come una soluzione all’invidia provata
dalla bambina.
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L’allontanamento dalla madre è in tal modo qualcosa di inevitabile, avendo
la bambina numerose ragioni per farlo dovute al fatto che:
- La madre non le ha dato un vero pene;
- La madre non l’ha allattata sufficientemente a lungo;
- La figlia deve spartire l’attenzione e l’amore della madre con altre
persone;
- La madre non ha soddisfatto le aspettative di amore della figlia.
Ciò che sembra di fatto peculiare è che la relazione con la madre, oltre ad
essere la prima, è talmente intensa da dover terminare. La relazione con la
madre è così ambivalente da avere come conseguenza la necessità della
bambina di allontanarsi da lei. Nel 1933, Freud ritiene che le motivazioni
sottostanti la separazione della donna dalla propria madre non sono altro
che una serie di razionalizzazioni che dovranno lasciare il posto alla vera
origine di tale antagonismo, ancora da scoprire, intorno a cui si continua ad
indagare.
Alcune autrici contemporanee a Freud, tra cui compare qualcuna delle sue
analizzate, come Marie Bonaparte, Helene Deutsch e Jeanne Lampl de
Groot, hanno dato contributi importanti allo sviluppo del concetto di
femminile, concentrandosi soprattutto su “…il complesso maschile e il
significato maschile dell’attività..”, (Torsti, 1994), dove si concorda con
l’ipotesi del maestro relativa al fatto che la libido femminile nella bambina
non interferisce nello sviluppo della donna in quanto, scrive Freud, la
vagina, o la consapevolezza della vagina nella bambina, viene percepita
solo a partire dalla pubertà.
1.1.2 Alcuni punti di vista sul femminile secondo autori
contemporanei a Freud
Lampl de Groot, nell’articolo “Evoluzione del Complesso di Edipo nella
donna” (1927), conferisce un’importanza speciale alla fase pre-edipica
nello sviluppo sessuale della bambina, influenzando così le ultime idee di
Freud su questo stesso argomento.
Come per Freud anche per l’autrice le bambine ed i bambini presentano
uno sviluppo molto simile fino alla fase fallica, qui entrambi entrano nel
Complesso di Edipo, dirigendo i propri desideri di tenerezza alla madre e i
desideri ostili al padre.
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Allo stesso modo Lampl de Groot da un’importanza speciale ai sentimenti
di inferiorità soggiacenti al complesso di castrazione: la bambina, quando si
accorge che il bambino ha il pene, si sente inferiore e il complesso di
castrazione che ne deriva non solo provoca una ferita narcisistica
(originatasi dal sentimento di inferiorità), ma la obbliga anche a rinunciare
ai propri desideri per la madre, quindi a frenare l’investimento libidico
dall’oggetto materno.
Così facendo la bambina sostituisce la madre con il padre, dirigendo su di
lui tutti i desideri libidinali ed eleggendolo ad oggetto di amore
privilegiato, nel tentativo che questi le dia un bebè sostitutivo del pene.
Questa possibilità di avere un bebè/pene ha costituito, in seguito, una forma
di riparazione narcisistica all’inferiorità percepita dalle bambine; ipotesi da
cui i bambini sono esclusi in partenza perché, in loro, la ferita narcisistica
con la paura di castrazione li porta ad entrare attivamente in relazione con
gli oggetti reali, conquistandoli e sublimando, così, la loro aggressività.
Contemporaneamente a tale rinuncia, e al cambiamento dell’oggetto di
amore parentale, la bambina abbandona la masturbazione clitoridea e
l’aspetto attivo di conquista della fase edipica. La bambina non sempre
presenta un declino lineare del Complesso di Edipo perchè può negare
qualsiasi sentimento di castrazione, se si mantiene legata alla madre; la
bambina e la donna in età adulta possono tentare di compensare la loro
inferiorità corporea a livello intellettuale e professionale, in competizione
quindi con gli uomini, rinunciando però alla propria sessualità.
Tale rinuncia si osserverebbe fintanto che l’oggetto reale si trova ancora
rivolto alla madre. L’autrice, come in Freud, considera il Complesso di
Edipo femminile una formazione secondaria ad un Complesso di Edipo
negativo. Il Complesso di Edipo somiglia a quello del bambino per quanto
riguarda l’origine (eccitamento clitorideo), l’oggetto (la madre), e
l’obbiettivo/destino (attività sessuale).
L’autrice nel suo articolo successivo “Contributi al problema del
femminile”, (Lampl de Groot, 1933), fa alcune considerazioni sulla
differenza tra maschile e femminile in quanto caratterizzata dalla presenza
o dall’assenza dell’attività e della passività, la prima appartenente agli
uomini e la seconda alle donne.
L’uomo attivo reagisce verso il mondo esterno attaccando e conquistando
l’oggetto; la donna passiva si rimette all’oggetto, lasciando che le
impressioni esterne e le situazioni la dominino.
Smirguel, nel suo commento a Lampl de Groot, scrive : “L’uomo normale
risolve le ferite narcisistiche ed il complesso di castrazione mettendosi in
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relazione con gli oggetti reali. La sua aggressività è utilizzata e sublimata
per conquistare la donna. Le sue tendenze passive sono subordinate alle
sue tendenze attive.”, (Chasseguet Smirguel, 1970/1992, pag. 17). Nella
donna la sessualità normale esige una certa passività che decorre nel rientro
delle pulsioni aggressive all’interno in forma masochistica.
Questa è l’idea che viene sviluppata da Deutsch:
Per Helene Deutsch, così come per Freud e Lampl de Groot, lo sviluppo
sessuale infantile è identico, per entrambi i sessi, fino alla fase fallica,
“…tempo in cui si decide la costellazione edipica.”, (Deustch, 1924/1991,
pag.10). Nel frattempo, per Deustch, il masochismo acquista un ruolo
primordiale nello sviluppo del femminile.
Deutsch descrive l’ultima fase dello sviluppo sessuale nella bambina
caratterizzato da due momenti: prima prevale la fase fallica, dove lo
sviluppo della libido riveste un ruolo cruciale nella formazione delle
fantasie inconsce sadiche intorno al coito, poi la bambina, così come il
bambino, si identificherebbe tanto con la madre quanto con il padre, nel
primo caso, verso la madre, le identificazioni implicano una sofferenza
anale passiva, mentre nel secondo, verso il padre, al padre acquistano una
connotazione sadica, dovuta alla presa di coscienza che questi ha un pene.
Le tendenze sadiche della fase anteriore si esprimono ora tramite le
caratteristiche maschili dell’organo. “ L’attività masturbatoria al servizio
del Complesso di Edipo è centrata nei genitali.”, (op. cit. in, pag. 11).
Così, nella bambina, prevale in questa fase l’investimento libidinale del
clitoride in quanto pene e il carattere maschile nell’identificazione con il
padre. Successivamente, in un secondo momento, predomina la scoperta
della castrazione e i sentimenti di colpa che ne derivano, il castigo che lei
stessa si è meritata.
In questo modo viene abbandonata l’attività clitoridea che, associata alla
ferita narcisistica, provoca la riattivazione delle caratteristiche regressive
passive anali, e il desiderio di un bebè anale come un’identificazione con la
madre. “Nel desiderio e nella fantasia della bambina il padre diventa ciò
che rappresenta per la madre, un oggetto sessuale.”, (op. cit. in, p.13). Se
nella fase anteriore le feci rivestono il significato di un bebè, la rinuncia del
clitoride/pene provoca un reinvestimento dell’antico desiderio e la
regressione alla fase anale.
Su questo punto l’autrice sembra d’accordo con Karen Horney (1924),
quando individua l’origine del complesso di castrazione femminile
nell’identificazione con la figura paterna, a sua volta emergente dal declino
del Complesso di Edipo. In questo modo il fallimento del desiderio della
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bambina è un fattore secondario nella creazione del complesso di
castrazione e non rappresenta il primo fattore che insidia il suo sviluppo.
“Si può dire che nel caso della femmina, al contrario del maschio, la fase
fallica si relaziona con un primo aspetto di passività che prefigura il
processo della pubertà.”, (Deutsch, 1924/1991, pag. 13). E’ solo a partire
da questa passività che inizia il declino del Complesso di Edipo.
Deustch sviluppa l’idea di Freud secondo cui nella bambina viene
abbandonato il Complesso di Edipo perché il suo desiderio non viene mai
soddisfatto.
Per l’autrice,con la formazione del Super Ego, la bambina acquisisce la
nozione di interdizione all’incesto, e i sentimenti di colpa che ne derivano
pongono fine alla rivalità con la figura materna.
In questo modo l’identificazione con la madre corrisponde ad un aspetto
importante nella formazione superegoica, dando origine ad una
caratteristica tanto specifica come la costituzione di un Ego ideale
femminile. Nonostante ciò, se fallisce la formazione di tale Ego ideale, a
partire dall’introiezione con la figura materna, al posto di un Super Ego
ideale si formerebbe un complesso da prostituta nella donna dovuto
all’immagine materna percepita come oggetto sessuale inferiore.
Durante la formazione di tale Super ego ideale può anche prevalere
l’identificazione con il padre, portando alla sublimazione delle
caratteristiche mascoline nella donna adulta. Se alla fine, tuttavia,
predomina l’identificazione con la figura materna, l’Ego ideale così
strutturato acquista l’aspetto peculiare della maternità “…a Madonna like
maternity.”, (op. cit. in, pag.14).
Helene Deutsch nel 1925 scrive che lo sviluppo della libido infantile, in
direzione della scelta oggettuale normale eterosessuale, è influenzata da
circostanze specifiche che derivano dalla fase orale a partire dall’equazione
seno materno=pene paterno. Questa fase, considerata come autoerotica, non
ha ancora un obbiettivo determinato.
Il seno materno è percepito come parte del corpo stesso del neonato e tale
rappresentazione si estende in seguito al pene, ragione per cui viene
investito da una grande quantità di libido narcisistica.
La bambina quando scopre il padre in quanto oggetto che sta al fianco della
madre, trasferisce su di lui una serie di propri sentimenti di amore, così
come una parte della sua libido sessuale, grazie all’equazione simbolica
seno=pene. In tale fase il concetto predominante di coito riguarda
l’esistenza di una relazione tra la bocca della madre e il pene del padre.