5
Come vedremo, tuttavia, le testimonianze liturgico-musicali padovane anteriori al sec. XIII,
sebbene pervenute in quantità limitata, dimostrano in modo inequivocabile che quella tradizione è
ancora più antica e non differisce dal cosiddetto «modus vetus» che, almeno fin dall’epoca
carolingia, attesta la sostanziale uniformità della liturgia padovana con quella di Roma, compreso il
repertorio dei canti.
È necessario, inoltre, tenere nel debito conto la circostanza eccezionale per cui i Da Carrara
ebbero la capacità di siglare il periodo della loro signoria con fatti, segni, opere che resero il
Trecento padovano uno dei periodi più significativi della città e della cultura europea, anche dal
punto di vista musicale; e che gli onori a loro resi erano proporzionati al prestigio non solo politico,
ma anche culturale che caratterizzò quell’ambiente. Ancora oggi, la città di Padova è rinomata per il
segno lasciato nel secolo XIV dalla sua Università, dal suo Battistero, dalla cappella degli
Scrovegni, dalla Basilica del Santo e dalla cattedrale, che nei secoli XIV-XV fu sede di un
laboratorio musicale tra i più fecondi, considerati i compositori e i teorici della che qui sono stati
attivi o vi hanno soggiornato. Questa felice stagione culturale, infatti, non è rimasta segnata soltanto
dalle testimonianze di artisti quali Petrarca, Giotto e Giusto de’ Menabuoi, ma porta anche
l’impronta delle composizioni e degli scritti di Marchetto da Padova, Bartolino da Padova, Johannes
Ciconia e Prosdocimo de Beldomandi.
4
Per cogliere la valenza dei riti funebri, occorrerà anche considerare che la rilevanza data dalle
cronache ai cerimoniali di sepoltura è da legarsi innanzi tutto alla centralità assegnata alla morte
dalla spiritualità del basso medioevo, ma anche all’esaltazione dell’individuo e al desiderio del
principe di lasciare memoria di sé attraverso la magnificenza dell’esibizione funebre e alla
grandiosità del sepolcro. Per questa ragione, in particolare, il potere delle famiglie e delle casate si
rifletteva come in uno specchio nel fasto delle esequie. Nello stesso tempo, il popolo aveva
riscontro del potere detenuto da una nobile casata nella pompa delle cerimonie, in particolare di
quelle funebri dove il defunto, nell’unzione del corpo, nelle vesti che lo ricoprivano, nei simboli che
lo accompagnavano e nel rito che gli veniva celebrato, era rivestito da un aura quasi sovrumana,
degna del suo lignaggio.
4
Cfr. The New Grove. Dictionary of Music and Musicians, sub voce Marchetto da Padova, II edizione a cura di Stanley
Sadie e Jhon Tyrrel, vol. XV, Oxford-Massachusetts, Macmillan Publishers limited, 2001, pp. 826-827. PIER PAOLO
SCATTOLIN, Marchetto da Padova in Dizionario Enciclopedico universale della Musica e dei Musicisti: Le Biografie,
diretto da Alberto Basso, vol. IV, Torino, UTET, 1985, pp. 642-643. PIERLUIGI PETROBELLI, La musica nelle cattedrali
e nelle città, ed i suoi rapporti con la cultura letteraria, in Storia della cultura veneta, vol. 2, Il Trecento, Vicenza, Neri
Pozza, 1976, pp. 452-455. F. ALBERTO GALLO, La trattatistica musicale, in ID, pp. 471-472. CAROL BERGER, Musica
ficta: theories of accidental inflections in vocal polyphony from Marchetto da Padova to Gioseffo Zarlino, Cambridge,
Cambridge University Press, 1987. FABRIZIO DELLA SETA, Bartolino da Padova in DEMM, cit., vol. I, p. 340. The New
Grove, cit., sub voce Bartolino da Padova, vol. II, pp. 820-822. PETROBELLI, La musica nelle cattedrali cit., pp. 461-
463. DELLA SETA, Ciconia Johannes in DEUMM, cit., vol. II, pp. 241-243. The New Grove, cit., sub voce Ciconia
Johannes, vol. V, pp. 836-842. PIERO DEROSSI, Prosdocimo de’ Beldomandi in DEMM, cit., vol. I, pp. 420-421. The
New Grove, cit., sub voce Prosdocimus de Beldemandis, vol. XX, pp. 431-432.
6
Per quanto riguarda, infine, la natura delle varie cronache, va detto che esse registrano in
modo diverso gli aspetti del costume e della mentalità a forte valenza simbolica e politica. Quelle
trecentesche, segnate dall’età carrarese, sono condizionate dal diverso rapporto che i cronisti
intrattennero con la signoria: «nutrito dalla tradizione cittadina e religiosa» quello di Guglielmo
Cortusi, cittadino e popolano quello di Galeazzo, Bartolomeo e Andrea Gatari, umanistico e
cortigiano quello di Pier Paolo Vergerio, tanto per restare ai cronisti più sensibili ai cerimoniali
funebri che accompagnano la morte.
5
Ad essi è comune il concetto che la morte «livella», ossia
restituisce uguaglianza a ricchi e poveri, signori e servi, ma che nell’onorare il corpo del defunto
l’uomo reintroduce e ribadisce distinzioni sociali, diversità di ruoli, diversità di destini. I funerali
dei Carraresi, Signori di Padova, sono utilizzati a fini di propaganda politica; le esequie solenni
sono utilizzate per rappresentare la dinastia carrarese come inscindibilmente legata al potere
cittadino.
5
GIROLAMO ARNALDI-LIDIA CAPO, I cronisti di Venezia e della Marca Trevigiana, in Storia della cultura veneta. 2: Il
Trecento, Vicenza, Neri Pozza, 1976, pp. 272-337.
19
I
IL PERIODO STORICO
6
Il secolo XIV è descritto. nel quadro generale della storiografia, come un secolo di crisi e di
passaggio sia per l’Europa, dove si compie l’avvicendamento degli stati nazionali rispetto al sistema
feudale, che per l’Italia, dove la crisi comunale sfocia nell’affermarsi delle Signorie.
La guerra dei Cento Anni, il Grande Scisma d’Occidente, le ricorrenti pestilenze costituiscono
il quadro di fondo del periodo nel quale si svolge e si conclude la vicenda della Signoria carrarese.
Questa atmosfera di tensione, di incertezza e d’instabilità resta sullo sfondo delle Cronache
contemporanee, rivolte a celebrare l’eccezionalità del progetto e dell’avventura carrarese o, almeno
per i cronisti non appartenenti alla corte dei Da Carrara, l’importanza politica e la centralità della
città di Padova.
Il periodo carrarese fu di particolare splendore, come confermano anche le vestigia rimasteci,
ma fu pure un’epoca costellata di scontri e di momenti critici per la città di Padova; infatti tutti gli
eventi appaiono connessi al tentativo carrarese di ottenere da una parte l’egemonia sul territorio
veneto, dall’altra di mantenere la propria autonomia nei confronti della aggressiva politica
espansionistica delle Signorie limitrofe. Dapprincipio la Signoria padovana dovette scontrarsi con il
tentativo di espansione degli Scaligeri e, successivamente, con le mire egemoniche della Signoria
viscontea e, soprattutto, della Repubblica di Venezia che allo scorcio del secolo XIV si orientava
verso un consolidamento dei possedimenti di terraferma.
7
Le istituzioni comunali avevano ripreso a Padova la loro centralità dopo la caduta di Ezzelino
da Romano (1256) e avevano nuovamente operato incontrastate per circa mezzo secolo, fino al
delinearsi di un nuovo contesto internazionale. La ripresa, da parte dell’imperatore Arrigo VII, del
disegno di ripristinare l’autorità imperiale sulle città dell’Italia settentrionale, venne a turbare
nuovamente l’equilibrio del Comune padovano. In questa prospettiva, appare significativo l’evento
della nomina, nel 1312, di Cangrande della Scala come vicario imperiale. L’ombra di un nuovo
Ezzelino, che stava per travolgere Padova, si fa presente nelle parole di Albertino Mussato: Padova,
6
Per quel che riguarda i testi delle cronache padovane si fa riferimento alle edizioni dei curatori delle singole cronache
senza apportare nessun’altra modifica ulteriore.
7
DANIELE CHINAZZO, Cronica de la guerra de Veniciani e Zenovesi, a cura di V. Lazzaroni, Venezia, Deputazione di
storia patria per le Venezie, [1958] (Monumenti storici, 11).
20
che aveva riacquistato la libertà alla morte di Ezzelino, vede ora ai suoi confini il nuovo Ezzelino
nelle vesti di Cangrande.
8
Proprio dalle manovre di Cangrande contro Padova sembra nascere la fortuna dei Carraresi;
infatti il 25 luglio 1318 Jacopo il Grande, sotto il modesto titolo di capitano del popolo, aveva
ricevuto dal Consiglio Maggiore la piena giurisdizione della città di Padova. Nessun mutamento
nelle apparenze esteriori del governo comunale, ma di fatto totale controllo da parte della famiglia
da Carrara delle maggiori magistrature, espressione del governo popolare. Anche la massima carica
cittadina, il podestà, diventò un fedele esecutore del principe, mentre il potere decisionale passò
tutto nelle mani del Carrarese
9
.
1. La Signoria dei Da Carrara
Le istituzioni comunali avevano funzionato fin tanto che il terreno dello scontro tra le fazioni
era rimasto quello locale; quando invece gli interessi della classe politica padovana si rivolsero
all’esterno del territorio e incontrarono forti pressioni come quelle di Cangrande della Scala, il
ricorso all’accentramento del potere nelle mani di un solo uomo divenne una conseguenza
inevitabile. Sotto il profilo costituzionale non si può ancora parlare di Signoria padovana in senso
stretto, anche se il Consiglio Maggiore di Padova conferì a Giacomo I poteri ben superiori a quelli
detenuti dai precedenti podestà; inoltre non fu posto alcun termine al suo mandato, perché l’incarico
era a vita. Il governo di Giacomo I fu un espediente indispensabile per dare garanzia e risolvere la
grave crisi che minava la città; egli fornì credibilità al potere, imponendosi con l’autorità necessaria
per mettere ordine nelle diatribe interne e resistere alle pressioni esterne.
10
Nel 1320 Cangrande aveva posto sotto assedio la città, ma alla fine venne respinto. Giacomo I
però, di fronte alle mire di Cangrande della Scala, che a più riprese tentò di impadronirsi di Padova,
riuscì a resistere soprattutto con un’abile politica diplomatica e di alleanze, piuttosto che attraverso
l’opzione militare. In questa prospettiva si deve considerare pure la politica matrimoniale che lo
portò a sposare in seconde nozze, il 25 luglio 1318, Elisabetta, figlia di Piero Gradenigo doge di
8
GIROLAMO ARNALDI, LIDIA CAPO, I cronisti di Venezia e della Marca Trevigiana, in Storia della cultura veneta. II: Il
Trecento, Vicenza, Neri Pozza, 1976, pp. 274, 277-280.
9
SILVANA COLLODO, I Carraresi a Padova, in Padova carrarese, a cura di O. Longo, Padova, Il Poligrafo, 2005, pp.
19-48.
10
ATTILIO SIMIONI, Storia di Padova dalle origini alla fine del secolo XVIII, Padova, Giuseppe e Pietro Randi librai,
1968, pp. 481-484.
GIGI VASOIN, La Signoria dei Carrara nella Padova del ‘300, Padova, La Garangola, 1987, pp. 45-48.
BENJAMIN G. KOHL, Padua under the Carrara, 1318-1405, Baltimore and London, The Johns Hopkins University
Press, 1998, pp. 39-43.
21
Venezia. Conservata l’autonomia della città, alla sua morte avvenuta nel 1324 aveva ottenuto la
pacificazione dei contrasti cittadini e il consenso di tutte le fazioni.
11
Avveduto come il suo predecessore fu Marsilio I, figlio di Pietro da Carrara detto
“Perenzano”, fratello di Giacomo. All’inizio del suo governo dovette resistere ai nuovi tentativi di
Cangrande di entrare in Padova. Lo Scaligero, grazie alla rottura dell’unità familiare carrarese, a
seguito della congiura dei Dente (1325), nel settembre del 1328, giunse a Padova su invito di
Marsilio I, che non riusciva più a tener testa ai congiurati della sua stessa casata e soprattutto
all’attacco che Nicolò da Carrara aveva sferrato contro i territori di Padova.
12
Di Nicolò da Carrara la Cronaca Carrarese ricorda «che a quî tenpi signoreziava la terra
misser Marsillio, e ‘l contado di fuora misser Nicollò»
13
, che non aveva mai accettato la nomina di
Marsilio a successore di Giacomo I. Non volendo che la successione si consolidasse, fallita la
congiura dei Dente (1325), il 2 luglio 1327 fuggì da Padova e si mise a disposizione di Cangrande
della Scala.
A causa dell’ingestibilità della situazione e temendo di perdere definitivamente il potere, nel
1328 Marsilio arrivò ad offrire la città ed il suo territorio allo Scaligero, con la ratifica del Consiglio
Maggiore di Padova. Il 10 settembre di quello stesso anno Cangrande entrò da conquistatore in
Padova, mentre Marsilio accettava di assumere la funzione di suo vicario. Pochi mesi dopo la morte
del della Scala (22 luglio 1329), Marsilio iniziò una politica di nuove alleanze in sintonia con le
preoccupazioni di Venezia e Firenze per l’espansione scaligera. Nel 1336 si giunse allo scontro tra
Venezia e Firenze da una parte e gli Scaligeri dall’altra e Marsilio, inviato da Mastino della Scala in
qualità di ambasciatore a Venezia, ebbe l’occasione per constatare l’opportunità di avvicinarsi alla
Serenissima. Pertanto, nel 1337 maturò la decisione di accordarsi con Firenze e Venezia: si tratta
dei famosi patti che prevedevano il ripristino della Signoria carrarese e il contemporaneo ingresso di
Padova nella linea politica della Repubblica Veneta. In tal modo Marsilio I ritornò al governo di
Padova e, accettando la tutela di Venezia, scelse la via diplomatica.
14
I Gatari nella Cronaca Carrarese appaiono favorevoli alla causa carrarese, come emerge
dall’esaltazione del buon governo di Marsilio. Al contrario della costante amicizia per Venezia, che
la Cronaca gli attribuisce, in realtà l’autonomia riottenuta da Padova, grazie al sostegno veneziano,
è imputabile solo alla sua politica degli ultimi anni nel governo della città.
Marsilio morì il 21 marzo 1338, dopo aver ottenuto dal popolo la conferma della designazione
a suo successore di Ubertino, nomina accettata anche da Venezia. Furono proprio gli anni relativi al
11
GALEAZZO E BARTOLOMEO GATARI, Cronaca Carrarese, con la redazione di Andrea Gatari [AA. 1318-1407], a cura
di A. Medin e G. Tolomei, Città di Castello, S.Lapi, 1942-1948 (RR.II.SS, XVII/I-II), p. XLIX.
12
KOHL, Padua under the Carrara cit., pp. 53-58.
13
GATARI, Cronaca carrarese cit., p. 14.
14
Ivi, pp. 22-23.
22
governo di Ubertino I e Jacopo II il periodo più lungo di tranquillità e assenza di conflitti. Questo fu
il risultato di due condizioni favorevoli legate alla politica estera: l’esaurimento della spinta dei
della Scala a seguito della morte di Cangrande e i patti stretti da Padova con Venezia (1337).
Liberatasi della presenza scaligera, Padova iniziava un periodo di sviluppo economico e di parziale
autonomia politica, nonostante gli accordi vincolanti del 1337, ai quali Ubertino I si attenne
mostrandosi uomo di notevoli doti di governo e diplomatiche, impegnato non solo in attività
politiche, ma in molte iniziative culturali.
15
I cronisti si soffermano brevemente sulla sua personalità controversa: il suo passato lo aveva
visto tra gli esiliati dopo la fine della congiura dei Dente e i suoi anni giovanili lo mostarono uomo
violento e dissoluto. Prese il potere dopo l’annullamento della sentenza d’esilio, per aver partecipato
attivamente agli impegni di governo del cugino Marsilio I. Anche negli anni del suo governo si ebbe
uno strascico relativo alla congiura dei Dente; nel maggio 1343 venne ritenuto responsabile del
tentato omicidio di Lemizio Dente, tanto che la Serenissima lo condannò al bando da tutto il
territorio veneziano, perché contumace.
16
Ubertino morì nel marzo 1345; non avendo, come il suo predecessore, figli maschi legittimi,
fece approvare dal Maggior Consiglio la successione a favore di Marsilietto Papafava da Carrara.
L’inattesa designazione scatenò il malcontento e la reazione della famiglia carrarese e dopo soli due
mesi di governo, nel maggio 1345, la faida familiare si risolse con l’uccisione di Marsilietto, a
seguito di una congiura ordita dal nipote Jacopo.
17
Di Giacomo II, nonostante l’inizio cruento del suo principato, i cronisti danno un’immagine
positiva, sorvolando sul delitto e sulle esequie di Marsilietto e, nonostante avesse conquistato il
potere con la violenza, si dimostrò principe saggio ed accorto. Egli aveva promosso una ferma
politica di pace, evitando scontri con le vicine cancellerie e ottenendo una grande considerazione
anche al di fuori del dominio padovano. Fu inoltre il primo dei principi carraresi che, pur
osservando i patti stipulati con Venezia nel 1337, non li rinnovò mai formalmente; inizia così, con
Giacomo II, il disegno politico, adottato dai suoi successori, di affrancare Padova dal protettorato
della Serenissima. Emblematica di questa prospettiva di autonomia appare la sua nomina a vicario
imperiale, da parte di Carlo IV di Lussemburgo.
Egli mantenne sempre un fitto rapporto diplomatico con Venezia e gli altri potentati, evitando
tutti i motivi di attrito. Venezia invece guardava la Signoria Carrarese con occhi differenti, cioè
come a un alleato di terraferma, funzionale a salvaguardare gli interessi della Repubblica. La
Serenissima, assicurato il dominio sul mare, intendeva rendere sicuri anche i suoi possedimenti in
15
VASOIN, La Signoria dei Carrara cit., pp. 54-55.
16
KOHL, Padua under the Carrara cit., pp. 80-82.
17
VASOIN, La Signoria dei Carrara cit., pp. 57-58; GATARI, Cronaca Carrarese cit., p. 25.
23
terraferma: i Carraresi, per la posizione strategica di Padova e dei loro possedimenti che arrivavano
fino a Cividale, erano associati a questo disegno strategico ed erano stati sollecitati più volte ad
esserne i naturali difensori. Alla fine si trattava pur sempre di un ruolo di vassallaggio che i da
Carrara e le tradizioni di autonomia comunale di Padova non potevano tollerare.
18
Anche per Giacomo II ci fu una morte violenta, ucciso, nel suo stesso palazzo, da un figlio
illegittimo di Jacopo I il Grande, che egli stesso aveva accolto presso la reggia. Di fronte ad un esito
così inaspettato, la successione fu determinata dal Consiglio Maggiore della città; si ebbe, per la
prima volta, un governo signorile retto da una diarchia: il figlio di Giacomo II, Francesco I,
affiancato dallo zio Jacopino III. A Francesco I fu affidato il settore militare, a Jacopino quello
civile.
19
L’esercizio del potere militare fornì a Francesco il Vecchio l’opportunità di una valida
esperienza sul campo, non solo al comando dell’esercito cittadino ma soprattutto come comandante
militare dell’esercito dei coalizzati con Venezia contro l’ormai avanzante dominio visconteo. Nel
1355 Francesco I estromise lo zio Jacopino e, con l’acquisizione di tutto il potere, riprese la linea
politica di autonomia del padre Giacomo. I patti con Venezia incominiciarono ad essere elusi e la
plitica economica ed estera della Signoria diventò più indipendente: Padova si affrancò sempre più
dal controllo di Venezia, strinse rapporti con le Signorie vicine ed estese il proprio territorio.
Nel 1356 Francesco fu nominato vicario imperiale, dallo stesso Carlo IV di Lussemburgo che
aveva investito suo padre: una linea di continuità ed alleanza che passava anche attraverso la
comune amicizia per il Petrarca, canonico a Padova, e l’interesse per l’Università.
Il mutamento di intese politiche apparve inequivocabile nel 1358, quando il carrarese strinse
alleanza con il re Luigi d’Ungheria, in contesa con Venezia per il possesso della costa dalmata.
L’esito sfavorevole a Venezia, con la pace di Zara (1358) portò nel dominio carrarese Feltre,
Belluno e Cividale, donate da re Luigi a Francesco il Vecchio nel 1360. Prendeva così sostanza il
disegno carrarese di costituire una forte Signoria di terraferma nell’Italia settentrionale, con
l’obiettivo di equilibrare le contrapposte spinte espansionistiche di Venezia e Milano. In questa
prospettiva trova spiegazione il cosidetto periodo delle guerre carraresi condotte contro Venezia.
L’ambizioso progetto di Francesco il Vecchio, però, fu vanificato quando venne meno il sostegno
dei Visconti, con la conseguente resa padovana ai signori di Milano, l’abdicazione di Francesco il
Vecchio e la successione del figlio Francesco Novello.
18
LUIGI MONTOBBIO, Splendore e utopia nella Padova dei Carraresi, Noventa Padovana, Corbo e Fiore Ed., 1989, p. 8;
VASOIN, La Signoria dei Carrara cit., pp. 58-60.
19
VASOIN, La Signoria dei Carrara cit., p. 60: Il Governo congiunto tra Jacopino III e il nipote Francesco I era stato
voluto dal podestà Marin Faliero in accordo con il Consiglio Maggiore di Padova, che approvò la decisione tra il 20 e il
22 dicembre 1350.
24
Si tratta di un momento storico cruciale sia per il destino carrarese, sia per la città di Padova:
l’aggressività e la determinazione di Francesco I, nel suo disegno politico, si spiegano anche con la
crisi che stava attraversando Venezia di fronte alle trasformazioni politico-territoriali in corso
nell’Italia settentrionale.
Il signore padovano cercò di attuare il suo disegno attravero un’intensa attività diplomatica
che, però, non allontanò il pericolo di guerra e l’attrito con Venezia sfociò nella cosiddetta “guerra
per i confini”, svoltasi negli anni 1372-73. Fu l’inizio di una lunga serie di conflitti tra Francesco I e
Venezia, che alla fine determinarono la sconfotta del Carrarese, il quale non resse agli insuccessi
diplomatici, alle sconfitte militari e alle congiure familiari. Nel tentativo di uscire da una situazione
politico-militare sempre più difficile per la città di Padova, nel 1388 Francesco il Vecchio fu
costretto a cedere la Signoria al figlio Francesco Novello, ma a seguito dell’ alleanza tra Venezia e
Milano, i padovani furono definitivamente sconfitti a Strà, la città di Padova fu posta sotto assedio e
cadde in mano al Visconti.
Francesco Novello rinunciò alla Signoria e fu mandato in esilio, ma il giovane carrarese non
abbandonò il disegno del padre e, aderendo alla lega antiviscontea promossa da Firenze, nell’aprile
del 1390, riuscì a riprendere il controllo di Padova. La stessa occasione delle solenni esequie del
padre Francesco il Vecchio, morto nel 1393 a Monza ostaggio dei Visconti, gli fornì l’occasione di
rinnovare di fronte alla famiglia e alla città la coscienza dell’importanza e della continuità del
progetto carrarese. Anche l’opportunità di ospitare a Padova l’imperatore Roberto di Baviera e
all’inizio del 1402 fu intesa da Francesco II come una occasione di conferma e ripresa della politica
seguita dai principi carraresi, sia nell’ambito diplomatico delle alleanze, sia per la legittimazione del
suo potere con l’investitura a Vicario imperiale.
20
L’attività politica e diplomatica di Francesco Novello, però, preoccupava Venezia e quando il
signore di Padova cercò di approfittare della situazione venutasi a creare con la morte di
Giangaleazzo Visconti (3 settembre 1402) dichiarando guerra a Milano nel 1403, entrò in rotta di
collisione con Venezia, preoccupata per la sicurezza dei suoi interessi di terraferma. La Repubblica
Veneta tentò un ultimo accordo, molto gravoso per Padova, che Francesco II non accettò e il 23
giugno 1404 dichiarò guerra a Venezia.
Il 1405 fu l’anno del tracollo definitivo: Jacopo, figlio di Francesco Novello, fu sconfitto a
Montagnana; Padova fu colpita anche da un’epidemia di peste che ne decimò la popolazione la
quale, al limite della sopportazione, il 15 novembre si sollevò. Solo a questo punto il Novello
20
La presenza a Padova di un personaggio di particolare riguardo, quale l’imperatore, e l’ospitalità che gli fu concessa,
con grande soddisfazione da Francesco Novello, sono rilevati nelle Cronache, che ricordano l’organizzazione di
«grande e belle giostre, sule quale era zostradori cerca C
0
e tornieri in quantità e più altre belle feste e riche». Cfr.
GATARI, Cronaca Carrarese cit., p. 477.
25
accettò di consegnare pacificamente la città a Venezia. Il Comune padovano inviò un’ambascieria
alla Serenissima per trattare la dedizione, chiedendo in particolare l’osservanza dei previlegi, degli
statuti e delle consuetudini del Comune, dello Studio e dell’arte della lana. Veneziò si impegnò a
rispettare gli statuti, le tradizioni della città e del territorio, pertanto il 22 novembre 1405 occupò la
città di Padova poenendo fine al dominio della Signoria carrarese.
2. Il Trecento padovano
Il ruolo esercitato dai Da Carrara va, però, ben oltre la conclusione tragica delle vicende
storiche, perchè incise in profondità sugli assetti istituzionali, economico-commerciali, culturali,
artistici e musicali della città di Padova nel Trecento.
Innanzi tutto, col passaggio alla Signoria, gli istituti e gli organi popolari del Comune
(Consigli Maggiore e Minore, gli Anziani) non furono aboliti e le Cronache testimoniano come la
successione tra i vari principi della dinastia carrarese avvenisse con l’approvazione popolare.
21
Se,
però, sotto l’aspetto formale rimanevano invariate le istituzioni, le magistrature e le procedure
comunali, di fatto, con il consolidarsi del potere carrarese, gli organi popolari del Comune
legittimavano a ‘posteriori’ decisioni già prese dal principe. L’accentramentro del potere fu favorito
dall’indebolirsi delle vecchie fazioni e dal costituirsi di un forte partito carrarese. Ciò rese sempre
più stretto il destino carrarese con quello della città, il coesistere e, talora, lo scontrarsi delle due
anime: quella popolare e comunale da una parte, quella filocarrarese e di curia dall’altra.
Anche le iniziative economiche e monetarie confermano l’ambizioso disegno politico dei
principi carraresi, che vagheggiavano per Padova un potere e un dominio tali da farla diventare il pù
importante stato nell’Italia del Nord. Inoltre, l’impulso dato dalla Signoria alle attività produttive,
alle industrie e ai traffici favorirono un notevole incremento della popolazione.
All’inizio del secolo la floridezza della città comunale si concentrava attorno ad una
produzione agricola diversificata e specializzata, alla produzione e al commercio dei panni. A
partire da Ubertino I, i principi carraresi attivarono un dirigismo economico che si concentrava
sull’incremento dell’industria della lana e della produzione della carta. In particolare, l’arte della
lana ricevette un grande impulso sotto Francesco I e il Novello, tanto da rappresentare quasi una
industria di Stato: la creazione di un Fondaco dei panni, la nomina di un ‘rettore’ e di una
magistratura dimostravano il particolare interesse per un’organizzazione solida e competitiva del
settore. Non altrettanta fortuna ebbero nell’ultimo periodo carrarese le produzioni agricole, che più
di ogni altro settore economico subirono le conseguenze della politica di espansione.
21
KOHL, Padua under the Carrara cit., p. 95.
26
Rappresentativo dell’ambizione politica della casa carrarese appare il sistema monetario,
specialmente sotto il dominio di Francesco il Vecchio e Francesco Novello, quando Padova era
impegnata in una politica di egemonia territoriale, all’apice dell’espansione economica. Così si
spiega come, nella seconda metà del Trecento, i piccoli padovani si diffusero anche in Friuli, Istria,
Croazia e Slovenia, confermando il disegno politico e militare dei da Carrara per la creazione di uno
stato da contrapporre a Venezia.
22
La zecca coniò allora il ducato d’oro, il carrarese, il carrarino, il
soldo, monete di buon peso e buona lega dette appunto grosse, e ancora il quattrino, il bagattino e il
denaro piccolo. A dare un’impronta tipicamente padovana era l’emblema dei Carraresi, cioè il carro
inciso sul diritto, mentre il verso recava l’effigie di uno dei quattro santi protettori di Padova.
Non meno significativo era il clima culturale, ma l’amore per la cultura dei Carraresi non è da
attribuirsi solo ad una finalità politica e di prestigio. È sufficiente richiamare la preparazione
classica e scientifica del Novello, l’amicizia del Petrarca per Jacopo II e Francesco il Vecchio, cui il
poeta lasciò gran parte dei codici della sua biblioteca. In una lettera gli dava consigli utili per
l’amministrazione e l’abbellimento della città e per il mantenimento della pace tra la popolazione,
con la conseguente fioritura delle attività economico-commerciali
23
. Il poeta invitava Francesco il
Vecchio ad estirpare dall’animo la cupidigia, ad osservare e a far rispettare gli statuti, lo esortava a
prosciugare le paludi per favorire la fertilità dei terreni dei bellissimi Colli Euganei.
I da Carrara, con l’eccezione di Marsilio I, furono colti e sentirono il fascino della cultura
altrui, senza dimenticare che questo fascino cresceva in essi assieme alla consapevolezza dinastica e
all’esercizio di conservazione del potere
24
. Soprattutto il rapporto con l’Università conferma come
la Signoria sia riuscita ad integrare anche la componente culturale all’interno del suo disegno.
Come il Comune aveva sempre affrontato rilevanti spese per il pubblico Studio, così una delle
preoccupazioni principali della politica dei principi Carraresi fu di accordare una costante e sollecita
protezione all’Università. Col favore anche di imperatori e papi, l’Universitas scolarium accrebbe la
sua fama specialmente durante il governo di Ubertino, di Jacopo II, di Francesco il Vecchio e di
Francesco Novello. Nella seconda metà del Trecento, poi, la fama della ricca e prosperosa città e il
favore dei principi e del Comune avevano affollato lo Studio non solo di scolari provenienti
dall’Italia e da tutta Europa, ma dei più rinomati insegnanti di diritto civile e canonico, di medicina
22
MONTOBBIO, Splendore e utopia cit., pp. 238-239.
23
Epistole di Francesco Petrarca, a cura di Ugo Dotti, Torino, UTET, 1978 (Classici italiani, 12.2), pp. 835-837, «13*
[XIV, I] Ad magnificum Franciscum de Carraria Padue dominum, qualis ese debeat qui rem publicam regit»: «Effertur
funus, matrone catervatim prodeunt in publicum vicosque et plateas altis complet inconditisque clamoribus, ut siquis rei
nescius interveniat, facile possit aut illas in furorem versas aut urbem captam ab hostibus suspicari. Inde, ubi ad templi
fores est perventum, geminatur fragor horrisonus et, ubi Cristo laudes cani sive pro defuncti anima devote preces vel
submissa voce vel in silentio fundi debent, illic meste reboant querele et femineis ululatibus altaria sacra pulsantur, quia
scilicet mortuus sit mortalis. Hunc morem, quia gravi et nobili contrarium politie tuoque regimine indignum, censeo ut
emendes, non tantum consulo, sed, si licet, obsecro. Iube ne qua prorsus hanc ob causam pedem dono efferat: si flere
miseris dulce est, quantumlibet domi fleat, faciem publicam non contristet».
24
VASOIN, La Signoria dei Carrara cit., pp. 105-106.
27
e astrologia, di filosofia e di matematica, di grammatica e di rettorica: Giovanni e Marsilio da S.
Sofia, Jacopo Dondi e il figlio Giovanni, Biagio Pelacani, Albertino Mussato, Francesco Zabarella,
Lovato de’ Lovati e quanti continuavano gli innovativi insegnamenti di Pietro d’Abano.
25
Molti lettori dell’antica e famosa Università dei Giuristi (giudici, notai, gastaldi, priori delle
arti, familiari e vicari dei principi) ebbero dai Carraresi incarichi ed ambascerie politiche in
momenti cruciali per la Signoria. Il mecenatismo carrarese e la fama del corpo insegnante avevano
fatto affluire in Padova un crescente numero di studenti, ma avevano reso urgente anche una
modifica nella sua stessa organizzazione. Le due importanti innovazioni apportate allo Studio sono
dovute all’intervento risolutivo della Signoria: la separazione definitiva dell’Università degli Artisti
dall’Università dei Giuristi, avvenuta nel 1399, è merito di Francesco Novello; la facoltà di
conferire il magistero in teologia, appannaggio solo di Parigi e Bologna, fu concessa allo Studio
padovano da papa Urbano V nel 1363, grazie all’iniziativa di appartenenti alla famiglia da Carrara.
Il governo signorile ebbe sempre l’intenzione di rendere Padova un’importante sede
universitaria, in particolare ospitando docenti famosi per mantenre alto il livello degli studi e
richiamare studenti forestieri, in ciò mantenendosi coerente con la politica culturale del precedente
governo comunale. Da sempre i Carraresi favorirono l’attività dello Studium tramite finanziamenti
per le cattedre fondamentali (legge e teologia), la salvaguardia della «libertas scolastica» e
l’autonomia delle corporazioni studentesche. Con la «politica delle cattedre» i carraresi mostravano
un chiaro intento di «qualificazione culturale dell’ambiente padovano» e fu soprattutto con
Francesco il Vecchio che l’ingerenza del principe si fece sentire nella scelta dei docenti.
GIà nel 1318, al momento della consegna del potere comunale nelle mani di Giacomo I il
Grande, il Maggior Consiglio pregava il Carrarese di preoccuparsi «quod Studium Paduanum
augmentetur et [habeat] doctores et scholares et toum Studium Paduanum tamquam filios
recommendatos».
26
L’intesa tra potere e università fu tale da garantire un buon funzionamento dello
Studio anche sotto il dominio straniero, in particolare nel momento in cui Padova, per sottrarsi
25
Ivi, pp. 95-99: «Il crescente numero degli studenti artisti e conseguentemente delle loro esigenze didattiche e
organizzative, aveva posto in luce la necessità della separazione dell’ Università degli artisti (Universitas artistarum,
medicinae, phisicae et naturae) dall’Università dei Giuristi (Universitas iuristarum). Un primo passo fu fatto su
iniziativa di Francesco I il Vecchio, che richiese la mediazione del Vescovo Pileo da Prata, suo parente; il Vescovo
raggiunse il compromesso del 20 marzo 1360, con il quale, se non fu fatta una vera e propria separazione, vi si
costruirono le premesse. Il distacco definitivo avvenne il 16 maggio 1399 con Francesco II Novello». Cfr. anche
MANLIO DAZZI, Il Mussato preumanista (1261-1329): l’ambiente e l’opera, Venezia, Neri Pozza, 1964; Dizionario
Biografico degli Italiani, sub voce Jacopo e Giovanni Dondi Dall’Orologio, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana,
1992, XLII, pp. 96-104, 104-111; Filosofia, scienza e astrologia nel Trecento europeo: Biagio Pelacani parmense: atti
del Ciclo di lezioni Astrologia, scienza, filosofia e società nel Trecento europeo, Parma, 5-6 ottobre 1990, a cura di
Graziella Federici Vescovini e Francesco Barocelli; Padova, Il poligrafo, 1992: EUGENIA PASCHETTO, Pietro d’Abano:
medico e filosofo, Firenze, Nuovedizioni E. Vallecchi, 1984; TIZIANA PESENTI, Marsilio Santasofia tra corti e
università: la carriera di un “monarca medicinae” del Trecento, Treviso, Antilia, 2003; CARLO F. POLIZZI, Nuovi
documenti e ricerche sul cenacolo preumanistico padovano, Padova, Antenore, 1985.
26
DONATO GALLO, Università e signoria a Padova dal XIV al XV secolo, Trieste, Edizioni Lint, 1998 (Confronta/2),
pp. 20-31.
28
all’espansionismo veronese, si era posta nelle mani di Federico d’Austria e in quelle di Enrico duca
di Carinzia (1320-1328), ma soprattutto nel periodo in cui la città fu un diretto dominio degli
Scaligeri (1328-1337). L’Università era amministrata dai «tractatores studio», organo nato con le
istituzioni comunali ma definito nelle sue mansioni dalla compilazione statutaria padovana
predisposta sotto Francesco il Vecchio. La mansione dei tractatores era di provvedere, assieme ai
rettori, all’elezione dei dottori leggenti, ossia di docenti di chiara fama.
Lo stesso spirito di mecenatismo rivolto allo Studio patavino, i Carraresi dimostrarono verso
le arti visive, ed in particolare verso la pittura. Non pochi furono i pittori chiamati a lavorare in
Padova per i Carraresi e per i dignitari della loro corte. Primo tra tutti il Guariento (Padova? -
Padova 1370?), poi Altichieri da Zevio e l’Avanzo, assidui collaboratori l’uno dell’altro, e Giusto
de’ Menabuoi (Toscana 1330 - Padova 1391?), al quale Francesco I il Vecchio conferì la
cittadinanza padovana. Accanto ai pittori è da collocarsi il magistrale lapicida Andriolo de Santi che
creò i monumenti funerari per Ubertino I e Jacopo II collocati nella chiesa di S. Agostino.
Questo clima di fervore culturale e umanistico trova un emblema nella figura del Petrarca. Il
poeta godeva di una fama internazionale; sovrani e potenti gli offrivano ospitalità e si contendevano
la sua presenza. Merito della Signoria fu di averlo legato alla famiglia carrarese e alla città.
Accogliendo le ripetute preghiere di Iacopo II, nel 1349 si trasferiva a Padova nella casetta
canonicale vicino al duomo, ma alla fine del 1350, dopo pochi mesi dall’assassinio del principe
riprese i suoi viaggi. Francesco I tanto fece poi che il Petrarca decise di fermarsi a trascorrere gli
ultimi suoi anni(1370-1374) nella piccola proprietà di Arquà, donatagli dal carrarese.
La reggia dei Carraresi, lungi dall’essere solo sede degli affari di stato manovrati dai
collaboratori del principe, era un centro culturale fiorente, corte di letterati, artisti, poeti e musicisti;
luogo in cui la raffinatezza e l’eleganza raggiunsero un livello tale da diffonderne la fama in tutta
Europa. La magnificenza della corte carraresi si coniugava alla raffinatezza dei costumi nelle classi
più elevate. Accanto ad un’intensa vita religiosa, testimoniata dal fiorire di chiese e conventi, nella
reggia e in ogni classe sociale erano continue le occasioni per conviti, danze, giostre, palii,
“bagurdi”. Il sacro conviveva accanto al profano nei costumi come nella musica che, durante l’età
carrarese, aveva senza dubbio parte importante nella vita popolare e nelle abitudini signorili.
La cultura padovana per i carraresi, “aristocratici guerrieri”, da un lato assumeva un chiaro
valore propagandistico e d’immagine, dall’altro contribuì a legarli «alla riflessione del nascente
umanesimo» incarnato dal pensiero politico di Francesco Petrarca (Seniles, XIV,1)
27
e rivolto a
Francesco il Vecchio, dal pensiero pedagogico di Pier Paolo Vergerio, consigliere di Francesco
27
Epistole di Francesco Petrarca cit., pp. 760-837.
29
Novello, e dagli insegnamenti umanistici del Salutati e del Bruni che nel 1403 dedicò il trattatello
«Sull’educazione e degli studi liberali» a Ubertino, figlio di Francesco II.
Per quanto invece riguarda l’aspetto musicale, che più interessa il presente lavoro, è
importante osservare che a Padova, nel Trecento, si pongono le basi della scuola musicale veneta
28
.
Infatti, all’inizio del sec. XIV in città prende avvio la tradizione italiana dell’Ars nova musicale,
favorita dai rapporti dell’Università con l’ambiente francese e dall’insegnamento del medico e
filosofo Pietro d’Abano che nell’Expositio in librum problematum Aristotelis avvia la riflessione
sulla natura fisica del suono, ponendo le basi per alcuni presupposti della musica mensurata
29
.
Il primo esempio della nuova arte polifonica è il mottetto Ave regina celorum, composto dal
musicista e teorico Marchetto da Padova in occasione dell’inaugurazione della cappella degli
Scrovegni, il 25 marzo 1305. In questa composizione Marchetto applica i principi esposti nel
Pomerium, utilizzando la notazione italiana mensurale nera del Trecento.
30
Marchetto rimase a
Padova, per qualche anno, come maestro di canto del duomo, operando però negli anni successivi
tra Veneto e Romagna. A lui si devono soprattutto due trattati musicali: il Lucidarium che contiene
le regole del canto monodico, e il Pomerium, scritto tra il 1321 e il 1326, dedicato al podestà di
Padova Jacopo I il Grande (1318-1324), in cui tra l’altro affronta il problema delle concordanze
imperfette
31
. In quest’opera Marchetto espone la redazione definitiva della sua teoria della musica
mensurabilis e, partendo dalla definizione aristotelica di tempo, egli prevede due misure musicali:
una terneria e l’altra binaria, entrambe suscettibili di successive graduali divisioni. La teoria e la
pratica di Marchetto sulla polifonia misurata continuarono ad essere sviluppate nella cattedrale di
Padova essere mantenute anche nella seconda metà del secolo.
32
Con l’affermarsi della Signoria carrare, pertanto, a Padova e nel Veneto incominciò a
diffondersi una produzione musicale raffinata e dotta, caratterizzata da uno stile originale, del tutto
idipendente rispetto alla produzione dell’Ars nova francese. Conferma questa importante realtà
culturale, testimonianza di un ambiente musicale vivace e innovativo, l’opera del giudice padovano
Antonio da Tempo. La sua Summa artis rithimici vulgaris dictaminis cerca, infatti, di dare una
sistemazione razionale e organica alla poesia per musica, definendo i rispetti rapporti metrico-
ritmici
33
. L’opera del 1332 è dedicata ad Alberto della Scala, allora signore di Padova, e le forme
descritte, che trovano puntuale riscontro nei codici musicali, sono la ballata, i «rotundelli», il
28
CATTIN, La musica a Padova nel Trecento, in Padova carrarese cit. pp. 203-213.
29
Cfr. MAURO LETTERIO, La musica nei commenti ai Problemi: Pietro d’Abano e Évrart de Conty, in La musica nel
pensiero medievale, a cura di L. Mauro, Ravenna, Longo, 2001, pp. 31-69.
30
ANTONIO DA TEMPO, Summa artis rithmici vulgaris dictamini, a cura di R. Andrews, Bologna, Commissione per i
testi di lingua, 1977 (Collezione di opere inedite o rare, 136).
31
ANTONIO LOVATO, Dottrine musicali nel Trecento padovano, in Padova carrarese cit., pp. 215-225.
32
F. ALBERTO GALLO, La polifonia nel Medioevo, Torino, E.D.T., 1991 (Storia della Musica, 3), pp. 62-65; ID., La
trattastica musicale, in Storia della cultura veneta. II: Il Trecento, Vicenza, Neri Pozza, 1976, pp. 469-476.
33
DA TEMPO, Summa cit..
30
madrigale e anche il mottetto, che sembrerebbe forma musicale propria della liturgia, mentre nelle
testimonianze padovane e venete esprime una funzione eminentemente celebrativa.
34
Nella seconda metà del Trecento, durante il culmine della potenza carrarese, domina la figura
di Bartolino da Padova. Con lui la differenziazione dello stile italiano dalle peculiarità francesi
tende a scomparire; è privilegiato un linguaggio intellettualistico e i diversi argomenti trattati nei
madrigali e nelle ballate propongono un’atmosfera aulica e un carattere sentenzioso. Egli compone
un madrigale sia per Gian Galeazzo Visconti, in occasione del suo ingresso trionfale in Padova nel
1388, sia per la nomina di Francesco Novello a capitano generale dell’esercito dell’imperatore
Roberto di Baviera nel 1401. Bartolino musicò anche la ballata La sacrosanta verità d’amore,
attribuita a Giovanni Dondi Dall’Orologio, e probabilmente frequentò assiduamente la corte, come
si può dedurre dalla dverse composizioni (ballate e madrigali) dei dicate ai signori Da Carrara.
35
Alla fine del secolo, nel momento della crisi dell’«Ars Nova» italiana e dell’imporsi del
«gotico internazionale» in musica, compare a Padova con le sue creazioni Johannes Ciconia. Nella
vastità dei suoi interessi musicali, egli configura una nuova concezione musicale «dotta», che sarà
dominante nel secolo XV. Egli risulta strettamente legato alla corte carrarese, infatti scrive due
mottetti, uno per il canonico Francesco Zabarella e l’altro per il vescovo di Padova Stefano da
Carrara. Egli alterna lo stile italiano e il metodo francese, in una contaminatio che segna la
definitiva scomparsa della specificità del modulo arsnovistico italiano. Segno del suo grande
successo è costituito dal fatto che egli compose per le più diverse occasioni: in onore dei Carraresi,
per la festa di S.Antonio e in occasione dell’annessione di Padova alla Serenissima. Come canonico,
nel 1403 egli era cantor e custos della cattedrale patavina, assumendo quel ruolo che ormai si era
consolidata a Padova soprattutto dalla metà del XIV secolo, quando le celebrazioni liturgiche
furono pienamente uniformate alla Consuetudo Romanae Curiae.
36
Il ruolo e l’importanza particolare che la musica espresse nella Padova carrarese del sec. XIV
può essere ulteriormente approfondita anche attraverso lo studio delle fonti indirette, quali sono le
numerose Cronache, in particolare: la Chronica de novitatibus Padue et Lombardie dei Cortusi; i
Gesta magnifica domus Carrariensis, di natura apologetica; le Cronache dei Gatari, che presentano
la prospettiva della città comunale sull’intera vicenda carrarese. Nel capitolo successivo saranno
descrtitti tutti i passi in cui è dato rilievo agli eventi musicali, con riguardo ai riti funebri.
34
PIERLUIGI PETROBELLI, La musica nelle cattedrali e nelle città, ed i suoi rapporti con la cultura ltteraria, in Storia
della cultura veneta cit., II, pp. 440-468.
35
Ivi, pp. 462-463.
36
GIULIO CATTIN, La Cappella Antoniana e l’Archivio musicale della veneranda Arca di S. Antonio, in S. Antonio
1231- 1981. Il suo tempo, il suo culto e la sua città, Atti del convegno giugno-novembre 1981 a cura del Comune di
Padova, Assessorato ai Beni Culurali, Padova, Signum Edizioni, 1981, p. 172.