gli interventi in dottrina ma nessun intervento ancora si registra sul
piano giurisprudenziale.
Sarà la prassi a stabilire se il fine di preservare l’unità del bene
produttivo, favorire l’univocità del controllo, evitando la
frammentazione che si determina con la successione ereditaria e
permettere di anticipare in vita il trasferimento dell’impresa, è stato
raggiunto.
Per momento non resta che partecipare al dibattito dottrinario e
stabilire se un apporto possa essere dato, quanto ad una migliore
incardinazione dell’istituto nell’ordinamento civile .
6
PARTE PRIMA
Successione nell’impresa e divieto
dei patti successori
7
1. Successione nell’impresa familiare: nozioni introduttive
La successione nell’impresa familiare è una vicenda che interessa il
diritto successorio, il diritto commerciale e quello tributario.
Questi ambiti disciplinari hanno caratteristiche ben differenti l’uno
dall’altro.
Il diritto successorio è caratterizzato dalla staticità in quanto i principi
sanciti nel secondo libro del codice civile, quanto a tutela del diritto dei
legittimari, al rispetto dell’eguaglianza delle quote dei successibili,
prescindono dalla tipologia di successione di cui si tratta; ciò che si
rivela fondamentale pertanto è il rispetto della volontà del de cuius,
revocabile fino al momento immediatamente precedente alla morte
nonchè il rispetto dell’uguaglianza dei suoi successori.
Il diritto commerciale invece appare caratterizzato da un fervente
dinamismo che traspare dall’ampia possibilità di trasferimento delle
quote sociali.
Differenze notevoli tra diritto successorio e diritto commerciale sono
presenti anche in relazione all’oggetto della successione e alle qualità che
debbono essere presenti nel soggetto cui si affida la gestione
dell’impresa.
Sotto il primo profilo, il diritto successorio, ovviamente il riferimento
va a quello anteriore alla novità normativa introdotta dalla L. 55/2006, si
interessa di trasferire agli eredi del de cuius una proprietà a scopo di
godimento ovvero un bene da cui i successori possono trarre
legittimamente vantaggio, usufruendone personalmente, cedendone il
godimento a terzi o sfruttandone il corrispettivo in denaro che loro può
derivare dalla vendita del bene.
Il diritto commerciale ha invece ha interesse a trasmettere agli eredi del
8
de cuius una proprietà produttiva ovvero unʹ attività la cui
organizzazione rende possibile la produzione di beni e di servizi.
Ciò che appare evidente è dunque il fatto che il diritto successorio mira
a trasferire agli eredi del de cuius un bene che ha, in sé, delle potenzialità
economiche ovvero possiede un valore intrinseco mentre, il diritto
commerciale, ha come interesse il trasferimento agli eredi del de cuius di
un bene produttivo.
Per bene produttivo si intende una cosa idonea a dar luogo alla
formazione di nuovi beni economici, siano essi beni materiali o servizi.
Ebbene, l’azienda, questa cosa produttiva si presenta, grazie al sapiente
management dell’ “ imprenditore padre “, come un’attività redditizia
sana che è in grado di diventare fonte di sostentamento per gli eredi del
de cuius alla sola condizione che gli eredi stessi accettino anche l’onere
che deriva dal patto di famiglia e che si sostanzia nella continuazione
delle iniziative imprenditoriali che possono garantire la prosecuzione
dell’impresa.
Questo profilo ci induce a fare alcune considerazioni sulla finalità
dell’istituto del patto di famiglia: la prima funzione è senza dubbio
quella di realizzazione di un desiderio del de cuius che è tanto quello di
garantire il trasferimento del patrimonio familiare ai suoi eredi, quanto
quello di auspicare la sopravvivenza dell’impresa anche per il periodo
successivo alla sua morte.
La seconda finalità è quella che potremmo definire sociale: la
sopravvivenza delle imprese commerciali sta anche nell’interesse di quei
paesi europei, tra i quali figura anche l’Italia, in cui la crescita del
prodotto interno lordo si basa quasi totalmente sui prodotti e sui servizi
realizzati delle piccole e medie imprese.
Terza finalità, non marginale ma presumibilmente di interesse
9
secondario per il de cuius, è la tutela dei terzi
1
che, legati da rapporti
contrattuali con l’impresa, hanno parimenti interesse alla prosecuzione
della collaborazione con l’azienda.
Per quanto attiene al secondo profilo, sopra ricordato, quello della
scelta del successore più adeguato per la sostituzione del de cuius
nell’attività economica, anche in questo caso, diverse sono le richieste
che potrebbero venire dal diritto successorio e dal diritto commerciale.
In questo caso appare però facile conciliare le esigenze delle due
discipline: la necessità di trasmettere il patrimonio familiare sostanziato
nell’impresa avviata dal de cuius, sentita dal diritto successorio e,
l’esigenza di selezionare un candidato che abbia buone capacità
manageriali, richiesta dal diritto commerciale, fanno cadere la scelta sui
stretti familiari del de cuius.
La scelta del soggetto che, a giudizio dell’imprenditore in procinto di
trasferire la sua impresa, debba prendere le redini dell’impero familiare,
ricade sui suoi eredi, non solo perché legalmente sarebbero i soggetti
designati alla successione ma anche perché tra di essi vi è sicuramente
chi ha vissuto la crescita imprenditoriale realizzata grazie all’intervento
del de cuius e da lui hanno appreso il know‐how o il sapere pratico, frutto
quest’ultimo, di esperienze, capacità di riflessione, di critica alle
precedenti esperienze, di intuizione, che non sono facilmente
trasmissibili a parole ma che un familiare accorto, magari proprio il
figlio, sa cogliere nell’agire dell’imprenditore, delle quali ha fatto tesoro
nel tempo e che è in grado di far fruttare nei momenti opportuni.
Il figlio dell’imprenditore o il suo successore in genere, sembrano
essere quindi i candidati perfetti per la sostituzione del padre o
dellʹascendente alla conduzione dell’azienda perché avrà,
1
Il termine impiegato negli ambienti finanziari è quello di stakeholder.
10
presumibilmente, delle conoscenze codificate, manualistiche, che
condivide con molti altri imprenditori, ma al suo curriculum può
aggiungere anche una capacità operativa e un corretto adeguarsi alle
situazioni concrete: queste ultime sono abilità che solo lo stretto
familiare dell’imprenditore possiede perché ha avuto occasione di vivere
a stretto contatto con il de cuius e di condividere con lui abilità pratiche e
capacità gestionali.
La disamina delle relazioni che il patto di famiglia ha con le discipline
giuridiche non si esaurisce con il rilievo dei nessi tra diritto successorio e
diritto commerciale ma si estende anche al diritto tributario.
Il patto di famiglia, a differenza di quanto visto sopra in merito alle
relazioni tra diritto successorio e commerciale, intesse tra lo ius
successionis e il diritto tributario delle interrelazioni, delle connessioni
reciproche tra i due rami del diritto.
In effetti, in premessa a qualsiasi scritto che si proponga di esporre un
pensiero sulle conseguenze fiscali del patto di famiglia, non manca la
segnalazione che lo studio delle conseguenze tributarie segue,
logicamente, la definizione civilistica anche se, la stessa dottrina
civilistica desidera anticipare le considerazioni sul piano fiscale per
accertarsi che alla qualificazione adeguata dell’istituto segua un regime
fiscale favorevole.
Il rapporto tra diritto civile e diritto tributario è di eminente interesse
pratico infatti, se al patto di famiglia dovessero seguire delle imposizioni
fiscali eccessivamente onerose, l’istituto avrebbe scarso rilievo pratico e
finirebbe per nascere già morto.
11
2. Divieto dei patti successori
Questo scritto che ha per tema il patto di famiglia, ovvero il contratto
con cui l’imprenditore trasferisce l’azienda e il titolare di partecipazioni
societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote ad uno o più
discendenti, non può prescindere dal fare cenno all’istituto civilistico
che, dal periodo preunitario, ha osteggiato il trasferimento del
patrimonio dell’imprenditore a quello dei suoi successibili che
manifestasse più propensione per l’imprenditoria o che desse maggiore
affidabilità nella conduzione dell’impero familiare, nella fattispecie,
un’impresa, già avviata dal de cuius.
L’istituto in questione è il divieto dei patti successori che trova
collocazione fisica nel codice civile all’articolo 458.
Nell’articolo in questione si trovano accomunate tre tipologie differenti
di patti successori:
i patti successori istitutivi, ovvero l’istituzione contrattuale di erede o
legatario, i patti successori dispositivi, patto con cui taluno dispone, non
della propria successione , ma dei diritti che gli possono derivare dalla
successione dell’altra parte contraente o di un terzo, patti successori
rinunciativi, ovvero patti con cui taluno rinuncia ai diritti che gli
possono derivare dall’apertura di una successione.
Le disposizioni che sono riunite in quest’unico articolo sono tra di loro
notevolmente diverse anche per quanto riguarda, la ratio dei rispettivi
divieti, di cui si dirà in seguito.
L’unico tratto che accomuna questi patti successori, è quello di avere
ad oggetto una successione non ancora aperta.
La ratio
1
del divieto di stipulazione di patto successorio istitutivo è
1
Ferri, Successioni in generale, 3a ed., in Comm. Scialoja, Branca, sub artt. 456‐511,
Bologna‐Roma, 1980, pag. 40
generalmente individuato nella necessità di assicurare la libertà del
disporre del proprio patrimonio unicamente con testamento ovvero con
un atto di ultima volontà perciò sempre revocabile e per preservare la
tipicità assoluta degli strumenti con cui l’autonomia privata regola le
vicende successorie
2
; la ratio del divieto dei patti successori dispositivi e
rinunciativi
3
viene comunemente ricondotta al rischio di votum corvinum
o captandea mortis, ovvero delle aspettative sulla morte futura, di dubbia
moralità o alla necessità di tutelare i soggetti più giovani che, per
potrebbero dilapidare il patrimonio ereditario prima di entrarne in
possesso o soggetti, ugualmente deboli, che pur di soddisfare un
bisogno presente sarebbero disposti a rinunciare ai loro diritti ereditari o
a disporne prima di averne la materiale disponibilità, pur di appagare i
loro desideri.
Nella classificazione giuridica delle diverse tipologie di patti
successori, si deve tener conto dei requisiti necessari per la presenza dei
patti e delle particolarità che caratterizzano ognuno di essi.
Tutte e tre i patti successori sono caratterizzati :
1. da una convenzione che viene stipulata prima dell’apertura
della successione
4
2. dall’oggetto della convenzione che deve essere un bene che
farà parte dell’eredità futura
3. che l’acquisto avvenga mortis causa e non ad altro titolo
5
2
Ammettendo un patto istitutivo, si verrebbe a creare un terzo tipo di vocazione
all’eredità.
In questo senso F.P.Vidari , Patti successori e contratti post mortem, Riv. Dir. Civ., 2001,
II p.246
3
Per delle considerazioni sulla ragione di tanta severità nei confronti dei patti
successori, Cass. Civ, 29.5.1972 n. 1702 in www.cortedicassazione.it .
4
È escluso che la nullità riguardi anche le semplici promesse unilaterali di disporre
mortis causa a favore di qualcuno v. M.V. De Giorgi, I patti sulle successioni future,
Jovene, 1976 e, in questo senso, Cass.Civ. 19.10.1978 n. 4712 in Riv. notariato 1979
pag. 211 .
5
M.V. De Giorgi, I patti sulle successioni future, cit. pag. 65
13
Secondo la dottrina maggioritaria, le tre tipologie di patti successori
possono essere qualificate come atti mortis causa o come negozi tra vivi.
Il patto successorio istitutivo può essere qualificato come atto mortis
causa; la più autorevole dottrina definisce come atto mortis causa ( o atto a
causa di morte ) quell’atto che regola rapporti e situazioni che vengono a
crearsi, in via originaria, con la morte del soggetto o che dalla sua morte
traggono comunque una loro autonoma qualificazione
6
.
Per completezza espositiva, è opportuno ricordare che altri autori
invece, ritengono che si debba considerare atto mortis causa ogni
contratto correlato all’evento morte e nel quale la morte stessa rileva
obiettivamente come motivo determinante
7
.
I patti successori dispositivi o rinunciativi invece sono definiti atti inter
vivos poiché non incidono sul fenomeno successorio vero e proprio
infatti, in questi due casi, la morte del de cuius si presenta soltanto come
condizione o termine perché la disposizione della propria successione o
la rinuncia alla propria successione, possa avere effetti reali.
Di fronte a principi inderogabili quali quota di riserva, lʹintangibilità
della legittima e divieti assoluti quali appunto, i patti successori
8
, la
6
Giampiccolo, Il contenuto atipico del testamento, Milano 1954 pag.37 e ss.
Questa definizione di atto mortis causa è stata anche accolta da M.V. De Giorgi che
ha curato la voce Patto successorio in Enciclopedia del diritto pag. 533 e ss. , e
riportata per garantire la completezza del panorama dottrinario anche da Caccavale
e Tassinari, il divieto dei patti successori tra diritto positivo e prospettive di riforma,
Rivista di diritto privato n.1 1997 pag. 74.
7
Se, si desse credito alla prima definizione di atto mortis causa, sarebbe escluso dal
divieto ex art. 458 c.c. la donatio si praemoriar, poiché si tratta di un rapporto
giuridico che viene posto in essere quando ancora è in vita il disponente, il quale si
impegna, fin dal momento della del sorgere del rapporto giuridico; la donatio mortis
causa darebbe luogo ad una immediata indisponibilità che, viceversa, negli altri atti
mortis causa si produrrebbe soltanto alla morte del disponente. Abbracciando la
seconda definizione, il divieto di cui all’art. 458 c.c. si amplia fino ad escludere la
possibilità di stipulare patti insuscettibili di produrre qualsivoglia effetto prima
della morte del de cuius ma anche atti nei quali la morte costituisce un effetto finale.
Caccavale e Tassinari, il divieto dei patti successori tra diritto positivo e prospettive di
riforma cit. pag. 74.
8
La Cassazione, con sentenza n. 4827/1983, ci ricorda che la delazione ereditaria può
avvenire solo per testamento o per legge, senza lʹipotizzabilità di un tertium genus
14
dottrina si è affannata nello sforzo di ideare e sviluppare strumenti
alternativi di trasmissione della ricchezza, affidandosi allo schema del
contratto per regolare quelle che sono state definite sʺuccessioni senza
successioneʺ.
Eʹ stata così elaborata la categoria dei negozi trans mortem o post
mortem, figure alternative al testamento in quanto solamente cʺonnesseʺ
alla morte di un soggetto.
Se lʹatto mortis causa
9
è un “atto diretto a regolare i rapporti
patrimoniali e non patrimoniali del soggetto per il tempo ed in
dipendenza della sua morte, che nessun effetto prodromico o
preliminare è destinato a produrre e produce prima di tale evento”,
lʹatto post mortem è un atto in cui lo stesso evento morte rappresenta solo
la condizione o il termine di efficacia dell’attribuzione, la quale è attuale
nella sua consistenza patrimoniale e non è limitata ai beni rimasti nel
patrimonio del disponente al momento della morte.
come il patto successorio che è per definizione non suscettibile della conversione (ex
articolo 1424, c.c.) in un testamento.
9
Cass. civ. 24.04.1987 n. 4053 in Riv. notariato 1987, pag. 582, sentenza nella quale si
afferma che un negozio col quale un soggetto dispone, in vita, di un proprio diritto,
attribuendolo unilateralmente ad altro soggetto con effetti posposti al momento
propria morte, concreta una disposizione mortis causa ed è valido solo se
perfezionato con lʹosservanza dei requisiti di forma previsti dalla legge; se
lʹattribuzione è invece frutto di un accordo, il negozio rientra nella categoria dei
patti successori ed è nullo a norma dellʹart. 458 c. c. .
15
3. Sviluppo storico del divieto dei patti successori
Il divieto dei patti successori giunge a noi dal diritto ottocentesco di
origine rivoluzionaria. Anche all’epoca come, come riconosciuto ancor’
oggi, la proibizione all’istituzione dei patti successori sarebbe stata
prevista al fine di tutelare il principio della libertà di testare, per evitare
che il testatore potesse essere influenzato, nel dare le sue disposizioni,
da qualunque coazione o insidia.
Cosa insolita è notare che questo divieto non affonda le sue origini nel
diritto romano come la quasi totalità degli istituti civilistici in materia
successoria: la ragione va cercata, secondo alcuni, nella presenza nel
diritto romano di due istituti, la mancipatio familiae mortis causa e la mortis
causa donatio.
La mancipatio familiae mortis causa è un tipo autonomo di negozio
mortis causa distinto dal testamentum per aes et libram: la mancipatio si
presenta come un rimedio eccezionale per evitare il pericolo di morire
intestato e quindi senza un continuatore del culto domestico.
Il testatore, in imminente pericolo di vita faceva una mancipatio
1
1
La mancipatio è un negozio solenne, di origini molto antiche, del diritto romano,
traslativo del dominium ex iure Quiritium su alcuni tipi di beni che proprio in quanto
scambiati tramite questo atto vennero definiti res mancipi. La capacità di porre in
essere una mancipatio apparteneva ai soli cittadini romani, sui iuris.
Originariamente si svolgeva nel modo seguente: alla presenza di cinque testimoni
(scelti tra cittadini romani puberi) e di un pesatore pubblico detto libripens (di
eguale condizione), l’acquirente (mancipio accipiens), tenendo tra le mani un pezzo di
bronzo, il cosiddetto aes rude, che in epoca premonetaria si utilizzava come
corrispettivo, dichiarava solennemente che la cosa oggetto della mancipatio gli
apparteneva. Successivamente colpiva la bilancia del pesatore con il bronzo che poi
veniva consegnato, quale prezzo, all’alienante (mancipio dans).
Con il trascorrere del tempo, le formalità richieste da questo atto divennero
meramente simboliche (si parlò, ad es., di mancipatio nùmmo uno, cioè in cambio di
una sola moneta), sebbene si continuasse ad utilizzarle per il rispetto della
tradizione tipico dei romani in campo giuridico. La mancipatio divenne dunque un
negozio astratto di trasferimento del dominium ex iure Quiritium sulle res mancipi, che
poteva essere caratterizzata anche da una causa diversa dalla vendita. Di tale
evoluta forma di mancipatio ci parla il giurista romano Gaio nelle sue Istituzioni, ove
complessiva del proprio patrimonio ad una persona di sua fiducia ( il
familiae emptor ), cui affidava il compito di destinare in un certo modo i
cespiti ereditari
2
.
Il familiae emptor diveniva titolare fiduciario ( fiducia cum amico ) del
patrimonio ereditario ed era chiamato ad adempiere la volontà del
defunto.
La donatio mortis causa, invece, era configurata come un trasferimento
immediato di proprietà a favore del donatario che restava obbligato alla
restituzione della cosa nei confronti del donante o dei suoi eredi nel caso
in cui il disponente ( in imminente pericolo di vita ), sopravvivesse al
donatario ( rei vindicatio )
3
.
Ciò che si dice frequentemente è che non c’è un’origine romana
attestata che sia riconducibile al divieto dei patti successori perché
l’avversione verso patti istitutivi, patti rinunciativi e dispositivi sarebbe
stata incompatibile con atti irrevocabili a causa di morte e atti bilaterali
come lo sono gli istituti appena citati
4
.
In realtà il diritto romano non ha mai conosciuto un’heredis institutio
contrattuale e ragione non vi sarebbe stata per apporvi un divieto di
patto successorio.
La digressione sulle fonti romane si può quindi concludere dicendo
che la storia romana ha conosciuto successioni testamentarie ad
definisce lʹatto quedame imaginaria venditio, una sorta di vendita immaginaria, fittizia.
La mancipatio era inoltre un actus legitimus, ossia non poteva essere sottoposto né a
condizione né a termine.
2
Il familiae emptor diveniva pertanto un esecutore testamentario delle volontà a lui
confessate dal de cuius
Giulio Vismara, Storia dei patti successori, Giuffrè, 1986, pag 67.
3
Mario Talamanca, Istituzioni di diritto romano, Giuffrè 1990 pag. 715 .
4
Altra prova inoppugnabile del fatto non vi fosse, nel diritto romano, ripulsa verso
qualsiasi tipo di patto successorio, tale da richiedere l’istituzione di un divieto, si
rinviene anche nell’ammissibilità di testamenti reciproci ( cioè istituzioni di eredi
reciproche ) . Il testamento reciproco, certamente sarebbe stato in contrasto con il
divieto di patto successorio di tipo istitutivo .
Giulio Vismara, Storia dei patti successori, Giuffrè, 1986, pag 75, in particolare le note
esplicative contenute nella stessa pagina e contrassegnate dei numeri 1 e 2 .
17
intestato, come qualsiasi altro popolo che abbia accolto il principio di
proprietà privata e, accanto a questa forma successoria si affiancavano
altre disposizioni a titolo particolare .
Il divieto dei patti successori, espunto dal diritto successorio romano,
come visto sopra, fa breccia per la prima volta nel Code Civil; i motivi per
cui il testatore non aveva la possibilità di ricorrere ai patti successori, di
qualunque tipologia fossero, sono essenzialmente riconducibili a due
categorie:
z un rispetto della libertà di testare del de cuius, il quale, stando alle
caratteristiche tipiche dei patti successori riconosciute fin dal periodo
romano ovvero, bilateralità e irrevocabilità
5
, non avrebbe potuto venir
meno agli impegni assunti con tale atto;
z tutela dell’interesse dei membri della famiglia contro possibili
abusi del de cuius che avrebbe potuto, alternativamente, disporre dei
beni familiari per avvantaggiare un terzo, venendo meno agli obblighi di
assistenza verso i suoi familiari per il periodo successivo alla sua morte
o, violare il principio di sostanziale uguaglianza dei suoi eredi,
prevedendo un lascito maggiore per uno dei successibili, a detrimento
morale o materiale degli altri
6
.
Non si può comunque tralasciare il richiamo ad altri istituti che,
sempre nel periodo della Rivoluzione Francese, consentivano all’erede di
sottrarsi alla rigida regola della successione per testamento infatti, era
conosciuta sia la demission de biens à venir che il partage d’ascendants.
La demission de biens era considerata come una sorta di successione
anticipata che determinava l’effetto traslativo immediato della proprietà
dei beni che ne formavano oggetto; il partage d’ascendants permette
invece all’ascendente, grazie a una convenzione conclusa assieme ai
5
Giulio Vismara, Appunti intorno ai patti successori, Giuffrè 1937 pag 11 e 13
6
Maria Vita De Giorgi, I patti sulle successioni future, Jovene, 1976 pag. 34 e 35
18
propri discendenti, di fissare la porzione di successione spettante ad
ognuno.
Il Code Napoleon, nato dalle istanze riformiste e dalle ispirazioni
liberali, a cui nei suoi articoli dava piena legittimazione, è riconosciuto
come padre ideologico e strutturale del primo codice civile, risalente al
1865; nel primo codice civile italiano, il legislatore si propone di
preservare l’unitarietà del patrimonio familiare che ovviamente avrebbe
impedito al de cuius di trasferire i propri beni tramite contratto a soggetti
che fossero estranei alla cerchia dei suoi successori
7
.
Obiettivo secondario del legislatore del 1865 era anche la tutela della
libertà del testatore di disporre per testamento in piena autonomia e in
modo incondizionato dei propri beni per il periodo successivo alla sua
morte.
In quest’ottica di promozione dellʹarbitrarietà del de cuius nel dare
disposizioni per il periodo post mortem e preservazione della
compattezza del patrimonio familiare, si pone il divieto dei patti
successori, presente nel codice civile del 1865
8
.
Il codice post unitario sembra, però dare maggior peso alla tutela della
libertà testamentaria che non, come avveniva con il Codice Napoleonico
e, ancor prima, con il Code Civil, all’uguaglianza degli eredi o al dovere
di preservare il patrimonio familiare per venire incontro alle esigenze di
tutela patrimoniale della propria famiglia infatti, l’art. 720, I C.C.
prevede che uniche due fonti per la successione siano il testamento e la
7
Era ammessa anche la successione dei figli naturali riconosciuti nella metà della
quota dei legittimi.
8
Il Codice Civile del 1865 per vietare i patti dispositivi e rinunciativi, così recitava
all’art. 1118: “ le cose future possono formare oggetto di contratto. Non si può
rinunciare però ad una successione non ancora aperta, né fare alcuna stipulazione
attorno alla medesima, sia con quello della cui eredità si tratta sia con terzi,
quantunque intervenisse il consenso di esso”; mentre all’art. 1460 dello stesso
codice, disponeva il divieto dei patti dispositivi con questa formula: “ è nulla la
vendita dei diritti di successione di una persona vivente, ancorché questa vi
acconsenta “.
19
legge; la prima di queste fonti è caratterizzata da mutabilità e
revocabilità fino al momento immediatamente precedente alla morte.
Il divieto dei patti successori è presente anche nel codice civile vigente:
lʹistituto è indubbiamente definibile un retaggio storico del codice civile
post unitario, perpetuato anche nel vigente codice dove ormai sembra
abbandonata l’idea che di possa superare uno dei principi di diritto
successorio, condensato nel brocardo latino viventis non datura hereditas.
Così configurato, il divieto dei patti successori, giunto fino a noi,
risulta chiaramente un diritto fondamentale dell’ordinamento giuridico
di natura cogente, che, per le ragioni di tutela del disponente non
avveduto, è configurabile come un divieto di ordine pubblico
9
: una
limitazione, per ragioni etiche, all’esercizio di un diritto di testare
altrimenti pacificamente riconosciuto al de cuius.
Il divieto dei patti successori è un patrimonio giuridico portato a noi
dal lontano 1700 che presenta ad oggi molti problemi gestionali, poiché
non risponde più alle esigenze della società civile moderna la quale, pur
avendo l’esigenza di tutelare la libertà di disporre del testatore, chiede
anche che il sistema successorio sia adeguato al mutamento del sistema
economico, avvenuto peraltro in periodo molto risalente, da economia di
tipo agricolo in economia di tipo capitalistico; ancora si chiede che il
sistema successorio si possa adeguare alle tipologie soggettive
10
di
9
I principi di ordine pubblico devono essere rispettati, senza ammettere alcuna
deroga, da tutti coloro che si trovino sul suolo statale.
10
Per tipologie soggettive di successione intendo riferirmi alla scelta di una forma di
successione, che derogando alla necessità di garantire tra i successibili una
sostanziale parità nelle quote, distribuisca i beni del de cuius in base alla aspirazioni
di ciascuno degli eredi; così se Caio avesse due figli di cui uno avvocato e il secondo
imprenditore, sarebbe certo di buonsenso, se ammessa dai principi di diritto
successorio, la scelta dell’ascendente di trasferire il patrimonio imprenditoriale di
sua proprietà interamente al secondo figlio, che pare essere più incline
all’imprenditoria, che non al primo, che avendo scelto una professione differente,
potrebbe del tutti disinteressarsi all’impresa paterna.
Per tipologie di successione oggettive invece intendo riferirmi a quelle tipologie di
successione che pur non facendo distinzione tra gli eredi, tengono in considerazione
20
successibili e alle tipologie oggettive di successione, oltre a richiedere
che l’assetto dei rapporti successori possa avvenire con una certa
speditezza.
È su queste esigenze che la dottrina, in occasione di novelle del codice
civile che interessassero il diritto di famiglia
11
o il diritto delle
successioni, ha invitato il legislatore tramite interventi pressanti, a
prendere in considerazione la possibilità di modificare l’impianto
successorio tradizionale costituito nel codice civile, che è caratterizzato
da una tipicità assoluta ovvero di un unico strumento nelle mani del
privato per realizzare la finalità di disposizione mortis causa del proprio
patrimonio.
consistenza e tipologia del cespite ereditario.
11
La più importante, quella che potrebbe essere definita “strutturale” è senz’altro
quella del 1975.
21