quasi identiche a quelle adottate dalla Convenzione di Bruxelles
(art. 3 Legge n. 218/1995).
Un ulteriore passo in avanti verso una sempre maggiore
omogeneità tra gli Stati europei è stato fatto con la proposta di
Regolamento sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali
(Roma II), che segue il Regolamento sulla legge applicabile alle
obbligazioni contrattuali del 1980 (Roma I).
E’ proprio nell’analisi delle problematiche inerenti agli
illeciti civili transfrontalieri che il presente lavoro si concentra, con
particolare riferimento ai problemi attinenti all’individuazione del
giudice competente, senza tuttavia trascurare il tema della legge
applicabile.
Attraverso l’analisi della giurisprudenza della Corte di
Giustizia delle Comunità europee ed, in particolare, di due casi,
sono stati analizzati i problemi di diritto internazionale privato
(giurisdizione e legge applicabile) con specifico riferimento agli
illeciti a mezzo stampa ed alla più recente questione della
violazione dei diritti della personalità attraverso internet. Il
Regolamento n. 44/2001 non ha considerato in modo specifico
questo particolare strumento di diffusione di notizie, sempre più in
espansione ed è pertanto interessante notare come la giurisprudenza
cerca di ovviare a questa lacuna normativa, adattando le soluzioni
normative esistenti alla fattispecie specifica.
Al fine di continuare quel percorso normativo di
armonizzazione dei criteri giurisdizionali nell’ambito europeo,
iniziato con la Convenzione, è auspicabile che il Parlamento
europeo affronti le nuove questioni che vengono poste
dall’utilizzazione sempre maggiore del web.
V
CAPITOLO 1
LA COMPETENZA GIURISDIZIONALE IN
MATERIA CIVILE E COMMERCIALE:
DALLA CONVENZIONE DI BRUXELLES
DEL 1968 AL REGOLAMENTO CE N. 44/2001
Par. 1 Convenzione di Bruxelles del 1968.
La progressiva integrazione economica tra i Paesi membri
della Comunità europea evidenziò l’esigenza di creare una
normativa comune in tema di giurisdizione in materia civile e
commerciale, al fine di superare le diversità tra le legislazioni
nazionali. Era necessario individuare, secondo parametri uniformi, i
giudici competenti per tutta l’area comunitaria e garantire alle
decisioni di tali giudici identici effetti nei territori degli stati
membri. Già nel Trattato istitutivo della CEE
1
i Paesi fondatori
avevano inserito una norma nella parte finale del Trattato
2
che
prevedeva un obbligo per gli Stati di avviare negoziati per la
semplificazione delle formalità riguardanti il reciproco
riconoscimento e la reciproca esecuzione delle decisioni giudiziarie.
Il 22 ottobre 1959 la Commissione CEE inviò agli Stati
membri
3
una nota con cui auspicava l’avvio dei negoziati ritenendo
che la tutela giuridica fosse una base indispensabile per la
realizzazione di un vero mercato interno. I sei Paesi allora membri
1
Trattato istitutivo CEE sottoscritto a Roma il 25 marzo 1957. Legge di ratifica ed esecuzione
n. 1203 del 14 ottobre 1957. Testo completo del Trattato ed allegati in G.U. Rep. it., sup. ord.
n. 317 del 23 dicembre 1957.
2
Art. 220 del Trattato CEE, divenuto art. 293 CE.
3
Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo ed Olanda.
1
raccolsero l’invito della commissione e nel luglio del 1960
iniziarono i lavori preparatori del Comitato, formato da esperti
nazionali. Nel 1966 venne elaborato il progetto definitivo e il 27
settembre 1968 i rappresentanti di detti Stati sottoscrissero a
Bruxelles la “Convenzione concernente la competenza
giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e
commerciale”
4
, entrata poi in vigore, dopo le ratifiche
internazionali, il 1° febbraio 1973. Insieme alla Convenzione venne
adottato un Protocollo
5
, attraverso il quale gli Stati membri
conferivano ai giudici interni la facoltà/dovere di effettuare un
rinvio pregiudiziale di interpretazione - analogo a quello previsto
nell’art. 177 CE ora art. 234
6
- alla Corte di giustizia, allo scopo di
assicurare in tal modo un’interpretazione uniforme delle norme
contenute nella Convenzione.
Ogni Stato che diventava membro della CEE aveva
l’obbligo di aderire alla Convenzione
7
. Regno Unito, Irlanda e
Danimarca furono i primi Stati ad aderirvi. I lavori preparatori
furono affidati ad un gruppo di esperti che aveva l’obbligo in
particolar modo, di confrontare le profonde differenze tra i sistemi
giuridici di common law e quelli di civil law degli Stati fondatori. Il
lavoro si concluse con la sottoscrizione della Convenzione del
Lussemburgo, il 9 ottobre 1978
8
.
4
Pubblicata in G.U.C.E. L299 del 31 dicembre 1972, p. 32.
5
Vedi in seguito par. 1.2.
6
Art. 234 Trattato CE: “...quando una questione del genere è sollevata dinanzi ad una
giurisdizione di uno degli Stati membri, tale giurisdizione può, qualora reputi necessaria per
emanare la sua sentenza una decisione su questo punto, domandare alla Corte di giustizia di
pronunciarsi sulla questione”.
7
Art .63 Convenzione di Bruxelles 1968: “…ogni Stato che diventi membro della Comunità
Economica Europea ha l’obbligo di accettare che la presente Convenzione sia presa come base
per i negoziati necessari ad assicurare l’applicazione dell’ultimo comma dell’art. 220 del
Trattato CEE, nei rapporti tra gli Stati contraenti e detto Stato”.
8
Pubblicata in G.U.C.E. L 304 del 30 ottobre 1978, p. 1.
2
Meno problematico, data la maggiore omogeneità dei
sistemi giuridici, è stato l’allargamento della Convenzione alla
Grecia nel 1982
9
e della Spagna e del Portogallo nel 1989
10
.
Seguirono Finlandia, Austria e Svezia il 29 novembre 1996.
La Convenzione è rimasta sostanzialmente la stessa anche a
seguito delle convenzioni di adesione. Rimane invariato il campo di
applicazione ratione materiae, che comprende la materia civile e
commerciale, ma con talune eccezioni indicate nell’articolo 1
11
: la
materia fiscale, doganale ed amministrativa, le controversie
riguardanti lo stato e la capacità delle persone fisiche, il regime
patrimoniale tra coniugi, i testamenti, le successioni, i fallimenti, i
concordati, la sicurezza sociale e l’arbitrato.
Per quanto riguarda la struttura, il carattere doppio della
Convenzione ha rappresentato una significativa innovazione per il
nostro Paese
12
. Infatti, la maggior parte delle convenzioni di diritto
processuale civile internazionale in vigore per l’Italia non
contenevano disposizioni sulla giurisdizione, che restava
disciplinata dalle norme interne allora contenute nel codice di
procedura civile, ma solo sul riconoscimento e l’esecuzione delle
decisioni. La violazione di una norma sulla competenza veniva così
in rilievo solo come motivo di rifiuto del riconoscimento ed
esecuzione delle decisioni. L’introduzione di norme che
disciplinassero la competenza dei giudici dei vari Stati contraenti
era pertanto fondamentale per garantire la certezza del diritto ed un
9
Convenzione del Lussemburgo del 25 ottobre 1982, pubblicata in G.U.C.E. L 388 del 31
dicembre 1982, p. 1.
10
Convenzione di Donostia/San Sebastian del 26 maggio 1989, pubblicata in G.U.C.E. L 285
del 3 ottobre 1989, p. 1.
11
Art .1 “… essa non concerne, in particolare, la materia fiscale, doganale ed amministrativa.
Sono esclusi…lo stato e la capacità delle persone fisiche, il regime patrimoniale fra coniugi, i
testamenti e le successioni; i fallimenti, concordati ed altre procedure affini; la sicurezza
sociale; l’arbitrato”.
12
In tal senso F.P. MANSI in “Il giudice italiano e le controversie europee”. Milano, 2004.
3
efficiente coordinamento dell’attività giurisdizionale tra i vari Stati
membri della Comunità. Tali norme consentono, senza
l’applicazione delle norme nazionali, di determinare la giurisdizione
ed essendo dotate di molta precisione, finiscono per definire la
competenza territoriale del singolo giudice; inoltre essendo
perfettamente uniformi, escludono possibili discriminazioni
derivanti dalle diverse disposizioni dei vari Stati. La stessa Corte di
giustizia europea ha sottolineato nelle sue sentenze come uno dei
principali scopi della Convenzione sia quello “ di determinare
attribuzioni di competenza certe e prevedibili”
13
.
Altra importante innovazione riguarda il criterio di
collegamento utilizzato: la Convenzione privilegia il domicilio delle
parti e non la loro nazionalità, come criterio per la distribuzione
della competenza tra i giudici degli Stati contraenti. Il domicilio
oltre ad essere limite all’applicazione ratione personae della
convenzione, costituisce il foro generale
14
a cui si affiancano una
serie di fori facoltativi
15
che si aggiungono, ma non derogano al
criterio generale e che sono giustificati da particolari esigenze. Sono
previsti inoltre, fori esclusivi, tassativamente previsti e non
derogabili
16
e la possibilità data alle parti, sia pur limitatamente, di
scegliere un foro ad hoc (c.d. “proroga della competenza”)
17
.
13
Corte di giustizia, Marinari c. Lloyds’s Bank, 19 settembre 1995, causa C-364/93, in
Raccolta, 1995, p. I-2719 ss.
14
Art 2: “Salve le disposizioni della presente Convenzione, le persone aventi domicilio nel
territorio di uno Stato contraente sono convenute, a prescindere dalla loro nazionalità, davanti
agli organi giurisdizionali di tale Stato”.
15
Art 5 “Il convenuto domiciliato nel territorio di uno Stato contraente può essere citato in un
altro Stato contraente...”.
16
Titolo II, sez. 5, art. 16.
17
Titolo II, sez. 6, art. 17.
4
Par. 1.2 L’interpretazione della Convenzione di Bruxelles.
Per non vanificare gli effetti delle norme uniformi, comuni a
tutti gli Stati contraenti ed applicabili in luogo delle norme
processuali nazionali, si rese necessaria l’introduzione di un
meccanismo atto a garantire l’interpretazione ed applicazione
omogenea delle norme convenzionali. Le parti contraenti già al
momento della firma della Convenzione vi allegarono una
dichiarazione comune, contenente l’intento di attribuire talune
competenze alla Corte di giustizia delle Comunità Europee. Alcuni
anni più tardi si giunse così alla firma del “Protocollo relativo
all’interpretazione da parte della Corte di giustizia della
Convenzione del 27 settembre 1968”, fatto a Lussemburgo il 3
giugno 1971
18
.
Il meccanismo disciplinato dal Protocollo è stato modellato
sul rinvio pregiudiziale previsto dall’articolo 177 del Trattato
CEE
19
, seppur con alcune modifiche, che riguardano, in particolare,
l’individuazione dei giudici nazionali che possono formulare una
questione pregiudiziale alla Corte di giustizia. Secondo il Protocollo
i giudici nazionali che possono effettuare il rinvio sono: le più alte
Corti nazionali, specificatamente indicate (per l’Italia è la Corte di
Cassazione); le giurisdizioni degli Stati contraenti quando
giudicano in grado di appello ed infine i giudici competenti per i
giudizi di opposizione all’esecuzione (per l’Italia sono le Corti
d’Appello). Inoltre solo alcuni di questi giudici hanno un obbligo di
rinvio (ad es. la nostra Corte di Cassazione), mentre per i restanti
c’è solo una facoltà.
18
Pubblicato in G.U.C.E. L 204 del 2 agosto 1975.
19
Divenuto art 234 CE.
5
Rimane quindi preclusa ai giudici di primo grado la
possibilità di operare il rinvio alla Corte, aumentando così il rischio
di interpretazioni nazionali divergenti tra loro o diverse da quella
fornita dalla Corte di giustizia. Per cercare di rimediare a questo,
l’art. 4 del Protocollo attribuisce ai Procuratori generali presso la
Corte di Cassazione (o agli organi equivalenti designati dagli altri
Stati), il potere di proporre una richiesta di interpretazione alla
Corte. In tali casi la domanda non s’inserisce in un processo
pendente davanti ad un giudice nazionale, ma viene formulata al
fine di prevenire gli effetti di applicazioni disomogenee della
Convenzione. Tale rimedio, noto come “ricorso nell’interpretazione
della legge” è rimasto tuttavia inutilizzato.
Per quanto riguarda gli effetti delle pronunce della Corte sia
nei confronti del giudice a quo che verso gli altri giudici nazionali,
il Protocollo non specifica nulla, ma l’obbligo di conformarsi a
dette sentenze è ampiamente consolidato nella giurisprudenza
comunitaria. Anche la Cassazione italiana, nelle sentenze più
recenti ha riconosciuto il ruolo della Corte di giustizia e ha
pienamente confermato l’obbligo di adeguamento alla sua linea
interpretativa
20
.
Del resto, tale obbligo è coerente con il principio del
“primato” del diritto comunitario sulle norme interne eventualmente
contrastanti. Secondo la Corte, infatti, “la Convenzione, intesa a
determinare la competenza dei giudici degli Stati contraenti
nell’ordinamento intracomunitario in materia civile deve prevalere
sulle norme interne con essa incompatibili”
21
.
20
Cass. Sez.un. sent .4 novembre 1996, n. 9533, Marinari c. Soc. Lloyds Bank e altri, in Giust.
Civ., 1997, I, pag. 3145 ss.
21
Corte di giustizia, Ferdinand M.J.J. Duijnstee c. Lodewijk Goderbauer, 15 novembre 1983,
causa C-288/82, in Raccolta, 1983, p. 3663.
6
Un altro principio generale di diritto comunitario, che la
Corte utilizza nell’attività di interpretazione della Convenzione di
Bruxelles è quello del c.d. “effetto utile”, in virtù del quale le norme
convenzionali devono essere interpretate in modo da garantirne la
piena efficacia e quindi da eliminare ostacoli e limiti alla sua
concreta applicazione. Un esempio di applicazione di tale principio
è dato dalla pronuncia del caso Hagen
22
, in cui il giudice olandese si
interrogava sulla possibilità di applicare una norma nazionale, che
pur non essendo in contrasto con norme convenzionali, ne avrebbe
di fatto limitato l’applicazione
23
. La Corte ha quindi precisato che
“l’applicazione delle norme processuali nazionali non deve
compromettere l’effetto utile della convenzione”.
Per quanto riguarda l’interpretazione in senso stretto delle
norme convenzionali, la Corte si è trovata davanti ad un problema
di principio: adottare la definizione propria di uno o più
ordinamenti nazionali oppure elaborare un’interpretazione
autonoma rispetto ai diritti dei singoli Paesi. La Corte non ha mai
fatto una scelta definitiva, affermando al contrario, che “nessuna
opzione può essere accettata in modo esclusivo, poiché la soluzione
migliore va studiata di volta in volta per ciascuna norma della
Convenzione di Bruxelles”
24
. Tuttavia se si analizza la
giurisprudenza appare evidente come la Corte abbia privilegiato
largamente l’interpretazione autonoma, in particolare quando vi
22
Corte di giustizia, Kongress Agentur Hagen c. Zeehage BV, 15 maggio 1990, causa C-365/88,
in Raccolta, 1990, p. 1860.
23
Nel caso di specie, il giudice olandese si chiedeva se potesse respingere l’istanza per la
chiamata in garanzia del terzo sulla base di norme processuali nazionali, in quanto detto
soggetto non risiedeva nello Stato del tribunale adito e ciò avrebbe ritardato il giudizio
principale. La Corte quindi, pur riconoscendo l’attuazione di norme processuali nazionali, pone
un limite ove queste consentano la reiezione della domanda per il solo fatto che il terzo abbia la
residenza in uno Stato contraente diverso da quello del foro.
24
Corte di giustizia, Industrie tessili Italiana Como c. Dunlop AG, 6 ottobre 1976, causa C-
12/76, in Raccolta, 1976, p. 1473.
7
siano differenze terminologiche fra le varie versioni linguistiche
della Convenzione, in modo così da garantire una sua applicazione
uniforme in tutti gli Stati contraenti.
Par. 1.3 Convenzione ed ordinamento italiano.
Il nostro diritto internazionale privato e processuale italiano
è stato riformato dalla legge n. 218 del 31 maggio 1995
25
, che ha
accorpato ed organizzato discipline in precedenza divise tra codice
di procedura civile e codice civile
26
. L’art. 1 della legge afferma che
l’ambito oggettivo della riforma riguarda la giurisdizione italiana
27
,
la normativa in materia di diritto internazionale privato
28
e
l’efficacia delle sentenze e degli atti stranieri
29
. Le norme sulla
giurisdizione di detta legge, da considerare diritto generale comune,
si applicano a tutte le controversie per le quali non siano applicabili
i criteri previsti da leggi speciali italiane o da normative di origine
internazionale, ovvero rispetto alle quali una convenzione
internazionale non escluda la giurisdizione italiana riconosciuta
dalle norme della lex fori. L’art. 2, comma 1 della legge, infatti,
specifica che “le disposizioni della riforma non pregiudicano
l’applicazione delle convenzioni internazionali in vigore per
l’Italia”: così in caso di sovrapposizione degli ambiti di rispettiva
competenza dell’ordinamento italiano e/o straniero con quello delle
norme di diritto internazionale, si è affermato che queste ultime
prevalgono sulle altre. In realtà, non si tratta di una vera e propria
25
Pubblicata in Gazz. Uff. del 3 giugno 1995.
26
La riforma è nata dai lavori di una commissione ministeriale, creata dall’allora ministro di
grazia e giustizia Martinazzoli l’8 marzo 1985, terminati nell’ottobre dl 1989. Tale
commissione avrebbe dovuto ammodernare le norme del codice civile e di quello di procedura
civile, tenendo conto dell’esistenza di nuovi presupposti costituzionali e legislativi e della
sopravvenuta realtà internazionale.
27
Con conseguente abrogazione degli artt. 2,3,4 e 37,c. 2 c.p.c.
28
Contenuta negli artt. 17-31 preleggi del c.c.
29
Con abrogazione delle norme del c.p.c. in materia di delibazione.
8
“prevalenza”, tranne il caso delle convenzioni a carattere
imperativo, ma piuttosto di un coordinamento tra queste, tale da non
“pregiudicare” la piena operatività delle norme di diritto
convenzionale nella misura e con gli effetti da esse voluti
30
.
Al comma 2 viene specificato che “nell’interpretazione di
tali convenzioni, si terrà conto del loro carattere internazionale e
dell’esigenza della loro applicazione uniforme”. La norma implica
che, ove esista un organo giurisdizionale ed autonomo con poteri
interpretativi delle norme convenzionali, il giudice italiano abbia
l’onere di attenersi ai precedenti di quella corte e che, negli altri
casi (oppure, ove non esistano precedenti di tali corti
sovranazionali), debba cercare di uniformarsi ai precedenti delle
altre corti nazionali, e, in mancanza, ai principi generali comuni
degli Stati membri e della comunità internazionale.
Per quanto attiene all’individuazione del foro competente,
anche la legge 218 individua dei fori generali, speciali ed esclusivi.
Sotto il profilo della tecnica normativa, l’art. 3 della legge è una
norma ibrida. Essa, infatti, prevede quattro diverse ipotesi. Il primo
comma individua, in via diretta, due criteri di collegamento generali
(residenza e domicilio del convenuto) ed uno speciale (la presenza
di un rappresentante autorizzato a stare in giudizio). Il secondo
comma fa salva l’esistenza della giurisdizione in base ai criteri
individuati nella Convenzione di Bruxelles
31
e “successive
modifiche per l’Italia”, in materia civile e commerciale, anche
quando il convenuto non sia domiciliato in uno Stato CE. La parte
finale del secondo comma, per le materie per le quali non opera il
30
S. M. CARBONE “Commento all’art. 2 della Legge n. 218/1995” in Riv. dir. int. priv. proc.,
1995, p. 912.
31
Il rinvio è limitato ai criteri contenuti nelle sezioni 2 (artt. 5, 6, 6-bis), 3 (artt. 7-12-bis), 4
(artt. 13-15) del titolo II della Convenzione.
9
rinvio alla Convenzione di Bruxelles, in aggiunta ai criteri del
primo comma, rinvia alle norme sulla competenza territoriale
interna.
Si deve osservare come la previsione dell’art. 3 ponga due
distinti regimi a seconda che la controversia rientri nel campo di
applicazione ratione materiae della Convenzione o ne sia esclusa.
Nella prima ipotesi la giurisdizione internazionale del giudice
italiano è regolata tramite un rinvio alle norme degli articoli da 5 a
15 della Convenzione. Secondo la dottrina prevalente si tratta di un
rinvio materiale recettizio, poiché i criteri di giurisdizione immessi
nel sistema nazionale dalla norma in questione, non sono posti
direttamente dalla stessa, ma desunti da norme di un diverso
sistema, che è quello convenzionale
32
.
Il rinvio di cui si parla è di tipo “mobile”, dal momento che
esso si rivolge non solo alla versione della Convenzione in vigore al
momento della promulgazione della legge 218, ma anche alle
“successive modificazioni in vigore per l’Italia”, consentendo così
alla norma nazionale di seguire l’evoluzione di quella pattizia.
Quanto alle controversie in materia, escluse dal campo di
applicazione della Convenzione, l’ultimo periodo dell’art. 3
prevede che sussista la giurisdizione del giudice italiano sia in base
alle norme convenzionali richiamate, sia in base ai criteri stabiliti
per determinare la competenza per territorio dalle norme interne, le
quali non riguardano più il riparto di competenza all’interno di un
ordinamento nazionale, ma disciplinano l’attribuzione della
giurisdizione internazionale del giudice interno. Pertanto, dato tali
previsioni, le disposizioni convenzionali sui fori facoltativi
32
Così V. STARACE “Le norme della Convenzione di Bruxelles del 1968 relative alla
giurisdizione e la loro incidenza sulla riforma del processo civile italiano” in Riv. dir. proc.,
1985, fasc. 2, pag. 315 ss.
10
finiscono con l’avere un rilievo assai più esteso di quello derivante
dal campo di applicazione territoriale e materiale proprio della
Convenzione
33
.
Inoltre, secondo la dottrina prevalente e la giurisprudenza,
anche le pronunce interpretative della Corte di giustizia sono
richiamate dall’art. 3 della legge 218 e quindi non solo le norme
intese nel loro significato letterale s’impongono al giudice italiano.
Par. 2 Convenzione di Lugano del 1988.
I buoni risultati, in termini di cooperazione giudiziaria,
ottenuti con la Convenzione di Bruxelles del 1968 sono testimoniati
dal fatto che il 16 settembre 1988 fu firmata a Lugano una
Convenzione
34
“fotocopia” della Convenzione di Bruxelles, sulla
giurisdizione e l’esecuzione delle sentenze in materia civile e
commerciale, tra i Paesi membri della CE, da un lato, e gli Stati
allora facenti parte dell’AELS
35
, dall’altro, ossia Norvegia, Islanda
e Svizzera. La Convenzione di Lugano, infatti, riproduce
sostanzialmente il contenuto della Convenzione di Bruxelles,
tenendo conto però, sia delle sentenze interpretative pronunciate
dalla Corte di Giustizia europea nel corso di più di dieci anni, sia
delle modifiche introdotte con le varie convenzioni di adesione. In
passato era stata valutata la possibilità di un’adesione degli stati
33
Così F.P. MANSI “il giudice italiano e le controversie europee”, Milano, 2004.
34
I lavori di una commissione di esperti iniziarono nell’ottobre del 1985 e terminarono con
l’approvazione della Convenzione con allegati tre protocolli e tre dichiarazioni. In G.U. L 319
del 25 novembre 1988. Ratificata e resa esecutiva in Italia con Legge n. 198 del 10 febbraio
1992.
35
“Associazione europea di libero scambio”: organizzazione economica nata a Stoccolma nel
novembre del 1959 tra alcuni paesi europei (Austria, Danimarca, Gran Bretagna, Islanda,
Norvegia, Portogallo, Svezia, Svizzera e Finlandia) con l’obiettivo di creare un’unione
doganale per intensificare gli scambi commerciali. Fu abbandonata nel 1973 da Gran Bretagna
e Danimarca e nel 1986 dal Portogallo.
11
membri dell’AELS alla Convenzione di Bruxelles: un’ipotesi
scartata soprattutto in considerazione del legame di quella
convenzione con l’art. 220 del Trattato CEE
36
e della competenza
interpretativa attribuita alla Corte di giustizia con il Protocollo del
1971. L’adesione di Austria, Svezia e Finlandia all’Unione europea
ha ridotto l’ambito di operatività di tale Convenzione ai rapporti tra
i Paesi della CE, Danimarca inclusa e per quanto riguarda l’AELS,
a Svizzera, Islanda e Norvegia. A questi paesi si è aggiunta
recentemente la Polonia, verso la quale la Convenzione di Lugano è
in vigore dal 1° febbraio 2000, ma è prossima anche l’adesione
della Repubblica Ceca. La Convenzione di Lugano, infatti, è una
convenzione aperta: essa prevede un meccanismo di ampliamento
soggettivo
37
, che permette anche a Stati non comunitari e non
appartenenti all’AELS di aderire ad essa, su richiesta di uno Stato
contraente, previo consenso un’anime da parte degli altri Stati
contraenti e con effetti nei confronti di quegli Stati che non
formulino obiezioni al riguardo nei due mesi successivi al deposito
di tale adesione. Come ha osservato la dottrina
38
, grazie a tali
adesioni la Convenzione di Lugano ha contribuito alla progressiva
armonizzazione del quadro normativo in materia di cooperazione
giudiziaria civile nei confronti di Paesi che successivamente alla
ratifica della Convenzione medesima hanno aderito all’Unione
ovvero vi aderiranno in futuro.
36
Divenuto art . 293 CE.
37
Art. 62.1 lett. (b): “Possono aderire alla presente Convenzione, dopo la sua entrata in
vigore:....gli altri Stati che, dietro richiesta di uno Stato contraente rivolta allo Stato
depositario, siano stati invitati ad aderire. Lo Stato depositario inviterà lo Stato interessato ad
aderire soltanto se, dopo averli informati del contenuto delle comunicazioni che tale intende
fare conformemente all’articolo 63, avrà ottenuto il consenso unanime degli Stati firmatari e
degli Stati contraenti”.
38
Così S.M. CARBONE in “Il nuovo spazio giudiziario europeo”, Torino, 2006.
12