5
Parte Prima
SICUREZZA E INSICUREZZA URBANA
1.1 – Introduzione
La sicurezza è un bene fondamentale per il libero esercizio dei diritti che uno
stato democratico si impegna ad assicurare ai suoi cittadini. Nello specifico, quello della
sicurezza urbana è un tema che ormai da tempo si è posto all’attenzione generale, non
perché sia il più grave sul piano oggettivo – si pensi ai rischi ecologici, atomici, di
guerra o di terrorismo, ecc –, ma molto più semplicemente, perché è quello
maggiormente percepito, dal momento che insiste su un terreno più concreto ed
immediato di altri: la città è un luogo dove si vive, si lavora, si coltivano emozioni, si
moltiplicano esperienze. Per questo, l’insicurezza maturata nel contesto urbano può
divenire la cassa di risonanza di timori ed ansie, più o meno definiti, che ciascuno si
porta dentro, che trascendono i confini nazionali, per legarsi, come hanno confermato
recenti indagini e numerosi studi
1
, a molteplici fattori riconducibili a grandi linee agli
effetti dei mutamenti globali che osserviamo quotidianamente sul piano sociale, politico
ed economico
2
.
L’aumento dei flussi migratori ha portato alla convivenza all’interno delle città
di migliaia di persone di diverse culture, abitudini e stili di vita, e se da un lato questa
vicinanza ha ottenuto risultati di integrazione, di scambio e di crescita culturale, è altresì
vero che ha determinato lo scatenarsi di manifestazioni di insofferenza, di
incomunicabilità e di razzismo, con la conseguente esplosione di sentimenti di
inquietudine, diffidenza e pericolo.
1
Cfr. ISTAT, La sicurezza dei cittadini. Reati, vittime, percezione della sicurezza e sistemi di protezione, Roma, 2003;
Ministero dell’Interno, Rapporto sullo stato della sicurezza in Italia, 2005;
Censis, 40°Rapporto annuale sulla situazione sociale del paese, 2006.
2
Cfr. Amerio P., “Città, persone, idee”, Prefazione in Zani B. (a cura di) Sentirsi in/sicuri in città, Il
Mulino, Bologna, 2003.
6
Nello stesso tempo si assiste, particolarmente nel nostro Paese, ad una crisi dei
sistemi di sicurezza e di protezione sociale – welfare –, che ha reso evidenti i limiti
dell’attuale apparato di giustizia, a cui lo Stato sta cercando di porre rimedio attuando
nuove politiche di sicurezza, che si fondano sulle politiche di prevenzione e sulla
filosofia della Prossimità, in modo da recuperare la fiducia dei cittadini verso le
istituzioni e la possibilità dell’abitare le città con minori vincoli e paure, abbandonando
vittimismi non sempre realistici.
Tuttavia, la criminalità predatoria, che statisticamente è la principale fonte di
paura in ambito urbano – perché può colpire chiunque indistintamente – non basta da
sola a spiegare il sentimento di insicurezza derivante dalla percezione della criminalità,
dal momento che il fear of crime non è strettamente connesso all’effettiva entità dei
reati, bensì, più in generale, ai crescenti disagi urbani che penalizzano la convivenza
civile e la qualità del vivere urbano: le zone degradate, i quartieri ghetto e l’assenza di
infrastrutture primarie, la carenza di illuminazione pubblica, i problemi derivanti dalle
tossicodipendenze e dall’immigrazione irregolare, ma anche il contesto generale che si
associa a questa situazione, come la diffusione di situazioni di vulnerabilità sociale o a
rischio di povertà e di esclusione sociale, alimentate dalla precarietà occupazionale e
dall’indebolimento dei tradizionali sistemi di solidarietà. In questi sentimenti non vi è
una relazione diretta con la delinquenza, ma nell’insieme individuano segnali di un
degrado sociale che avanza, provocando la caduta delle certezze e il crescere del disagio
sociale e della percezione del rischio.
Non bisogna dimenticare il ruolo notevole nel determinare la percezione del
rischio e nel fomentare il sentimento di insicurezza cha hanno i mass media e nello
specifico gli organi di informazione, che spesso si collocano a cavallo tra la necessaria
divulgazione di notizie, la loro amplificazione e la ricerca del sensazionale.
Prima di addentrarci nello studio, va detto che il dibattito sulla sicurezza urbana
è molto acceso e viene affrontato da diverse discipline che, partendo dalla sociologia
3
e
3
Giddens A., Sociologia, Il Mulino, Bologna, 1991: “La Sociologia è lo studio della vita sociale di
uomini, gruppi e società. Essa si occupa del nostro comportamento come esseri sociali; così il campo di
interesse spazia dall’analisi dei brevi contatti fra individui anonimi sulla strada, allo studio di processi
sociali globali.”
7
dalla criminologia
4
, passano per l’antropologia
5
e la politica sociale, coinvolgendo
anche l’urbanistica. Il tutto ovviamente avviene con prospettive teoriche e modalità di
ricerca diversificate, che hanno consentito di metterne in luce numerose implicazioni,
sia sul piano della riflessione concettuale, sia su quello dell’intervento, a sua volta
declinabile a livello individuale, locale, sociale
6
.
4
Balloni A., Criminologia in prospettiva, Editrice Clueb, Bologna, 1983: “La Criminologia è la scienza
che studia i reati, gli autori, le vittime, i tipi di condotta criminale (e la conseguente reazione sociale) e le
possibili forme di controllo e prevenzione. (…) Rientrano nella Criminologia saperi diversi che vanno
dalla Sociologia della devianza, al Diritto penale, caratterizzati dal mettere a tema, in diversi approcci
teorici e metodologici, la “questione criminale” e le possibili forme di controllo e prevenzione.”
5
Fabietti U. e Remoti F., Dizionario di antropologia, Zanichelli, Bologna, 1997: “L’Antropologia è la
scienza che studia l’uomo dal punto di vista sociale, culturale e fisico. Nella tradizione italiana si divide in
Antropologia fisica, che studia l’evoluzione e le caratteristiche fisiche degli esseri umani, la genetica delle
popolazioni e le basi biologiche dei comportamenti della specie umana (…); e in discipline
etnoantropologiche, che si occupano delle reti di relazioni sociali, dei comportamenti, degli usi e costumi,
degli schemi di parentela, delle leggi e delle istituzioni politiche, dell’ideologia, religione e credenze,
(…).”
6
Zani B. “Problemi e prospettive”, in Zani B. (a cura di), Sentirsi in/sicuri in città, Il Mulino, Bologna,
2003.
8
1.2 – Tra rischio e sicurezza
1.2.1 – Il concetto di rischio
Trovare una definizione per il concetto di rischio è un’operazione alquanto
difficoltosa. Nel vocabolario della Lingua Italiana il rischio è definito come “possibilità
di conseguenze dannose o negative a seguito di circostanze non sempre prevedibili”
7
.
Alcuni autori lo descrivono anche come frequenza prevista di effetti indesiderati,
esposizione al pericolo o eventualità di subire un danno
8
. E’ in sostanza un concetto
polisemantico, dal momento che non c’è un’unica definizione di rischio, ma tanti aspetti
del medesimo concetto, applicati ed adattati, di volta in volta, a specifici argomenti.
Assumendo però come voce più autorevole quella del sociologo Niklas Luhmann
9
, il
concetto può essere inteso opponendolo a quello di sicurezza; e già da questo assunto
comprendiamo che non lo si può eliminare, poiché la sicurezza assoluta non si può
ottenere. Non esiste nessun comportamento esente da rischi, essendo qualsiasi attività
umana potenzialmente in grado di provocare conseguenze dannose, volontarie o
involontarie, come del resto anche l’individuo stesso è esposto ad influenze
indesiderate, che possono provenire dal suo stesso comportamento, come da agenti
esterni.
Sempre in accordo con Luhmann
10
, il concetto di rischio viene spesso affiancato
e distinto anche da quello di pericolo, presupponendo per entrambi incertezza in
riferimento a dei danni futuri. Se l’eventuale danno è visto come conseguenza di una
decisione, si parla di rischio, mentre se è dovuto a fattori esterni, si parla allora di
pericolo
11
. La disponibilità a correre dei rischi dipende innanzitutto da quanto si conta
sul fatto di tenere sotto controllo situazioni precarie e poi dal grado di sensibilità
rispetto alle probabilità e all’ammontare del danno. Non di rado si sopravvaluta la
propria competenza e si sottovaluta quella dagli altri, cosa che porta ad una disponibilità
7
Zingarelli N., Vocabolario della Lingua Italiana, Zanichelli, Bologna, 2007.
8
Forlivesi A., “Il concetto di rischio nella criminologia e nelle scienze sociali”, in Balloni A. e Bisi R. (a
cura di), “Criminologia applicata per l’investigazione e la sicurezza”, F.Angeli, Milano, 1996
9
Cfr. Luhmann N., Sociologia del rischio, Mondadori, Milano, 1996.
10
Ibidem.
11
Luhmann N., op. cit.: “ma è una distinzione puramente letterale, visto che se ci sono dei decisori, c’è
sempre chi è coinvolto dalle decisioni. I rischi che un decisore decide di prendere, diventano pericoli per
coloro che ne sono coinvolti e che si sentono minacciati da decisioni che non possono assumere e non
possono controllare. I rischi sono al tempo stesso pericoli, e i pericoli sono rischi”.
9
al rischio che ad altri deve apparire pericolosa. Tuttavia, una certa disponibilità al
rischio può essere accettata psichicamente in modo che essa non cambi ad ogni
mutamento delle condizioni oggettive.
Quello del rischio è quindi un aspetto quotidiano della vita umana, impossibile
da eliminare e caratterizzato dall’imprevedibilità, la stessa imprevedibilità che
contraddistingue l’esistenza umana, segnata dalla precarietà e dall’impossibilità di
prevedere gli eventi futuri ma, al tempo stesso, costantemente tesa a ridurre il reale
all’interno di categorie, tendenti a stabilire criteri di equilibrio e organizzazione nei
rapporti tra gli uomini, nonché tra loro e l’ambiente
12
.
1.2.2 – La percezione del rischio.
Parlare di rischio non significa solamente calcolare le probabilità che un evento
negativo accada, ma significa anche riflettere sul modo in cui questo viene percepito e
poi valutato. Per farlo dobbiamo partire dal concetto di “percezione”, il cui significato
etimologico indica la raccolta e l’elaborazione dei dati provenienti dalla realtà esterna e
dal proprio corpo mediante gli organi di senso
13
e da sempre, lo studio dei suoi
meccanismi di funzionamento è appannaggio della psicologia cognitiva.
Il meccanismo della percezione è complesso, connesso a fattori fisici,
psicologici e fisiologici. Tralasciando di riportare l’evoluzione storica degli studi – per
un approfondimento dei quali rimando alla chiara sintesi proposta da F.Emiliani e
B.Zani
14
–, giungo subito alle più recenti formulazioni che introducono l’intervento del
sociale nel processo cognitivo/percettivo. Oggi si tende a considerare la percezione
come un processo cognitivo di carattere attivo e selettivo, mediante il quale l’organismo
formula ipotesi, per interpretare l’ambiente sulla base di una scelta tra le alternative di
stimolo a disposizione
15
. Sappiamo che ognuno di noi è continuamente esposto ad
un’enorme quantità di informazioni di natura diversa che provengono dai sensi, dalla
memoria, dal rapporto con le altre persone e con i gruppi. Attraverso il processo
cognitivo, ogni individuo elabora tutte queste informazioni, le seleziona, le trasforma, le
12
Forlivesi A., op. cit.
13
Zingarelli N., op. cit.
14
Cfr. Emiliani F. e Zani B., op. cit.
15
Bruner J.S., Percezione: un approccio alla Personalità, Ronald Press, New York, 1951.
10
organizza e gli dà un significato, costruendo una sua rappresentazione della realtà.
Attraverso questo processo si comprende, ci si adatta all’ambiente e si agisce di
conseguenza. E’ quindi attraverso la percezione del mondo che si sviluppa la
conoscenza, che permette agli individui di costruire le proprie rappresentazioni della
realtà circostante, che consente loro di attribuire un senso e un significato agli input del
sistema sociale
16
. In definitiva, la percezione viene mediata dalla struttura sociale entro
cui si vive
17
ed anche il processo che fa percepire il rischio funziona allo stesso modo.
Posto che tutto può teoricamente apparire rischioso, occorre però distinguere tra
rischio oggettivo e rischio soggettivo. Il primo viene calcolato servendosi di analisi
probabilistiche e calcoli matematici di esperti, mentre il secondo dipende dalle capacità
percettive delle persone comuni che di volta in volta, mediante i meccanismi mediatici
della comunicazione, tendono a dare maggiore importanza ai fattori che forniscono gli
stimoli maggiori. Così, normalmente si tende a concentrare l’attenzione esclusivamente
su specifici rischi, mentre altri vengono trascurati. Questo avviene attraverso il
meccanismo dell’attenzione selettiva che, insito in ognuno di noi, regola la valutazione
dei rischi, basandola non solo sulla frequenza con la quale si verifica un evento
negativo, ma anche su fattori personali come l’età, il sesso, la condizione sociale o
l’aver subito precedenti esperienze di vittimizzazione; su fattori sociali come i giudizi,
le opinioni e le rappresentazioni di una collettività; e su altre caratteristiche del rischio
come il suo grado di incontrollabilità, la sua conoscibilità e gli effetti eclatanti derivanti
dall’eventuale verificarsi dell’evento negativo associato
18
.
In accordo con una vasta letteratura sull’argomento, l’antropologa M. Douglas
19
sostiene, a ragione, che la percezione del rischio dipende più dal sistema sociale e dalle
dinamiche che ne scaturiscono e la plasmano, che non dalla pericolosità oggettiva del
rischio stesso, ponendo in luce la connessione non sempre lineare tra rischio oggettivo e
rischio percepito. Se un gruppo di individui ignora alcuni rischi palesi, deve essere
perché la loro rete sociale li incoraggia a fare così. E’ presumibile che la loro
interazione sociale svolga gran parte della codificazione percettiva dei rischi.
16
Douglas M., “La de-politicizzazione del rischio”, in Teoria sociologica, 1994.
17
Douglas M., “Come percepiamo il pericolo”, Feltrinelli, Milano, 1991.
18
Slovic P., “Perception of risk”, in Science, nr.17, 1987.
19
Douglas M., op. cit.
11
La razionalità scientifica si scontra quindi con il senso comune, anche perché
quest’ultimo si domanda se una situazione rischiosa sia stata determinata da una
decisione presa volontariamente o meno. E’ diverso, infatti, sapere di aver
autonomamente scelto di esporsi al rischio, rispetto all’esservi stati costretti. Questo è
un giudizio di valore; gli scienziati possono dare informazioni sul rischio, ma non
possono prendere decisioni sui valori. Il rischio non è soltanto una materia scientifica,
ma coinvolge valori. E i valori delle persone comuni sono anch’essi parte del rischio
20
.
In definitiva, la nostra percezione del rischio e la sensazione di pericolo che ne
deriva dipendono dal grado di controllo soggettivo che riteniamo di avere sulla
possibilità di verificarsi di un evento
21
.
1.2.3 – La società del rischio: i nuovi pericoli
La società contemporanea appare sempre più dominata dal rischio. Eppure essa
non sembra più pericolosa delle altre forme di organizzazione della storia umana. Se si
guarda alla durata media della vita, alla presenza di malattie, di fame, di violenze
private e guerre, dovremmo addirittura considerarla la più sicura. Nondimeno, la nostra
preoccupazione per il rischio è fortemente cresciuta nel corso degli ultimi decenni. A
cosa si accompagna la crescita del rischio?
Per U. Beck
22
quella contemporanea è la società del rischio, dove la produzione
sociale di ricchezza va di pari passo con la produzione sociale di rischi. La società
contemporanea, insieme allo sviluppo dell’economia, della scienza e della tecnologia,
ha contribuito a ridurre i pericoli – provenienti dall’esterno –, sostituendo ad essi i
rischi, come manifestazione interna connessa al suo sviluppo e ai suoi progressi
23
. Così,
20
Menna F., “Psicologia e percezione del rischio”, intervista a Paul Slovic, in UNITN, periodico di
informazione, politica e cultura, nr.44, 2001.
21
Bruno N., Millenarismo secolarizzato e percezione del rischio, Università di Trieste, Dipartimento di
Psicologia, Trieste, 1999.
22
Cfr. Beck U., La società del rischio. Verso una seconda modernità, Carocci, Roma, 2000.
23
Cfr. Misani N., Introduzione al Risk Management, Egea, Milano, 1994: “Gli esseri umani hanno creato
il concetto di rischio per aiutarsi a pensare ai pericoli della vita, a controllarli e a prendere decisioni. Molti
studiosi si sono occupano di rischio in svariati campi (ingegneria, medicina, fisica, matematica,
economia, geologia, ecc…) perché il rischio è ovunque ed è quindi importante imparare a conoscerlo da
diversi punti di vista. Sul concetto di rischio si è pertanto sviluppato un ampio corpo di indagini: l’analisi,
la valutazione, l’informazione e la gestione del rischio. Generalmente si fa distinzione tra rischi puri e
rischi speculativi. I Primi offrono solo la possibilità di una perdita, mentre i secondi contemplano la
12
per Luhmann
24
, l’insicurezza, oltre che manifestarsi in seguito ad un evento dannoso
vissuto in termini di pericolo, può nascere come conseguenza di un evento endogeno
risultato di determinazioni interne e vissuto in termini di rischio. Constatiamo, del resto,
come il prefisso anti- abbia pervaso tutti i campi della nostra civiltà: c’è bisogno
dell’antifurto, dell’antivirus, dei vetri antisfondamento e dei maniglioni antipanico sulle
porte, così come dei pannelli antirumore o degli schermi antiriflesso, e la lista potrebbe
proseguire. Insomma, andiamo alla ricerca di qualsiasi cosa ci possa dare, per lo meno,
la parvenza di essere sicura e di poterci proteggere da una minaccia.
possibilità di una perdita e al contempo quella di un utile. Secondo l’opinione di molti studiosi, il
“rischio” è diventato un importante causa dei sentimenti di paura, ansia ed incertezza dell’uomo. Le
preoccupazioni che su di esso si incentrano si sono acutizzate in conseguenza di uno stato di malessere e
di disorientamento che caratterizza la popolazione del nuovo millennio. I significati e le strategie di
gestione del rischio rappresentano tentativi di domare tale stato di incertezza; tuttavia, la stessa intensità
di tali tentativi ha spesso l’effetto paradossale di non placare le ansie, ma di acuirle.”
24
Cfr. Luhmann N., op.cit.
13
1.3 – Il concetto di sicurezza
I presupposti essenziali della sicurezza sono l’esistenza di un bene, la possibilità
che questo possa subire un danno per effetto di una minaccia e la necessità o volontà di
proteggere il bene stesso. Se però non si stabiliscono chiaramente i confini tra ciò che è
sicuro e ciò che non lo è, non è possibile porre delle premesse, né individuare degli
obiettivi
25
.
Dunque, cercando una definizione di carattere generale della parola sicurezza,
apprendiamo dal vocabolario della Lingua Italiana
26
che deriva dal latino securitas –
termine a sua volta composto dalla particella sine e dal vocabolo cura – che significa
senza timore, garantito, fidato. Nell’accezione attuale, il concetto di sicurezza non è
per niente univoco, differenziandosi nel contesto di riferimento, sia in quanto a
significati, sia in quanto a termini usati. Nei paesi di lingua inglese, infatti, sicurezza si
può tradurre con security o safety, a seconda della diversa causa degli eventi dannosi di
cui tali discipline si occupano
27
. La prima è chiamata a fronteggiare fatti in cui si
rintraccia un’esplicita intenzione di procurare un danno; la seconda è volta prevenire e
contrastare avvenimenti che hanno un’origine accidentale o casuale. Tuttavia, come ci
spiega G. Manunta
28
, quella della sicurezza assoluta è una condizione utopistica,
estremamente rara in natura, aleatoria – in quanto legata al verificarsi casuale solo di
determinate circostanze – ed estemporanea – perché limitata alla durata di tali
circostanze –. Trattandosi di una condizione utopistica, poiché non è possibile garantire
con le nostre azioni preventive la totale mancanza di pericoli, timori o minacce, non ci
resta che cercare di conseguirla e mantenerla entro limiti di ragionevole certezza,
mediante un insieme di attività concettuali ed organizzative, di provvedimenti,
comportamenti e circostanze. Pertanto, la sicurezza può essere vista come il risultato
instabile del conflitto tra insicurezza ed attività volte a combatterla
29
.
25
Manunta G., “Teoria e metodologie di sicurezza”, in Balloni A. e Bisi R., (a cura di) Criminologia
applicata per l’investigazione e la sicurezza, F.Angeli, Milano, 1996.
26
Zingarelli N., op.cit.
27
Innamorati F., La security di impresa, Edizioni Simone, Napoli, 2002.
28
Manunta G., op.cit.
29
Ibidem
14
1.3.1 – La sicurezza sociale
Se è innegabile che l’insicurezza ha accompagnato tutte le società, è solo in
quella post-moderna che essa assume forme nuove rispetto al passato e raggiunge la
massima espressione, al punto da far dire a più osservatori
30
che è divenuta una delle
principali questioni del nostro tempo. Tale preoccupazione non è certo da sottovalutare,
dato che un diffuso senso di insicurezza comporta inevitabilmente gravi conseguenze
sociali e psicologiche, fino ad arrivare a minacciare la stessa convivenza civile. Molti
ricercatori
31
, infatti, sottolineano come tale sentimento possa divenire un fattore critico
nei processi che causano ansia e stress e determinare una limitazione dei comportamenti
e dei movimenti delle persone, nonché modificare sostanzialmente le relazioni sociali
degli individui. Inoltre, l’affiorare del problema dell’insicurezza si correla in profondità
alle scelte politiche delle amministrazioni locali e influenza le relazioni fra i diversi
gruppi sociali, come pure l’aspetto urbanistico delle città
32
. Da qui si alimenta
l’incessante attenzione che politici, amministratori e studiosi manifestano verso questo
tema e tale sentimento, che sempre più si va diffondendo.
Volendo definire dettagliatamente la sicurezza sociale, una delle prime
formulazioni esaustive ci viene data da Von Sonnenfels
33
, che già nel 1765 la definì
come una condizione in cui non vi è alcunché da temere, né per il governo, né per i
cittadini.
30
Cfr. Amerio P., (a cura di), Il senso della sicurezza, Unicopli, Milano, 1999.
31
Si veda: Amerio P., op.cit.;
Arcidiacono E., “L’insicurezza. Verifiche empiriche di un concetto pluridimensionale”, in AA.VV.
Politiche e problemi della sicurezza in Emilia Romagna, Quaderni di Città sicure, Regione Emilia
Romagna, 2002.;
Barbagli M., “La paura della criminalità”, in Barbagli M. e Gatti U., (a cura di), La criminalità in Italia, Il
Mulino, Bologna, 2002;
Santinello M., Gonzi P, Scacchi L., Le paure della criminalità: aspetti psicosociali di comunità, Giuffrè,
Milano, 1998.
32
Arcidiacono E., op. cit.
33
Cfr. Von Sonnenfels J., (traduzione italiana), “La scienza del buon governo”, Venezia, 1785, in
Cavalletti A., La città biopolitica – Mitologie della sicurezza, Mondadori, Milano, 2005: “la condizione
in cui un governo non ha nulla da temere dagli esteri si chiama sicurezza pubblica esteriore e la
condizione in cui nessun cittadino ha da temere dagli esteri si chiama sicurezza privata esteriore. Quando
il governo non ha da temere dai cittadini vi è sicurezza pubblica interna. La sicurezza privata interna si ha
invece quando un cittadino non ha nulla da temere né dal governo, né dai concittadini. Quando il governo
non ha niente da temere dall’estero e dai cittadini, né questi dal governo e dagli esteri, si ha una
condizione felice di sicurezza comune”.
15
Marx
34
, dal canto suo ha definito la sicurezza sociale come il più alto concetto
della società, secondo cui la società stessa esiste unicamente per garantire a ciascuno dei
suoi membri la conservazione della sua persona, dei suoi diritti e della sua proprietà.
Bauman
35
, con una scelta rivelatasi acuta, applica la distinzione già vista tra
security e safety anche in riferimento alla sicurezza sociale, sebbene con una distinzione
concettuale differente. Egli, infatti, utilizza il termine security per identificare una
condizione di sicurezza esistenziale, di certezza di stabilità ed affidabilità; si vale del
termine safety per rappresentare la sicurezza personale, soggettiva, di assenza di
minacce, di incolumità che riguarda il corpo, la famiglia e la proprietà; ed aggiunge, poi,
il termine certainty come sicurezza cognitiva, di conoscenza dei fattori causali e perciò
capacità di gestione.
Il Ministero dell’Interno, nell’ultimo “Rapporto sullo stato della sicurezza in
Italia”
36
, ha a sua volta definito il concetto di sicurezza sociale come l’aspirazione dei
cittadini a vivere liberi dalla paura, rapportando il concetto di sicurezza sociale a quello
più generale di libertà, di mancanza di vincoli, o condizioni imposte da altri: chi si sente
sicuro si sente libero e chi è libero è sicuro. In questo modo si è ampliata la nozione di
sicurezza, facendovi rientrare tutti gli eventi e i fenomeni in grado di incidere sulla
tranquillità sociale.
Il concetto di sicurezza sociale va quindi osservato nella sua poliedricità
semantica, domandandosi in quali circostanze un individuo e una collettività si sentano
sicuri e ciò non dipende solo da fattori oggettivi e comunemente condivisi, come
l’integrità di persone e beni, ma, come vedremo, anche da percezioni soggettive, che
possono amplificare o ridurre la portata dei rischi cui si è esposti.
1.3.2 – La sicurezza urbana
La sicurezza come bene sociale è il prodotto di una concezione dell’attività di
ordine pubblico inteso come servizio che i cittadini pagano, per avere organizzazioni
che garantiscano la sicurezza come bene collettivo, utile ad un regolare svolgimento
34
Marx K., “La questione ebraica”, Editori riuniti, Roma, 1998, in Cavalletti A., La città biopolitica –
Mitologie della sicurezza, Mondadori, Milano, 2005.
35
Bauman Z., La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli, Milano, 2000.
36
Ministero dell’Interno, op.cit.
16
della vita civile e come garanzia dei propri diritti. Tale concezione è tipica dei paesi
anglosassoni dove, per indicare il concetto di sicurezza, si usano i due termini: security,
che indica, grosso modo, l’attività di ordine pubblico e di protezione dalla criminalità, e
safety che invece, in senso generale, comprende tutte quelle attività che riguardano
azioni di rassicurazione e di intervento miranti a creare “condizioni” di sicurezza.
Viceversa, nei paesi mediterranei, l’attività di polizia si è strutturata, tradizionalmente,
come braccio del potere, il quale, utilizzandola ai fini del controllo repressivo interno,
sottraeva ad essa il significato di servizio pubblico, per farne uno strumento di potere e
di governo “esterno” alla società
37
. Per questo, nel nostro paese, il termine “sicurezza”
viene tradizionalmente associato, a quello di “ordine pubblico”.
Nel nostro Paese, l’esigenza di dare una prospettiva diversa alla questione
sicurezza, in grado di rispondere alle nuove esigenze che accompagnavano le
trasformazioni sociali e culturali, si è fatta strada man mano nel dibattito politico
nazionale e sul governo degli enti locali, interessando amministratori, ricercatori,
operatori sociali, fin quando, all’inizio degli anni ‘90, l’aggettivazione “urbana” è parsa
la più idonea a rappresentare questa prospettiva nuova che si era andata consolidando.
Si trattava, infatti, di conferire alla sicurezza una nuova accezione, capace di
differenziarla dalla tradizionale equazione: sicurezza-ordine pubblico, che ne confinava
lo spazio di intervento unicamente all’attività di protezione dalla minaccia criminale.
Allo stesso tempo si riteneva necessario mettere in evidenza quanto la sicurezza stessa
fosse un “bene” da costruire, in primo luogo come attività e azioni dirette al
rafforzamento della percezione pubblica della sicurezza stessa
38
.
Il concetto di sicurezza, abbandonato il suo stretto riferimento tradizionale
all’ordine pubblico e la sua delimitazione al campo dell’intervento penale, diviene vago
e difficile da definire e una volta uscito dall’ambito penale, il discorso sulla criminalità
si fa sempre più politico, cioè legato ad interpretazioni e visioni del mondo, a forme del
governo e dell’amministrazione della città, a strategie di responsabilizzazione di nuovi
attori.
37
Cfr. Fiasco M., La sicurezza urbana, Il sole 24 Ore, Milano, 2001.
38
Mossi, M. “Le politiche della sicurezza e costruzione di modelli partecipativi”, in Elaborati finali del
corso per Responsabile Tecnico di politiche di sicurezza urbana, F.I.S.U., 2006.
17
Così, il termine sicurezza urbana oltre a segnare il distacco dai concetti
tradizionali di “sicurezza e ordine pubblico”, evidenzia l’affermarsi di un’idea di
sicurezza che non richiede più soltanto un’assenza di minaccia all’integrità fisica e
patrimoniale della persona, ma anche un’attività di rafforzamento della percezione della
sicurezza, e fa riferimento alla città come luogo “privilegiato” ove si manifestano i
problemi di insicurezza e dove quindi è necessario realizzare interventi adeguati
39
.
I contesti urbani di oggi – siano essi del mondo occidentale, così come del terzo
e quarto mondo – sono caratterizzati da un processo di “inurbazione selvaggia”, il quale,
al di fuori di ogni pianificazione, non tiene conto di criteri che garantiscano qualità e
sicurezza, ma esclusivamente il rendiconto economico. E’ così che nelle metropoli si
creano periferie dove l’estetica è ridotta a mera praticità e la mancanza di controllo
sociale, unita al degrado sono le ovvie conseguenze.
1.3.3 – Sicurezza oggettiva e sicurezza soggettiva
Mai come in questi anni, la ricerca di sicurezza, specialmente in ambito urbano,
è diventata un’esigenza emergente e pressante, tanto da essere vista come unico rimedio
per attenuare l’ansia crescente. Le ragioni a monte di tutto vanno ricercate sullo sfondo
più ampio della globalizzazione e, nel contesto di un Paese come l’Italia, anche sulla
messa in discussione del tradizionale sistema di welfare state che finora aveva retto.
Questi due fenomeni, congiuntamente alla frammentazione dei legami sociali e alla
caduta della partecipazione politica, alla massiccia precarizzazione della dimensione
lavorativa – in particolare per le generazioni più giovani – e al diffondersi di una cultura
fondata sul tornaconto individuale, concorrono nel generare un sottofondo di
individualismo, solitudine ed incertezza. Dopo l’11 settembre 2001, la percezione di
trovarsi in una condizione di rischio costante ed imprevedibile si è ulteriormente acuita,
con i riflessi delle guerra e delle violenze che scandiscono ormai sempre più la nostra
quotidianità. Si tratta di un insieme di elementi che contribuiscono ad espandere il senso
di insicurezza. Ma si tratta di una paura oggettivamente fondata o no?
39
Selmini R., “Introduzione”, in Selmini R. (a cura di), La sicurezza urbana, Il mulino – I prismi,
Bologna, 2004.
18
Per capirlo, introduciamo la distinzione tra sicurezza oggettiva e sicurezza
soggettiva. Tutti gli studi che hanno centrato l’attenzione sull’insicurezza, non hanno
mai mancato di ricordare quanto questo concetto sia ampio e multiforme, quanto siano
molteplici i fattori che concorrono nel generare il sentimento che esso connota e, infine,
quanto questo sentimento si caratterizzi e si distribuisca in modo differente tra individui,
gruppi e comunità diverse. Come scrive Amerio
40
, esso ― il bisogno di sicurezza ― ha
da un lato una dimensione squisitamente psicologica e soggettiva che affonda nella sfera
della personalità, mentre dall’altro ha dimensioni sociali e oggettive che toccano ragioni
di ordine etico, giuridico, politico e mettono in causa l’insieme della vita collettiva e
delle istituzioni che la reggono. Due dimensioni che si innestano comunque l’una
sull’altra, in un percorso che va dal privato al pubblico, dal soggettivo all’oggettivo e
viceversa.
Ma, mentre per identificare la sicurezza oggettiva, normalmente si fa riferimento
al tasso di criminalità di una data zona in un determinato periodo e alla diversa tipologia
e numerosità delle vittime dei reati, nonché ad altre grandezze misurabili, appunto,
oggettivamente, è invece assai più complesso giungere ad una misurazione univoca di
ciò che è indicato con sicurezza soggettiva.
Come ha rilevato Tamar Pitch
41
, tuttavia, il giudizio relativo ad una determinata
zona non può non dipendere dal metro di valutazione adottato, in cui appaiono
determinanti variabili come la superficie territoriale, il tempo, la tipologia di reati presi
in considerazione, oltre che, ovviamente, la città di riferimento.
Se vari studi di settore
42
indicano nella percezione della criminalità il fattore che
maggiormente influisce nel determinare il senso di insicurezza, sia dal punto di vista
personale sia da quello sociale, vengono altresì rilevate molte altre variabili che
prendono parte alla costruzione del sentimento di insicurezza. Ai dati relativi alla
criminalità ufficiale, va infatti aggiunto l’apporto di altri elementi, altrettanto complessi,
che concorrono a costruire in ciascuno il senso soggettivo dell’insicurezza.
40
Amerio P., (a cura di), Il senso della sicurezza, op. cit.
41
Pitch T., “Introduzione”, in AA.VV. Politiche e problemi della sicurezza in Emilia Romagna, Quaderni
di Città sicure, Regione Emilia Romagna, 2000.
42
Cfr. ISTAT, op. cit.