7
produzione di cibi a minor contenuto calorico, ovvero i così detti
cibi light.
Le convincenti campagne pubblicitarie e l’ideale
equivalenza tra cibi light e cibi ipocalorici, ovvero “leggeri”,
“sani”, che “fanno meno male”, hanno dato modo a questa nuova
categoria di affermarsi sempre più vigorosamente sul mercato e
sulle tavole.
I prodotti light, grazie allo studio di nuovi ingredienti,
ricettari, tecnologie di produzione, hanno così iniziato ad
affiancarsi sempre più prepotentemente ai rispettivi prodotti
tradizionali.
L’arrivo e la crescita di tali prodotti non sono stati, però,
sempre accompagnati da una tempestiva e adeguata legislazione
che ne regolasse e controllasse la produzione, la qualità, così
come l’etichettatura e l’informazione pubblicitaria, a tutela del
consumatore. Questo ha ovviamente comportato la nascita di una
serie di quesiti sulla loro composizione, funzionalità e sicurezza.
Considerati tutti questi aspetti, l’obiettivo che questa tesi si
prefigge è quello di fornire una visione globale del mercato dei
prodotti light attraverso un excursus tra legislazione, dati di
mercato, tipologie di prodotti, chimica e tecnologia alimentare,
qualità e sicurezza, etichettature, informazioni pubblicitarie e le
inevitabili frodi.
Si cercherà di analizzare come questa “categoria”
merceologica sia riuscita ad entrare e crescere sul mercato, quale
sia la situazione attuale e quale prospettiva futura sembra
delinearsi.
8
Capitolo 1: Prodotti alimentari “light”: nascita
e sviluppo di un “concetto”
1.1. Definizione di “light”: significato linguistico,
socio-culturale
La parola light deriva dalla lingua inglese e significa
“leggero”. E’ un termine che ha iniziato ad affermarsi sempre più
prepotentemente nella nostra cultura in particolar modo negli
ultimi dieci anni associato soprattutto al mercato dei prodotti
alimentari.
Dapprima la dicitura light veniva usata per definire un
particolare alimento “alleggerito” nel valore energetico, poi il
termine light è diventato comune nel definire uno stile di vita, il
cosiddetto “light style”, in cui si mangia leggero, si pratica
attività sportiva e si eliminano abitudini nocive (fumo, consumo
eccessivo di alcol, alimentazione sregolata) a vantaggio di altre
più salutari.
Spesso questo termine era ben noto per lo più a coloro che
seguivano una dieta ipocalorica o che seguivano un qualche
regime alimentare restrittivo. Con il passare degli anni e con il
costante evolversi della società dell’abbondanza e della
“magrezza”, il “light style”, però, è diventato un obiettivo
diffuso tra la popolazione tanto che è possibile trovare centinaia
di diete light, proposte di menù light, cibi reclamizzati come
light.
L’industria alimentare ha, infatti, cavalcato questa
tendenza e ha iniziato a produrre un’ampia gamma di prodotti
light a partire dai loro precursori tradizionali: dai latticini al latte
di soia, dai prodotti da forno agli snack, dalle bibite alla
caramelle. L’offerta si è così differenziata ed ampliata da andare
non solo incontro alle esigenze di una certa parte di consumatori,
ma contribuendo essa stessa alla crescita del fenomeno e della
domanda.
In Italia il primo prodotto reclamizzato come light fu
immesso sul mercato nel 1990: il “Philadelphia Light“, un
formaggio con il 40% di grassi in meno rispetto al suo omonimo
tradizionale.
Ma già alcuni anni prima, negli Stati Uniti, venne
commercializzata dal gruppo Anheuser&Busch la prima birra
alleggerita: la “Bud Light” che presentava un contenuto in alcol
ridotto del 30-50% e apporto calorico altresì ridotto del 30%.
9
L’arrivo di questa nuova tipologia di prodotti fu
accompagnata, anche se non per tutte le categorie e non sempre
tempestivamente, dalla relativa legislazione al fine di definirne le
caratteristiche distintive rispetto ai loro omonimi tradizionali.
1.2. Confronto tra prodotto light e dietetico
Nel linguaggio comune spesso l’aggettivazione di un
prodotto quale light, è ritenuta sinonimo di "dietetico" a cui è
associato, erroneamente o perlomeno in modo restrittivo, il
significato di alimento ipocalorico, cioè l'alimento da assumere in
una dieta di riduzione o di mantenimento del peso corporeo.
Il termine dietetico ha, invece, un’accezione più ampia in
quanto deriva dal termine “dieta”, dal greco “diaita”, il cui
significato è quello di “regime alimentare, regola di
alimentazione”
3
.
Già nell’antichità si riteneva che un regime alimentare
sano e corretto fosse importante per il mantenimento di un buono
stato di salute.
Molteplici sono le fonti che rimandano al concetto di dieta
e alimentazione come medicina per l’uomo.
In particolare in uno dei testi appartenenti alla “collezione
ippocratica”
4
, il De diaeta, l’alimentazione viene descritta come
uno dei cardini del modo di vivere dell’individuo e deputata al
mantenimento di un buono stato di salute in relazione alle
possibili alterazioni causate dalla comparsa di una malattia.
Sempre dalla collezione ippocratica ci è giunto il testo
Antica Medicina, dove l’autore cerca di tracciare le origini della
scienza medica affermando che la prima medicina dell’uomo è
stata proprio l’alimentazione. Solo successivamente si è venuta a
definire la “medicina” vera e propria ossia l’alimentazione adatta
ai malati.
Questa teoria fu seguita da altri autori di epoca classica, tra
cui Catone (De agri cultura, 156, 157), Dioscoride (De materia
medica, 3, 45), Plutarco (De sollertia animalium, 974b), Plinio il
Vecchio (Naturalis Historia, 20, 51) e, a distanza di secoli,
Bartolomeo Sacchi detto “Il Platina” (1421-1481) che scrisse il
De honesta valetudine et voluptate seguendo le linee essenziali
della medicina greca circa il raggiungimento del benessere
3
Vocabolario di lingua italiana (2006) – Lo Zingarelli. Zanichelli
4
Una sessantina di opere scritte nell’epoca in cui visse Ippocrate (460 –370 a.C.) ed
erroneamente attribuite alla mano del grande medico greco. (Di Benedetto (1986) -
“Il medico e la malattia – La scienza di Ippocrate”. Einaudi.
10
mediante la simbiosi tra regime di vita salutare e sana
alimentazione.
Questo modo di pensare ha attraversato le varie epoche
fino ad arrivare ai giorni nostri dove la costante attenzione verso
il raggiungimento o il mantenimento del peso forma, ha
supportato la nascita di centinaia di “diete dimagranti” e
fomentato l’interesse dei consumatori verso il settore dei prodotti
“dietetici”.
Strategie di marketing e pubblicitarie sempre più
convincenti sono state elaborate dalle industrie alimentari che
propongono prodotti come “dietetici”, cioè indicati per la perdita
di peso, anche se la loro vera funzione, stando anche alla legge, è
molto più specifica e non esclusivamente correlata al calo
ponderale.
Infatti secondo la normativa, i prodotti etichettati come
“dietetici” devono corrispondere a quanto definito, in merito, dal
D. L. n.111/92
5
che riporta quanto segue :
“1. I prodotti alimentari destinati ad una alimentazione
particolare sono prodotti alimentari che, per la loro particolare
composizione o per il particolare processo di fabbricazione,
presentano le seguenti caratteristiche:
a) si distinguono nettamente dagli alimenti di consumo corrente;
b) sono adatti all'obiettivo nutrizionale indicato;
c) vengono commercializzati in modo da indicare che sono
conformi a tale obiettivo.
2. I prodotti alimentari di cui al comma 1 devono rispondere alle
esigenze nutrizionali particolari delle seguenti categorie di
persone:
a) le persone il cui processo di assimilazione o il cui
metabolismo è perturbato;
b) le persone che si trovano in condizioni fisiologiche particolari
per cui possono trarre benefici particolari dall'assunzione
controllata di talune sostanze negli alimenti;
c) i lattanti o i bambini nella prima infanzia, in buona salute.
3. I soli prodotti alimentari di cui al comma 2, lettere a) e b)
possono essere caratterizzati dall'indicazione "dietetico" o "di
regime".
Quindi come riportato nel D.L., i prodotti dietetici veri e
propri sono prodotti destinati ad una categoria di consumatori che
necessitano di un regime alimentare specifico dove non sono
consigliabili alimenti di uso corrente.
Esempi di prodotti dietetici :
5
Decreto Legislativo 27 gennaio 1992, n.111. Attuazione della Direttiva 89/398/CEE
concernente i prodotti destinati ad una alimentazione particolare.
11
integratori alimentari
i prodotti senza glutine
i prodotti contenenti fibre
i prodotti con poche proteine (ipoproteici)
i prodotti con molte proteine (iperproteici)
i prodotti senza disaccardi
i prodotti con trigliceridi a catena corta.
Lo stesso decreto stabilisce, inoltre, all’art. 3, il divieto di
utilizzare in etichetta il termine “dietetico” o “di regime” per i
prodotti di uso corrente.
I prodotti cosiddetti light non sono quindi equivalenti o
surrogati di prodotti dietetici, ma rappresentano una nuova
categoria alimentare la cui specifica caratteristica nutrizionale è
quella di avere un apporto calorico ridotto rispetto agli alimenti
tradizionali di uso corrente e di rivolgersi a consumatori senza
reali esigenze legate allo stato di salute se non quella di
“controllare” il peso.
I prodotti dietetici e light hanno però un’importante aspetto
in comune: la loro vendita è aumentata in modo considerevole
negli ultimi anni e questo trend non sembra fermarsi.
12
Capitolo 2: La normativa vigente: legislazione
italiana ed europea
2.1. Normativa europea
Gli alimenti light, come tutti gli altri prodotti alimentari,
sono soggetti ai regolamenti e alle normative imposte alle
aziende produttrici per la produzione, la commercializzazione e
l’etichettatura.
Con la nascita e la progressiva crescita del mercato dei
prodotti “leggeri” nei paesi dell’Unione Europea si è vista la
necessità di emanare leggi specifiche che tutelino maggiormente
i consumatori in termini di sicurezza, qualità e affidabilità del
prodotto.
La normativa, rivista e modificata nel corso degli anni,
presentata dalla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, si
propone di definire i parametri nutrizionali dei prodotti light, ma
anche di imporre maggiore chiarezza per le affermazioni
pubblicitarie e le denominazioni in etichetta.
Le ultime indicazioni in materia sono contenute nel
Regolamento CE n. 1924/2006 del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 20 dicembre 2006, relativo alle indicazioni
nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari.
Soprannominato regolamento “claims”, il testo di legge
riporta precise direttive anche in merito l’utilizzo della dicitura
light e al suo significato.
In allegato è, infatti, riportato quanto segue:
“L'indicazione che un prodotto è «LEGGERO» o «LIGHT» e
ogni altra indicazione che può avere lo stesso significato per il
consumatore sono soggette alle stesse condizioni fissate per il
termine «RIDOTTO»; l'indicazione è inoltre accompagnata da
una specificazione delle caratteristiche che rendono il prodotto
«LEGGERO» o «LIGHT».”
Il riferimento al termine “RIDOTTO” rimanda a un'altra
indicazione contenuta in allegato e, precisamente, alla seguente:
“A RIDOTTO CONTENUTO CALORICO” specificando che
“L'indicazione che un alimento è a ridotto contenuto calorico e
ogni altra indicazione che può avere lo stesso significato per il
consumatore sono consentite solo se il valore energetico è
ridotto di almeno il 30 %, con specificazione delle caratteristiche
che provocano una riduzione nel valore energetico totale
dell'alimento.”
13
La stessa non è quindi da “confondersi” con un'altra
dicitura prevista dal regolamento e che fa riferimento ad alimenti
ancor meno calorici: “A BASSO CONTENUTO CALORICO”.
L'indicazione che un alimento è a basso contenuto calorico
e ogni altra indicazione che può avere lo stesso significato per il
consumatore sono consentite solo se il prodotto contiene non più
di 40 kcal (170 kJ)/100 g per i solidi o non più di 20 kcal (80
kJ)/100 ml per i liquidi. Per gli edulcoranti da tavola si applica il
limite di 4 kcal (17kJ)/dose unitaria equivalente a un cucchiaino
di zucchero.”
Entrato in vigore dal 1° Luglio 2007, il regolamento
“claims” impone che i produttori alimentari dei paesi dell’Unione
Europea potranno inserire la scritta “light” sulle confezioni dei
propri prodotti solo se verranno rispettati tutti i parametri
scientifici e nutrizionali previsti dal medesimo Reg. 1924/2006.
Inoltre, in allegato al Reg., si trovano ulteriori diciture
ammesse:
- SENZA CALORIE: l'indicazione che un alimento è senza
calorie e ogni altra indicazione che può avere lo stesso
significato per il consumatore sono consentite solo se il prodotto
contiene non più di 4 kcal (17 kJ)/100 ml. Per gli edulcoranti da
tavola si applica il limite di 0,4 kcal (1,7kJ)/dose unitaria
equivalente a un cucchiaino di zucchero.
- A BASSO CONTENUTO DI GRASSI: l'indicazione che
un alimento è a basso contenuto di grassi e ogni altra
indicazione che può avere lo stesso significato per il
consumatore sono consentite solo se il prodotto contiene non più
di 3 g di grassi per 100 g per i solidi o 1,5 g di grassi per 100 ml
per i liquidi (1,8 g di grassi per 100 ml nel caso del latte
parzialmente scremato).
- SENZA GRASSI: l'indicazione che un alimento è senza
grassi e ogni altra indicazione che può avere lo stesso significato
per il consumatore sono consentite solo se il prodotto contiene
non più di 0,5 g di grassi per 100 g o 100 ml. Le indicazioni con
la dicitura «X % SENZA GRASSI» sono tuttavia proibite.
- A BASSO CONTENUTO DI GRASSI SATURI:
l'indicazione che un alimento è a basso contenuto di grassi saturi
e ogni altra indicazione che può avere lo stesso significato per il
consumatore sono consentite solo se la somma degli acidi grassi
saturi e degli acidi grassi trans contenuti nel prodotto non
supera 1,5 g/100 g per i solidi o 0,75 g/100 ml per i liquidi; in
entrambi i casi la somma degli acidi grassi saturi e acidi grassi
trans non può corrispondere a più del 10 % dell'apporto
energetico.
14
- SENZA GRASSI SATURI: l'indicazione che un alimento è
senza grassi saturi e ogni altra indicazione che può avere lo
stesso significato per il consumatore sono consentite solo se la
somma degli acidi grassi saturi e acidi grassi trans non supera
0,1 g di grassi saturi per100 g o 100 ml.
- A BASSO CONTENUTO DI ZUCCHERI: l'indicazione
che un alimento è a basso contenuto di zuccheri e ogni altra
indicazione che può avere lo stesso significato per il
consumatore sono consentite solo se il prodotto contiene non più
di 5 g di zuccheri per 100 g per i solidi o 2,5 g di zuccheri per
100 ml per i liquidi.
- SENZA ZUCCHERI: l'indicazione che un alimento è
senza zuccheri e ogni altra indicazione che può avere lo stesso
significato per il consumatore sono consentite solo se il prodotto
contiene non più di 0,5 g di zuccheri per 100 g o 100 ml.
- SENZA ZUCCHERI AGGIUNTI: l'indicazione che
all'alimento non sono stati aggiunti zuccheri e ogni altra
indicazione che può avere lo stesso significato per il
consumatore sono consentite solo se il prodotto non contiene
mono- o disaccaridi aggiunti o ogni altro prodotto alimentare
utilizzato per le sue proprietà dolcificanti. Se l'alimento contiene
naturalmente zuccheri, l'indicazione seguente deve figurare
sull'etichetta: «CONTIENE IN NATURA ZUCCHERI».
- A TASSO ACCRESCIUTO DI [NOME DELLA
SOSTANZA NUTRITIVA]: l'indicazione che il contenuto di una o
più sostanze nutritive, diverse dalle vitamine e dai minerali, è
stato accresciuto e ogni altra indicazione che può avere lo stesso
significato per il consumatore sono consentite solo se il prodotto
è conforme alle condizioni stabilite per l'indicazione «FONTE
DI» e l'aumento del contenuto è pari ad almeno il 30 % rispetto
a un prodotto simile.
- A TASSO RIDOTTO DI [NOME DELLA SOSTANZA
NUTRITIVA]: l'indicazione che il contenuto di una o più
sostanze nutritive è stato ridotto e ogni altra indicazione che può
avere lo stesso significato per il consumatore sono consentite
solo se la riduzione del contenuto è pari ad almeno il 30 %
rispetto a un prodotto simile, ad eccezione dei micronutrienti,
per i quali è accettabile una differenza del 10 % nei valori di
riferimento di cui alla direttiva 90/496/CEE del Consiglio, e del
sodio o del valore equivalente del sale, per i quali è accettabile
una differenza del 25%.
Si fa così più chiara e specifica la legislazione in merito ai
“claims” nutrizionali o salutistici potenzialmente utilizzabili
15
nell’etichettatura e/o informazione pubblicitaria dei prodotti
alimentari.
Si fa così più chiaro e definito l’ambito d’applicazione del
termine light.
2.2. Normativa italiana
Il termine light entra per la prima volta nella normativa
italiana nel 1992 con il Decreto Legislativo n.109, in attuazione
delle direttive 89/395/CEE e 89/396/CEE, concernenti
l’etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti
alimentari.
Entra, specificatamente, all’art.19 comma. 2, per la
definizione della birra “…….con grado saccarometrico in
volume non inferiore a 5 e non superiore a 11” (ovvero da 2 a
4% alc. vol) indicata come "birra leggera" o "birra light".
Ma già prima dell’approvazione di tale decreto in Italia era
possibile trovare sul mercato i primi prodotti “alleggeriti” di
provenienza estera come la birra americana Bud light.
Andando a ricercare nella legislazione antecedente al 1992,
è possibile trovare la definizione di un prodotto alleggerito, come
ad esempio il burro, nella Legge n.1526/56, successivamente
modificata con la Legge n.202/83 e ancora con la Legge
n.142/92, che cita:
“Il burro non deve avere un contenuto in materia grassa inferiore
all’80% per il burro destinato al consumo diretto, al 60-62% per
il burro leggero a ridotto tenore di grasso, al 39-41% per il
burro leggero a basso tenore di grasso.”
Successivamente il Regolamento (CEE) n. 2991/94 del
Consiglio, del 5 dicembre 1994, che stabilisce le norme per i
grassi da spalmare, definisce i seguenti tipi di burro:
• “Burro” o “Burro di qualità”
• “Burro tre quarti” (grasso <60%; in Italia “burro
leggero a ridotto tenore in grasso”)
• “Burro metà” (grasso <40%; in Italia “burro leggero a
basso tenore in grasso”)
In particolare l’art.5 cita:
“1. Per i prodotti di cui all'allegato, sono vietate diciture che
enunciano, implicano o suggeriscono un tenore di grassi diverso
da quello ivi indicato.
2. In deroga al paragrafo 1 è permesso aggiungere:
16
a) le diciture "a tenore ridotto di grassi" o "alleggerito" per
prodotti indicati nell'allegato con un tenore di grassi superiore
al 41% e non superiore al 62%;
b) le diciture "a basso tenore di grassi", "light" o "leggero" per
prodotti di cui all'allegato, aventi un tenore di grassi inferiore o
pari al 41%.
Le diciture "a tenore di grassi" o "alleggerito", "a basso tenore di
grassi", "light" o "leggero" possono, tuttavia, sostituire
rispettivamente i termini "tre quarti" e "metà" di cui
all'allegato.”
Tali definizioni sono state accorpate e modificate nel Reg.
CE 1924/2006 con il quale si stabilisce che “La possibilità di
utilizzare l'indicazione «a basso contenuto di grassi» per i grassi
da spalmare di cui al regolamento (CE) n. 2991/94 del
Consiglio, del 5 dicembre 1994, che stabilisce norme per i grassi
da spalmare, dovrebbe essere allineata alle disposizioni del
presente regolamento prima possibile. Nel frattempo, il
regolamento (CE) n. 2991/94 si applica ai prodotti da esso
contemplati.”
Quindi, anche per la legislazione italiana in materia, di
fatto il nuovo riferimento normativo è il regolamento europeo n.
1924/2006, e se prima la definizione light veniva associata a
quella di “basso contenuto calorico”, ora sarà associata a quella
di “ridotto contenuto calorico”, equivalente a una riduzione di
almeno il 30% di calorie rispetto ad un prodotto tradizionale.
17
Capitolo 3: Etichettatura ed informazione
pubblicitaria
3.1. L’etichettatura dei prodotti light
“L’etichettatura alimentare è l’insieme di tutte quelle
informazioni fornite dal produttore che sono ritenute necessarie
al fine di consentire l’acquisto del prodotto con la piena
consapevolezza delle caratteristiche e delle proprietà essenziali
del prodotto stesso”. Questa è la definizione riportata nel D.L.
n.109/1992, in cui viene inoltre specificato che l’etichettatura
alimentare è un informazione obbligatoria da apporre sulla
confezione o altro documento, nel caso di prodotti non
confezionati ma ugualmente destinati alla vendita al dettaglio.
Le diciture, le informazioni che deve contenere sono
molteplici e come riporta il D.L. n.206/2005 del Codice del
Consumo interessano diversi aspetti:
”I prodotti o le confezioni dei prodotti destinati al consumatore,
commercializzati sul territorio nazionale, riportano, chiaramente
visibili e leggibili, almeno le indicazioni relative:
a) alla denominazione legale o merceologica del prodotto;
b) al nome o ragione sociale o marchio e alla sede legale del
produttore o di un importatore stabilito nell'Unione europea;
c) al Paese di origine se situato fuori dell'Unione europea;
d) all'eventuale presenza di materiali o sostanze che possono
arrecare danno all'uomo, alle cose o all'ambiente;
e) ai materiali impiegati ed ai metodi di lavorazione ove questi
siano determinanti per la qualità o le caratteristiche
merceologiche del prodotto;
f) alle istruzioni, alle eventuali precauzioni e alla destinazione
d'uso, ove utili ai fini di fruizione e sicurezza del prodotto.”
Il D.L. n.109/1992, emanato in attuazione delle direttive
europee nn. 89/395/CEE e 89/396/CEE, concernenti
l’etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti
alimentari, vietava inoltre un’etichettatura ingannevole per il
consumatore e con il successivo D.L. n.77/1993 si obbligava il
produttore di prodotti light a riportare l’etichetta nutrizionale se
venivano dichiarate caratteristiche particolari dal punto di vista
nutritivo (ad esempio "30% di grassi in meno", "Meno calorie",
“Leggero”,“Light”).
18
Negli anni si sono susseguite numerosi aggiornamenti e
modifiche in virtù delle successive norme europee in materia,
ultima delle quali il Reg. n. 1924/2006 del Parlamento Europeo e
del Consiglio del 20 dicembre 2006, relativo alle indicazioni
nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari, che
approva i precedenti D.L. n.109/92 e n.77/93 con le successive
modifiche e non pregiudica l’applicazione delle normative e
degli atti legislativi, regolamentari e amministrativi da esse
derivati quali: la direttiva 80/777/CEE, la direttiva 98/83/CE, la
direttiva 89/398/CEE, la direttiva 2002/46/CE.
In merito all’etichetta nutrizionale, che ha lo scopo di
fornire al consumatore informazioni sulla composizione in
nutrienti del prodotto e sul loro apporto calorico
6
, essa è
disciplinata dalla Direttiva del Consiglio 90/496 del 24 settembre
1990 (recepita in Italia con il D.L. n. 77/1993), poi modificata dal
Reg. CE 1924/2006, che cita:
“In ragione dell'immagine positiva conferita agli alimenti recanti
indicazioni nutrizionali …il consumatore dovrebbe essere in
grado di valutarne la qualità nutrizionale complessiva. Pertanto,
l'etichettatura nutrizionale dovrebbe essere obbligatoria e
ampia, fino a coprire tutti gli alimenti recanti indicazioni sulla
salute..
6
Esiste un reale problema nel chiarire la distinzione esistente tra etichettatura
alimentare e nutrizionale.
La prima serve a definire un prodotto in riferimento alle sue caratteristiche e proprietà;
la seconda fornisce informazioni nutrizionali circa la composizione del prodotto in
relazione ai nutrienti e al loro apporto calorico.
Questa differenza non risulta molto chiara sia in termini legislativi sia in termini
commerciali poiché spesso un prodotto, anche se non viene modificato a livello di
composizione chimica, viene enfatizzato per caratteristiche inesistenti (“leggero”, “con
pochi grassi”, ecc).
Oltre a queste vi è un’altra importante distinzione da fare: quella tra l’etichettatura e
l’informazione nutrizionale. Secondo l’art. 7 del Reg CE 1924/2006, “l'obbligo di
fornire informazioni a norma della direttiva 90/496/CEE quando è formulata
un'indicazione nutrizionale, e le relative modalità, si applicano mutatis mutandis
allorché formulata un'indicazione nutrizionale sulla salute, ad eccezione della
pubblicità generica.”
Inoltre secondo l’art.2 del suddetto regolamento si definisce “«indicazione
nutrizionale»: qualunque indicazione che affermi, suggerisca o sottintenda che un
alimento abbia particolari proprietà nutrizionali benefiche, dovute:
a) all'energia (valore calorico) che
i) apporta,
ii) apporta a tasso ridotto o accresciuto o,
iii) non apporta, e/o
b) alle sostanze nutritive o di altro tipo che
i) contiene,
ii) contiene in proporzioni ridotte o accresciute, o
iii) non contiene”