3
Un secondo gruppo nasceva a Mosca con il “Mezzanino della poesia”:
capo ne era Vadim Šeršenevič, molto vicino all’egofuturismo
nell’eclettismo e nell’urbanismo a sfondo salottiero.
Meno programmaticamente polemico nei confronti del passato
letterario fu il gruppo di “Centrifuga”, noto soprattutto per aver avuto
tra i suoi membri il giovanissimo Pasternak.
Il più significativo e solido, e certamente quello che accolse i poeti di
gran lunga più geniali tra i gruppi del primo futurismo fu Gileja. Il
nome deriva da Hylaea (in russo Gileja), che era il nome dato dagli
antichi Greci alla regione di Taurida. “Hylaea, l’ antica Hylaea,
calpestata dai nostri piedi, assumeva il significato di un simbolo e
doveva diventare una bandiera”
2
.
Il gruppo fu fondato dai tre fratelli David, Vladimir e Nikolaj Burljuk e
Benedikt Livšic. A loro si aggiunse in un primo momento Viktor
Chlebnikov (poi chiamato Velimir), seguito da Vladimir Majakovskij e
Aleksej Kručёnych. Inizialmente il movimento si avvicinava più al
primitivismo che al cubismo.
I gileiani esordirono nel 1910, anno della grande crisi del simbolismo,
con un almanacco poetico (i russi chiamano almanacco qualsiasi
miscellanea letteraria non periodica) dal titolo “Sadok sudej” (“Vivaio
di giudici”). Il titolo gioca sul doppio senso della parola russa “sadok”
che significa vivaio, ma anche trappola. Ne erano firmatari
Chlebnikov, Vasilij Kamenskij, David Burljuk, a cui si unirono poco
dopo Majakovskij, Benedikt Livšic e Elena Guro. Essi pubblicavano
manifesti provocatori che rifiutavano l’eredità culturale, schernivano
le autorità del mondo intellettuale, affermando con deliberata
impudenza la propria superiorità.
Il manifesto più noto apparve nel secondo almanacco, “Schiaffo al
gusto del pubblico” (1912), dove veniva dichiarato il più completo
distacco dalle formule poetiche del passato, la volontà di una
2
Benedikt Livšic, cfr. Vladimir Markov, Storia del futurismo russo, Einaudi, Torino 1988, p. 35
4
rivoluzione lessicale e sintattica, l’assoluta libertà nell’uso dei caratteri
tipografici, formati, carte da stampa, impaginazioni.
Fu nel 1913 che i gileiani divennero noti come “cubofuturisti”. La
denominazione “Gileja” non fu tuttavia abbandonata. Alla fine del
1914 lo stesso Majakovskij scriveva in un articolo di giornale: “Furono
i giornali a battezzarci [okrestili] futuristi”
3
. David Burljuk fece la
stessa affermazione nelle sue memorie. Furono loro (a quanto
sembra) a prendersi la responsabilità di accettare quel nome, che i
giornali usavano indiscriminatamente, per ragioni pratiche, e quindi
misero il resto del gruppo di fronte al fatto compiuto. La loro
principale ragione, nel fare ciò, sembra dovuta al fatto che agli occhi
del pubblico qualunque manifestazione d’avanguardia veniva ormai
collegata al futurismo, e che accettarne l’etichetta era un modo sicuro
di raggiungere l’egemonia in questo campo. Si può anche capire
perché Majakovskij fu in parte responsabile dell’accettazione del
termine: era l’unico vero poeta urbano del gruppo, e si trovava forse
a disagio nel primitivismo a tendenza contadina di Gileja.
Quanto al prefisso “cubo”, le ipotesi sono due: o lo aggiunsero i
gileiani stessi in modo da non essere confusi con gli egofuturisti o con
i futuristi italiani, oppure fu la stampa ad aggiungerlo al nome dei
futuristi di Mosca a causa delle relazioni tra la pittura cubista e le idee
futuriste del gruppo moscovita
4
.
La differenza tra egofuturisti e cubofuturisti consisteva nel fatto che i
primi ricercavano la venerazione della folla, i secondi la sua ostilità,
un lusinghevole riconoscimento negativo (“noi”, in mezzo a un mare
di fischi e indignazione). Ma il bisogno di misurarsi con la folla li
univa.
Per quanto riguarda i rapporti col futurismo italiano, non furono dei
migliori. Forse l’evento che ci può far capire meglio questa
affermazione fu la visita di Filippo Tommaso Marinetti in Russia nel
1914, che non fu affatto ben accolto dai futuristi russi. Egli arrivò a
3
I nam mjasa, in “Nov’”, 16 novembre 1914, cfr. V. Markov, Storia del futurismo russo, op. cit., p. 117
4
Vladimir Markov, Ibid., p. 118
5
Mosca ai primi di febbraio, ospite alla Società di Libera Estetica.
Baraonda indescrivibile. Il “nemico delle vecchie etichette” aveva
appena cominciato a parlare nel suo tono oratorio-sofistico, che dalla
sala si levò un brusio da alveare. Il viso ricamato da geroglifici neri,
un mazzo di cucchiai di legno all’occhiello del pastrano, erano entrati
David e Nikolaj Burljuk, Kamenskij, Chlebnikov, Majakovskij (che
aveva interrotto la tournee apposta per partecipare alla campagna
anti-Marinetti) e il pittore Kazimir Malevič. Facevano pernacchie,
emettevano grida stridule, come di pipistrelli. Furono zittiti dagli
uscieri che minacciarono di chiamare le guardie. Si ristabilì un po’ il
silenzio. In quel silenzio quanto mai precario, Marinetti toccava i vari
punti del suo programma sovvertitore. Sparpagliati nell’aula, i
budetljane, che nel frattempo erano cresciuti di numero,
raccoglievano intorno a se dei capannelli e spiegavano che quando
Marinetti parlava di futurismo come fenomeno di popolo, era in
perfetta mala fede. Non aveva visto chi c’era in sala? Belle donne,
professionisti, funzionari, accademici. La poca gente di strada attirata
dall’evento stava lì intorno a loro, ai budetljane, e a loro si univa nel
fare azione di disturbo. A un certo punto Livšic lanciò in sala un uovo
e venne allontanato per eccessi. Marinetti rispose al gesto con un
insulto. Malevič gridò: “Cadavere!” e Majakovskij, sventolando la sua
blusa gialla, aggiunse: “Ti seppelliremo”. Fu il caos.
5
Ciò che accomuna i futuristi italiani con i russi è solamente il rifiuto
del passato, del museo e dell’accademia, o del cosiddetto akstarё
(vecchiume accademico).
Significativo il legame con pittori d’avanguardia come Michail
Larionov, Natal’ja Gončarova, Kazimir Malevič, che spesso illustrarono
le raccolte poetiche futuriste.
Anno di grazia per i cubofuturisti fu il 1913. Oltre a compiere
tournées poetiche per tutta la Russia, usando l’espediente
pubblicitario sconosciuto ai precedenti movimenti letterari, esordirono
5
Curzia Ferrari, Majakovskij: la storia, il romanzo, op. cit., p. 88, 89, 90
6
in teatro con Vladimir Majakovskij: tragedia di Majakovskij e Vittoria
sul sole di A. Kručёnych. Inoltre le numerose apparizioni pubbliche di
futuristi russi a Mosca, Pietroburgo e in provincia suscitarono
l’interesse dei lettori, nonché la curiosità assidua dei giornali. Gran
parte di queste apparizioni pubbliche furono organizzate da David
Burljuk, tipo estroverso, geniale, irruente, aggressivo e pronto nel
capire che la teoria e la pratica poetica da sole non avrebbero attirato
sufficiente attenzione. Burljuk riuscì anche a persuadere Vasilij
Kamenskij a rientrare dal suo ritiro agreste per riunirsi a loro; una
mossa particolarmente astuta perché Kamenskij era un pilota famoso,
e come tale in grado di presentare buone credenziali a qualunque
autorità cittadina, propensa a vedere nei futuristi dei disturbatori
potenziali.
Kamenskij tuttavia non partecipò alla prima apparizione indipendente
di gruppo dei futuristi russi, tenutasi il 13 ottobre a Mosca. I manifesti
che l’annunciavano furono stampati su carta igienica, e l’evento
venne annunciato come “il primo recital dei creatori della parola
[rečetvorcy] in Russia”, con conferenze di Majakovskij (Perčatka
[guanto]) e di David Burljuk (Doitel’ iznurёnnych žab [Mungitore di
rospi esausti]). Era prevista la partecipazione di altri membri di
Gileja. L’evento fu preceduto dalla celebre uscita dei gileiani sul
Kuzneckij Most, una strada del centro. Vestiti bizzarramente, le facce
dipinte, un cucchiaio all’occhiello, i futuristi sfilarono lentamente
lungo il Kuzneckij leggendo le loro poesie. Colui che godette di più
tale “mascherata” fu Majakovskij, che inaugurò in quell’ occasione la
sua famosa blusa gialla. Codazzi di curiosi li seguivano. La serata
attirò molto pubblico.
6
La guerra segna la fine del primo futurismo. Muore il futurismo come
idea di pochi eletti, perché tutti diventano futuristi. È importante
notare che il gruppo accoglieva poeti molto distanti uno dall’altro, e
questa fu la principale causa della sua graduale disintegrazione. Dopo
6
V. Markov, Storia del futurismo russo, op. cit., p. 131, 132
7
la rivoluzione del 1917, gli ex gileiani tornarono a raggrupparsi,
assorbirono poeti non gileiani, fecero uno strenuo tentativo per
assicurarsi il potere letterario nel giovane stato sovietico, e in
generale crearono l’impressione che essi solo rappresentavano (e
avevano rappresentato) il movimento futurista in Russia. Non c’è
dubbio, naturalmente, che essi furono il gruppo futurista centrale;
essi iniziarono la storia del movimento, nell’insieme produssero i
migliori poeti e le personalità più brillanti e dominarono la scena più
di chiunque altro.
L’interesse per Majakovskij, poeta ormai fuori moda da anni, è nato
inizialmente dalle varie citazioni che diversi cantautori contemporanei
gli hanno dedicato. Personalità quali Fabrizio De Andrè, Vinicio
Capossela e Giovanni Lindo Ferretti, tutti senza dubbio molto vicini
all’ideologia rivoluzionaria. Da qui penso sia nata la necessità di
menzionare un poeta che ha vissuto nella rivoluzione (“Majakovskij
entra nella rivoluzione come in casa propria”
7
, “Volodja entrò nel caos
della rivoluzione con lo stesso entusiasmo con cui era entrato nella
grotta dell’amore”
8
, “Per elevare l’uomo lo porta al livello di
Majakovskij. Come il greco era antropomorfo e assomigliava
ingenuamente a se le forze della natura, così il nostro poeta è
majakomorfo, e popola di sé le piazze, le vie e i campi della
rivoluzione”
9
, “Era la poesia. Era la rivoluzione. Poesia e rivoluzione si
associarono nella mia testa”
10
) e PER la rivoluzione.
Vladimir Vladimirovič Majakovskij (Bagdadi, Georgia, 1893 – Mosca
1930) si avvicinò alla politica molto presto. Già nel 1905 la sorella
Ljudmila gli portò da Mosca libri socialisti e poesie di agitazione che
destarono il suo interesse. Nel 1906 il padre morì e tutta la famiglia si
trasferì a Mosca, dove per far fronte alle difficoltà economiche la
madre subaffittava camere. Gli studenti che alloggiavano in casa
Majakovskij presto lo mettono in contatto con le organizzazioni
7
Viktor Šklovskij, cfr. Rossana Platone, Majakovskij, op. cit., p. 49
8
Curzia Ferrari, Majakovskij: la storia, il romanzo, op. cit., p. 123
9
Lev Trockij, Letteratura e rivoluzione, trad. it. di Vittorio Strada, Einaudi, Torino 1973, p. 130
10
Cfr. Curzia Ferrari, Majakovskij: la storia, il romanzo, op. cit., p. 26
8
rivoluzionarie. Poco più che quattordicenne, Majakovskij aderisce al
partito socialdemocratico bolscevico (allora illegale) e va a far
propaganda tra gli operai e gli artigiani. Volantini illegali, tipografie
clandestine, evasioni di detenuti politici: le attività da cospiratore lo
attraggono. Arrestato tre volte, le prime due viene presto rilasciato
grazie alla giovanissima età. La terza volta resta in carcere sei mesi,
cinque dei quali trascorsi in cella di isolamento. A sedici anni cinque
mesi di isolamento sono lunghi. Majakovskij li riempie di letture, di
riflessione. Vede sempre più chiaramente che l’arte è la sua strada
(aveva già il presentimento di essere destinato a grandi cose, l’idea di
“Spaccare Dio/fino all’Alaska
11
”), ma è indeciso tra pittura e poesia.
Quando torna in libertà ha già fatto la sua scelta: “Voglio fare un’arte
socialista”
12
.
Nel 1911 si iscrive all’Istituto di pittura, scultura e architettura, dove
incontra il poeta David Burljuk. Entrambi furono espulsi dall’Istituto
nel 1914 per la loro attività futurista. La pittura ha un’importanza
determinante nella formazione di Majakovskij poeta. Le foto
dell’epoca ci mostrano un ragazzo spettinato, con una lunga casacca
e un grande fiocco nero al collo. La sera, e fino a tarda notte, se ne
andava in giro per la città, da solo o con Burljuk, osservando le case,
i lampioni, le insegne che ben presto popoleranno la sua poesia.
Camminando, si appropriava della città. Mosca è per il poeta
un’inesauribile fonte di immagini. Camminando rifletteva, componeva
i suoi versi.
La camminata di Majakovskij entra in molti suoi versi, specialmente
negli anni giovanili, e ne segna il ritmo. (“Vbivaju gulko šaga svai,
brosaju v bubny ulic drob’ ja”
13
“Po Nevskomu mira, po loščenym
polosam ego, proflaniruju šagom Don-Žuana i fata”
14
). Le sue prime
11
V. Majakovskij, Il flauto di vertebre, a cura di Bruno Carnevali, trad. it. di Bruno Carnevali, Passigli
Editori, Firenze 1999, p. 48
12
Cfr. Rossana Platone, Majakovskij, op. cit., p. 14
13
“Io pianto rumorosamente i pali dei passi, sgrano rullii sui timpani delle strade” Stradale, 1913, V.
Majakovskij, in Opere complete, a cura di Ignazio Ambrogio, trad. it. di Ignazio Ambrogio, Editori Riuniti,
Roma 1972, p. 7
14
“Lungo la Nevskij del mondo, lungo le sue strisce lustre andrò bighellonando con passo da Don
Giovanni e da bellimbusto” La blusa del bellimbusto, 1914, V. Majakovskij, Opere complete, op. cit., p.
28
9
poesie furono composte per la strada, tra il fumo delle sigarette, e
non scritte a tavolino.
Il tema rivoluzionario si intreccia per la prima volta con l’amore (“La
polifonicità della poesia di Majakovskij sta nell’intermittenza di
entrambi i generi distinti”
15
). Nella vita di Majakovskij accadde un
evento determinante: nel luglio 1915 conosce Lilja e Osip Brik. “Una
data felicissima” scrive. Ha inizio la lunga amicizia per Osip (critico e
teorico del futurismo), il tormentoso amore per Lili. L’amore tra il
poeta e Lili nasce sotto il segno della poesia. Fino alla morte di
Majakovskij, e anche dopo, Lili sarà “la donna del poeta”. Quasi tutte
le raccolte poetiche sono dedicate a lei. Il giorno dell’incontro con Lili
è l’inizio di un amore tenace, profondo, come testimonia il messaggio
scritto alla vigilia del suicidio; di un amore combattuto, lacerante fin
dal suo nascere, come ben mostrano i versi scritti nel 1915-16.
Elemento dominante nell’amore fu per Majakovskij la follia. Follia allo
stato più insanabile e acuto. Quando Lili disse a Osip che lei e
Majakovskij si erano innamorati, decisero insieme che non si
sarebbero mai separati. Vissero infatti tutti e tre insieme,
materialmente e spiritualmente, in un connubio spesso pericolante,
incrinato da dissidi e gelosie, da separazioni e riconciliazioni
improvvise.
Majakovskij accolse con entusiasmo la rivoluzione d’ottobre. Nei
primi anni post-rivoluzionari è infaticabile, partecipa al rinnovamento
di tutti i settori della vita artistica scrivendo versi e poemi sulle
vittorie socialiste, su Lenin, dipingendo le cosiddette “finestre della
ROSTA” (sorta di cartelloni propagandistici con slogan o couplets
satirici, destinati a riempire le vetrine dei negozi vuote di prodotti
dopo il disastro economico seguito alla guerra civile), scrivendo brevi
“agit-p’esy’ (commedie di propaganda, 1920-21), sceneggiature
cinematografiche, fondando riviste (LEF e Novyj LEF), intervenendo
con irruenza in tutti i dibattiti, in tutte le controversie letterarie,
15
Roman Jakobson, citato da Efim Etkind, in Storia della letteratura russa. Il 900. Vol. II, Einaudi, Torino
1990, p. 341
10
schierandosi sempre dalla parte degli innovatori. Sul finire degli anni
venti ricominciò a scrivere per il teatro. Del 1929 è La cimice e
dell’anno dopo, pochi mesi prima del suicidio, è Il bagno. Nel febbraio
del 1930 al Club degli scrittori di Mosca si aprì la mostra “Vent’anni di
lavoro”, che riassumeva tutta l’attività letteraria e grafica di
Majakovskij. Nessuno dei vecchi amici lo aiuta ed egli fa quasi tutto
da solo. La mostra è accolta con entusiasmo dai giovani, ma la
stampa la ignora. All’inaugurazione il poeta dice:”Perché mai l’ho
organizzata? Perché, a causa del mio carattere rissoso, hanno tanto
abbaiato contro di me, mi hanno accusato di tanti peccati, veri o
presunti, che a volte mi viene voglia d’andarmene da qualche parte
per restarvi uno o due anni, pur di non sentire più ingiurie. Ma,
ovviamente, l’indomani rinuncio a questo pessimismo, mi armo di
nuovo coraggio e, con le maniche rimboccate, riprendo a battermi,
affermando il mio diritto a esistere come scrittore della rivoluzione e
per la rivoluzione, non come un fantoccio”
16
.
I trasalimenti di dubbio e incertezza si fanno più fitti nell’ultimo
periodo e coincidono con il declino di popolarità di Majakovskij, a cui
sempre più spesso venivano rimproverate l’oscurità e
l’incomprensibilità della sua arte.
Gli ultimi frammenti che egli scrive sono versi d’amore, di
disperazione. “Amare? Non amare? Mi spezzo le mani | e qua e là
sparpaglio | le dita, una volta spezzate”
17
.
Amore, rivoluzione, poesia: questo il groviglio di problemi intorno ai
quali Majakovskij si arrovella anche negli ultimi momenti. Tutte le
strade sono state sperimentate e tutte sembrano chiuse. Più nulla
riesce a dare la forza di sollevarsi al disopra del “quotidiano”. Il 14
aprile 1930 Majakovskij si uccide con un colpo di pistola. La lettera di
commiato, indirizzata “A tutti” porta la data 12 aprile. Dietro lo sparo
c’è una convinzione ferma: “io non ho altra scelta”.
16
Cfr. Rossana Platone, Majakovskij, op. cit., p. 111
17
Ibid., p. 112
11
La primordiale intima unità tra la poesia di Majakovskij e il tema della
rivoluzione è stata notata più volte. Ma senza attenzione è stata
lasciata un’altra indissolubile congiunzione di motivi nella sua opera:
quella della rivoluzione e della morte del poeta. Se ne trovano delle
allusioni già nella tragedia Vladimir Majakovskij e in seguito il
carattere non fortuito di questa congiunzione diventa “chiaro fino
all’allucinazione”
18
. Il poeta è la vittima espiatoria sacrificata in nome
di una autentica risurrezione universale futura (il tema di “Vojna i
mir”
19
). Quando nella corona di spine delle rivoluzioni verrà un certo
anno, “vi strapperò l’anima e la calpesterò perché sia più grande; e
sanguinante ve la darò, come una bandiera” (il tema della Oblako v
štanach
20
).
E adesso vediamo come reagirono alcuni illustri contemporanei di
Majakovskij a questa morte sconvolgente. La poetessa Marina
Cvetaeva esternò il suo pensiero e il suo compianto in una serie di
amarissime e splendide liriche piene di ribellione all’ufficialità
comunista: “Più in alto delle croci e dei camini, | battezzato nel fuoco
e nel fumo, | arcangelo dal passo pesante - | salve nei secoli,
Vladimir!”
21
. Anna Achmatova disse che con la morte di Majakovskij
era morta la giovinezza di molti, anche la sua
22
. Uno fra i più colpiti fu
Gor’kij. Quando seppe la notizia scoppiò in lacrime e non volle
saperne di darsi ragione dell’accaduto. Scrisse pochi giorni dopo che
la morte di Majakovskij gli si era “messa di traverso nella gola”
23
.
Anche Anatolij Lunačarskij (il commissario del popolo per la cultura,
che lo aveva quasi sempre appoggiato) in privato pianse. Ma in
pubblico fece un’orazione grandiosa, addossando la colpa del suicidio
al suo sosia, e scaricando così i burocrati, il partito e lo Stato da ogni
problema di coscienza. “…Ma dentro di sé Majakovskij aveva un sosia,
e questa era la sua disgrazia.
18
Roman Jakobson, Una generazione che ha dissipato i suoi poeti, Se, Milano 2004, p.23
19
V. Majakovkij, Guerra e universo, 1916, in Antologia lirica, a cura di I. Ambrogio, trad. it. di Bruno
Carnevali, Sansoni-Accademia Editori, Milano 1970, p. 56-65
20
V. Majakovskij, La nuvola in calzoni, 1914 in Il flauto di vertebre, op. cit., p. 21-49
21
Citato da Curzia Ferrari, in Majakovskij: la storia, il romanzo, op. cit., p. 355
22
Ibid., p. 355
23
Cfr. Curzia Ferrari, Ibid., p. 355