protezione sia per le acque interne che per le acque di transizione e le acque marine
costiere.
La gestione e i programmi di protezione delle risorse idriche sono riferiti all'unità
territoriale costituita dal bacino idrografico o, nel caso della direttiva quadro, dal
distretto di bacini, nel caso di bacini idrici di modeste dimensioni. In tal senso anche
le acque costiere sono inserite nel bacino o distretto che determina le pressioni e gli
impatti inquinanti sulle stesse. Sono definiti gli obiettivi ambientali per ogni
tipologia di corpo idrico che costituiscono gli obiettivi dei piani di bacino da
conseguire a scadenze prestabilite: tutti i corpi idrici significativi devono raggiungere
un buono stato ambientale entro il 2016. Gli Stati membri sono tenuti a riferire alla
comunità circa le azioni previste per il recupero, i costi ed eventualmente le
motivazioni che non lo hanno determinato.
Lo stato di qualità ambientale di ogni corpo idrico è definito sulla base di elementi
che tengono conto di tutte le componenti che lo costituiscono e cioè degli ecosistemi
acquatici e terresti associati al corpo idrico, l'idromorfologia, lo stato chimico fisico e
biologico dell' acqua, dei sedimenti e del biota.
Il monitoraggio dello stato ambientale dei corpi idrici è sviluppato sia come
strumento per la pianificazione delle risorse, sia come modo per verificare l'efficacia
delle misure adottate per raggiungere i suddetti obiettivi ambientali. Il monitoraggio
deve, in effetti, portare alla classificazione dei corpi idrici in base al loro stato di
qualità ambientale e seguire l'evoluzione di questo fino al conseguimento di un buon
livello di qualità. In quest’ottica lo studio intrapreso può senz’altro rappresentare un
valido contributo alla conoscenza e alla valutazione dello stato di conservazione del
bacino del Fiume Calore.
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Inquadramento geologico
Il corso del Calore si è sviluppato lungo le pieghe tettoniche risultate dai processi
orogenetici che hanno portato alla situazione attuale dell’intera regione cilentana,
attraversa litotipi di facies diverse che hanno subito processi traslativi e meccanici
che ne hanno modificato le caratteristiche. E’opportuno quindi soffermarsi sulle
caratteristiche idrogeomorfologiche del territorio del Cilento.
Caratteristiche geomorfologiche del Cilento
Il Cilento è stato denominato (Guida d et al.,1980) “Provincia Morfostutturale”,
come subunità della più vasta Regione Tettonica campano-lucana.
Si possono individuare diverse Unità Litostratigrafiche:
Unità Sicilidi, ovvero ad “Affinità Sicilide”
Unità Nord Calabresi
Unità Alburno-Cervati
Unità Bulgheria e Subunità di Roccagloriosa
Unità Neogeniche
L’assetto strutturale attuale di queste unità è stato acquisito prevalentemente a
seguito di fasi compressive e traslative avvenute tra il Tortoniano Superiore ed il
Pleistocene Inferiore, secondo uno stile tettonico che, per questo settore
dell’Appennino Meridionale, viene riferito ad un sistema tipo “duplex”, dove le falde
di origine interna si sono accavallate come “roof thrusts” sul margine esterno
dell’avampaese apulo-garganico, scavalcando unità strutturali ancora più esterne
disposte in forma di embrici sepolti.
In particolare, nel Cilento si riconosce la sovrapposizione di unità sicilidi e Nord
Calabresi sulle unità Alburno Cervati e Bulgheria e la suturazione delle superfici di
accavallamento da parte delle unità Neogeniche.
Sulle unità tettoniche così strutturate poggiano in maniera discontinua e discordanti
depositi quaternari clastici e/o vulcanici da caduta risedimentati in diversi ambienti di
tipo fluviale, lacustre o fluviale-lacustre, come ad esempio al vallo di Diano ed alla
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Valle del Tanagro, nell’ambito di depressioni strutturali parallele al fronte
compressivo legate al “rifting” di retroarco.
Le grandi depressioni morfotettoniche, come il basso strutturale della piana del Sele
– Golfo di Salerno e più a sud del Golfo di Policastro, colmate da sedimenti fluvio-
marini ed orientate obliquamente al fronte compressivo, sembrano essersi attivate
successivamente a causa di regimi tettonici distensivi e/o trascorrenti, così come i
bacini lacustri del M. Bulgheria.
Dal punto di vista geomorfologico, il territorio cilentano è contraddistinto dalla netta
diversificazione esistente tra i massicci carbonatici, costituenti le dorsali ed i rilievi
discontinui nel settore nord-orientale ed orientale della Provincia Morfostrutturale, e
le dorsali terrigene comprese nel settore sud-occidentale lungo una larga fascia
compresa fra il Golfo di Salerno ed il Golfo di Policastro.
Il monte Bulgheria costituisce una entità fisiografica di tipo carbonatico isolata e
localizzata all’estremo settore meridionale del Cilento. L’andamento morfologico
attuale dell’intera “Provincia” è strettamente connesso all’assetto strutturale ed alle
modalità attraverso cui esso è stato raggiunto durante l’intera storia geologica. Sui
corpi geologici così strutturati a seguito della tettogenesi, già a partire dalla
emersione della catena avvenuta a partire dal Miocene terminale, si è impostato un
modellamento polifasico e poligenico che ha portato allo smantellamento delle
coperture terrigene pre e sinorogene dei massicci carbonatici, mentre durante tutto il
Pliocene e fino al Pleistocene Inferiore-medio la creazione di rilievo locale e
regionale è stata accompagnata non solo da movimenti verticali, ma anche da
movimenti trascorrenti, come testimoniato da recenti ricerche geologiche e
geomorfologiche a scala regionale. Gli effetti combinati del controllo strutturale
hanno condotto alla formazione delle principali morfostrutture del Cilento:
Morfostrutture dei massicci carbonatici (M.te Alburno, M.te Motola, M.te Vesole-
Chianello, M.te Cervati, M.te Rotondo-Forcella, M.te Bulgheria, M.te Cucuzzo-
Serralunga). Tutte queste morfostrutture, sono caratterizzate da lembi, più o meno
estesi e disposti su varie quote, di superfici carsiche, con doline e campi carsici, e da
grandi versanti bordieri relativamente acclivi con il tipico aspetto rupestre ed il
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profilo poco regolarizzato con i piedimonti costituiti in genere da paesaggi collinari
evoluti su terreni argillosi disposti in forma di depressione intermontane.
Morfostrutture dei massicci terrigeni (M.te Stella, M.te Sacro, M.te Centaurino, M.ti
di Pisciotta). Al contrario delle precedenti, queste presentano lembi molto più limitati
di paesaggi, in quanto l’attività di smantellamento areale e lineare dei corsi d’acqua
ha fatto arretrare talmente le testate vallive da serrare quasi completamente gli
spartiacque ridotti a displuvi stretti e irregolari. I versanti bordieri, residuo del
modellamento passato, sono ridotti a tipiche “faccette triangolari” disposte in forma
di interfluvi tra gli sbocchi dei valloni principali. Il profilo irregolare dei rilievi
risente della alternanza di successioni litologiche a diversa competenza, modellate
secondo il meccanismo della morfoselezione.
Morfostrutture dei rilievi collinari (Valle dell’alto Calore Salernitano, Valle dell’alto
Alento, Valle dell’alto Mingardo, valle del medio e basso Bussento). Costituiscono la
tipica morfologia alto-collinare, con crinali sommatali che non superano gli 800
metri modellate in tempi successivi a quelli delle superfici dei massicci maggiori; i
versanti conservano ancora tracce del controllo strutturale, anche se il reticolo
drenante è sensibilmente influenzato dagli eventi denudazionali, di tipo erosivo e
gravitativi (frane). E’nell’ambito di queste morfostrutture che si è svolta
maggiormente l’occupazione antropica del territorio durante i secoli e si registrano le
modificazioni, positive e negative, indotte dalle attività umane.
Morfostrutture alluvionali (Piana del Sele, Valle del Tanagro, Valle del Solofrone,
Vallo di Diano, Piana dell’Alento, Valle medio-bassa del Lambro e Mingardo, golfo
di Policastro).Costituiscono l’effetto deposizionale di tutti gli eventi morfogenetici
avvenute nelle zone a monte. L’epoca di impostazione di questi bassi strutturali, sede
di intensi fenomeni di alluvionamento, è da attribuire al Pleistocene Inferiore, se
come “marker” si utilizza l’unica formazione presente in Cilento ed attribuibile a
quell’intervallo temporale: la formazione di Centola. Legate a queste morfostrutture
sono anche gli ambiti costieri che hanno ciascuno una loro peculiarità geomorfologia
e che non è possibile inquadrare a scala generale.
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Inquadramento idrogeologico
Dal punto di vista idrogeologico nell’area cilentana, si possono distinguere tre grandi
settori:
null i massicci carbonatici
null i rilievi costituiti dalla successione terrigena flyschoide
null i depositi clastici quaternari che riempiono le piane alluvionali dei principali
elementi idrografici del territorio
I massicci carbonatici, oltre a rappresentare i principali rilievi montagnosi del
territorio, ne costituiscono le principali fonti di risorse idriche. Essi si compongono
essenzialmente di rocce calcaree di età mesozoica che, per il comportamento fragile a
seguito delle vicissitudini del passato geologico, risultano essere generalmente molto
fratturate, e che, per la loro composizione chimica, sono soggette a fenomeni carsici
mediante i quali l’azione di dissoluzione delle acque meteoriche tende ad ampliare e
a sviluppare la rete di fatturazioni preesistenti fino alla formazione di grandi sistemi
carsici epigei ed ipogei.
La presenza di queste discontinuità diffuse e dei condotti carsici induce intensi
fenomeni di infiltrazione che si concretizzano in un intenso deflusso sotterraneo (85-
90%) rispetto al ruscellamento superficiale. I massicci carbonatici possono essere
considerati come grandi acquiferi sotterranei in cui la circolazione idrica ipogea,
generalmente basale, ma anche con livelli intermedi, è condizionata dai rapporti
geometrici con le unità geologiche circostanti oltre che dalle discontinuità strutturali
interne (faglie e diaclasi). Nel Cilento i rilievi carbonatici sono, nella maggior parte
dei casi, sovrapposti per faglia inversa e giustapposti per faglia diretta con le
successioni arenaceo-argillose che, avendo una permeabilità notevolmente inferiore,
ne limitano lateralmente la circolazione idrica sotterranea, orientandola verso i punti
di contatto più depressi; in questi punti si concentrano le principali sorgenti
dell’intera area.
Nell’area cilentana, a sud della valle del Tanagro e ad ovest del vallo di Diano, i
rilievi carbonatici costituiscono varie unità idrogeologiche principali, generalmente
suddivise in strutture minori, in cui la circolazione idrica sotterranea è indipendente
dalle altre unità circostanti: Monte Alburno, monte Motola, Monte Cervati-Monte
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Vesole, Monte Forcella-Monte Salice, Monte Coccovello e monte Bulgheria. Le
prime si sono impostate nell’ambito dell’unità Alburno-Cervati, l’ultima nell’ambito
della omonima unità del monte Bulgheria. Ad est del Vallo di Diano sono presenti
altre strutture idrogeologiche di grande potenzialità, che hanno i propri recapiti in
parte sul versante cilentano, ed in parte sul versante lucano.
Le successioni flyschoidi terrigene, per la loro inferiore potenzialità idrica, sono state
oggetto di studi solo a carattere generale dai quali si è potuto trarre solo le
caratteristiche complessive della circolazione idrica sotterranea. I terreni delle
successioni flyschoidi affioranti nel Cilento hanno caratteristiche idrogeologiche
variabili in relazione alla prevalenza dei terreni litoidi su quelli pelitici; i primi infatti
hanno un grado di permeabilità da medio a scarso ed un tipo di permeabilità,
primaria, per porosità e, secondaria per fatturazione, possono essere considerati
impermeabili.
Pertanto nelle successioni arenaceo-pelitiche la frequente presenza dei termini
pelitici conferisce nel complesso uno scarso grado di permeabilità, mentre nelle
successioni prevalentemente arenacee o arenaceo-conglomeratiche la minore
presenza di interstrati pelitici e la scarsa continuità laterale conferiscono un grado di
permeabilità relativamente più elevato. Per le generali caratteristiche di bassa
permeabilità dei terreni arenaceo-pelitici, il deflusso idrico globale si manifesta
maggiormente sotto forma di ruscellamento ed in minore misura come deflusso
idrico sotterraneo; quest’ultimo si realizza come una falda di base, ma si sviluppa
come falde sospese sovrapposte e si concretizza prevalentemente nella parte più
superficiale ed alterata dei versanti, sotto forma di falde spesso discontinue, laddove
la fatturazione del substrato e la presenza di eluvioni e colluvioni favoriscono i
processi di infiltrazione. Le emergenze sorgentizie sono numerose, ma singolarmente
molto modeste, mediamente di poche decimetri di litro al secondo e al massimo di
pochissimi litri al secondo; le situazioni di emergenza sono spesso legate a locali
situazioni strutturali, giaciturali e morfologiche, a volte di difficile interpretazione.
Questo modello di circolazione idrica sotterranea può essere ritenuto rappresentativo
dei termini arenaceo pelitici e calcareo pelitici della successione del “Flysch del
Cilento” Auct. e cioè delle formazioni di San Mauro p.p., Pollica,Saraceno e Unità
dei “terreni ad affinità sicilide” p.p., cioè in quelle parti della successione torbiditica
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dove la frazione pelitico-argillosa è presente in maniera continua tra gli strati
arenacei o calcarei, tanto da costituire un ostacolo alla circolazione delle acque di
infiltrazione efficace e da conferire globalmente un carattere di scarsa permeabilità.
In questo complesso idrogeologico il deflusso idrico sotterraneo è, per il
generalizzato scarso grado di permeabilità, una piccola frazione del deflusso globale,
circa il 19% (Celico et alii,1992).
Nella successione del “Flysch del Cilento” Auct. Fanno eccezione a questo generale
comportamento i termini arenaceo-conglomeratici,ascrivibili ai membri
stratigraficamente più elevati del Gruppo del Cilento (Bonardi et alii 1988.)e, in
particolare, alla parte alta della formazione di San Mauro, i quali sono caratterizzati
dalla presenza di strati e banchi arenacei di spessore variabile tra 1 e 3 metri, con
interstratificazioni pelitiche esigue e discontinue lateralmente; ciò comporta una
maggiore attitudine ai fenomeni di infiltrazione e quindi una circolazione idrica più o
meno profonda, condizionata dalla presenza di discontinuità stratigrafiche costituite,
nella fattispecie, da intervalli di strati a carattere arenaceo-pelitico.
Il deflusso idrico sotterraneo è stimabile in circa il 25% del deflusso globale.
Infine i termini arenaceo-conglomeratici con i quali la successione del “Flysch del
Cilento”Auct. Culmina nella formazione di Monte Sacro, hanno caratteristiche
idrogeologiche marcatamente differenti dai precedenti, essendo dotati di una
permeabilità media per porosità e fatturazione; la scarsa presenza di
interstratificazioni pelitiche rende possibile l’instaurarsi di un unico corpo idrico
sotterraneo a deflusso unitario.
Il deflusso idrico sotterraneo rappresenta un’aliquota cospicua del deflusso
globale,circa il 30% (Celico et Alii. 1993).
Tra le unità idrogeologiche costituite dai terreni del “Flysch del Cilento”Auct. di
maggiore rilievo sono da ricordare quelle del Monte Sacro, del monte Centaurino e
del monte della Stella (Guida et alii.1994); ed inoltre, unità minori come quelle di
Monte Vesole e di Pisciotta-San-Mauro La Bruca e di Santa Marina.
I terreni quaternari sono rappresentati dai depositi detritici presenti in maniera
cospicua al bordo dei massicci carbonatici e soprattutto dai depositi di riempimento
delle piane alluvionali dei principali corsi d’acqua dell’area. Questi terreni hanno nel
complesso una discreta importanza poiché sono spesso dotati di una buona
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permeabilità e soprattutto, oltre ad essere alimentate direttamente dalle acque di
infiltrazione meteorica, sono alimentati dai corpi idrici superficiali fluviali e anche
dalle strutture carbonatiche adiacenti. Tra le unità idrogeologiche di una certa
importanza sono da menzionare quelle costituite dalle coltri di sedimenti alluvionali
presenti nella bassa valle dei fiumi Testene, Arena, Alento, Lambro-Mingardo e
Bussento.
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