5
“Lo scopo di un lavoro storico non è semplicemente quello di
riversare la conoscenza accumulata. Un lavoro storico
dovrebbe essere, piuttosto, un fermento che stimoli il
ragionamento personale del lettore”
3
. Forte di questa
dichiarazione di metodo, tenterò, con questo mio lavoro, di
sottoporre ad analisi alcune interpretazioni di una questione
controversa, affascinante, ricca di molteplici sfaccettature
anche se, purtroppo, ad oggi non molto attenzionata:
l’esistenza di una prassi informativa nella Roma antica.
Date le larghissime odierne applicazioni dei termini quali
“informazione” e “comunicazione”, ritengo opportuno fare
subito una precisazione, definendo entro quali limiti intendo
argomentare la diffusione dell’informazione nel mondo
romano: informazione e comunicazione sono qui assunti
prevalentemente in rapporto a dati conoscitivi relativi al
prodursi di eventi
4
.
3
E.J Bickerman, La cronologia nel mondo antico, Firenze 1963, p. 9.
4
È opportuno sottolineare che le comunicazioni possono essere successive all’evento
(notizie, relazioni, etc.) ma anche anteriori ad esso e tali da condizionarne o determinarne
il prodursi (ordini, istruzioni, etc.). La distinzione, tuttavia, non può essere assunta
6
Lungi dall’attribuire caratteristiche moderne al fenomeno
informativo del mondo romano, scopo di questo lavoro è
quello di situarlo prospetticamente nella profondità del passato
cercando di stare in guardia dal pericolo evidenziato da Proust
nelle ultime pagine del Temps retrouvè:” inserendo nel
presente il passato, tale quale si manifestava nel momento in
cui esso era il presente, si finisce con il sopprimere la grande
dimensione del tempo”
5
.
Questa lontananza del passato non implica tuttavia, a mio
avviso, che tutto il tempo trascorso da allora sino ad oggi sia
come uno spazio vuoto; gli avvenimenti ed i fenomeni studiati
- l’informazione nel nostro caso - non hanno mai cessato di
produrre frutti e conseguenze, dallo spiegare cioè tutta la loro
intrinseca potenzialità, così che noi non possiamo scindere la
rigidamente, in quanto vi sono notizie in grado di determinare esse stesse il prodursi di
eventi, così come, al contrario, molti ordini ed istruzioni veicolano anche una certa
quantità di informazioni. Comunicazione ed informazione possono, a ragione, essere
considerati due concetti distinti della stessa realtà. O. Longo, L’informazione e la
comunicazione, in M. Vegetti (a cura di), Oralità, scrittura, spettacolo, Bari 1987, p. 15;
E. Arielli, G. Scotto, Conflitti e mediazione, Milano 2003, p. 45, propongono un’ulteriore
distinzione tra i concetti di informazione e comunicazione: la comunicazione, a loro
avviso, rappresenta il momento del rapporto tra gli uomini, dello stabilirsi di un contatto;
l’informazione rappresenta, invece, un aspetto particolare della comunicazione, un suo
particolare utilizzo.
5
M. Proust, A la ricerche du temps perdu, 1, Paris 1987, p. 476.
7
cognizione che abbiamo del lontano passato dalla conoscenza
di tutti gli eventi che si sono succeduti fino ai nostri giorni
6
.
Non è ovviamente possibile, né opportuno in questa sede,
analizzare nel dettaglio tutti gli avanzamenti tecnici che hanno
condotto alla creazione dei moderni media ma ritengo
opportuno sottolineare quanto la necessità di informazione da
un lato ed il tentativo compiuto dal potere di orientare
l’opinione pubblica dall’altro, rappresentino delle dinamiche
costanti e pervasive di ogni società, moderna o antica che sia
7
.
Questo lavoro nasce dall’acquisizione di alcune
consapevolezze precise. La prima di esse è che gli studi sulle
culture antiche hanno conosciuto, negli ultimi vent’anni, uno
straordinario rinnovamento che è andato ben oltre la normale,
fisiologica “crescita” delle discipline. Esso ha investito metodi
di indagine, prospettive culturali, il modo stesso di porsi di
6
M. Livolsi, Sociologia della comunicazione, Roma-Bari 2003, pp. 24-26.
7
Per un interessante excursus sulle innovazioni tecnologiche che hanno trasformato in
modo radicale la comunicazione politica e sociale nel corso dei secoli cfr. M.
Tolomelli, Sfera pubblica e comunicazione di massa, Bologna 2006, pp. 28 ss.
Particolare attenzione all’evoluzione della prassi informativa scritta è dedicata da U.
Bellocchi, Storia del giornalismo italiano, Bologna 1974, pp. 19 ss. Per l’analisi delle
strategie con cui vengono prodotti e diffusi i messaggi, specie quando il loro scopo è
influenzare le idee ed i comportamenti dei destinatari cfr. P. Boccia, Comunicazione e
mass media, Bologna 1999, p. 23 ove un brevissimo cenno alle modalità persuasive
tipiche del mondo romano antico.
8
fronte ai problemi della ricerca; è possibile, per certi versi,
parlare di un vero e proprio combattimento tra paradigmi
8
che
ha, nel tempo, condotto a delle inversioni di tendenza. Gli
studi sull’antico si sono liberati da un lato, dall’ingombrante
pregiudizio sulla classicità del loro oggetto che rischiava di
consegnarli “alla quiete di un museo delle forme”
9
sempre
meno frequentato dalle dinamiche culturali del nostro tempo;
dall’altro dal parallelo dominio della filologia antiquaria,
certamente ricca di contributi conoscitivi ma sempre più
ripetitiva e irrigidita nell’ossequio al testo, concepito come
blocco monolitico suscettibile, al più, di descrizione e
restauro
10
.
Liberato il campo da queste ingombranti ipoteche, il territorio
delle culture antiche si è rivelato ricco di nuovi interrogativi e
sfide intellettuali. Lo sforzo di rinnovamento si è mosso lungo
8
Si registrano atteggiamenti diversi rispetto all’antico, variabili secondo le
impostazioni dottrinali, le atmosfere culturali e persino secondo gli individui che si
impegnano nello studio della storia: “Talvolta l’antico è considerato come vecchio, un
passato dimesso e ormai inoperante, inutile e superato, tale da non suggerire
reviviscenze neppure ai gusti e alle mode. La mutevolissima fenomenologia dello
spirito umano si incarica poi puntualmente di ribaltare volta per volta la sentenza
dell’antico come vecchio, riproponendolo come un diverso appetibile”. G. Susini,
Sguardi di memoria, Bologna 1997, pp. 31-32.
9
M. Vegetti, Oralità, scrittura, spettacolo, cit., p. 9.
10
H. Bengtson, Introduzione alla storia antica, Bologna 1990, pp. 213-216.
9
due vettori principali: da un lato l’analisi dei rapporti tra
ambiente sociale e produzione testuale ha sciolto il vincolo
che legava strettamente le produzioni letterarie all’intento
storiografico
11
per approdare ad un’indagine sui nessi tra
istituzioni, propaganda politica, diritto all’informazione e
formazioni di lunga durata quali ideologie, mentalità, saperi,
immaginari condivisi. Dall’altro lato si sono sbloccati i testi
dal loro monumentale isolamento essendo concepiti, in prima
istanza, in qualità di messaggi situati in un contesto
comunicativo che implica l’indagine sulla strategia e la
destinazione del messaggio, sul suo pubblico, sul nesso
strutturale tra forme, contenuti e significati testuali
12
.
Appare dunque evidente lo sforzo di rifuggire dall’errore di
quanti, sostenendo l’esistenza di una consolidata e diffusa
11
Sul nesso tra storia, storiografia e verità cfr. H.I. Marrou, La conoscenza storica,
Bologna 1988, pp. 199-218 ; Bengtson, Introduzione alla storia antica, cit., pp. 102-
123; Ruggini L. (a cura di), Storia antica: come leggere le fonti, Bologna 2000, pp. 9-
32.
12
Marrou, La conoscenza storica, cit., p. 82.
10
prassi informativa nel mondo romano, hanno esagerato
confrontando e confondendo condizioni antiche e moderne
13
.
13
La reazione che tale atteggiamento ha suscitato nelle persone ragionevoli
consisteva in una diffusa diffidenza riguardo l’esistenza di una prassi comunicativa
ed informativa nel mondo romano antico. Cfr. A. Momigliano, Pace e libertà nel
mondo antico, Firenze 1996, p. 4.
11
Introduzione
L’alfabetizzazione come prerequisito all’informazione:
problematiche e dibattiti
L’oralità ha costituito, nella Roma monarchica e nelle prime
fasi dell’età repubblicana, la forma prevalente di
comunicazione e conservazione del ricordo di fatti o
avvenimenti pubblici e privati particolarmente significativi
14
.
Con l’evoluzione storica, tuttavia, non tardò a manifestarsi la
necessità di sperimentare mezzi adeguati per informare il
popolo sulle pubbliche deliberazioni e di conservare traccia
scritta delle convenzioni stipulate con popoli stranieri, o di atti
negoziali intervenuti tra privati cittadini
15
.
14
Nel campo del diritto, per esempio, ancora nella prima età repubblicana si faceva
ricorso a complessi riti orali improntati ad una formale e rigida gestualità preordinata.
Cfr. A. Guarino, Storia del diritto romano, Napoli 1981, p. 288-291; M. Albana, I
luoghi della memoria in età repubblicana: templi e archivi, in Annali della Facoltà di
Scienze della Formazione, 2, 2004, p. 9.
15
G. Lanata, Vicende storiche del diritto romano, in S. Settis (a cura di), Civiltà dei
romani. Un linguaggio comune, Milano 1993, pp. 83-92, seppur riconoscendo gli
invalicabili limiti di una trattazione esaustiva del millenario diritto romano, traccia un
interessante excursus storico che, partendo dalle solenni pronunce regali (leges regiae)
arriva sino al codice giustinianeo. In merito cfr. F. De Martino, Storia della
Costituzione romana, 1, Napoli 1972, pp. 46 ss; di estrema rilevanza anche la
schematica sintesi proposta da Guarino, Storia del diritto romano, cit., pp. 663-679.
12
Seppure risulti oltremodo difficile cogliere con esattezza il
momento del passaggio dalla fase caratterizzata dall’oralità
imperante alla redazione di documenti scritti, sembra che il
processo, frutto di una lenta e spontanea evoluzione, sia stato
favorito da una realtà quotidiana proclive alla scrittura più di
quanto si sia abitualmente portati a credere
16
.
Tracciare una storia correlata di alfabetismo e circolazione
delle notizie nella civiltà romana significa indagare alcune
questioni di fondo relative, in primo luogo, alla quantità di
individui capaci di adoperare attivamente i segni dell’alfabeto
e di intenderne il significato in quanto destinatari di prodotti
grafici
17
.
16
Sul progressivo tramonto della ritualità orale in favore della documentazione scritta e
sulle caratteristiche sociali che hanno favorito – se non determinato – il processo cfr. S.
Riccobono, Lineamenti della storia delle fonti e del diritto romano, Milano 1949, pp.
161 ss.
17
La problematicità del nesso tra alfabetizzazione e possibilità di informazione è stata
al centro di numerose riflessioni di G. Cavallo: Alfabetismo e cultura scritta nella
storia della società italiana, Quaderni storici, 38, 1978, p. 27 ss ; Dal segno
incompiuto al segno negato. Linee per una ricerca su alfabetismo, produzione e
circolazione del testo in Italia, in Alfabetismo e cultura scritta nella storia della
società italiana, Atti del seminario di Perugia, Perugia 1978, p. 63 ss.;
Alfabetizzazione e circolazione del libro, in Vegetti, Oralità, scrittura, spettacolo, cit.,
p. 166 ss..; Gli usi della cultura scritta nel mondo romano, in Princeps urbium: cultura
e vita sociale dell’Italia romana, Milano 1991, p. 171-172. Degno di nota, inoltre, il
contributo di J. Poucet, Réflexions sur l’écrit et l’écriture dans la Rome des premiers
siècles, Latomus, 48, 1989, pp. 308-309.
13
Di fatto si hanno, su questa materia, valutazioni divergenti: se
fino ad un passato ancora relativamente recente di rado ci si
poneva il problema delle modalità di ricezione del testo presso
il pubblico romano
18
, gli studiosi contemporanei hanno
problematizzato ed affrontato con maggiore spirito critico la
questione sebbene tale tipo di indagine urti contro la
fondamentale carenza di congrua documentazione sulla
produzione e circolazione delle notizie nella Roma antica, sui
canali utilizzati, sui peculiari caratteri contenutistici e
materiali, sul tipo di pubblico cui le informazioni erano
destinate.
Appare evidente, dunque, la necessità di affrontare la
problematica della circolazione delle informazioni, senza
avere la pretesa di risolverla, conducendo una ricerca
strettamente vincolata ed indissolubilmente legata alle
18
Non di rado si riteneva, perlopiù tacitamente, che le condizioni della comunicazione,
almeno a partire dell’età di Cicerone, fossero simili a quelle moderne. In qualità di
esempio di tale ottica deformante è possibile citare la posizione di Weeber, Vita
quotidiana, cit., p. 34. L’autore ritiene plausibile l’ipotesi secondo la quale la
maggioranza assoluta della popolazione sapesse leggere, scrivere e far di conto. In
netto contrasto con l’opinione di Weeber si pongono B. Breveglieri, Esperienze di
scrittura nel mondo romano, S&C, 7, 1985, p. 24; C. Salles, La lettura nella Roma
antica, Milano 2004, p. 110; A. Arslan, La parola delle immagini e delle forme di
scrittura. Modi e tecniche della comunicazione nel mondo antico, CR, 49, 1999, p. 258.
14
testimonianze disponibili dirette (epigrafi, graffiti,
manoscritti) ed indirette (affidabili ricostruzioni letterarie,
materiale figurativo)
19
.
Va ricordato, inoltre, che la disuguaglianza spaziale e
temporale degli stessi lasciti testimoniali condiziona
l’approccio, rendendo frammentaria e non comparabile ogni
indagine che si fondi su dati particolari e circoscritti. E, perciò
stesso, rischiosa ogni ricostruzione che nutra la pretesa di
porsi in qualità di esaustiva raffigurazione d’insieme o
deduzione di carattere generale
20
.
Non è altresì possibile omettere un ulteriore elemento di
problematicità: il fatto che le fonti a noi pervenute siano in
19
Per un’accurata analisi della distinzione tra fonti di cognizione dirette o indirette cfr.
Guarino, Storia del diritto romano, cit., pp. 539-563. Secondo l’autore le fonti di
cognizione primarie (o dirette) sono quelle di cui si sa o si ha plausibile ragione di
ritenere che riproducano fedelmente, senza elaborazioni e deformazioni di alcun
genere, lo stato della pratica informativa. Le fonti di cognizione secondarie (o indirette)
sono invece quelle che ci forniscono delle elaborazioni della situazione vigente in
quell’epoca, ed impongono dunque una ricostruzione induttiva ed indiziaria di essa.
Degno di nota anche il punto di vista di Bengston, Introduzione alla storia antica, cit.,
p. 90, il quale suddivide le testimonianze scritte in due classi: da una parte le opere
della tradizione fissata, sotto cui si comprendono soprattutto le antiche opere di storia
ma, a partire da queste, in senso lato tutto ciò che appartiene alla letteratura; dall’altro il
materiale primario, documenti, lettere, orazioni che trattano direttamente gli
avvenimenti storici, testi diversi cioè dalle opere storiche, che al contrario sarebbero da
definire riflessi degli accadimenti storici, visti attraverso gli occhi dell’osservatore
antico. Lo stato frammentario della tradizione antica nel suo complesso obbliga il
ricercatore ad avvalersi, per lo svolgimento del suo compito, accanto al materiale
primario, anche dei monumenti letterari in poesia e prosa.
20
Cavallo, Alfabetismo e circolazione del libro, cit., pp. 166 ss.
15
prevalenza costituite da prodotti grafici ufficiali, dunque
caratterizzate da forte connotazione istituzionale, limita il
significato socioculturale delle stesse ai soli aspetti funzionali
ai valori ed alle prospettive dei ceti dominanti; deriva da qui
l’importanza delle testimonianze prodotte dalle classi
subalterne
21
o ad esse indirizzate, le quali, ove disponibili,
21
S. Giorcelli Bersani, Epigrafia e storia di Roma, Roma 2005, pp. 169-203 suggerisce
la necessità di usare con molta cautela l’espressione “classi subalterne”, evitando di
identificare la locuzione con il concetto di povertà. Lungo il corso di tutta la loro storia
i Romani formularono una rappresentazione della loro società che appare caratterizzata
da una costante ripartizione in due realtà: da un lato l’aristocrazia e dall’altra la massa
di tutti coloro che si collocavano nelle altre fasce sociali. I primi erano tutti coloro che,
appartenendo ai ceti dirigenti, godevano di buona reputazione, prestigio, potere e
ricchezza; il loro rango sociale dipendeva essenzialmente dall’elevata condizione
censitaria, acquisita per nascita oppure, più raramente e più avanti nel tempo, per meriti
specifici in campo finanziario, militare, imprenditoriale. I secondi costituivano la
massa numericamente più consistente della società e appartenevano a strati diversi
della gerarchia socio-economica, dai livelli più modesti dei proletari urbani nullatenenti
sino a diverse categorie di cittadini benestanti ma non in grado di conseguire il censo
necessario per accedere agli ordini superiori: l’elemento che li accomunava,
indipendentemente dalla grande varietà di posizioni reddituali, era la loro esclusione
dalle cariche di governo e quindi il loro scarso peso politico, che li riduceva a massa
indistinta priva di forza decisionale. L’apparente rigidità di tali distinzioni si coniugava
però con una forte mobilità favorita da diversi fattori: la flessibilità ed eterogeneità dei
ceti, la non coincidenza fra condizione sociale e giuridica consentivano, così come
testimoniato da numerose fonti epigrafiche, rapidi e frequenti percorsi di ascesa sociale
che conducevano gli individui dai livelli più bassi della gerarchia fino a posizioni di
prestigio. È proprio dentro questa cornice che si dispiega la finalità della scrittura,
soprattutto di quella esposta, da intendere come strumento di autoaffermazione sociale
e di pubblica notifica della propria storiografia. La condizione sociale definibile
“media” appariva, nella realtà romana, assai transitoria: ogni individuo tendeva a
vivere la propria condizione come temporanea, nella prospettiva più o meno realistica
di un miglioramento. La vivacità sociale si manifestava altresì nella diffusa presenza di
processi di imitazione culturale che implicava, nella grande maggioranza dei casi, la
tendenza ad appropriarsi dei mezzi comunicativi propri dei ranghi più elevati. Per
un’accurata analisi della vivacità che caratterizzava il consesso sociale romano cfr. G.
Alfödy, Storia sociale dell’antica Roma, Bologna 1987, pp. 172-196; J. Michelet,
Storia di Roma, Rimini 2002, pp. 311-324.
16
documentano un uso non strettamente istituzionalizzato della
lingua scritta
22
.
Risulta allora fondamentale chiedersi quante persone
sapevano leggere e quante sapevano scrivere nel mondo
romano, senza trascurare la collocazione sociale degli
individui stessi e la funzione assolta da ciascun tipo di notizia
nell’ambito socio-culturale che ne determina il processo di
produzione, inteso, a sua volta, come complesso di scelte
ideologiche ed economiche nonché di meccanismi e strumenti
tecnici atti a realizzarlo
23
.
Questi interrogativi, apparentemente semplici, sono alla base
di numerosi studi e controversie ad oggi irrisolti: alcuni storici
ritengono che, pur ammettendo una non elevata percentuale di
persone che sapevano scrivere correntemente, risulta difficile
confutare l’ipotesi che un elevato numero di persone fosse in
grado di leggere, pur se con difficoltà, computando lettera
22 Per un elenco delle funzioni assolte dalla scrittura nell’ambito della vita quotidiana
cfr. Harris, Lettura e istruzione, cit., p. 32; Interessanti anche le considerazioni di
Poucet, Réflexions sur l’écrit, cit., pp. 308-309; Cavallo, Gli usi della cultura scritta,
cit., pp. 171-172; Id, Alfabetismo e cultura, cit., p. 26.
23
Cavallo, Alfabetismo e circolazione del libro, cit., pp. 166 ss.
17
dopo lettera: se così non fosse, si chiedono, perché la scrittura
sarebbe stata tanto diffusa nel mondo romano da costituire uno
degli elementi caratterizzanti della società di quel periodo
24
.
Parere diametralmente opposto viene invece espresso da
quanti ritengono che la capacità di leggere e scrivere fosse
estremamente rara e comunque circoscritta a ristretti e
determinati ambiti socio-culturali
25
.
Da un punto di vista teorico è possibile tracciare, per ogni
società in possesso di un insieme simbolico ordinato definibile
scrittura, una linea di demarcazione che separi la parte
alfabetizzata della popolazione da quella non alfabetizzata.
Com’è ovvio, qualsiasi definizione di alfabetismo che tracci
una tale linea contiene inevitabilmente un elemento arbitrario
24
In qualità di espressione di tale corrente di pensiero cfr. A. Donati, Epigrafia
romana. La comunicazione nell’antichità, Bologna 2002, p. 8; S. Giorcelli Bersani,
Epigrafia e storia di Roma, cit., p. 12; R.H. Barrow, I Romani, Milano 1962, p. 112.
25
Inizialmente l’uso della scrittura risulta riservato, in Grecia come a Roma,
prevalentemente all’ambito politico, religioso ed economico: le funzioni
dell’alfabetismo, già chiare ad Aristotele, vennero, infatti, celebrate da Diodoro in un
suggestivo elenco dal quale traspare la consapevolezza della complessità di utilizzo di
un testo scritto. Arist. Pol. 8. 3. 10-12; Diod. 12.13. Sull’argomento cfr. Harris, Lettura
e istruzione, cit., p. 30; M. Cristofani, Rapporto sulla diffusione della scrittura
nell’Italia antica, S&C, 2, 1978, pp. 15 ss; Poucet, Réflexions sur l’écrit, cit., p. 308.
Degna di nota anche la posizione assunta da G. Susini, Le scritture esposte in G.
Cavallo-A. Giardina, Lo spazio letterario di Roma antica, 2, Roma 1989, pp. 271-305:
l’autore ritiene che nella maggioranza dei casi un “esegeta” o un qualsiasi “letterato”
leggesse, riassumesse e spiegasse i testi ad un pubblico sostanzialmente analfabeta.
18
e nessuna particolare formulazione è riuscita ad imporsi sulle
altre: storici e sociologi hanno, nel tempo, adottato diverse
definizioni di alfabetizzazione ed ognuno ha addotto diversi
criteri di demarcazione che si sono rivelati, alla luce delle
moderne cognizioni, più o meno fondati
26
.
Alcuni studiosi hanno considerato la capacità di scrivere il
proprio nome come il fondamentale, se non il solo, criterio di
alfabetizzazione nonostante il fatto che i soggetti per cui la
firma rappresentava l’unica prestazione scritta fossero
evidentemente esclusi dalla maggior parte dei vantaggi offerti
dalla scrittura e dalla lettura
27
.
Altri storici hanno invece definito l’alfabetizzazione facendo
riferimento alla capacità di leggere, di norma più diffusa della
capacità di scrivere
28
.
26
Interessanti studi sulla nozione di alfabetizzazione sono stati condotti da A. Petrucci,
Per la storia dell’alfabetismo e della cultura scritta: metodi, materiali, quesiti,
Quaderni storici, 38, 1978, pp. 451-465.
27
Per un’argomentazione a favore dell’ipotesi di uno stretto rapporto fra la capacità di
apporre la propria firma e quella di leggere e scrivere in senso più ampio, si veda F.
Furet, W. Sachs, Annales, E.S.C., 29, 1974, pp. 715-721.
28
G. Colonna, La diffusione della scrittura in M.O. Acanfora (a cura di), Civiltà del
Lazio primitivo, Roma 1976, pp. 372-376; Cristofani, Rapporto sulla diffusione della
scrittura, cit., pp. 5-33; B. Breveglieri, Esperienze di scrittura nel mondo romano, cit.,
pp. 35-42.