CAPITOLO I – SUCCESSIONE MORTIS CAUSA E PATTO DI FAMIGLIA
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La designazione di vari soggetti, fatta - a seconda dei casi - dal
legislatore o dal de cuius, che abbiano il diritto di assumere la posizione di
erede risponde, primariamente, all’esigenza di evitare che il patrimonio
rimanente del de cuius diventi una res nullius, col conseguente disordine e
dispersione dei rapporti giuridici sottostanti al patrimonio, violando così
uno degli obiettivi legislativi di certezza e ordine dei rapporti giuridici.
1
Partendo dal dato di fatto che è inevitabile la morte delle persone fisiche,
l’ordinamento sente l’esigenza di dare un assetto a quei rapporti giuridici
che invece non si estinguono con la fine del loro titolare; scopo del diritto
successorio è appunto quello di stabilire i criteri per la designazione dei
successibili affinché assumano la stessa posizione giuridico – patrimoniale
del precedente titolare.
L’idea per cui un soggetto successibile debba sempre esservi per
raccogliere l’eredità, non comporta comunque necessariamente che i
soggetti, designati dal testatore o dalla legge come successibili, abbiano
l’obbligo di succedere; salvo casi particolari, i designati sono infatti liberi di
rinunziare all’eredità loro devoluta, aprendo la strada a quelli designati in
subordine; in mancanza, è successibile lo Stato che non potrà mai
rinunziarvi (ex art 586, primo comma, cod. civ.).
Nel fenomeno della successione mortis causa entrano in gioco anche altri
interessi meritevoli di tutela: emerge qui la valorizzazione del vincolo
familiare, che trova espressione maggiore nella fattispecie della successione
1
Se infatti i rapporti giuridici del de cuius si estinguessero con la sua morte, si creerebbero delle
situazioni paradossali: si pensi all’ipotesi di un’ingente debito del de cuius con un suo creditore,
che se così fosse non potrebbe più essere adempiuto.
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necessaria (per la quale, come si dirà, la sua attualità è molto discussa) ma
anche nel fenomeno della successione legittima
2
, oltre che nell’istituto
stesso del testamento
3
. In particolar modo, con la riforma del diritto di
famiglia si è voluto dare attuazione effettiva ai principi costituzionali in
merito alla parità tra coniugi e tra figli legittimi e figli naturali, e ciò ha
avuto ripercussioni anche (e soprattutto) sul piano del diritto successorio:
l’attuale considerazione legislativa della famiglia come insieme di soggetti
ai quali spettano (tra gli altri) diritti a causa della morte di un loro membro,
è sicuramente diversa da come lo era in passato, e ciò è stato ulteriormente
rafforzato dalla Novella del 1975 dalla quale emerge una considerazione di
famiglia nel senso di assicurare ai suoi componenti, mediante il diritto
successorio, i bisogni della vita.
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Da ultimo, un altro grande interesse sotteso al fenomeno successorio si
ricollega alla tutela della proprietà privata. La successione mortis causa è
infatti, ex art 922 cod. civ., uno dei modi di acquisto della proprietà, a titolo
derivativo; consente infatti la perpetuazione della ricchezza ed è per questo
motivo che la Costituzione stessa, riconoscendo all’art 42 Cost. il diritto di
proprietà privata, riconosce anche la vicenda successoria mortis causa di
2
Il legislatore designa infatti come soggetti successibili, qualora non vi sia il testamento, persone
fisiche legate dal vincolo familiare, secondo quanto stabilito dagli art 565 ss cod. civ.
3
Tra i molteplici interessi sottesi all’istituto del testamento vi rientra infatti, sicuramente, quello di
enucleare un atto di ultima volontà nel quale riaffiorino quei sentimenti umani che trovano
espressione maggiore, sicuramente, all’interno del nucleo familiare
4
I tratti più significativi e innovatori della Novella del 1975, in ambito ereditario, sono: la
parificazione effettiva tra discendenti legittimi, naturali e adottivi (salvo il diritto di commutazione
a favore dei figli legittimi); l’inclusione tra gli eredi del coniuge superstite (mentre prima poteva
godere di un mero usufrutto c.d. uxorio su una quota di eredità); il venir meno di ogni distinzione
basata sul sesso.
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tale diritto, demandando al legislatore ordinario il compito di stabilire i
limiti della successione legittima e testamentaria (art 42 ult. comma Cost.).
In quest’ottica, dunque, la trasmissione dei beni mortis causa consente di
indirizzare a certi soggetti i diritti che il de cuius abbia acquistato in vita,
consentendo altresì di valorizzare quel bisogno affettivo di trasmettere certi
beni ai soggetti cari e ai prossimi congiunti, con ciò ricollegandosi a quanto
detto sopra in merito alla valorizzazione nella successione a causa di morte
del vincolo familiare.
2. La successione necessaria: cenni e rinvio
Nel paragrafo precedente si è accennato al fenomeno della successione
necessaria, laddove l’art 457 ult. comma cod. civ. prevede che “le
disposizioni testamentarie non possono pregiudicare i diritti che la legge
riserva ai legittimari”. Con tale assunto il legislatore designa questa
particolare fattispecie successoria, caratterizzata dal sottentrare, nell’eredità
di una persona, dei cd legittimari, cioè di quei soggetti ai quali la legge
riserva intangibilmente una quota di eredità, garantendoli dalle disposizioni
eventualmente lesive di tale “riserva” poste dal de cuius. La successione
necessaria ha funzione correttiva e limitatrice di quella testamentaria, e
interviene solo in via eventuale (qualora appunto il testatore abbia leso la
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riserva di eredità stabilita dalla legge), e non quindi in via sussidiaria, come
nel caso della successione legittima
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.
Ecco quindi che nel disegno legislativo della vicenda ereditaria emerge in
modo chiaro il rapporto tra le tre diverse fattispecie successorie : al centro
del sistema viene posta quella testamentaria, essendo l’istituto del
testamento espressione suprema della volontà del defunto; quella legittima
supplisce (o integra) la carenza di quella testamentaria, nel senso che la
relativa normativa avrà efficacia solo e soltanto in mancanza di disposizioni
di ultima volontà o in caso di lacunosità delle stesse, mentre quella
necessaria corregge quella testamentaria qualora quest’ultima leda i diritti
che spettano ai soggetti legittimari riconosciuti dal legislatore.
La ratio della successione necessaria nel nostro ordinamento risponde a
diversi interessi e la sua attualità alla luce del sistema odierno e, in
particolar modo, dopo l’introduzione della L. 14 febbraio 2006 n. 55, verrà
analizzata infra (sez. 2 par 3).
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In materia si veda, per tutti, MENGONI, La successione necessaria, Padova, 1999, passim.
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SEZIONE II
SUCCESSIONE MORTIS CAUSA E PASSAGGIO
GENERAZIONALE DELLA RICCHEZZA
SOMMARIO: 1. Il problema del passaggio generazionale della
ricchezza - 2. (segue) Forme alternative al testamento e negozi
connessi alla morte della persona. – 3. Successione necessaria e
passaggio generazionale della ricchezza – 4.(segue) Tutela della
continuità patrimoniale vs tutela della famiglia. - 5. (segue) Le
proposte di riforma.
1. Il problema del passaggio generazionale della ricchezza
Le esigenze che stanno alla base della vicenda “successione mortis causa”
sono del tutto indifferenti alla natura dei beni che compongono l’asse
ereditario, in quanto si informano a principi quali l’unità della successione e
l’eguaglianza qualitativa e quantitativa delle quote che spettano agli eredi.
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Da sempre la dottrina ha cercato di porre in luce strumenti negoziali
che siano in grado di fornire una valida alternativa alla delazione
testamentaria, fino all’eventualità di una riscrittura dell’art 457 cod. civ.
(che limita alla legge e al testamento le uniche possibilità di delazione
ereditaria) nonché del successivo art 458 cod. civ., che contiene il cd divieto
del patto successorio, inteso come divieto dello strumento contrattuale a
poter regolare le vicende successorie (vedi infra, sez. III).
Il regime successorio nel nostro sistema, risponde, come si è già
accennato nel paragrafo precedente, alla necessità di assicurare il
mantenimento della ricchezza familiare all’interno del nucleo familiare
stesso, garantendo quindi il passaggio generazionale della ricchezza.
Tuttavia non garantisce né la conservazione dell’unità del patrimonio, né
tanto meno la destinazione economica dei beni che ne fanno parte:
necessità, questa, rinvenibile invece in forme alternative al regime
successorio costituito dal binomio legge-testamento. L’esigenza dei
consociati è infatti quella di anticipare con atti tra vivi la regolamentazione
della successione, senza attendere la morte del disponente e la
pubblicazione del testamento.
Ciò che infatti preoccupa maggiormente un soggetto che deve decidere a
chi affidare le proprie ricchezze, è dato dalla necessità di individuare
dapprima cosa trasferire (semplici valori non patrimoniali, valori
patrimoniali, l’impresa), in seguito a chi trasferire: garantire quindi un
passaggio generazionale che non diventi strumento che possa portare
addirittura, nelle ipotesi più estreme, al collasso della governance familiare,
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ma al contrario che possa garantire un approccio graduale e strutturato al
nuovo assetto proprietario, un passaggio che riesca a trasmettere da un lato i
valori (economici e non) della famiglia, dall’altro che sappia gestire gli
inevitabili momenti di crisi. Tale esigenza necessita pertanto di un piano di
successione, inteso come pianificazione del processo di transizione
generazionale: suo scopo è quello di guidare la famiglia (intesa come
proprietaria di una certa ricchezza) verso la nuova generazione, stabilendo
un insieme di principi generali e di affermazioni comuni a cui i membri
della famiglia sono invitati a fare riferimento.
Sotto questo punto di vista, schemi alternativi al testamento
potrebbero ben sposare questa necessità, e in particolar modo l’apertura
all’autonomia privata potrebbe garantire una maggiore elasticità e
flessibilità della delazione ereditaria e una maggiore rispondenza quindi alle
necessità di trasmissione generazionale del singolo patrimonio, garantendo
al contempo sia l’unità di esso (evitando che venga diviso tra i magari
numerosi eredi), sia la destinazione economica che di esso si era prefigurato
il de cuius: obiettivi, questi, che allo stato attuale del sistema ereditario non
possono essere raggiunti, da un lato per la presenza dell’istituto della
successione necessaria, dall’altra a causa del divieto dei patti successori ex
art 458 cod. civ., che limitano considerevolmente la possibilità di una
composizione degli interessi del de cuius durante la sua vita.
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2. (segue) Forme alternative al testamento e negozi connessi alla morte
della persona
La difficoltà nel nostro sistema di creare in vita una pianificazione
ereditaria, ha portato la prassi e la dottrina a individuare strumenti che
permettano di conciliare il necessario ricorso all’autonomia privata (per
programmare la propria successione), con le difficoltà che ad essa si
pongono dovute all’istituto della successione necessaria e soprattutto al
divieto dei patti successori.
Tra i negozi finalizzati al mantenimento della destinazione
economica dei beni, continuano a trovare rilievo nella prassi
giurisprudenziale le clausole di consolidamento e di continuazione, relative
alla trasmissione ereditaria di quote di partecipazione sociale: in particolare
la clausola statutaria che attribuisce ai soci superstiti di una società di
capitali, in caso di morte di uno di essi, il diritto ad acquistare dagli eredi
del de cuius le azioni già appartenute a quest’ultimo e pervenute agli eredi
per mezzo della successione. La giurisprudenza ha ritenuto legittime siffatte
clausole, in quanto il vincolo che ne deriva a carico dei soci avrà effetto
soltanto dopo che si sia verificata la vicenda successoria e dopo che le
azioni sono state trasferite (per legge o testamento) agli eredi del socio
defunto, non violando così il divieto dei patti successori.
6
.
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Tra le decisioni di legittimità, cfr Cass. 18 dicembre 1995, n. 12906, in Giust. Civ., 1996, I, 2647;
e, soprattutto, Cass. 16 aprile 1994, n. 3609 in Giur. Comm. , 1996, II, 217; Tra la giurisprudenza
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L’esigenza di determinare il destino dei propri beni dopo la morte
non solo per testamento, ma anche per atto tra vivi, ha imposto di utilizzare
in funzione successoria altri istituti del nostro ordinamento. E’ il caso della
fondazione di famiglia di cui all’art 28 ult. comma cod. civ.: si costituisce
una persona giuridica (la fondazione), a cui viene trasferita la ricchezza
familiare; lo scopo di garantire l’unitarietà del patrimonio e la destinazione
economica dei beni viene così realizzato mediante il passaggio
generazionale del controllo dell’ente, e non tramite la successione mortis
causa.
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Un’operazione del genere, che persegua intenti mantenitori del
patrimonio familiare utilizzando una separazione del patrimonio stesso, può
realizzarsi anche con lo strumento del trust, destinato appunto a soddisfare
la richiesta di pianificazione successoria all’interno della famiglia. Il nostro
ordinamento ha conosciuto l’ingresso del trust mediante la ratifica con L.
16 ottobre 1989 n. 364 della Convenzione internazionale firmata a L’Aja
l’1 luglio 1985: tale istituto, tipico del diritto anglosassone, consente che
determinati beni vengano intestati, da parte del costituente il trust, a un
fiduciario (c.d. trustee), al quale spetta il potere – dovere di amministrarli,
gestirli e disporli, secondo le istruzioni del costituente, nell’interesse del
beneficiario. Il trust non è un ente giuridico come la fondazione, ma un
patrimonio separato basato sulla fiducia, che è opponibile anche a terzi.
di merito, in questo senso, App. Milano, 30 marzo 1993, in Giur. It., 1994, I, 2, 352; App..
Bologna, 23 ottobre 1996, in Giur. Comm., 1997, II, 730.
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IUDICA, Fondazioni, fedecommmesserie, trusts e trasmissione della ricchezza familiare, in
AAVV, La trasmissione familiare della ricchezza. Limiti e prospettive di riforma del sistema
successorio, Padova, 1995, 97.
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Tale istituto tuttavia non impedisce in ogni caso l’esercizio delle azioni
poste a tutela dei legittimari, nei casi in cui i beni facenti parte del trust si
trovano in Italia e/o in Italia vi risiedano i soggetti legittimari
8
.
Nell’ottica della ricerca di istituti alternativi al testamento, occorre
poi sottolineare come la dottrina
9
, spesso avallata dalla giurisprudenza,
abbia fatto costantemente riferimento ai c.d. negozi post mortem come
alternative negoziali private per regolare la vicenda successoria.
I negozi connessi alla morte di una persona, definiti anche contratti
post mortem, si distinguono dai negozi mortis causa (vietati) e dal
testamento perché si tratta di negozi destinati a produrre effetti con la morte
di una persona, ma che non regolano la successione di un soggetto, cosa che
invece fa il testamento: l’evento morte è dunque, in questi casi, semplice
modalità accessoria e non elemento causale delle attribuzioni.
Questi strumenti ben potrebbero realizzare quelle necessità di
flessibilità ed elasticità di cui si diceva, in quanto regolamentano quegli
spazi che spesso vengono lasciati scoperti dal testamento
10
, consentendo di
soddisfare meglio le esigenze del soggetto disponente.
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Sul rapporto tra trust e patto successorio, si veda LUPOI, “Trusts e successioni mortis causa”, in
Jus, 1997, 279 ss; P. PICCOLI, “Trusts, patti successori, fedecommesso”, in Vita not., 1996, 1591.
9
Vedi PALAZZO, Negozi trans mortem e donazioni indirette nella dottrina civilistica del secondo
dopoguerra, in Scritti in onore di Angelo Falzea, Milano, 1991, t. II, p. 656; GIAMPICCOLO, Il
contenuto atipico del testamento. Contributo ad una teoria dell’atto di ultima volontà, cit.; PENE
VIDARI, Patti successori e contratti post mortem, in
www.jus.unitn.it/cardozo/Review/Contract/fvp.htm, 6.
10
Il quale si limita a prevedere la possibilità di nomina di erede e/o legatario, ma non dà la
possibilità d i regolare situazioni che nel caso concreto possono rivelarsi particolarmente
complesse.