4
soprattutto dal punto di vista del ciclo economico e della modernizzazione
sociale e culturale, ma anche l’inizio di una nuova fase per quanto riguarda la
mentalità, la coscienza, e la globalizzazione delle nuove generazioni”
2
. Un
evento importante, dunque, generalmente trascurato, come avviene del resto,
per la Storia della seconda metà del ‘900, dall’insegnamento nelle scuole
superiori.
Ritengo per di più, che il Sessantotto abbia anche una rilevanza
educativa, nel senso che protagonista di quel momento è stato il mondo
giovanile che in quell’anno ha acquisito una coscienza critica, infatti è solo a
partire dal ‘68 che la storia dei giovani “sembra acquistare una dimensione
propria, autonoma, che permette di fondare, la categoria gioventù come sog-
getto del processo storico”
3
.
E proprio ai giovani studenti vorrebbe rivolgersi l’esito finale di questa
tesi, con la realizzazione di uno strumento utile per lo studio della Storia del
’68, che può aiutarli a capire un passaggio fondamentale della nostra storia
recente e che contraddistingue il nostro presente.
Per la realizzazione della tesi, devo ringraziare il Laboratorio Nazionale
per la Didattica della Storia (LANDIS) e l’istituto Parri, dove ho compiuto le
ricerche, ed in particolare la dottoressa Cinzia Venturoli, del Centro
Documentazione storico-politica sullo stragismo, per la preziosa
collaborazione.
La tesi è così strutturata: il primo capitolo è dedicato alla storiografia sul
Sessantotto, ovvero riflette su come l’evento ’68 è esaminato nelle varie
“Storie dell’Italia repubblicana”, nella saggistica e negli articoli delle riviste
specializzate, cercando di cogliere l’evoluzione del dibattito storiografico.
Il secondo capitolo comprende alcune riflessioni teoriche
sull’insegnamento della Storia contemporanea; si parte da una riflessione
sull’identità della Storia contemporanea, per passare alle difficoltà legate al
suo insegnamento, in primo luogo la scarsa motivazione allo studio di
quest’ultima da parte dei giovani che sembrano vivere in un “presente
2
M. Flores, A. De Bernardi, Il Sessantotto, Bologna, Il Mulino, 1998, pag.8.
3
M. Flores, A. De Bernardi, op.cit., pag.9.
5
continuo” privato del passato. Tema, quello del rapporto dei giovani con la
storia e la memoria che ho affrontato nello specifico successivamente, fino a
valutare diverse possibili strategie didattiche per l’insegnamento.
Il terzo capitolo inizia ad esaminare gli “strumenti didattici” utilizzabili
per l’insegnamento della Storia, in primo luogo i manuali di scuola media
superiore. Qui sono analizzati tre manuali (“La Storia-Rete e Nodi”, “I fili
della memoria” e “Codice Storia”), dal punto di vista generale e sotto il profilo
della trattazione del Sessantotto. In particolare, si osserva come e quanto
spazio è dedicato al ’68 nel volume, quali cause e quali conseguenze
comporta, se c’è un tentativo di ricostruzione e interpretazione storica
complessiva.
Il quarto capitolo esamina strumenti didattici, sul Sessantotto, differenti
dal manuale: nello specifico vengono analizzati un “modulo didattico”, un
“ipermedia”
4
su Cd Rom ed infine alcune esperienze didattiche di scuole
superiori che hanno compiuto dei laboratori sul ’68.
Infine nel quinto capitolo, ho realizzato un “dossier didattico” sul ’68,
strutturato in una “rete” di paragrafi utilizzabili per spiegare le cause, lo
svolgimento e gli esiti della vicenda da un punto di vista sia nazionale sia
internazionale, al quale segue un ampia raccolta di documenti scritti e iconici,
di musiche e filmati sul tema, che i docenti potranno scegliere in base a quanto
emerso dal questionario proposto inizialmente, ai bisogni degli studenti, al
tempo disponibile e agli obiettivi didattici progettati.
Seguono un “percorso didattico” di conoscenza del ’68 attraverso la
musica, un glossario con “parole” del ’68 ed una cronologia.
Il capitolo finale si è prestato anche alla realizzazione di un “ipermedia”
su Cd Rom, che allego alla tesi. Esso contiene i testi dei paragrafi e dei
documenti che fanno parte dell’ultimo capitolo più le fotografie, i volantini, i
filmati e le canzoni che in supporto elettronico hanno il massimo della
versatilità.
4
Un insieme di materiali (testi, disegni, filmati, animazioni, musiche) organizzati in forma
associativa, e non sequenziale-lineare, secondo il paradigma ipertestuale, ovvero un testo
che possiede una “struttura – rete” fruibile in diversi e molteplici modi, a seconda delle
scelte di chi lo utilizza.
6
L’ipermedia è, infatti, uno strumento didattico moderno e flessibile che
permette al docente di progettare percorsi specifici, partendo dalla
contemporaneità per suscitare un interesse e una sensibilizzazione dell’allievo
all’argomento, sviluppi quindi il tema storico passato, per terminare con un
ritorno al presente in cui ci sia una conoscenza e una consapevolezza storica
sul Sessantotto.
7
Capitolo primo
BILANCIO DELLA STORIOGRAFIA SUL 1968
1.1- Il ’68 nelle storie dell’Italia repubblicana.
In questo capitolo iniziale propongo una rapida panoramica di come
l’evento “1968” trovi spazio nelle varie “storie d’Italia” dalla Repubblica
fino ai nostri giorni
5
.
Nella seconda metà degli anni ‘70, nuovi contributi storiografici davano
il via ad una prima sistematica critica delle vicende storico-politiche
dell’ultimo trentennio, grazie all’idea che un’intera fase storica, iniziata con la
caduta del fascismo e la nascita del regime repubblicano sotto l’egemonia del
partito cattolico, sembrava chiudersi per lasciare il posto ad un profondo
cambiamento del paese
6
.
In quegli anni infatti la situazione economica stava diventando sempre
più difficile. Dopo la crisi petrolifera del ’73 ci fu un forte rialzo dei costi di
produzione e, conseguentemente, una diminuzione delle possibilità di vendita
dei nostri prodotti sui mercati esteri; ne derivò che molte imprese furono
costrette a interrompere ogni attività e a licenziare gli operai. La mancata
vendita delle merci italiane sui mercati stranieri aumentò il deficit della
bilancia dei pagamenti, proprio mentre il crescente disavanzo dell’industria
pubblica costringeva le casse dello Stato a pesanti esborsi di denaro in perdita,
cui si cercava di far fronte o aumentando le richieste di prestiti ai cittadini
attraverso l’emissione di sempre più consistenti quantità di “Buoni del tesoro”
(Bot) ad alti tassi di interesse, oppure ordinando l’emissione di nuova
5
Particolarmente significativi in questo senso sono i lavori di Marco Scavino, Il ’68 nella
storia dell’Italia repubblicana. Una rassegna critica, in “Per il Sessantotto”, 1995, n.8 e di
Enzo Santarelli, Il Sessantotto nella storia d’Italia, in “Per il Sessantotto”, 1995, n.8.
6
Giampiero Carocci, Storia dall’Unità ad oggi, Milano, Feltrinelli, 1975 e il IV volume
della Storia d’Italia dell’Einaudi, 1976.
8
cartamoneta; di qui l’inevitabile e progressiva perdita di valore della lira
(inflazione) e l’aumento del debito pubblico.
In particolare, alla crisi economica si accompagnò una difficile e lunga
crisi di governo che culminò con lo storico appoggio al governo del Partito
Comunista (governo di solidarietà nazionale del ’78) e il suo abbandono pochi
mesi dopo. Nel frattempo si toccavano alcuni dei momenti più oscuri per la
democrazia del paese con il rapimento e il delitto di Aldo Moro (1978) ad
opera delle “Brigate Rosse”.
A movimentare ulteriormente gli eventi di quella fine degli anni ’70 sono
anche gli scandali che colpiscono il Presidente della repubblica, Giovanni
Leone, e le sue conseguenti dimissioni.
Certamente la fine degli anni ’70 rappresenta un momento cruciale di
cambiamento: e per diverse ragioni (politiche, sociali, economiche e
culturali) essa segna l’esaurirsi della spinta dei movimenti sociali e l’avvio
di una nuova fase della vita politica, che sfocia nella formazione di un
governo sull’asse DC-PSI, ma anche, come dice Scavino, “una battuta
d’arresto per la ricerca storica sulle vicende repubblicane”
7
.
“Questi cambiamenti avvenuti tra la fine degli anni ‘70 e l’inizio del
nuovo decennio liquidarono rapidamente le speranze politiche, segnarono la
fine della “stagione dei movimenti” e la sconfitta dei progetti politici della
sinistra italiana”
8
. Seguì poi una lunga fase di silenzio dei movimenti di
contestazione, che caratterizzò quasi per intero gli anni ottanta. E mentre,
sull’onda della sconfitta politica del Partito Comunista, si ridefinivano i
rapporti di potere all’interno delle classi dirigenti e tra i diversi gruppi politici,
la ricerca storica iniziava un lavoro di ricostruzione di un quadro interpretativo
d’insieme.
Cruciale, per quel momento, è la pubblicazione quasi contemporanea dei
lavori di Donald Sassoon e di Paul Ginsborg
9
, accomunati non solo dal fatto di
7
M. Scavino, op. cit., pag.34.
8
P. Perotti e M. Revelli, Fiat autunno ’80. Per non dimenticare. Immagini e documenti di
una lotta operaia, Torino, Cric, 1986.
9
D. Sassoon, L’Italia contemporanea. I partiti le politiche la società dal 1945 a oggi, Roma,
Editori Riuniti, 1988 [ed. or.: Londra, 1986], pp.367; P. Ginsborg, Storia d’Italia dal
dopoguerra ad oggi, Torino, Einaudi, 1989, 2 vol.,pp.622.
9
essere autori stranieri, ma soprattutto dal tentativo di intrecciare storia, politica
e sociologia.
Il lavoro di Ginsborg, in particolare, è molto importante non solo per le
discussioni suscitate tra gli storici contemporanei, ma perché introduce per la
prima volta, come elementi di valutazione dello sviluppo italiano, il ruolo dei
movimenti collettivi di lotta, nati negli anni ‘60 e attivi nel corso di tutto il
decennio successivo.
Non si tratta più del generico richiamo alle lotte del ’68 o dell’autunno
caldo, ma di una nuova considerazione dello spazio politico, sociale e
culturale occupato dai movimenti di sinistra, la cui rilevanza era stata per lo
più trascurata dalle precedenti ricerche. L’esistenza di un’area politica extra
parlamentare, costituita da un complesso intreccio di gruppi di base,
movimenti di lotta e formazioni politiche, acquisisce così un significato
nuovo: è espressione di una crescita conflittuale della società italiana e
manifestazione di un nuovo protagonismo di gruppi sociali specifici (come gli
studenti e gli operai immigrati al nord).
Questo approccio avvicina il lavoro di Ginsborg ad alcune ricerche sulla
conflittualità sociale in Italia che si realizzava in quegli anni e che sono
pubblicate poco dopo: quelle di Sidney Tarrow
10
e di Robert Lumley
11
. Anche
qui l’approccio è di tipo storico-sociologico e i movimenti sono considerati
uno dei fenomeni sociali rilevanti per lo sviluppo economico e la crisi italiana
degli anni ‘60 e ‘70. Scrive Tarrow: “di questo periodo […] gli esiti più
duraturi sono stati la formazione politica di una generazione attraverso nuove
forme di azione collettiva, la diffusione di nuove strutture interpretative e
l’ampliamento di forme autonome di partecipazione”, la tesi del suo libro è
“che la lotta di classe democratica ha generato un periodo di disordini, alla
fine del quale proprio il disordine ha contribuito a un ampliamento della
10
S. Tarrow, Democrazia e disordine. Movimenti di protesta e politica in Italia. 1965-1975,
Roma-Bari, Laterza, 1990.
11
R. Lumley, States of Emergency. Cultures of Revolt in Italy from 1968 to 1978,
Londra/New York, Verso, 1990. Edizione italiana: Dal '68 agli anni di piombo, Firenze,
Giunti, 1998.
10
democrazia”
12
. Mentre Lumley sottolinea con forza il ritardo degli studi sui
movimenti nel loro complesso, come fenomeno storico.
Si tratta di sollecitazioni nuove per la storiografia italiana. Basti
considerare come il ruolo dei movimenti nelle vicende repubblicane fosse
stato sostanzialmente eluso in occasione del “ventennale del Sessantotto”, che
invase la carta stampata nel 1988
13
. Gli intellettuali di sinistra si erano divisi
tra la generica rivendicazione del ruolo propulsivo del ’68 e la negazione di
ogni valore positivo dei movimenti: operazione, quest’ultima, nella quale si
erano distinti i dirigenti e gli intellettuali del PSI e pochi altri
14
, per i quali la
liquidazione del senso politico di quelle esperienze faceva tutt’uno con
l’ideologia di una sinistra moderna e riformatrice, emancipata dalle ideologie
“conflittualiste” degli anni ’70
15
. E, come dice Ortoleva: “anche i numerosi
saggi monografici comparsi in quel periodo sul fatidico “anno degli studenti”
non erano andati al di là di un approccio settoriale e delimitato”
16
.
Il rapporto tra “stagione dei movimenti” e vicenda storica nazionale
rappresenta un punto poco studiato della storiografia dell’Italia repubblicana.
L’impostazione metodologica e le sollecitazioni, avanzate da Ginsborg, non
sembrano essere state riprese dai lavori comparsi successivamente, che hanno
preferito, quasi tutti, leggere le vicende repubblicane sotto il profilo politico-
istituzionale, come un complesso intreccio di strategie dei gruppi dirigenti dei
partiti, nel quale l’autonomia dei fattori sociali è assente oppure agisce solo
come scenario di fondo. E in questo senso può essere interessante analizzare
brevemente come lo specifico tema dei movimenti sia stato affrontato in
alcune di queste opere della storiografia contemporanea.
12
S. Tarrow, op. cit., pag.24.
13
G. Santomassimo, Vent’anni dopo, il Sessantotto di carta, in “Passato e presente”, VI
(sett.-dic. 1988), n.18, pp.87-97.
14
In M. Flores, A. De Bernardi, Il Sessantotto, Bologna, Il Mulino, 1998, pp.246-247, sono
citate le forti critiche di S. Lanaro (in Italia nuova. Identità e sviluppo 1861-1988, Torino,
Einaudi, 1988, pp.241-242) e G. Sapelli (in L’Italia inafferrabile. Conflitti, sviluppo,
dissociazione dagli anni cinquanta ad oggi, Venezia, Marsilio, 1989, pp.71-74) nei
confronti del movimento studentesco del ’68.
15
E. Balducci, Per capire il ‘68, in “Il Contemporaneo” - inserto di Rinascita, VI (1988),
n.9.
16
Come dice P. Ortoleva in Saggio sui movimenti del 1968 in Europa e in America, Roma,
Editori Riuniti, 1998 (pr. ed. 1988), pag.25.
11
L’approccio politico-istituzionale, per esempio, domina il libro di Pietro
Scoppola, “La repubblica dei partiti”, dove il problema fondamentale della
società italiana è individuato nel “passaggio dalla necessità della democrazia
dei partiti alla sua crisi”
17
, col confronto tra cattolici e sinistre come elemento
condizionante l’intera vicenda repubblicana. Gli anni della costituente e del
centrismo finiscono con l’avere uno spazio predominante, mentre il periodo
successivo, in particolare il ventennio 1960-1980, è visto come fase di
passaggio alla crisi successiva, ovvero come l’epoca della dissoluzione dei
soggetti popolari che reggevano il “sistema dei partiti”.
Non stupisce pertanto che tutto il tema dei movimenti e della
mobilitazione a vari livelli di gruppi, ceti e classi, nel ventennio che qui
interessa, sia concentrato in un unico capitolo (“Conflitti sociali e solidarietà
nazionale”), imperniato più sugli esiti politico-istituzionali di quella stagione
che sui suoi effetti sociali.
Completamente diversi, invece, sono gli interessi e l’approccio
storiografico nel lavoro di Silvio Lanaro, che pone al centro dell’indagine
proprio la crescita sociale e culturale dell’Italia nel dopoguerra, indicata
suggestivamente come “La grande trasformazione”. Di questa crescita e
trasformazione i conflitti sociali degli anni ‘60 e ‘70 sono considerati parte
integrante e interpretati con la tesi di “una perdurante arretratezza del paese,
che avrebbe condizionato il processo di modernizzazione piegandolo a esiti di
compromesso con la sopravvivenza di ceti piccolo-borghesi e di culture
nemiche dell’industria e dello sviluppo”
18
.
Lanaro affronta con spunti di grande interesse anche le tematiche dei
movimenti, della nuova composizione di classe, delle culture politiche emerse
dalle lotte, cogliendovi i segni dell’arretratezza culturale, dell’ideologia
piccolo-borghese, del velleitarismo irresponsabile, dell’amoralità tipica del
costume italiano: “dove la libertà civile e sociale di cui scrive Stuart Mill è
stata storicamente un sottoprodotto del dispotismo - vale a dire inosservanza
17
P. Scoppola, La repubblica dei partiti. Profilo storico della democrazia in Italia (1945-
1990), Bologna, Il Mulino, 1991, pag.10.
18
S. Lanaro, Storia dell’Italia repubblicana. Dalla fine della guerra agli anni novanta,
Venezia, Marsilio, 1992.
12
delle leggi, arbitrio pseudo-individualistico, privatismo rapace, discrezionalità
fra teppistica e sorniona - non può stupire che la ribellione contro l'autorità
ostenti quasi sempre tratti anarcoidi e plebeisti”, e finisca con lo sfociare in
“un sentimento di asocialità acuito dal benessere economico”
19
. L’autore, su
questo terreno, non conosce toni misurati e sfumature: le tesi di “Quaderni
Rossi” e di “Classe Operaia” sono definite “utopie palingenetiche fra cerebrali
e belluine”
20
, il marxismo italiano dell’epoca “sembra trattenuto da un
perdurante pregiudizio antindustrialista piuttosto che aperto a una critica
superatrice del capitalismo”
21
, le rivendicazioni operaie appaiono esasperate e
i movimenti di lotta in fabbrica “fomentati dalle follie della nuova sinistra”
22
.
Poco o nulla sembra da salvare in questo fosco panorama: forse solo la buona
fede dei protagonisti.
Il libro di Lanaro è l’unico, comunque, che prescinda da un’ottica
prevalentemente politico-istituzionale. Altri studiosi, invece, avevano posto al
centro della riflessione elementi di accelerazione della crisi istituzionale e il
loro significato per l’interpretazione storica delle vicende italiane; mentre si
assisteva allo sfaldamento del vecchio sistema dei partiti. Di conseguenza
anche la storiografia subì un mutamento di interessi e di orientamenti critici.
Se Ginsborg aveva proposto il tema dell’autonomia dei movimenti come
fattore dinamico della società, e se Lanaro ne aveva analizzato il piano socio-
culturale, la produzione successiva sembrò abbandonare questi spunti e
dedicarsi invece al problema (massicciamente imposto dai mezzi di
comunicazione di massa) dell’esaurirsi della forma-Stato precedente,
ribattezzata “Prima Repubblica”, e del profilarsi di un nuovo assetto politico-
istituzionale.
Nel volgere d’un paio d’anni si è creata nuovamente, in Italia, la
convinzione che si sia chiusa una fase della storia repubblicana, che nuovi
equilibri sociali e politici si siano ormai prodotti e che quindi sia giunto il
momento per un’opera di “sistematizzazione” generale. Ma più importante è il
19
S. Lanaro, op. cit., pag.358.
20
S. Lanaro, op. cit., pag.276.
21
S. Lanaro, op. cit., pag.297.
22
S. Lanaro, op. cit., pag.415.
13
fatto che si è affermata una visione che individua, come elementi centrali della
crisi nazionale, alcuni aspetti dell’assetto istituzionale (ruolo dei partiti,
sistema elettorale, regole costituzionali), considerati non in rapporto alla più
generale evoluzione socio-economica o ai conflitti tra le classi, ma come
elementi a se stanti, in grado di spiegare l’intera vicenda storica nazionale.
Gli storici sono stati indubbiamente influenzati da questa ondata di
riletture, spesso sbrigative e dettate da motivazioni politiche contingenti, della
storia repubblicana.
Tra i primi a cogliere questa tendenza è stato Giuseppe Mammarella
23
,
che nel ‘92 diede alle stampe un volume intitolato appunto “La prima
Repubblica dalla fondazione al declino”, nel quale le due esigenze
fondamentali della situazione italiana sono individuate nella “formulazione di
una nuova costituzione”, definita “una necessità naturale e quasi fisiologica”, e
in una convinta adesione al progetto della Comunità Europea. Ma ciò che più
interessa è che, nell’opera, viene proposta un’immagine della stagione di lotte
1960-1980 come una semplice “fase” dello sviluppo italiano, senza un
approfondimento tematico specifico e un’analisi della “stagione dei
movimenti” come svolta politica della vicenda repubblicana, con il suo
intreccio di mobilitazione delle forze sociali.
Il giudizio di Mammarella è che: “partita dalla condanna della moderna
società industriale e da posizioni fortemente anticapitalistiche e
antioccidentali, la contestazione finisce paradossalmente per contribuire al
rafforzamento di una cultura e di una mentalità che allinea l’Italia ai paesi di
più avanzata civiltà industriale”
24
, e la stagione delle riforme, sia in fabbrica
sia nella società, viene indicata come un frutto della spinta di massa.
Può essere influenzato dal nuovo quadro politico anche il lavoro di
Aurelio Lepre
25
, “Storia della prima Repubblica. L’Italia dal 1942 al 1992”,
che già dal titolo mostra l’ultimo cinquantennio come un’unica vicenda. È
23
G. Mammarella, La prima Repubblica dalla fondazione al declino, Roma-Bari, Laterza,
1992. (Riedizione aggiornata di un’opera apparsa per la prima volta a metà degli anni ’70).
24
G. Mammarella, op.cit., pag.121.
25
A. Lepre, Storia della prima Repubblica. L’Italia dal 1942 al 1992, Bologna, Il Mulino,
1999 (pr. ed. 1993).
14
evidente il tentativo di dare risposta agli interrogativi d’attualità politica, come
l’analisi del ruolo dei partiti, la ricostruzione del clima di contrapposizione tra
forze cattoliche e forze comuniste (“La guerra civile fredda” è il titolo di un
capitolo), e l’effetto della fine dei regimi dell’Est europeo. Sulla stagione che
va dal varo del centro sinistra alla crisi dei governi di solidarietà nazionale,
dalle prime lotte del ‘61-‘62 sino alla sconfitta operaia del 1980, non si
avanzano idee nuove, si ripropone l’immagine dell’esplodere di un movimento
che non trova risposte adeguate dal sistema politico e che paga le proprie
anacronistiche utopie. Anzi, il punto di vista di Lepre sembra - su questo punto
- più drastico di altri: “le cause del suo fallimento vanno cercate soprattutto nel
fatto che i suoi teorici indicavano strade che andavano in direzione opposta a
quella in cui si muovevano le principali tendenze di sviluppo dell’economia e
della società. I protagonisti del Sessantotto vollero dar vita a una contestazione
anticapitalistica che uscisse dai binari tradizionali, che fosse moderna, senza
tener conto del fatto che la modernità era prodotta proprio dallo sviluppo
capitalistico”
26
. Dopo la fine degli anni ‘70, comunque, gli storici sembrano
aver maturato riflessioni più distaccate sull’intreccio tra la crisi istituzionale in
corso e la storia repubblicana. Non a caso il termine stesso di “prima
Repubblica” ha preso a essere considerato con maggiore cautela, mentre le
riflessioni critiche si sono fatte più problematiche su quel complesso di miti
che l’attualità ripropone continuamente.
Come ha scritto Massimo Salvadori in un volumetto che tenta, appunto,
di reinserire la crisi dei primi anni ‘90 nella “lunga durata” della storia italiana
postunitaria: “E’ chiaro che la Repubblica nata nel 1946 é storicamente finita:
con il crollo del suo sistema politico, dei grandi partiti che da sponde opposte
l’hanno sorretto, del quadro internazionale bipolare che ne ha costituito il
contesto”, ma “alla fine della Prima Repubblica si accompagna una generale
incertezza circa le prospettive future. Insomma, un mondo politico è diventato
storia senza che si intraveda l‘assetto che seguirà. Ed è naturale che questa
26
A. Lepre, op.cit., pag.244.
15
grande crisi ‘ambigua’ alimenti la riflessione storico-politica sulle sue radici
in relazione ai possibili esiti”
27
.
Frutto di uno sforzo in questo senso appare anche il volume “Lezioni
sull’Italia repubblicana”
28
, che nell’introduzione di Carmine Donzelli precisa
in merito: “nel momento in cui è necessario intraprendere l’opera di
costruzione di una nuova fase dell’esperienza nazionale, o come ora si dice di
una seconda Repubblica italiana, non sarà dunque male gettare un occhio più
accorto alla Prima, per capirne gli sviluppi e le contraddizioni, le tensioni e le
implosioni, le spinte e i blocchi” (pag.XII). E in questo senso sono di
particolare interesse, nel libro, i contributi di Nicola Tranfaglia
29
e di Salvatore
Lupo
30
.
Rilevante per questi autori è cercare di comprendere le ragioni del
mancato sbocco politico dell’azione sociale collettiva, nella quale le
formazioni di estrema sinistra giocarono un ruolo importante e
rappresentarono un soggetto autonomo e dotato di strategie proprie. Scrive
Lupo: “Sul medio periodo i movimenti appaiono chiaramente incapaci di
rappresentare se stessi nell’arena politica al di là dell’illusione che la
sommatoria di rivendicazioni ragionevoli e di rivendicazioni utopistiche, di
moti acefali e slegati tra di loro, talora di inutili violenze, possa implicare di
fatto un progetto rivoluzionario; essendo impossibile una simile automatica
ricomposizione, la delega viene molto precocemente offerta alla sinistra
‘tradizionale’ che si impegna nel non facile compito di rappresentare queste
istanze, dando di esse una versione moderata e ragionevole,
istituzionalizzando la fluidità movimentista in strutture permanenti”
31
. E il
nodo centrale della risposta istituzionale alla conflittualità viene così descritto:
“dato che nessuno vuole lo scontro frontale, si deve andare a una
ridislocazione dei luoghi del potere politico edificando per esso stanze
27
M. Salvadori, Storia d’Italia e crisi di regime, Bologna, Il Mulino, 1994, pag.9.
28
P. Bevilacqua et al., Lezioni sull’Italia repubblicana, Roma, Donzelli, 1994.
29
N. Tranfaglia, Dall'avvento del centro-sinistra al delitto Moro, pp.57-72., in P. Bevilacqua
et al., Lezioni sull’Italia repubblicana, op. cit.
30
S. Lupo, Il crepuscolo delta Repubblica, pp.73-107., in P. Bevilacqua et al., Lezioni
sull’Italia repubblicana, op. cit.
31
S. Lupo, op.cit., pag.74.
16
complementari e laterali dove non valga la ‘conventio ad excludendum’ nei
confronti dei comunisti e dove si possa realizzare il desiderato rinnovamento
democratico. Da un lato si prova a dare un riconoscimento ai movimenti, e
dunque al movimento per eccellenza, quello sindacale: dall’altro si edifica un
nuovo spazio istituzionale nel quale canalizzare i nuovi soggetti e le nuove
domande di partecipazione, le regioni”
32
.
Il saggio breve di Tranfaglia si distingue invece, innanzitutto, per la
periodizzazione avanzata, che sembra alludere al ruolo delle lotte e dei
movimenti collettivi che segnarono in Italia l’età del centro-sinistra e della sua
dissoluzione come formula di governo. L’autore fornisce un’interpretazione
della crisi italiana che parte proprio dall’età del centrosinistra e dal contrasto
tra spinta modernizzatrice (di cui i movimenti furono espressione) e resistenza
delle classi dirigenti e del ceto politico. Si tratta, per Tranfaglia, di un ipotesi
di ricerca: “Mi sembra di poter avanzare […] l’idea che il centro-sinistra
abbia nei suoi primi anni di vita (fino al 1964) messo in crisi un vecchio
assetto di potere e una vecchia struttura economico-sociale del Paese senza
avere poi la forza di portarne a termine la distruzione, sostituendovi un nuovo
equilibrio di forze e di poteri ma nello stesso tempo suscitando la paura e la
volontà di reazione di apparati statali e parti del ceto politico di governo
gravemente minacciati dal progetto riformatore”
33
. Di qui, la denuncia della
“strategia della tensione” come tentativo delle classi dirigenti, o quanto meno
di loro settori importanti, di bloccare il mutamento in atto
34
.
Tuttavia, anche nelle tesi di Lupo e di Tranfaglia sembra esistere una generale difficoltà di approfondimento dell’analisi,
con il rischio di operare una semplificazione eccessiva di processi storici più complessi. Lupo infatti schematizza il
rapporto tra movimenti di lotta (per natura di carattere non istituzionale) e società politica, ipotizzando addirittura una sorta
di “delega” al Pci e ai sindacati che in realtà non vi fu, infatti l’idea della sinistra rivoluzionaria fu sempre quella di riuscire
a imporre dall’esterno, con la forza, le trasformazioni sociali; non si trattò allora di una delega, ma di uno scontro politico -
e addirittura culturale - che vide il movimento operaio ufficiale sconfiggere i gruppi alla sua sinistra, riuscendo a ricondurre
in qualche modo il conflitto sociale sul terreno istituzionale. Anche l’analisi di Tranfaglia, da questo punto di vista, appare
schematica dove indica tre diversi atteggiamenti della sinistra rivoluzionaria, all’inizio degli anni settanta, di fronte
all’intreccio tra strategia della tensione e resistenza delle classi dirigenti. Questo approccio perde di vista il fatto che la vera
deflagrazione dei movimenti extraparlamentari non avvenne tanto sul problema delle risposte da dare ai pericoli di destra e
neo-conservatori, quanto piuttosto sulle strategie da opporre alla politica di concertazione tra movimento operaio ufficiale,
grande capitale e Stato, che si delineò a partire dal 1973. Fu sul “che cosa” opporre al “compromesso storico”, all’accordo
sindacale del ‘75 sul punto unico di contingenza, all’espansione delle amministrazioni locali di sinistra, che nella sinistra
rivoluzionaria nettamente si divaricarono le ipotesi tra scelta elettorale e preparazione alla guerra civile, anche se risultate
poi tutte fallimentari.
32
S. Lupo, op. cit., pag.79.
33
N. Tranfaglia, op. cit., pag.65.
34
Anche F. Ferraresi, Minacce alla democrazia, Milano, Feltrinelli, 1995.
17
Anche il lavoro di Piero Craveri
35
dedicato all’Italia repubblicana,
comunque, per quanto molto ampio e argomentato pure su questi temi, non
sembra aggiungere elementi nuovi in merito.
La sua opera costituisce un complesso tentativo di ricostruzione della vicenda
repubblicana che parte dalla crisi del centrismo e dalla lunga gestazione del
centrosinistra. Qui il centro della crisi politico-sociale italiana è individuato
con nettezza nelle risposte che le classi dirigenti e i partiti diedero
all’intreccio di sviluppo economico e mobilizzazione sociale, verificatosi a
partire dagli anni ‘60; ed è significativo che un ricco capitolo centrale sia
intitolato proprio “La crisi del ‘68 e le origini del consociativismo”
36
. La tesi
di Craveri è infatti (analogamente a quella di Lupo) che il sistema politico
italiano si trovò, sotto la spinta delle lotte, a cavallo tra anni ‘60 e ‘70, stretto
nella contraddizione tra l’esigenza di riconoscere in qualche modo il ruolo
dell’opposizione di sinistra (Pci e sindacati) e l’impossibilità di farlo secondo
le regole della democrazia rappresentativa, a causa dei veti esistenti contro
ogni inserimento delle sinistre nell’area di governo. Da qui, dunque, la scelta
di operare per via indiretta, concedendo alle opposizioni un ruolo istituzionale
(nella prassi parlamentare, nella trasformazione del sindacato in soggetto
pubblico, etc.), che non toccasse gli equilibri di fondo del sistema. In questo
schema i movimenti sociali vengono ad avere un grosso ruolo, come
l’elemento che potenzialmente avrebbe potuto creare un ricambio di classi
dirigenti nel paese, ma che si perse invece in una dimensione “estremista” a
causa sia delle chiusure della società politica, sia dei propri limiti.
35
P. Craveri, La Repubblica dal 1958 al 1992, Torino, UTET, 1995.
36
P. Craveri, op. cit., pp. 345-487.