II
Come è noto, a parte rarissime eccezioni, tutti i film stranieri, che giungono in Italia
vengono doppiati, mentre per ciò che riguarda i musical si tende a mantenere le parti
cantate in lingua originale, o addirittura, come avvenne per un altro famosissimo musical
di Webber, Evita, a lasciare l’intera opera in versione originale con i sottotitoli in italiano.
Il problema che gli addetti ai lavori hanno dovuto affrontare con questo film è stato
che non solo si dovevano doppiare i testi recitati, ma anche le canzoni.
Questo basta a far capire quale sia stato l’impegno richiesto ai dialoghisti, che non
solo dovevano affrontare i problemi connessi al doppiaggio, ma dovevano anche ricoprire
il ruolo di parolieri, riscrivendo completamente le canzoni.
Seguirà, ora, in dettaglio il piano di lavoro che è stato seguito.
Nel primo capitolo sono state analizzate le motivazioni, le impressioni e i vari
passaggi che hanno portato all’opera teatrale, utilizzando brochure ed interviste fatte, nel
corso degli anni, al team creativo.
Nel secondo capitolo, invece, è stata affrontata l’analisi della trasposizione musical-
film, ricostruendo, grazie alle interviste fatte al regista, al compositore e agli addetti ai
lavori, i vari passaggi intercorsi nella creazione del film: dalla scelta del cast alla
modernizzazione e modifica delle orchestrazioni, fino ad arrivare alla creazione delle
ambientazioni.
Nel terzo capitolo è stata esposta la questione da un punto di vista prettamente
linguistico, analizzando la storia del doppiaggio e dando un inquadramento della
traduzione cinematografica come caso specifico di traduzione: è stato preso in esame il
processo traduttivo che dà origine al copione su cui è basata la recitazione degli
attori/doppiatori.
III
L'analisi dei due momenti fondamentali del processo traduttivo, rappresentati dalla
traduzione letterale e dall'adattamento dei dialoghi, costituisce la premessa per esaminare
nel dettaglio le condizioni di equivalenza a cui deve sottostare il testo filmico doppiato. I
tre livelli di equivalenza (sincronia, senso del testo e funzione testuale) sono stati infatti
l'oggetto dell'ultima parte dell'analisi, da cui è emersa con chiarezza la necessità di un
approccio traduttivo sostanzialmente pragmatico.
A completamento del precedente, il quarto capitolo contiene un confronto
esemplificativo fra la versione originale e la versione doppiata del film Il Fantasma
dell’Opera di Joel Schumacher (2004).
Dopo una breve analisi della tipologia di linguaggio usato nella traduzione
cinematografica, è stata data un’esemplificazione delle riflessioni teoriche del terzo
capitolo, analizzando alcuni brani tratti dal testo dei dialoghi della versione doppiata,
confrontati con quelli originali e giungendo a conclusioni sostanzialmente in accordo con
quelle dell'analisi teorica e presentate in chiusura di lavoro.
Per quanto riguarda, invece, la bibliografia finale, essa raccoglie gli estremi di testi
sull'argomento 'doppiaggio', le fonti linguistiche e di critica cinematografica, materiale
specifico sul The Phantom of the Opera e le fonti internet da cui è stato reperito materiale
inerente l’argomento trattato.
C’è, inoltre da sottolineare, che a differenza del successo ottenuto in ambito
anglosassone, che ha portato anche alla pubblicazione di una guida ufficiale distribuita
dalla Pavilion Books completa di screenplay integrale, in Italia, purtroppo, non è stato
pubblicato nessun testo su questo film .
Al dì là delle recensioni sul film, presenti su alcuni siti internet, sono stati consultati
diversi forum e testi inglesi per la stesura del presente elaborato.
IV
Inoltre, è stata contattata la società 01Distribution (http://www.01distribution.it),
responsabile per la distribuzione italiana del film, alla quale è stata richiesta una copia
dello script italiano. Tuttavia, a causa delle molteplici procedure burocratiche in atto nel
nostro paese, tale contatto non ha prodotto i risultati sperati.
Sono stati sviluppati, inoltre, contatti interessanti sia con i dialoghisti Fiamma Izzo
2
e Franco Travaglio
3
, che hanno curato l’adattamento italiano del film, sia con Tommaso
(Masolino) D’Amico
4
, che, invece, aveva curato la traduzione iniziale dell’opera.
I contatti con questi tre professionisti del settore cinematografico sono stati molto
proficui e grazie a loro è stato possibile avere una copia parziale del testo italiano.
Il testo inviato dalla dialoghista Fiamma Izzo è stato, poi, integrato con la
trascrizione da DVD delle parti mancanti.
Molto utile è stato anche il contatto con il Prof. D’Amico, il quale ha
chiarito le problematiche traduttologiche riscontrate nel lavoro di traduzione di questo
musical.
2
Nata a Roma nel 1964, figlia dell’attore e doppiatore Renato Izzo, sorella di Rossella, Simona e Giuppy Izzo,
attualmente, dopo una carriera come doppiatrice, è più concentrata sulle direzioni di doppiaggio di importanti film e
telefilm americani. Tra i suoi lavori ricordiamo: direzione del doppiaggio del film Il Gladiatore, X-Men, E.T.
L’extraterrestre; adattamento dialoghi: Dirty Dancing 2, Chicken Little – Amici per la pelle.
3
Regista, compositore, liricista e studioso di musical contemporaneo ha lavorato con artisti del calibro di Andrew Lloyd
Webber, Dario Fo, Saverio Marconi e Tato Russo. Ha curato l’adattamento italiano di un altro musical di Andrew Lloyd
Webber, Joseph e la strabiliante tunica dei sogni in Technicolor (Joseph and the amazing Technicolor Dreamcoat). Ha
scritto e composto il musical Il Fantasma di Canterville, tratto da una novella di Oscar Wilde e nel 2005 è stato assistente
di Saverio Marconi nella regia del musical The Producers. Nel 2006 firma la traduzione de La piccola bottega degli
orrori di Alan Menken.
4
Scrittore, traduttore, critico letterario, sceneggiatore e dialogista cinematografico. Attualmente è ordinario della cattedra
di Storia del Teatro inglese all’Università Roma Tre. Dal 1989 è critico teatrale de La Stampa.
CAPITOLO I
DAL LIBRO DI GASTON LEROUX
AL MUSICAL DI ANDREW LLOYD WEBBER
In questo capitolo verrà analizzato il processo che ha portato Andrew Lloyd
Webber alla creazione del musical partendo dal libro di Gaston Leroux.
Seguirà poi una breve carrellata sulle varie versioni cinematografiche, dalla
versione muta del 1925 fino a quella del 1998 di Dario Argento, un’analisi generale sulla
storia del musical, con particolare attenzione alla struttura e alla tipologia di questa forma
di spettacolo, per poi concludere con la biografia di Andrew Lloyd Webber e con l’analisi
dei suoi musical.
Infine, verrà approfondito il procedimento di creazione e le motivazioni che hanno
portato lo stesso Webber a scrivere il The Phantom of the Opera.
2
1.1. L’Opéra di Parigi
“Chiunque abbia un po' di confidenza con un teatro di grandi dimensioni potrà
affermare che è un labirinto singolare di persone e corridoi, invece l'Opéra di Parigi,
degli ultimi quindici anni del XIX secolo, dove Gaston Leroux ambientò la storia de "Le
Fantôme de l’Opéra", andava al di là di ogni clichè.
L'imponente palazzo venne costruito su progetto di Charles Garnier tra il 1861 e il
1875 e rappresentava un covo di partiti e idee politiche. Nell'Opéra, dalla prima donna al
macchinista, regnava un clima di congiura e di chiacchiere: ognuno si batteva per
ottenere qualcosa, difendendo il proprio territorio e lottando per un nuovo. Nel periodo in
cui è ambientato il romanzo, l'Opéra vantava più di 1500 operai ed aveva delle scuderie di
cavalli bianchi per la troupe teatrale, in fondo al cortile. Oggi, il teatro è fonte di lavoro
per più di 1000 dipendenti ed, inoltre, ha due scuole permanenti di danza all' interno dello
stabile”.
Fig. 1 - Il Teatro dell’Opéra
(Fonte: AA.VV. Andrew Lloyd Webber’s The Phantom of the Opera Companion. Londra, Pavilion Books, pag. 14)
3
L’Opéra di Parigi, possiamo dire, raggiunse una posizione di rilievo nel XVIII
secolo, ma fu solamente dopo il 1807, con la riforma napoleonica, che raggiunse il suo
massimo splendore.
Compositore più rappresentato del tempo era sicuramente Salieri, la cui musica era
in programma al tempo del romanzo di Leroux, e che riscosse il suo maggior successo a
Parigi con le Les Danaides (1787) e con Tarare (1784).
È interessante notare che un altro grande compositore, Mozart, iniziò la sua
collaborazione con Da Ponte solo dopo l'ultimo grande successo ottenuto con Salieri in
Francia, anche se le sue opere dovettero aspettare fino al primi del 1800 per poi essere
rappresentate, negli anni successivi, solo in forma di riadattamento.
L’artista che, però, ricoprì un ruolo di spicco all’Opéra di Parigi fu, comunque,
Giacomo Mayerbeer, compositore francese di origini tedesche. Oggigiorno, questo
compositore è poco conosciuto, ma agli inizi dell’attività operistica del teatro francese,
produsse opere meravigliose, contraddistinte da: musica accessibile a tutti,
caratterizzazioni brillantemente supportate dalle sue orchestrazioni, scenografie
spettacolari e coreografie di gusto decisamente moderno.
Questo compositore dovette, però, sminuire il suo genio nel 1849 con una
produzione di Le Prophète, dove l’elemento principale era costituito dall’uso dei pattini a
rotelle e dove vennero introdotte anche luci elettriche per creare un maggiore effetto.
Come affermò Victor Hugo, nell’introduzione del Cromwell (1827), “il
palcoscenico deve racchiudere il più possibile l’illusione della realtà”; questo avveniva
grazie all’architetto dell’Opéra, tale Ciceri, che nel periodo 1824-1827, creò scene
realistiche e spettacolari, che caratterizzano l’Opéra.
4
Esempi spettacolari di questa maestria furono l’allestimento dell’eruzione del
Vesuvio, dove vennero impiegate pietre vere, e le opere Le siège de Corinth (L’assedio di
Corinto) di Giocchino Rossini, Robert le diable di Giacomo Meyerbeer e il Faust di
Gounod, opera che, peraltro, costituisce lo sfondo del Fantasma dell’Opera di Leroux.
Altra caratteristica di pregio dell’Opéra era senza dubbio il balletto che apriva il III
atto di un’opera. Tale collocazione era da imputarsi al fatto che, dopo tale orario, anche i
gentiluomini della nobiltà francese potevano arrivare in tempo per vedere danzare le loro
ballerine preferite.
L’Opéra di Parigi viene rispecchiata molto fedelmente nel romanzo: ricopre, infatti,
tre acri di superficie e l’idea della struttura labirintica del palazzo viene apprezzata se si
considera che solo 1/5 dello spazio totale è occupato dall’auditorium. Ci sono più di 17
piani, sette dei quali si trovano sotto il palcoscenico e le stalle dei cavalli esistono tuttora.
Si vede, inoltre, un monumento alla Carlotta, ed è molto importante ricordare che
realmente sotto lo stabile c’è un lago, che costituisce una parte fondamentale del progetto:
l’acqua del lago, infatti, funge da zavorra, aumentando o diminuendo a seconda del peso
esercitato sul palcoscenico, sette piani più in alto.
5
1.2. Gaston Leroux: l’uomo che creò “Il Fantasma”
Gaston Leroux, il versatile autore francese de Le Fantôme de l’Opéra, era un uomo
con una profonda passione per il teatro e che riteneva necessario, dopo anni di dura
gavetta, scrivendo riviste e numerose opere di scarso successo, lasciare il segno nella
letteratura con un romanzo che parlasse di un fatto straordinario, avvenuto nel
meraviglioso teatro francese.
Certamente, è stato grazie alla magia del cinema e all’arte della drammaturgia che il
The Phantom of the Opera è stato conosciuto da tutto il pubblico, ma Leroux è riuscito,
comunque, nelle sue pagine a catturare l’atmosfera del periodo storico narrato: l’ultima
parte del XIX secolo, quando in Francia era dilagante la fede nel soprannaturale e nello
spirito del mondo.
Nato a Parigi nel 1868, Gaston Leroux è tanto
interessante quanto la sua storia. Molte fotografie lo
ritraggono come un uomo alto e abbastanza grasso con
capelli neri impomatati e baffi (Fig. 2), che vestiva alla
moda e sfoggiava pince-nez. Egli era evidentemente un
personaggio vistoso e addirittura una volta dichiarò di
essere un diretto discendente di Guglielmo il
Conquistatore.
Sebbene la sua inclinazione letteraria lo avesse
fatto diventare il primo della sua classe, quando suo padre decise di farlo studiare da
avvocato, Gaston divenne, da alunno modello, uno studente pigro.
Fig. 2 - Gaston Leroux
(Fonte: http://mapage.noos.fr/gastonleroux/bio_1.htm)
6
Il teatro aveva preso tutta la sua immaginazione, e non è sorprendente che, finiti gli
studi, e, una volta ammesso all’esercizio della professione forense, continuasse ancora a
scrivere nel suo tempo libero.
Comunque, la sua vita cambiò quando suo padre morì improvvisamente e gli lasciò
in eredità una fortuna di quasi un milione di franchi. Gaston abbandonò la professione di
avvocato e si gettò a capofitto nel gioco d’azzardo (suo particolar vizio: il poker) e nel
piacere della variopinta società parigina. In meno di un anno egli aveva sperperato tutta la
sua eredità.
Non scoraggiato, Leroux chiese un lavoro a L’Echo de Paris nel 1890 dove gli fu
chiesto di unire le sue conoscenze giuridiche e il suo amore per il teatro, ricoprendo il
ruolo di giornalista giuridico e critico teatrale.
La sua formazione legale gli permise di diventare un ottimo reporter delle aule
giudiziarie e subito gli venne offerto un lavoro migliore presso il quotidiano Le Matin, che
gli permise di affinare le sue tecniche diventando un ottimo giornalista investigativo.
I suoi articoli servivano a provare la disonestà della polizia locale e della pubblica
amministrazione e con la sua incisività non si limitò ad esporre solamente parecchi
funzionari corrotti, ma addirittura, riuscì a scagionare un carcerato fingendosi uno
psichiatra e redigendo poi un articolo che sottolineava la corruzione che aleggiava nei
tribunali del tempo.
Grazie alla sua abilità presto diventò un giornalista itinerante, ed ebbe, così, la
possibilità di viaggiare e di lavorare in molte nazioni come, ad esempio, in Finlandia, nel
sud del Mar Caspio, in Italia, in Egitto e in Marocco e di essere spesso, sotto false identità,
testimone di eventi importanti.
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La tensione nervosa, che si ripercosse sulla sua salute e un desiderio abbastanza
naturale di stabilirsi con la sua famiglia, lo portarono, però, a lasciare la vita da giornalista
nomade per diventare un romanziere.
I suoi primi libri erano solamente degli spudorati libri di cassetta, pieni di sangue e
violenza.
Nel 1907 riaffiorò poi la sua ammirazione per Edgar Allan Poe e Sir Arthur Conan
Doyle e ciò lo portò a sviluppare un nuovo personaggio, Joseph Routabille, un giovane
detective, che era riuscito a risolvere un apparente caso impossibile commesso in una
camera chiusa a chiave, nel libro Le mystère de la chambre jaune.
Nel 1911 pubblicò Le Fantôme de l’Opéra, spiegando ai suoi lettori come aveva
portato a termine le sue indagini sullo strano caso accaduto nel 1880 nel famoso Teatro.
Il libro racconta di come visitò l’enorme lago sotterraneo, dove il Fantasma si
nascondeva e dove vennero ritrovati anche gli scheletri di “molte povere sventurate che
erano state massacrate, sotto la Comune, nei sotterranei dell’Opéra”.
Leroux fornisce, inoltre, accurate descrizioni delle sale, dei palchi, delle dinamiche
del teatro e di molti altri particolari (alcuni aneddoti citati all'inizio del libro, ad esempio,
sono basati su fatti reali, rendendo la vicenda nella sua interezza ancora più verosimile). A
queste, poi, si aggiungono le descrizioni dei labirintici cunicoli e delle molteplici botole
presenti nel teatro parigino: in questo Erik, il fantasma, signore delle botole, come viene
più volte definito, e degli angoli più oscuri del teatro, è un genuino precursore sia
dell'Uomo Ombra, personaggio radiofonico prima, sia di Batman, l'oscuro vigilante ideato
da Bob Kane, entrambi figure leggendarie, che sembrano apparire e scomparire attraverso
botole nascoste nei vicoli cittadini.
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A tutto ciò, poi, si aggiunge la sfida tra Erik e il visconte Raoul de Chagny per la
conquista del cuore della bella Christine Daae, che riprende non solo la favola La bella e la
bestia, a causa della menomazione di Erik (in questo caso sembra che la bestia sia stata
dall'autore scissa in due personalità differenti, Erik e Raoul), ma richiama alla memoria i
tormenti patiti da Johnatan e Mina nella loro sfida contro il conte vampiro in Dracula. I
due personaggi, descritti con tratti gotici, sono accostabili anche per quello che
rappresentano: incarnazioni assolute del male e simboli stessi della morte, anche se Erik
vive la sua condizione in maniera molto più drammatica. Alla fine, la redenzione
conclusiva di Erik che lascia i due giovani liberi di vivere il proprio amore, sembra in
realtà essere ripresa da Francis Ford Coppola in Dracula di Bram Stoker del 1992, film nel
quale Coppola sembra fondere i due personaggi regalando, a differenza di Stoker, una
redenzione conclusiva a Vlad Tepes nel momento della sua morte.
Non mancano, infine, le scene umoristiche, recitate dai personaggi di contorno
(comprimari), che alleggeriscono sapientemente la tensione della vicenda, come, ad
esempio, le ballerine che battono i denti al solo nominare il fantasma, o i due nuovi
direttori che, anche di fronte all'evidenza, si ostinano a negare l'esistenza di Erik, dando
così origine a divertenti siparietti, soprattutto con Madame Giry.
Comunque, le vendite del libro furono abbastanza modeste e i commenti sulle
riviste erano deludenti. L’unico elemento di interesse per il pubblico sembrava essere
derivato dalla pubblicazione a puntate della storia sui giornali francesi, inglesi e americani
con adeguate illustrazioni del fantasma, che si muoveva furtivo nei sotterranei dell’Opéra.
Fu grazie ad un ricercatore della Universal Picture, il quale aveva letto la serie, che
si mise in moto una catena di eventi, che portarono il The Phantom of the Opera ad essere
sugli schermi per la prima volta nel 1925 e a rendere famoso Lon Chaney.
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Purtroppo, Leroux non visse abbastanza per poter assistere al totale trionfo della
sua storia dell’Opéra, anche se si pensa che egli andò in un cinema parigino per vedere la
proiezione nel 1926. Allora egli si trovava in uno stato di salute decadente e morì di uremia
il 15 aprile 1927. Aveva 59 anni e aveva all’attivo circa 60 romanzi, oggi difficili da
trovare, eccetto Le Fantôme de l’Opéra e Le mystère de la chambre jaune, che, però, non
lo resero ricco.
1.3. Il primo esempio del fantasma sullo schermo: Lon Chaney
Nel 1922, Carl Laemmle, l’allora presidente della Universal Studio, a seguito di un
incontro con Leroux, decise di farne una trasposizione cinematografica, dopo che l’autore
stesso gli aveva regalato una copia del libro.
Dopo una notte insonne, con l’intento di finire il libro e di carpirne tutti gli aspetti,
egli decise che tale storia doveva necessariamente essere trasformata in film.
Come star, venne scelto Lon Chaney, un attore “dalle mille facce” che aveva
appena interpretato un altro esempio di deformato: il Quasimodo di Victor Hugo.
Nato da genitori sordomuti, Lon Chaney fu attratto, fin da giovane, dal teatro, dove
lavorava come operaio e, occasionalmente, come comparsa. Agli inizi del secolo, iniziò la
sua carriera di attore, formando con il fratello John una compagnia teatrale. Tra il 1913 ed
il 1917 girò parecchi film facendo quasi sempre la parte del duro, aiutato in questo dai
tratti del suo viso, ma, grazie alla sua eccezionale mimica facciale, poteva passare dall’odio
all’amore, dal piacere al dolore con un impressionante naturalezza.
Solamente nel 1919, però, uscì dall’anonimato sfondando con The Miracle Man di
Gorge Loane Tucker, dove, impersonando un evaso che fingeva di essere storpio per
eludere i suoi inseguitori, dimostrò la sua eccezionale abilità mimetica. Forse, senza
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saperlo, aveva imboccato la via che lo avrebbe portato alla notorietà. Nei dieci anni che
seguirono, prima della morte, avvenuta a New York City a causa di un tumore, interpretò
tutta una serie di pellicole per la Universal e per la MGM, calandosi in personaggi
minorati, deformi, sfigurati, facendo uso di una minuziosa truccatura per la quale non
esitava a sottoporsi a lunghi e dolorosi trattamenti, anche pericolosi per la sua integrità
fisica.
Il successo, però, gli arrivò sicuramente con The Phantom of the Opera.
Lon Chaney (Fig. 3), infatti, per molti ha
rappresentato meglio l’immagine che più spesso riporta alla
mente del pubblico la storia di quest’uomo sfigurato che si
muove furtivamente nei labirinti dell’Opéra e che domina la
mente e la carriera della sua bellissima allieva. Certamente,
è da sottolineare che se Chaney non avesse spopolato con il
film muto del 1925, il romanzo di Gaston Leroux sarebbe
rimasto nell’ombra, come successe, sicuramente, per molti
anni, invece di ispirare molti film e un adattamento teatrale
come è accaduto durante la passata metà del secolo.
Il momento in cui Christine strappa via la maschera a Chaney rappresenta uno dei
momenti più emozionanti ed ha fornito un elemento importante nella storia del cinema
(stando a quel che si dice molte persone del pubblico persero i sensi) e, inoltre, è stato
anche preso come esempio da coloro che poi hanno ricoperto quel ruolo. Sebbene il
precedente direttore di scena, che aveva trasformato l’attore, fosse restio a rivelare come
aveva ottenuto un così terribile aspetto, Chaney negò di indossare ogni tipo di maschera e
Fig. 3 - Lon Chaney
(Fonte: AA.VV. Andrew Lloyd Webber’s The
Phantom of the Opera Companion. Londra,
Pavilion Books, pag. 17)
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disse anche: “È stato l’uso delle tinte con il gioco di ombre e le scenografie adatte, non le
singole parti del viso a creare un tale orrore.”
Il suo fantasma, infatti, come tutto il film, risultò migliore e preferibile agli altri
fatti successivamente, non soltanto per la fedeltà al testo originale, ma anche per
l'imponente miscuglio di spettacolo e orrore con sequenze terrificanti mai viste prima. E
con la crescente certezza che il film sarebbe stato un trionfo, la scena del balletto iniziale e
quella del ballo in maschera furono realizzate con la nascente tecnica a due colori;
imperfetta, ma nel 1925,
sicuramente eccezionale.
Se il terrore, che il
fantasma poteva incutere
all’epoca, si è dissolto nel corso
degli anni, al pubblico di oggi
rimane il fascino indiscutibile
del mito di Lon Chaney, quasi
alla fine della sua carriera artistica, perfetto nella parte di un fantasma elegante, senza
mutilazioni di sorta e nascosto dalla maschera per la maggior parte del tempo, la cui
silhouette sinistra e carica di pathos conferisce al personaggio e al film lo spessore mitico
sconosciuto ai vari Fantasmi dell’Opera successivi.
Grazie alla stupenda interpretazione di Chaney, infatti, il film, nel 1925, risultò
come campione d’incassi in quell’anno.
Fig. 4 - La locandina del film con Lon Chaney
(Fonte: AA.VV. Andrew Lloyd Webber’s The Phantom of the Opera Companion. Londra, Pavilion
Books, pag. 17)