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Infatti in una lettera al principe Maffeo Sciarpa, proprietario
della “Tribuna” scrisse: “io ho, per temperamento e per istinto,
il bisogno del superfluo, il mio spirito mi trascina al desiderio
delle cose belle” e dopo dieci anni ancora scriverà all’editore
Treves “io sono un animale di lusso; e il superfluo m’è
necessario come il respiro”.¹
D’Annunzio ha sempre vissuto e costruito la sua vita come
fosse un’opera d’arte, rivolta al culto della bella parola e del
bel gesto.
Su “Fanfulla della domenica” del 1887 sono pubblicati quattro
nuovi sonetti dell’Epodo a Giovanni Marradi, in cui si trovano
i celebri versi che rappresentano un autentico manifesto
dell’estetica e dell’estetismo dannunziano:
O poeta, divina è la parola;
ne la pura Bellezza il ciel ripose
ogni nostra letizia; e il Verso è tutto²
Ma possiamo ricordare anche alcuni passi dal suo celebre
romanzo il Piacere: “..il verso è tutto e può tutto, può definire
l’indefinibile, può abbracciare l’illimitato, può inebriare come
un vino, rapire come un’estasi, raggiungere l’Assoluto. Un
verso perfetto è assoluto, immortale”.³
_____________
¹ P. Alatri, op. cit., p. 60
² G. D’Annunzio, L’Isotteo La Chimera, Treves, Milano, 1885- 1888, p.
104
³ G. D’Annunzio, Il Piacere, Oscar Mondadori, Milano, 2005, p.145
5
In un altro suo romanzo, il Fuoco, scrive ancora: “c’è una sola scienza
al mondo, suprema: la scienza delle parole”; e continua a ribadire
questo concetto: “tutta la bellezza recondita del mondo converge
nell’arte della parola”; infine “l’espressione è il modo unico di
vivere”.¹
Al periodo estetizzante segue la fase che viene definita della
“bontà” o del Poema Paradisiaco, opera percorsa da un
desiderio di recupero dell’innocenza infantile, di ritorno alle
cose semplici e agli affetti familiari. La bontà però è solo una
soluzione provvisoria.
Tra il 1893 e il 1894 alla stesura del nuovo romanzo, il Trionfo
della morte, si accompagna l’elaborazione di saggi e articoli
che segnano il superamento deciso dell’estetismo e l’approccio
al superomismo che l’autore ha grazie al primo contatto avuto
con Nietzsche sin dal ’92, a Napoli, attraverso traduzioni
francesi di estratti della sua opera.
In verità, già precedentemente D’Annunzio si era richiamato a
Nietzsche nell’articolo intitolato “La bestia elettiva”
pubblicato nel 1892 in cui parlava della Democrazia come lotta
di vanitosi egoismi e della futura divisione degli uomini in due
razze, una superiore, elevatasi per sua volontà e alla quale tutto
sarà permesso, alla inferiore, nulla o ben poco.
____________
¹ P. Alatri, op. cit., p. 87
6
Altri articoli, del periodo napoletano, che evidenziano la
vicinanza del poeta alla filosofia di Nietzsche, sono quelli
pubblicati sulla “Tribuna” nel 1893 e intitolati “Il caso
Wagner”, dove in opposizione a Nietzsche, che accusava il
musicista di essere passato da una musica aristocratica ad una
democratica, D’Annunzio sostiene che la funzione di un
artista consiste nell’esprimere lo spirito del proprio tempo.
Bisogna però mettere in rilievo come in D’Annunzio il
niccianesimo, o meglio il superomismo, preesistesse come un
fatto istintivo, di temperamento, alla conoscenza del filosofo
tedesco. Un temperamento che si era rivelato sin dall’infanzia
e dall’adolescenza nella volontà di sovrastare, di vincere e
superare gli altri.
Lo stesso D’Annunzio in una lettera a Vincenzo Morello
scriverà: “Se tu ti ricordi certe odi del Canto Novo, convieni
con me che là sono i germi dell’idea di potenza e di
predominio”.¹
In verità il poeta interpreta a suo modo il sistema nicciano, di
cui privilegia quegli aspetti che gli permettono di giustificare
l’alto valore che ha di sé in quanto artista e dell’artista in
genere, come l’esaltazione del vitalismo e del sensualismo più
esasperati, il culto della bellezza, il mito della potenza
creatrice dell’arte.
__________
¹ P. Alatri, op. cit., p. 139
7
Per questo molti critici vedono nel superuomo dannunziano il
simulacro di quello di Nietzsche che resta, infatti, ancorato ai
due poli essenziali della figura del poeta: l’estetismo e
l’attivismo politico a base nazionalistica.
Salinari, invece, sostenne che il superomismo dannunziano si
componeva di vari elementi tra cui il culto dell’energia
dominatrice, la concezione aristocratica del mondo e il
conseguente disprezzo della massa e della plebe, l’idea di una
missione di potenza e di grandezza della nazione.¹
È da questo momento che il dannunzianesimo diventa moda e
costume, soprattutto quando dall’esaltazione del superuomo, si
passa a quella della supernazione, l’Italia, e all’invocazione
della guerra e del sangue nel Canto augurale per la nazione
eletta del 1899.
Sono questi gli anni (tra il 1898 e il 1903) in cui la vena
poetica di D’Annunzio dava i suoi frutti più maturi, le Laudi
del cielo del mare della terra e degli eroi: serie di raccolte
poetiche nelle quali viene celebrata la natura, la vita panica,
l’eroismo, la più alta summa poetica dell’attività dannunziana.
Di questa raccolta si ricorda in particolar modo il terzo libro,
l’Alcyone, che rappresenta il punto d’arrivo di tutta la
produzione lirica dannunziana.
__________
¹ P. Alatri, op. cit., p. 142
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In questi stessi anni, il poeta si dedicherà anche al teatro
proponendo una tragedia in cinque atti in prosa, La città
morta, in cui ritorna il tema del superomismo che, come nei
due romanzi superomistici, il Trionfo della morte e Le vergini
delle rocce, s’incarna in personaggi estetizzanti in cui sono più
forti le velleità di quanto non sia la volontà. A questa tragedia
segue la rappresentazione di due atti unici, Sogno d’un mattino
di primavera e Sogno d’un tramonto d’autunno.
Gli elementi che si manifestano in queste due opere
continueranno a caratterizzare sostanzialmente tutta la sua
produzione drammatica. Tonelli definisce il teatro
dannunziano, un “teatro di violenza caratterizzato da istinti
indomabili e irrefrenabili e gli stessi personaggi sono mossi da
una forma di antisociale egoismo”.¹
Nel giugno del 1914 il poeta si lascia coinvolgere dal clima
della guerra che allora si produsse in Francia, preparandosi a
dare inizio alla sua campagna per l’intervento dell’Italia in
guerra.
Tra il D’Annunzio poeta e il D’Annunzio comandante non c’è
frattura: la partecipazione attiva alla guerra, come l’adesione al
nazionalismo e la campagna interventista non sono che il
naturale sbocco della sua vita, della sua attività e del suo
vitalismo.
__________
¹ P. Alatri, op. cit., p. 184
9
Nel gennaio del 1916, durante un atterraggio di fortuna,
D’Annunzio batte la tempia destra contro la mitragliatrice di
prua, perde irrimediabilmente la vista all’occhio destro e per
circa tre mesi è obbligato a rimanere a letto al buio. Costretto
all’inazione e a ripiegarsi su e stesso, in questi mesi compone
il Notturno e la Licenza alla Leda senza cigno.
Le sue due imprese più spettacolari e più audaci, che egli non
manca di propagandare, risalgono all’ultimo anno di guerra.
Nel febbraio del 1918 compie con venti compagni e sotto il
comando di Costanzo Ciano, quella che sarà poi ricordata
come la “beffa di Buccari”, che porta al siluramento di un
piroscafo austriaco ancorato nella baia di Buccari. Poi nel
mese di agosto attua un volo sopra Vienna, lasciandovi cadere
manifestini recanti due messaggi ai viennesi, uno scritto da lui
e l’altro da Ojetti. L’impressione prodotta in Italia e nel mondo
da queste due imprese è enorme: il suo nome è sulla bocca di
tutti ed egli raggiunge il punto più alto della sua fama. È così
che tra gli anni Venti e Trenta ritornerà il mito del
dannunzianesimo.
La fine della guerra non segna la fine dell’attività militare del
poeta. La notizia della stipulazione lo rattrista e diventa così
promotore del mito della “vittoria mutilata”.
Accetta infatti il comando di un gruppo decisi a liberare Fiume
dalle truppe straniere e nel settembre del 1919 entra in città e
la occupa in nome dell’Italia.
10
D’Annunzio però si ritrova all’improvviso isolato e nel
gennaio del 1921 dovette lasciare Fiume deluso dal
comportamento dei fiumani.
Il suo proposito allora fu quello di ritirarsi e come lui stesso
dichiarò di “ridiventare artista puro”.¹
Con l’avvento del fascismo al potere, inizia anche l’ultima fase
della sua vita, ambigua e discussa.
Riesce a trasformare la villa di Cargnacco in un vero e proprio
monumento in onore della propria persona e della propria
gloria e che prenderà il nome di “Vittoriale degli Italiani”. Le
trentasei stanze della sua dimora si riempirono sempre più
mobili e di ricordi della guerra, anche se in verità, nell’allestire
la villa, D’Annunzio, perseguì un’ideale preciso, che fu quello
di lasciare di sé, delle sue gesta e della sua opera un’immagine
vivente.
La sua vita ormai si consumava tutta nel Vittoriale, e più
D’Annunzio decadeva e più in lui si accentuava la tendenza
all’autocompiacimento, all’autocelebrazione e al narcisismo.
__________
¹ G. D’Annunzio, Trionfo della morte, Mondadori, Milano, 2005, p.
XCVII
11
Un’autocelebrazione che si manifesta, per esempio, nella
lettera che il poeta scrive al prefetto Rizzo in cui commenta
così le sue opere: “Chi scrive così? C’è qualcosa di più puro e
di più bello? La mia arte della parola supera quella degli
scrittori d’ogni linguaggio e d’ogni tempo”.¹
La vita del D’Annunzio rimase sempre quella di un esteta,
anarchico ed egocentrico, e analoga può dirsi la sua
produzione imperniata sulla fusione di arte e vita, anche se
gran parte dei suoi atteggiamenti rimangono comunque
connessi alla volontà di colpire il lettore e di assicurarsi il
successo sul piano editoriale.
“Gabriele D’Annunzio è una delle più complesse personalità
che si esplichino nella nostra storia, non è una vita la sua, ma
dieci vite che s’intersecano, non pare ch’egli abbia un’anima,
ma dieci anime spesso discordanti”² così l’autore Zitarosa
interpreta in maniera completa il carattere e la personalità di
D’Annunzio.
__________
¹ P. Alatri, op.cit., p. 56
² G. R. Zitarosa, Personalità di Gabriele D’Annunzio, Treves, Napoli,
1966, p. 10
12
2. Gli esordi
L’esordio letterario di D’Annunzio avviene sotto il segno dei
due scrittori che in Italia, a cavallo degli anni Ottanta,
suscitano maggiore eco, Carducci e Verga.
Ancora fanciullo, il poeta fa il suo primo incontro con
Carducci nel 1878, quando decide di comprare da Zanichelli
alcuni volumi, tra i quali le Odi Barbare. La lettura di quelle
poesie fu per lui una rivelazione sconvolgente, tanto che in una
lettera al Chiarini affermò: “in quei giorni divorai ogni cosa
con un’eccitazione strana e febbrile, l’odio per i versi
scomparve come per incanto e vi subentrò la smania della
poesia”.¹
Esordisce nel 1879, a soli sedici anni, con un libretto di versi,
Primo Vere, in cui D’Annunzio si rivela per la prima volta
autentico poeta, sia pure tra molte reminiscenze scolastiche.
Opera che presentava non poche incertezze, a partire dal titolo
travagliato (Odi arcibarbarissime di Albio Laerzio Flor,
seguito dalla parentesi G. D’Annunzio; Primo Vere, liriche di
Gabriele D’Annunzio),² pubblicata in due edizioni, la prima
nel 1879 con circa trenta composizioni, la seconda nel 1880
con l’aggiunta di circa quaranta composizioni.
___________
¹ P. Alatri, op. cit., p. 14
² N. Lorenzini, D’Annunzio, Palumbo, Palermo, 1993, p.10
13
Vi è forte l’imitazione delle Odi Barbare carducciane, di cui
assume il senso pagano della vita pur aggiungendovi una
personale sensualità.
A parte la dominante presenza del Carducci, l’opera risulta
appesantita inoltre da temi elegiaci e da costruzioni
mitologiche. Tuttavia nella raccolta, soprattutto se la si legge
considerando la produzione successiva, si possono trovare
anche componimenti che rivelano già come i suoi modelli
siano rivissuti con un’attitudine nuova, tipicamente
dannunziana.
All’uscita di Primo vere, sarà Giusepe Chiarini a consacrare la
nascita di un nuovo poeta recensendo la raccolta di liriche sul
“Fanfulla della domenica”, dove sia pure con qualche riserva
moralistica, sanciva così la fama del giovane collegiale: “Il
mio nuovo poeta è un giovinetto di sedici anni. Spesso e
volentieri egli prende l’intonazione dal Carducci, ma poi piglia
l’andare da sé e trova delle immagini felici, delle espressioni
giuste”.¹
Infine dopo circa un anno, nel 1880, il poeta attuò
coraggiosamente una revisione con “penna e fuoco”² di Primo
Vere ripulito di buona parte dei vecchi componimenti e
arricchito di nuovi.
__________
¹ N. Lorenzini, op. cit., p. 1
² G. D’Annunzio, Poesie, Garzanti, Milano, 1982, p. LXXIX