5
in cui la libera unione assumeva il nomen concubinato, dal quale
emerge un’evidente valenza negativa e il suo inquadramento in una
logica punitiva formalmente sancita già a livello di normativa penalistica
con la previsione dell'omonima fattispecie di reato; la seconda, in cui -
con un giudizio ancora sostanzialmente neutro tanto sul piano sociale
quanto sul piano giuridico – cominciò a parlarsi di convivenza more
uxorio, prendendo così atto di un fenomeno che, dopo il primo passo
formale consistente nel riconoscimento delle istanze della prole
naturale, cominciava ad imporre qualche timida (e talvolta indiretta)
forma di valenza giuridica alla posizione dei conviventi nei rapporti
reciproci e perfino nelle relazioni esterne; la terza fase, che è poi quella
odierna, in cui già la terminologia corrente “famiglia di fatto”, diviene
sintomo preciso della circostanza che la società, nel recepire una realtà
impostasi con forza propria, accosta sostanzialmente la comunità nata
fuori dal matrimonio a quella fondata sul vincolo giuridico formale.
Dal concubinato, passando per la convivenza more uxorio fino a
giungere alla famiglia di fatto, si assiste quindi ad un’evoluzione del
costume testimoniata dal parallelo passaggio dal tradizionale
atteggiamento di riprovazione morale ad un atteggiamento di neutra
accettabilità prima, ed oggi di concreta considerazione del diverso
“modus” familiare come nuovo valore sociale tout court
4
.
La prima fase, l'unica ad avere tra l'altro un preciso riscontro normativo,
si ricostruisce a partire dall'analisi dell'antico istituto del concubinato
romano, il quale si distanzia sia dal matrimonio, in quanto mancante di
“honor matrimonii” e “affectio maritalis”, sia dalle unioni temporanee per
essere caratterizzato da continuità. In questa fase il concubinato
costituisce un titolo di reato e un'ipotesi di separazione per colpa.
4
Per queste considerazioni v. Sgroi, op. cit., p. 524 ss.
6
A segnare di disvalore sociale il fenomeno ha fortemente contribuito
l'influenza cattolica, sicché "esso non fu considerato conseguenza di
una possibile scelta di libertà individuale, ma espressione di decadenza
di costumi e di crisi di valori tradizionali, nonché un attentato alla solidità
della famiglia e dello Stato che su di essa si basava"
5
.
La cosiddetta "cultura del disvalore", di matrice canonistica, ha subito un
progressivo processo di erosione in aderenza all'evoluzione del costume
e alla tendenza a dare più consistenza alla sostanza piuttosto che alla
forma di un fenomeno che oggi sta venendo ad assumere una pari
dignità rispetto alla famiglia legittima
6
.
E' stata una celebre sentenza della Corte Costituzionale che ha
dichiarato illegittimo il reato omonimo
7
, e la successiva riforma del
diritto di famiglia nel 1975, con la novità di importantissima portata della
parificazione dei figli naturali ai figli legittimi, "che ha reso la scelta tra
matrimonio e convivenza non più condizionata dall'esigenza di
assicurare ai figli uno status più favorevole", nonché l'introduzione della
legge sul divorzio nel 1970 che ha consentito di regolarizzare le
5
De Filippis, Trattato breve di diritto di famiglia. Padova 2002, p.329.
6
Oggi può considerarsi mutato, almeno in termini di tolleranza, anche l'atteggiamento
della Chiesa, dato che taluni parroci si sono dimostrati disposti a rilasciare attestati
agli stessi conviventi more uxorio circa la durata del loro mènage. Si veda, in
proposito, Trib. Bari 21 gennaio 1977, in Dir. fam. pers. 1979, p. 1186 ss., con nota di
M. Bessone, Favor matrimonii e regime del convivere in assenza di matrimonio.
7
Corte Cost. 3 dicembre 1969 n. 147, in Foro it. 1970, I, c. 17; cfr. altresì Corte Cost.
16 dicembre 1968 n.126 in G.P., 1969, I, 69, con cui la Corte aveva già dichiarato
l'illegittimità costituzionale dell'art.559 commi 1 e 2 c.p., relativi al reato di adulterio
della moglie.
7
convivenze para-matrimoniali sorte in regime di indissolubilità del
vincolo
8
, a spingere verso la sua conclusione la fase del concubinato
per aprire le porte a quella definita della "convivenza more uxorio",
“espressione neutra priva, ad un tempo, di disvalore e di attitudine
identificativa di un’autonoma formazione sociale"
9
.
La posizione dell'ordinamento in questa fase è stata descritta, da parte
della dottrina
10
, con il termine di "agnosticismo", espressione
dell'atteggiamento di indifferenza nei confronti della subjecta materia: da
un lato infatti viene meno l'illiceità della libera scelta della convivenza,
dall'altro la liceità del comportamento non si trasforma in compiuta
regolamentazione.
Viene riconosciuta alla famiglia di fatto una limitata efficacia in alcuni
settori specifici, come nella materia della locazione, o in ambito tributario
e assistenziale, senza che questa frammentaria regolamentazione,
motivata da una logica casistica, possa lontanamente raggiungere la
dignità di un sistema organico e coerente; la tutela indiretta e parziale è
ispirata prevalentemente da situazioni contingenti e non generalizzabili.
Quindi la convivenza more uxorio, che prende a modello di riferimento la
famiglia legittima, è tuttavia ben distante da una equiparazione con la
medesima, rimanendo ferma ed incontestabile la preminenza di
8
Scrive in proposito D'Angeli, op. cit., p.8-9: " Deve a tutto ciò aggiungersi l'ulteriore
svalutazione dell'istituto matrimoniale evidente nell'affievolita stabilità del vincolo
connessa sia all'introduzione del divorzio sia all'ampliamento in sede di riforma, del
suo ambito di applicazione attraverso la liberalizzazione della separazione personale
(...) svalutazione che si è riflessa sul piano etico ponendo in crisi la stessa superiorità
morale del matrimonio nei confronti di altre forme di convivenza familiare e
precisamente della libera unione".
9
Le espressioni citate le ritroviamo in Sesta, Il diritto di famiglia, Padova 2005, p. 401.
10
Bessone, Alpa, D’Angelo, Ferrando, Spallarossa, La Famiglia nel nuovo diritto,
Bologna 2002, p. 69 ss.
8
quest'ultima sancita solennemente dall'articolo 29 della Costituzione e
ribadita in diverse occasioni dalla Corte Costituzionale
11
.
L'impossibilità di inserire la famiglia di fatto nell'alveo dell'art. 29 Cost.
non esclude la possibilità di ricostruire la cittadinanza dell'istituto nella
Costituzione nell'ambito della tutela non della famiglia, quanto piuttosto
della persona che vive il rapporto familiare; la famiglia di fatto si atteggia
in questo senso come una delle formazioni sociali in cui, ai sensi dell'art.
2 Cost., si svolge la personalità dell'individuo.
Oggi, la funzione di sviluppo della personalità di ogni componente, con
particolare riguardo all'educazione ed istruzione della prole, non appare
più soltanto esclusiva della famiglia legittima, ma può essere svolta
anche nell'ambito delle unioni di fatto. Questa è l'apertura di pensiero
cui conduce la terza fase di sviluppo socio-giuridico del fenomeno,
definito sempre più spesso come "famiglia di fatto".
La nuova denominazione è portatrice di un significato ideologico
profondo proprio perché fa luce e pone finalmente l'attenzione sul
portato di solidarietà espresso da un nucleo familiare modellato ad
11
Si veda ad esempio la celebre sentenza Corte Cost. 26 maggio 1989 n. 310, in Fam.
dir, 1989, p. 474, con nota di A. Scalisi, Famiglia di fatto e diritti successori del
convivente more uxorio, in cui si legge: "È vero che l'art.29 Cost. non nega dignità a
forme naturali del rapporto di coppia diverse dalla struttura giuridica del matrimonio,
ma è altrettanto vero che riconosce alla famiglia legittima una dignità superiore, in
ragione dei caratteri di stabilità e certezza e della reciprocità e corrispettività di diritti e
doveri, che nascono soltanto dal matrimonio".
Si veda anche la più recente ordinanza Corte Cost. 20 aprile 2004 n.121, in Fam. dir.,
4, 2004, p. 330, con cui si rigetta la questione di costituzionalità, sollevata in relazione
all'art. 3 Cost., degli artt. 307 e 384 c.p., che escludono la punibilità per il delitto di
favoreggiamento personale per il coniuge, anche se separato legalmente o di fatto, e
non comprendono nella nozione di prossimi congiunti, agli stessi fini, il convivente
more uxorio. Questa pronuncia è, tra l’altro, rafforzata dalla recentissima sentenza
Cass. Pen., sez. IV, 26 ottobre 2006 n. 35967, in Fam. Dir. 3, 2007, p. 275 ss., con
commento di Pittaro, Il convivente more uxorio, a differenza del coniuge, rimane
punibile per il reato di favoreggiamento personale.
9
immagine e somiglianza della famiglia legittima e che si distanzia da
essa solo per l'aspetto formale e della pubblicizzazione del vincolo
12
.
È questa la fase in cui si tende a rivalutare l'elemento affettivo rispetto al
vincolo formale e coercitivo, ponendo le basi per il raggiungimento
dell'obiettivo di attribuire piena rilevanza giuridica alla famiglia di fatto
come fenomeno in sé considerato, affinché l'istituto possa trovare
autonoma cittadinanza nell'ambito del nostro ordinamento.
12
De Filippis, op. cit., p. 329 ss.
10
- 2. DEFINIZIONE DI FAMIGLIA DI FATTO: ELEMENTI MINIMI DI
IDENTIFICAZIONE DELLA FATTISPECIE.
La difficoltà maggiore, nell'affrontare dal punto di vista giuridico il
fenomeno della famiglia di fatto, consiste in primo luogo nella mancanza
di una definizione legale dell'istituto. Nonostante ciò, appare necessario
individuare gli elementi costitutivi della libera unione al fine di poterla
distinguere da altri tipi di convivenza che non presentano le medesime
esigenze di tutela della prima
13
.
Intanto si deve rilevare come la famiglia legittima costituisca il modello di
riferimento di qualsiasi relazione di tipo familiare: la famiglia di fatto
risulta caratterizzata dalla pratica spontanea e non occasionale di
attività corrispondenti all'attivazione di quelli che, nella famiglia
istituzionale di cui all'art. 29 Cost., sono i diritti e i doveri reciproci dei
coniugi.
Autorevole dottrina
14
ha osservato come, mentre alla base della
famiglia legittima c'è un impegno che dà origine e caratterizza un
rapporto, "si è in presenza non di un semplice essere, qualificato dal
diritto come tale, ma di un dovere essere", nella famiglia di fatto al
contrario è il rapporto stesso che può dare origine e vita, finché dura, ad
un impegno. Sulla base di una definizione dunque “relazionale”, si
individua come primo elemento caratterizzante quello negativo
13
Oltre ai rapporti instabili che non si esplicano " ad modum coniugii ", anche ad
esempio la convivenza tra parenti più o meno stretti, o quella della collaboratrice
domestica con la famiglia del datore di lavoro, o ancora quella particolare forma di
convivenza che contraddistingue le comunità religiose, così pensi anche all'ipotesi
normativamente prevista di coabitazione come mezzo di somministrazione degli
alimenti (art. 443 c.c.)
14
Così Busnelli, Sui criteri di determinazione della disciplina normativa nella famiglia di
fatto, in Atti del convegno di Pontremoli 27-30 maggio 1976, Montereggio, 1977, p. 134
ss.
11
dell'assenza dell'atto di matrimonio, al quale "consegue la non
applicabilità di tutta la disciplina dei rapporti personali e patrimoniali tra
coniugi"
15
. Occorre a tal proposito chiarire che, ai fini della liceità delle
unioni paraconiugali, la mancanza dell'elemento formale deve essere
dovuta "alla libera scelta della coppia e non all'impossibilità derivante da
precisi divieti legali, come nel caso di parentela, delitto, interdizione,
minore età, valido matrimonio di uno o di entrambi, con la sola
eccezione della già intervenuta separazione legale e anche della mera
separazione di fatto, in quanto con essa sia venuta meno la comunione
materiale e spirituale tra i coniugi"
16
.
In termini positivi, invece, si valorizza l'"affectio" quale elemento di
caratterizzazione della convivenza; come di recente si è espressa la
Cassazione
17
, "deve trattarsi di una convivenza caratterizzata da
inequivocità, serenità e stabilità". Altro indice identificativo di immediata
evidenza consiste nella coabitazione sotto uno stesso tetto " individuato
come casa familiare, e la coabitazione deve essere qualificata, nel
senso che deve attuare nella realtà quotidiana la scelta in ordine alla
realizzazione di una comunanza di vita materiale e spirituale, nonché di
interessi, simile a quella matrimoniale "
18
.
15
Così Fraccon, Relazioni familiari e responsabilità civile, in Il diritto privato oggi (a
cura di Cendon), Milano 2003, p.377.
16
Fraccon, op. cit., p.383-384.
17
Cass. 4 aprile 1998 n. 3503, in Fam. dir. 1998, p.334, con nota di De Paola.
18
Si veda Trib. Bologna 5 aprile 2001, in Fam. Dir., 6, 2002, p. 640. Si legge ancora
nella sentenza Trib. Milano 9 marzo 2004, in Nuova Giur. Comm., I, 220 che "per la
sussistenza della c.d. famiglia di fatto, non è sufficiente la semplice coabitazione,
dovendosi fare riferimento ad una situazione interpersonale con carattere di
tendenziale stabilità, di natura affettiva che, analogamente ai rapporti familiari, si
esplichi in una comunanza di vita ed interessi e nella reciproca assistenza morale e
materiale... "
12
All'essenziale elemento della convivenza "qualificata", si lega poi il dato
del riconoscimento sociale, come ulteriore connotato che fa escludere le
ipotesi di convivenze segrete o quelle di durata talmente esigua da non
potere essere (ancora) conosciute nell'ambiente sociale cui
appartengono i membri della coppia. Quest'ultima considerazione
introduce la questione centrale che ruota intorno alla stabilità di cui il
tempo è indice sintomatico ma non determinante in sé
19
.
In ogni caso, la questione relativa alla verifica della stabilità della
relazione para-familiare non dovrebbe essere risolta applicando un
criterio meramente temporale; indipendentemente dalla durata, "la
convivenza può comunque rilevare nel caso di nascita di figli, la quale è
considerata un altro affidabile indice della stabilità del rapporto
familiare... anche se va ricordato che il nucleo essenziale di questo è
costituito - ancor prima della nascita di figli - già soltanto dalla coppia"
20
.
In assenza di prole naturale, l'accertamento dell'esistenza di una
solidarietà affettiva ed economica stabile tra i conviventi appare
senz'altro più complicato e va effettuato attraverso l'analisi dei singoli
casi, attraverso il "riferimento ad una pluralità di elementi"
21
ed anche
eventuali certificazioni anagrafiche della convivenza sono considerate
semplici presunzioni.
19
La Cassazione, nella già citata sentenza 4 aprile 1998 n. 3503, così si esprime: “Nel
caso in cui alla convivenza more uxorio siano riconnesse conseguenze giuridiche, al
fine di distinguere tra semplice rapporto occasionale e famiglia di fatto, deve tenersi
soprattutto conto del carattere di stabilità che conferisce un grado di certezza al
rapporto di fatto sussistente tra le persone, tale da renderla rilevante sotto il profilo
giuridico, sia per quanto concerne la tutela dei figli minori, sia per quanto riguarda i
rapporti patrimoniali tra i coniugi separati”.
20
Sgroi, op. cit., p. 554 - 555.
21
Mercolino, I rapporti patrimoniali nella famiglia di fatto, in Dir. Fam. Pers. 2004, p.
945.
13
Con riguardo, infine, all'elemento della diversità di sesso tra i
componenti della coppia, c'è da dire che parte della dottrina
22
è ancora
restia ad ammettere che le unioni omosessuali possano validamente
costituire quella comunità familiare di fatto che sta guadagnando
sempre maggiore riconoscimento giuridico, se formata da eterosessuali.
E questo, nonostante le istanze di accoglimento provenienti dalla
Comunità Europea, gli adeguamenti legislativi di vari ordinamenti
nazionali e l'evoluzione di pensiero di gran parte dello strato sociale. Ma
spesso il giurista e il giudice sono sollecitati a dare risposte a casi
concreti e "il fatto che la convivenza sia tra omosessuali non altera, in
relazione alla questione sottoposta all'attenzione del giudice, il concetto
di convivenza more uxorio che di per sé è un’espressione che si adatta
tanto alla convivenza eterosessuale quanto a quella omosessuale"
23
.
22
Si veda D’Agostino, Una Filosofia della famiglia, Milano 2003, p. 140.
23
Sgroi, op. cit., p.548