CAPITOLO I
Introduzione
Le aree montane lungo l'arco alpino sono da sempre utilizzate, data la loro conformazione, per
la produzione di energia idroelettrica. Numerosi, infatti, sono i bacini idroelettrici che costellano il
territorio montano, ma la loro presenza determina delle condizioni diverse dalla naturalità con
alterazioni sui corsi d'acqua a valle ampiamente documentate (Ward & Stanford, 1979);
relativamente pochi sono invece gli studi che trattano gli effetti del rilascio di sedimenti dai bacini
artificiali nonostante le conseguenze potenzialmente dannose.
Nel tempo, a seguito del trasporto solido delle acque affluenti, i bacini artificiali hanno la
tendenza ad interrarsi manifestando una graduale perdita della capacità d'invaso. Inoltre, i processi
di sedimentazione hanno delle implicazioni sulla gestione stessa del bacino, in quanto determinano
la perdita di efficienza delle opere di presa e degli scarichi di fondo, l'incremento delle
sollecitazioni della diga per l'accumulo dei sedimenti e l'abrasione delle componenti meccaniche
per il passaggio di materiali abrasivi attraverso le opere di presa. Per assicurare il mantenimento ed
il graduale ripristino della capacità utile d'invaso, ma soprattutto per garantire il funzionamento
degli organi di scarico e di presa della diga, i sedimenti che si depositano sul fondo del bacino
periodicamente devono essere asportati.
L'interramento dei bacini artificiali è un problema riconosciuto a livello mondiale (Brandt,
2000). Il tasso di interrimento percentuale, secondo le stime della banca Mondiale, si aggira intorno
all'1%. In Italia si è valutato un apporto solido compreso tra l’1% ed il 7% della capacità totale,
questo vuol dire che, in assenza di interventi mirati a limitare gli effetti della sedimentazione, la
vita media di questi invasi è compresa tra i 100 ed i 15 anni. La sostenibilità dei bacini alpini è
seriamente minacciata dalla sedimentazione che deriva dai processi geomorfologici naturali; molti
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Capitolo I INTRODUZIONE
sono i fattori che determinano il trasporto solido delle acque affluenti, ma sicuramente le
condizioni climatiche, idrauliche e geomorfologiche delle aree che alimentano il bacino imbrifero
sono i principali. Quando la corrente fluviale s'immette nel serbatoio subisce un rallentamento,
diminuisce la capacità di trasporto ed il materiale inizia a sedimentare; la parte più grossolana si
deposita in corrispondenza della coda del serbatoio disponendosi lungo il suo asse in strati inclinati
e granulometricamente decrescenti da monte verso valle.
Le strategie da porre in atto per controllare e ridurre la sedimentazione possono essere
finalizzate o a ridurre l’ingresso dei materiali nel bacino o alla rimozione dei materiali accumulati
nel bacino; il primo gruppo d'interventi tende a ridurre il volume di sedimenti che raggiungono il
serbatoio, controllando i processi di erosione nel bacino imbrifero sotteso dallo sbarramento. La
costruzione di briglie per creare bacini di raccolta dei detriti, la creazione di barriere di vegetazione
o di canali di by-pass costituiscono azioni efficaci per ridurre gli apporti di materiale negli invasi.
Il secondo gruppo d'interventi è finalizzato alla rimozione diretta del materiale che già si è
depositato nell’invaso. Esistono diversi metodi per l'asportazione dei sedimenti; lo svaso prevede lo
svuotamento parziale o totale del serbatoio, ma l'abbassamento del livello del lago consente solo ad
una limitata quantità di materiale sedimentato in prossimità dello scarico di fondo di esitare a valle;
le operazioni di sfangamento hanno invece il fine di eliminare totalmente o parzialmente il
materiale accumulato nel serbatoio e possono essere effettuate mediante spurgo (flushing),
utilizzando l’acqua come fluido vettore per erodere i sedimenti; le altre operazioni di sfangamento
prevedono l'asportazione di materiale a serbatoio pieno (dragaggio meccanico e idraulico) o a
serbatoio vuoto (con mezzi meccanici) ma creano il problema dello smaltimento in un luogo adatto:
frequentemente mancano siti adeguati per la collocazione del materiale e non sempre è possibile
utilizzare il sedimento come risorsa.
Interventi di rimozione effettuati al solo scopo di recuperare capacità d'invaso non sono molto
frequenti nei serbatoi che forniscono acqua destinata alla produzione d'energia elettrica; si tratta,
infatti, di operazioni costose che risultano economicamente convenienti solo per i piccoli bacini
destinati alla modulazione giornaliera o settimanale.
Ove possibile, la rimozione avviene attraverso asportazione meccanica, ma, soprattutto in
ambiente alpino, dove gli invasi sono difficilmente raggiungibili dai mezzi utili per la loro
rimozione, si fa ricorso alla fluitazione. La fluitazione è un metodo relativamente efficace e poco
costoso, non richiede particolari difficoltà tecniche e la perdita d'acqua è accettabile per i bacini di
modesta capacità in proporzione al deflusso totale annuo; è un procedimento che consente
l’asportazione di notevoli quantità di sedimenti con spesa ridotta, sebbene apporti notevoli
problemi all'ambiente acquatico a valle se operata in modo immediato e risolutivo. Tale operazione
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Capitolo I INTRODUZIONE
determina un evento di piena artificiale caratterizzato da concentrazioni di solidi sospesi
estremamente elevate, che possono comportare gravissimi danni alle biocenosi fluviali
influenzando l’integrità degli ecosistemi a valle dello scarico.
In Italia non esiste tutt'oggi una legislazione specifica che regoli le operazioni di manutenzione
dei bacini ad uso idroelettrico. L'articolo 40 del D.Lgs 152 e successive modifiche (articolo 114 del
D.Lgs. 152/06) prevede al primo comma che le Regioni adottino un'apposita disciplina in materia
di restituzione delle acque utilizzate per la produzione elettrica, al secondo comma che qualsiasi
manovra di “svaso, sghiaiamento o sfangamento”, venga effettuate sulla base di un Piano di
Gestione ed infine al comma 9 che le operazioni di svaso non pregiudichino gli usi in atto a valle,
né il rispetto degli obiettivi di qualità ambientale. L'ente gestore dell'invaso prima di effettuare
qualsiasi manovra deve perciò redigere un piano di gestione sulla base dei criteri fissati dal D.M.
30 giugno 2004 (in attesa dell'emanazione del nuovo decreto attuativo previsto dal D.Lgs. 152/06
rimane in vigore il D.M. 30 giugno 2004), allo scopo di garantire la sicurezza degli organi di
scarico e di presa, il mantenimento ed il graduale ripristino della capacità d'invaso e garantire la
tutela delle acque invasate e rilasciate, in particolare tenendo conto dei cicli biologici. Nel progetto
di gestione oltre al programma operativo delle attività, devono essere indicati i livelli e le
concentrazioni di solidi sospesi che non possono essere superati durante queste operazioni, per la
tutela degli ecosistemi a valle.
La normativa, che regola le procedure di svaso/spurgo, risulta insufficiente per quanto riguarda
molti aspetti operativi. Le carenze nel quadro normativo nazionale riguardano il controllo delle
operazioni, la taratura della strumentazione, la definizione di metodi analitici condivisi, e
soprattutto è grave l'assenza di riferimenti e linee guida per individuare valori soglia e di allarme.
Tutto ciò incrementa l'esigenza di norme tecniche di riferimento al fine di supportare i funzionari
degli enti locali competenti. È in questo contesto che si inserisce il presente lavoro di ricerca
promosso dalla Provincia di Sondrio, finanziato dalla Direzione Generale Agricoltura della
Regione Lombardia e condotto dall’Università degli Studi dell’Insubria, dalla società G.R.A.I.A.
s.r.l., in collaborazione con UPS e altri enti, che riguarda la “Mitigazione dell’impatto degli svasi
dei bacini artificiali sull’ittiofauna e valutazione di misure di protezione“. Obiettivo generale dello
studio è quello di definire delle misure di protezione da adottare per garantire, da una parte
operazioni di svaso compatibili con la tutela degli ecosistemi fluviali, e dall'altro l'efficienza di tali
operazioni.
In occasione delle operazioni di svaso/spurgo a valle dello sbarramento si osserva un
incremento del materiale in sospensione (l’aumento dipende dalla quantità dei sedimenti rilasciati)
e variazioni nella concentrazione dell’ossigeno disciolto (diminuisce a seconda dello stato
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Capitolo I INTRODUZIONE
riducente dei sedimenti in sospensione) e della concentrazione di azoto ammoniacale (dipende dal
tasso di degradazione delle sostanze organiche contenute nei sedimenti).
Le conseguenze della fluitazione sull'ecosistema sono molto difficili da distinguere rispetto a
quelle di una piena naturale, non tanto da un punto di vista idrologico e fisico-chimico quanto per
le implicazioni biologiche (Poirel, 2001); Gerster & Rey (1994) in Ciutti et.al. (2000) pongono
l'attenzione sul fatto che le biocenosi acquatiche sono normalmente adattate alle variazioni di
portata e torbidità indotte da eventi naturali; a differenza delle piene naturali caratterizzate da un
graduale aumento delle portate e della torbidità, che dà il tempo agli organismi bentonici di trovare
rifugio nel substrato o in zone marginali e alla faune ittica di spostarsi, le piene artificiali che si
generano in queste occasioni, sono caratterizzate da una rapidità di formazione ed esaurimento che
non fornisce il tempo necessario agli organismi per trovare riparo.
Gli effetti dei solidi sospesi sulla fauna acquatica e gli habitat fluviali sono ben documentati
(Berry et. al., 2003; Cordone & Kelley, 1961; Crowe & Hay, 2004; Wood & Armitage, 1997); si
possono suddividere in effetti diretti sul biota ed effetti diretti sull'habitat, che si traducono in un
impatto indiretto sulle biocenosi. I solidi sospesi svolgono un'azione meccanica diretta (abrasione
ed occlusione) sugli apparati respiratori e alimentari dei pesci e degli invertebrati e sulla
componente vegetale acquatica. Sui pesci le microlesioni dei tessuti epiteliali possono inoltre aprire
la via ad infezioni da parte di funghi e batteri; la mortalità per soffocamento si verifica solo ad
elevate concentrazioni, anche se sono diversi i fattori che intervengono nel raggiungimento della
soglia di letalità (dimensione delle particelle, ossigeno disciolto, durata dell'esposizione,
concentrazione di fondo,..). È noto che i pesci pur sopportando bene elevate concentrazioni
(attraversamento di fiumi in torbida) se hanno possibilità di scelta si spostano in acque limpide
(Sigler et. al., 1984), per cui solo nel caso non sia possibile uno spostamento, per la rapidità
dell'evento o l'assenza di connessioni con aree non direttamente interessate, si innescano fenomeni
di morie.
La torbidità influisce sulla capacità di penetrazione dell'energia luminosa utilizzabile dagli
organismi autotrofi con ripercussioni sull'intera rete trofica e sulla produttività dell'ecosistema. Le
condizioni di torbidità determinano inoltre un'alterazione del comportamento degli organismi che
utilizzano la vista come percezione sensoriale, le cui capacità di individuare le prede e instaurare
relazioni sociali sono limitate dalla scarsa o nulla visibilità.
L'azione abrasiva sul substrato dell'alveo si ripercuote negativamente sul drift degli organismi
bentonici e determina la scomparsa del periphyton. In generale si osserva all'aumentare della
concentrazione dei solidi sospesi e della portata, un aumento della porzione di organismi che
vengono trasportati a valle ad opera del drift, che raggiunge livelli catastrofici.
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Capitolo I INTRODUZIONE
Si assiste ad una riduzione delle risorse trofiche: per esempio gli invertebrati raschiatori sono
penalizzati dalla distruzione del periphyton di cui si cibano, operata dall'abrasione dei solidi sospesi
e dall'impedimento alla fotosintesi; i pesci risentono della diminuzione della comunità
macrobentonica che, in aggiunta alla minor efficienza di predazione, comporta una riduzione del
tasso di alimentazione e di crescita; questo rappresenta il principale effetto subletale dei solidi
sospesi.
L'ostruzione degli interstizi tra i ciottoli causa la scomparsa dei microhabitat di fondo,
indispensabili alla vita sia degli invertebrati che dei primi stadi vitali dei pesci (uova e larve di
Salmonidi) con il conseguente abbassamento della qualità biologica e funzionale. La deposizione
del sedimento sulle aree di frega impedisce la regolare schiusa delle uova e lo sviluppo degli
avannotti in quanto il riempimento degli spazi interstiziali limita la circolazione dell'acqua e gli
scambi gassosi a livello della superficie delle uova. Inoltre la deposizione di sedimento può
impedire alle larve di emergere dai nidi di frega, intrappolandole nel sedimento dopo la schiusa.
Effetti indiretti sul biota si verificano quando gli organismi, che si affidano all'habitat acquatico
per la riproduzione, la nutrizione e rifugio, vengono influenzati dalla perdita di porzioni di habitat o
dalla sua degradazione. I cambiamenti di morfologia dell'alveo possono per esempio causare una
riduzione delle aree di frega disponibili ed aumentare la competizione per tali siti e nel contempo
influenzare la struttura e la funzionalità della comunità macrobentonica.
L'apporto di sedimento a valle può esser tale da determinare alterazioni a livello di mesohabitat,
con il riempimento di pozze e la formazione di barre ed isole nei raschi riducendo la diversità
idraulico-morfologica e rendendo più instabile la conformazione dell'alveo. Per contro il rilascio di
sedimento può in alcuni casi migliorare l'eterogeneità degli habitat fisici a valle, in cui gli equilibri
tra trasporto solido, erosione, sedimentazione e quindi morfologia dell'alveo erano stati alterati
dall'intrappolamento del sedimento nel serbatoio a monte.
L'effetto dei solidi sospesi sulla fauna acquatica dipende non solo dalle concentrazioni
raggiunte, ma anche dalla durata dell'esposizione, dalla sensibilità degli organismi colpiti, dal
periodo di esecuzione delle operazioni e da una serie di altri parametri, quali ossigeno disciolto,
temperatura, forma e granulometria del materiale in sospensione. Garric et. al. (1990), sostengono
che sono le condizioni di ipossia determinate dalla tossicità del sedimento, la principale causa di
mortalità della fauna ittica durante operazioni di fluitazione, perché come evidenziato nei loro
esperimenti i fenomeni di mortalità, dovuti ai solidi sospesi, a breve termine appaiono solo a
concentrazioni molto elevate (eccetto per le larve). L'effetto dei solidi sospesi sui Salmonidi è
influenzato, oltre che dalla quantità d'ossigeno, anche dalla granulometria del materiale; le
particelle di dimensioni pari o superiori a 75 µm di diametro (sabbia), coincidente con la distanza
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Capitolo I INTRODUZIONE
interlamellare dell'epitelio branchiale, causano abrasione dell'epitelio, mentre quelle più piccole
tendono a muoversi liberamente tra le branchie causando meno danni (Newcombe, 1996). Gli stessi
Garric et. al. (1990) fanno notare, a tale riguardo, che il tempo di sopravvivenza mediano per la
trota fario sia diverso a seconda che venga esposta a sabbia o argilla in sospensione: a parità di
concentrazione la durata di esposizione che causa la morte del 50% degli individui è di molto
inferiore per la sabbia. Sebbene gli effetti biologici siano ben conosciuti, mancano prescrizioni
riguardanti le quantità chiave per pianificare le operazioni di fluitazione, a riguardo dei valori
massimi e medi di concentrazione di solidi sospesi, di portata e di durata; al contrario se esistono
sembrano non supportati da appropriate evidenze scientifiche.
Il presente lavoro di ricerca ha riguardato le attività di monitoraggio realizzate durante la
rimozione dei sedimenti di fondo dal bacino artificiale di Valgrosina, situato in provincia di
Sondrio, avvenuta tra il 28 agosto e il 9 settembre 2006. L'attività prevista in questo caso studio è
quella definita dal D.M. del 30 giugno 2004, come spurgo, in quanto il materiale sedimentato viene
trascinato a valle attraverso il rilascio degli organi di scarico. Tale operazione ha rappresentato il
primo caso sperimentale della ricerca promossa dalla Provincia di Sondrio per la definizione di
misure di mitigazione dell’impatto degli svasi dei bacini artificiali sull’ittiofauna.
La pianificazione delle operazioni di rilascio e delle attività di monitoraggio dello svaso di
Valgrosina ha interessato più soggetti quali: il gestore dell’impianto idroelettrico (AEM S.p.A.), la
società privata di Gestione e Ricerca Ambientale Ittica Acque (G.R.A.I.A. s.r.l.) di Varano Borghi
(VA), l’Università degli Studi dell’Insubria (VA) quale soggetto pubblico di ricerca tecnico-
scientifica, l’Unione Pesca Sportiva (UPS) e l’ Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente
(ARPA Lombardia). In fase di pianificazione ci si è chiesti se una volta stabilita la concentrazione
media e la durata delle operazioni da non superare, esistesse una strategia ottimale dal punto di
vista ecologico, e se questa fosse fattibile. Obiettivo della ricerca è stato non solo di stabilire delle
soglie di concentrazione basate su criteri ecologici, ma anche di verificare quanto le concentrazioni
fossero effettivamente controllabili nei corsi d'acqua a valle tramite le manovre tecniche operate in
diga; nel nostro caso la pianificazione delle operazioni di fluitazione è stata portata avanti su un
criterio base: l'alternanza di periodi di rilascio e periodi di acqua pulita avrebbe ridotto l'impatto
biologico; la fauna avrebbe beneficiato di intervalli di basso stress ogni giorno e parte del
sedimento fine depositato in alveo sarebbe stato rimosso, riducendo l'effetto negativo sull'habitat.
Il modello di Newcombe & Jensen (1996) permette di calcolare l'intensità degli effetti sulla
fauna ittica dovuti ai solidi sospesi sulla base della concentrazione e della durata dell'esposizione.
Questo semplice strumento è stato impiegato nella fase di pianificazione per verificare che la soglia
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Capitolo I INTRODUZIONE
di 6 g/l di media (sull'intera operazione) indicata nel progetto di gestione redatto da AEM,
determinasse un danno sulla fauna ittica accettabile.
Per rilevare gli effetti del rilascio dei sedimenti e valutare l'applicabilità del modello di
Newcombe & Jensen (1996) è stato portato avanti un programma di monitoraggio biologico. Le
modificazioni indotte dalle operazioni sulla fauna ittica sono state valutate mediante lo studio della
composizione, della densità, della biomassa e della struttura di popolazione delle specie principali
presenti nel T. Roasco e nel F. Adda. In considerazione dell’importanza ecologica è stata valutata
anche la comunità macrobentonica, analizzando le variazioni qualitative e quantitative che essa
subisce. La comunità dei macroinvertebrati è costituita da organismi con vari livelli di sensibilità
alle alterazioni ambientali, riflette le condizioni chimico-fisico e morfologiche dell'ecosistema
acquatico e perciò può essere considerata come una comunità guida per determinare gli effetti
indotti dallo svaso (Ciutti, 2000).
Il monitoraggio chimico-fisico della qualità dell'acqua, con particolar riguardo a solidi sospesi
ed ossigeno, è stato condotto per poter ricostruire la dinamica delle concentrazioni a valle della
diga, ricollegarle alle operazioni effettuate in diga e quindi agli effetti registrati. La ricerca ha
previsto la sperimentazione di varie metodologie per il monitoraggio e l'analisi dei solidi sospesi; la
stima delle concentrazioni in campo è stata effettuata tramite alcune sonde (misuratori di solidi
sospesi) e a partire dal volume sedimentato nei coni Imhoff. Successivamente in laboratorio sono
state sperimentate le metodiche analitiche per l'analisi dei campioni prelevati in situ.
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CAPITOLO II
Area di studio
2.1 - Inquadramento geografico
L’invaso di Valgrosina è situato lungo l’omonima valle, all'altezza dell’abitato di Fusino (circa
1.200 m s.l.m.). La Valgrosina si posiziona all'ingresso dell'alta Valtellina ed è una delle maggiori
valli tributarie dal F. Adda, corrispondente al bacino imbrifero del torrente Roasco; l’area di
indagine principale include il bacino del torrente Roasco ed il tratto di fiume Adda compreso fra
Grosio (41 km a nord-est di Sondrio, a 656 m s.l.m.) e l’invaso artificiale di Sernio, a valle del
quale si ritiene che l’effetto ecologico dello svaso possa risultare trascurabile. Nella Figura 4 è
rappresentata l’area di studio in cui si sono svolte le attività di monitoraggio principali previste per
lo svaso.
Il ramo principale della Valgrosina (Valgrosina Orientale o di Eita), scende in direzione N-S
dalla Cima de’ Piazzi, che la divide dalla Valdidentro, e riceve in destra la Val d’Avedo; presso la
località di Fusino riceve in destra il ramo occidentale del T. Roasco, che percorre la Valgrosina
Occidentale (o Val di Sacco) in direzione circa O-E, e alla fina sbocca sulla destra idrografica del
fiume Adda, all'altezza del comune di Grosotto (590 m s.l.m.), 38 km a N-E di Sondrio. Il T.
Roasco è formato da due rami principali: quello occidentale o di Val di Sacco segna la linea di
confine tra i comuni di Grosotto e Grosio e la sua lunghezza, dalla sorgente presso il lago del
Zapelàsc (Grosio), fino alla confluenza con il F. Adda, è di circa 15 km. Il ramo orientale detto
anche di Vèrva o di Eita discende dal passo di Vèrva, attraversa il pianoro di Eita, per poi confluire
nella diga di Valgrosina. La valle del T. Roasco è di erosione glaciale con tipica forma ad U, in
roccia prevalentemente costituita da micascisti e gneiss ricoperta da una coltre detritica di origine
glaciale con sovrapposti detriti di falda; questa coltre di materiale sciolto venne a sua volta incisa
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Capitolo I AREA DI STUDIO
dal torrente con intaglio a V, che non solo mise a nudo la roccia madre, ma giunse ad incidere nella
roccia un solco che nella sezione dello sbarramento è profondo 20÷30 m.
Figura 1 - Diga di Valgrosina, Grosio (SO).
Il bacino imbrifero naturale dall’invaso di Valgrosina ha una estensione di circa 60 km
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e si
sviluppa su un territorio montano praticamente esente da attività antropica. La copertura del
territorio riferita all’uso del suolo è caratterizzata per la maggior parte da accumuli detritici e
affioramenti litoidi privi di vegetazione che costituiscono circa il 43% dell’intera superficie; segue
con circa il 28% la vegetazione rupestre e dei detriti e con quasi il 15% quella arborea, formata
principalmente da boschi di conifere. Il bacino allacciato, tramite il canale derivatore Premadio-
Val Grosina, è decisamente più esteso (531 Km
2
) e comprende il territorio dell'alta Valtellina, più
intensamente abitato e frequentato sia dal turismo invernale sia da quello estivo.
Analizzando la distribuzione annuale delle precipitazioni, rilevate dai pluviografi e dai
pluviometri presenti presso le stazioni di Grosio (652 m. s.l.m), Fusino (1.216 m s.l.m), Eita (1.708
m s.l.m) e rifugio Falck (1.955 m s.l.m), emergono rispettivamente i seguenti valori di
precipitazione media annua: 880 mm/anno, 950 mm/anno, 1.160 mm/anno, 1.570 mm/anno. Il
valore della precipitazione media annua per il bacino sotteso dal T. Roasco è assunto pari a 977
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Capitolo I AREA DI STUDIO
mm/annno. Per quanto riguarda, invece, la distribuzione stagionale, il regime pluviometrico è
quello tipico continentale alpino, con piovosità estiva e minimo invernale.
2.2 - Il sistema idroelettrico oggetto di studio
La diga di Valgrosina (Figura 2), del tipo a speroni a gravità alleggerita, fu completata nel 1960
per conto della società AEM s.p.a. e fa parte dell’impianto idroelettrico di Grosio. La quota di
coronamento è a 1.210 m s.l.m; è dotata di paratoie di superficie a ventola (scarichi di superficie),
di uno scarico di fondo a 1.180 m s.l.m. e d'esaurimento (due tubazioni di 1.000 mm di diametro
che attraversano il corpo della diga) a 1.168,5 m s.l.m. L'alveo del torrente in uscita dalla diga è a
quota 1.163 m s.l.m.. La roccia in posto è costituita da gneiss biotitici e micascisti in banchi
fessurati, con intercalazioni di anfiboliti e quarziti. I banchi s'immergono con l'inclinazione di circa
Figura 2 – Sezione della diga di Valgrosina
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