Introduzione
II
operativa ed assimilazione giuridica al modello della banca ordi-
naria, si intende analizzare l’evoluzione del nostro sistema ban-
cario dal modello di mercato controllato, delineato dalla legge
bancaria del ’36, al suo superamento in favore del modello di
mercato regolato in cui avrebbero operato solo soggetti privati.
Questo lavoro si propone, in primo luogo, di analizzare compiu-
tamente quel processo che ha segnato nel nostro ordinamento, il
passaggio da un sistema bancario caratterizzato dalla massiccia
presenza di organismi pubblici ad un sistema privatizzato; pren-
dendo in considerazione le varie fasi in cui si è articolato tale
passaggio e ponendo particolare attenzione all’evoluzione che ha
subito la figura degli enti conferenti, oggi fondazioni di origine
bancaria, creati dalla legge Amato come enti pubblici non eco-
nomici, e divenuti otto anni dopo, con la legge n.461/98, enti di
diritto privato.
Si intende evidenziare in modo particolare come l’esigenza
di tale di riforma fosse legata alla necessità di restituire ai nostri
istituti di credito una maggiore competitività sui mercati bancari
internazionali soprattutto in considerazione del processo di inte-
grazione dei mercati creditizi e finanziari europei, che rischiava
Introduzione
III
di porre le banche italiane di fronte ad una grave crisi. Per scon-
giurare tale rischio le disposizioni della legge n.218/90 avrebbero
mirato ad una omogeneizzazione della pluralità di figure giuridi-
che presenti in tale sistema bancario, riconducendole al modello
della società per azioni di diritto comune, ritenuto, quest’ultimo,
più efficiente e, conseguentemente, più adatto ad affrontare la
concorrenza internazionale.
Il provvedimento in questione, prevedendo il conferimento
dell’azienda bancaria da parte dell’ente banca pubblica in una
nuova società per azioni, ha permesso l’avvio di una prima fase
di privatizzazioni del settore bancario, detta privatizzazione for-
male o privatizzazione fredda, che avrebbe consentito il progres-
sivo ritiro degli enti pubblici dal settore bancario e, quindi, un
generale miglioramento della reddittività attesa dalle aziende
bancarie.
Il completamento del processo di privatizzazione, con i
provvedimenti emanati nel corso degli anni novanta ha consenti-
to, portando gradualmente all’abrogazione del vincolo della par-
tecipazione pubblica obbligatoria nel capitale delle società banca-
Introduzione
IV
rie, il passaggio alla cosiddetta fase di privatizzazione sostanzia-
le, o calda, del settore bancario.
Nel descrivere l’evoluzione della normativa verso la priva-
tizzazione vera e propria del settore bancario, quindi, verrà posta
particolare enfasi sulla problematica del vincolo della partecipa-
zione pubblica di controllo nel capitale delle società bancarie che
era stato previsto dalla legge Amato, nonché sul suo superamento
che avrebbe consentito la definitiva separazione fra ente confe-
rente e società bancaria.
In conclusione si verificherà come il lungo cammino della
riforma delle banche pubbliche, una volta avviato il processo di
privatizzazione sostanziale, avrebbe richiesto, per essere conclu-
so, il riconoscimento alle cosiddette fondazioni bancarie della
personalità di diritto privato, non esistendo più ragioni perché es-
se continuassero ad essere considerate enti pubblici.
Intendiamo, dopo avere descritto i diversi modelli organiz-
zativi cui le fondazioni possono ispirarsi, approfondire alcune
questioni sollevate dall’acceso dibattito sulle fondazioni bancarie
ed inerenti il futuro ruolo che le fondazioni avrebbero dovuto ri-
vestire, nell’economia del paese, una volta divenuti enti non pro-
Introduzione
V
fit. Particolare attenzione verrà dedicata ai pareri degli addetti ai
lavori circa la possibilità, per le fondazioni, di sostenere, assu-
mendo il ruolo di investitore istituzionale, il processo di privatiz-
zazione che negli anni novanta ha interessato vari settori
dell’economia.
Inoltre, passando attraverso lo studio dei vari provvedimenti
che si sono succeduti nel corso degli anni novanta, si vuole veri-
ficare in che modo la diversa natura, che agli enti è stata ricono-
sciuta nelle diverse fasi della riforma, abbia influito sulla evolu-
zione del regime di vigilanza cui le fondazioni bancarie erano
sottoposte. Per questo motivo, dopo avere approfondito gli ob-
biettivi e i contenuti della legge Amato, si intende sottolineare la
relazione esistente tra il regime di vigilanza governativa, previsto
dalla stessa, e la natura di ente pubblico non economico con fina-
lità di utilità pubblica, riconosciuta agli enti conferenti.
La attribuzione della personalità di diritto privato alle fon-
dazioni avrebbe reso necessario un nuovo regime di vigilanza,
incentrato su di una autorità indipendente, sul modello delle auto-
rità di regolazione dei servizi di pubblica utilità. Nell’ultimo ca-
pitolo verrà messo in relazione il processo che ha portato alla cri-
Introduzione
VI
si del modello di Stato liberale ed il progressivo arretramento
della amministrazione dello Stato dalla sfera pubblica, con la na-
scita e alla proliferazione delle così dette Authorities.
Facendo riferimento alla distinzione proposta dal Consiglio
dei Ministri in un documento del 1995 tra autorità garanti e auto-
rità di regolazione intendiamo spiegare la scelta del legislatore di
assoggettare le fondazioni alla vigilanza di una autorità indipen-
dente in considerazione della natura, di utilità sociale,
dell’attività da esse svolta che, coinvolgendo interessi ascrivibili
all’intera collettività, richiede la vigilanza di un organismo che
garantisca tali interessi.
L’opportunità di istituire una authority per le fondazioni di
origine bancaria verrà quindi spiegata attraverso l’evoluzione
dell’Amministrazione statuale dal modello di Stato gestore a
quello di Stato regolatore che aveva condotto alla restituzione ai
privati di importanti settori di produzione che erano gestiti dallo
Stato in condizioni di monopolio e parallelamente si manifestava
con un analogo arretramento dell’apparato amministrativo dal
comparto dei servizi sociali. Per garantire il conseguimento degli
originari scopi nei vari comparti che venivano restituiti alla sfera
Introduzione
VII
privata l’Amministrazione dello Stato si sarebbe avvalsa
dell’istituzione di apposite Autorità indipendenti.
In conclusione prenderemo in considerazione un particolare
modello di autorità, che il legislatore del 1998 ha espressamente
richiamato, quello della Charity Commission for England and
Wales, considerando gli elementi che consentono di assimilare
tale figura, presa dall’esperienza della Gran Bretagna, alla Auto-
rità di vigilanza per le fondazioni di origine bancaria prevista dal-
la riforma del 1998.
Capitolo 1
Dalle Casse di Risparmio alle Fondazioni Bancarie
1. Origine ed evoluzione delle Casse di Risparmio
Le prime Casse di Risparmio in Italia, a parte sporadici casi
registrati durante il Settecento, sorsero a partire dagli anni 1830-
1840 per educare il popolo al risparmio e ai valori da lui rappre-
sentati e perseguendo fini solidaristici, di beneficenza e di tutela
del piccolo risparmio
1
.
La situazione di frammentazione politica che caratterizzava
il nostro paese al momento dell’unificazione ha comportato una
eterogeneità nelle modalità di costituzione degli istituti tale da in-
fluenzarne le prime fasi di sviluppo, infatti “l’influenza culturale
e politica che le grandi potenze europee hanno esercitato in modo
diretto o indiretto sui vari stati in cui era divisa la nostra penisola
ha costituito la causa non ultima di quella eterogeneità di matrici
1
Al riguardo Tommaso Fanfani rilevava come “già dalla fine del settecento si diffonde l’idea che non sia la carità la
giusta soluzione per la miseria, ma sia l’educazione al risparmio da praticare attraverso la creazione di strumenti capaci
di raccogliere i piccoli risparmi delle categorie più deboli della società, farli crescere e consentire quel minimo di accu-
mulazione utile e necessaria per la previdenza individuale.” Tommaso Fanfani, L’ottocento Italiano, in Claudio Ber-
mond e Daniele Ciravegna, Le casse di risparmio ieri e oggi, Atti del convegno internazionale di studi Torino 13 no-
vembre 1995, Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, 1996,Torino, pag.33.
Dalle Casse di Risparmio alle Fondazioni Bancarie
2
e di quelle sensibili differenze strutturali che, assai profonde in
passato, esistono tuttora e caratterizzano in modo originale il si-
stema delle Casse di Risparmio italiane.”
2
In particolare, nell’Italia settentrionale, dove si trovavano
territori austriaci, le Casse di Risparmio sorsero grazie alla spinta
delle autorità governative, secondo il modello che prevaleva nel
regno d’Austria. Fu in particolare in questa regione, dove gode-
vano di una maggiore solidità e diffusione, che tali istituti furono
spesso costretti ad andare oltre le loro iniziali finalità ed i loro
compiti istituzionali, per svolgere un ruolo di supplenza nei con-
fronti di un sistema bancario ancora troppo fragile
3
, che, nel
1960, contava solo quattro società ordinarie di credito a fronte di
ben 91 Casse di Risparmio
4
.
Anche nel regno sardo la diffidenza verso qualsiasi forma
associativa aveva fatto prevalere il modello austriaco delle opere
pie, mentre le Casse di risparmio in Toscana e nello Stato Ponti-
2
1888-1988 Origine e Attualità della prima legge sulle Casse di Risparmio italiane, atti parlamentari relativi alla legge
15 luglio 1888, n. 5546, Associazione delle Casse di risparmio italiane, pag.27
3
Per una trattazione più dettagliata di questo tema, vedi G. Pescosolido, L’economia e la vita materiale, in G.Sabbatucci
e V. Vidotto, Storia d’Italia, volume I, le premesse dell’unità, Laterza, Bari, 1994, p.97-99.
4
G. Pescosolido, Arretratezza e sviluppo, in G. Sabbatucci V. Vidotto, Storia d’Italia, volume II, Il nuovo stato e la so-
cietà civile, Bari, Laterza, 1995, p278-279.
Dalle Casse di Risparmio alle Fondazioni Bancarie
3
ficio erano sorte principalmente grazie all’apporto di capitali dei
privati, seguendo il modello diffuso nella vicina Francia.
Nel Mezzogiorno, ad eccezione della Cassa di Melfi, quella
delle Casse di Risparmio restò una forma di istituto sconosciuta,
in un contesto in cui la presenza dello Stato giocava un ruolo più
accentuato che altrove.
Queste differenze strutturali, naturalmente, implicavano una
eterogeneità nella regolamentazione che i vari Stati pre-unitari
avevano dedicato all’attività delle casse di risparmio in quanto
“la dicotomia tra casse nate come fondazioni emanate da enti
morali o organismi della collettività, o sorte dall’associazione tra
privati, come società di persone a responsabilità limitata, si [ri-
percuoteva] nella definizione della loro essenza e natura giuridi-
ca.”
5
.
Lo stato unitario dovette così affrontare un insieme di Cas-
se di Risparmio assolutamente disomogeneo tale da risultare dif-
ficilmente regolamentabile con la sola estensione dell’esperienza
normativa del regno di Sardegna; il Consiglio di Stato del regno
5
Le casse di risparmio ieri e oggi, Atti del convegno internazionale di studi, Torino 13 novembre1995, a cura di Clau-
dio Bermond e Daniele Ciravegna, pag. 37.
Dalle Casse di Risparmio alle Fondazioni Bancarie
4
sabaudo rilevò infatti come non fosse possibile pensare di appli-
care la disciplina sarda indistintamente a tutte le casse di rispar-
mio
6
.
In particolare risultava particolarmente arduo inquadrare in
categorie giuridiche preesistenti istituti che erano sorti con moda-
lità così differenti; fin dalla loro origine, quindi, si pose il pro-
blema della definizione giuridica delle Casse di Risparmio, “pro-
blema che non si riduceva soltanto a esercitazione di sottili giuri-
sti ma che era ricchissima di risvolti pratici”
7
, se infatti, da un la-
to, tutte le Casse erano sorte principalmente per fini mutualistici,
era evidente come, sotto il profilo operativo, esse svolgessero
l’attività di una qualsiasi altra banca, questa concomitanza di fi-
nalità sociali ed economiche rendeva complicata la definizione
della natura giuridica delle Casse.
Mentre il Regno di Sardegna, fin dal 1850, aveva classifica-
to, con una serie di regi decreti, le Casse di Risparmio come isti-
tuti di beneficenza, il Consiglio di Stato, in un parere del 29 lu-
6
Per venire in contro alla diversa matrice delle casse di risparmio il regio decreto del 21 aprile 1862, n. 1007, distin-
guendo le casse di risparmio “mantenute da opere pie” da quelle “di indole diversa”, attribuì il controllo sulle prime al
ministero dell’interno mentre le seconde vengono affidate al ministero di agricoltura, industria e commercio.
7
1888-1988 Origine e Attualità della prima legge sulle Casse di Risparmio italiane, Associazione delle Casse di ri-
sparmio italiane, pag. 31
Dalle Casse di Risparmio alle Fondazioni Bancarie
5
glio 1869, basandosi sulla concreta attività svolta dai vari istituti,
fu orientato ad assimilarli agli ordinari istituti di credito. In tale
parere, infatti, le casse vengono considerate come “istituti di cre-
dito soggetti a commercio”
8
.
Con l’entrata in vigore del nuovo codice di commercio del
1882, veniva disposto l’esonero da qualsiasi forma di autorizza-
zione o di vigilanza governativa per tutti gli istituti di credito; è
evidente la difficoltà di adattare tali disposizioni alle Casse di Ri-
sparmio, dove “l’assenza di interessi commerciali dei soci da un
lato, e la gratuità delle funzioni di amministratore dall’altro, non
consentivano che la regolare conduzione delle Casse fosse garan-
tita dal combinarsi del controllo da parte dei singoli soci con quel
complesso di obblighi e responsabilità che il codice di commer-
cio prevedeva a carico degli amministratori delle società com-
merciali”
9
.
Tali considerazioni portarono, in un primo momento, ad una
proposta del Consiglio di Stato, espressa in un parere del febbraio
8
Parere del Consiglio Di Stato, Sez. Int., 29 luglio 1869 relativo al quesito del Ministero dell’Interno in data 18 luglio
1869, in 1888-1988 Origine e Attualità della prima legge sulle Casse di Risparmio italiane, Associazione delle Casse di
risparmio italiane, pag. 32.
9
1888-1988 Origine e Attualità della prima legge sulle Casse di Risparmio italiane, Associazione delle Casse di ri-
sparmio italiane, pag. 33.
Dalle Casse di Risparmio alle Fondazioni Bancarie
6
1884, di un intervento legislativo che regolamentasse le Casse di
Risparmio nella loro specificità e, in seguito, all’approvazione
della legge n.5546 del 15 luglio 1888
10
, con al quale si sarebbe
pervenuti finalmente alla definizione di una disciplina unitaria e
organica delle Casse di Risparmio. Si concluse così il dibattito
sulla opportunità di assimilare le Casse alle opere pie o agli isti-
tuti di credito, le Casse di Risparmio vennero infatti definite co-
me un “tertium genus” una figura mista
11
, tra gli istituti di bene-
ficenza e gli istituti di credito ordinario, in maniera da cercare di
conciliare le finalità filantropiche perseguite e la natura commer-
ciale, quindi privata, dell’attività svolta.
La legge-cornice del 1888 si proponeva di disciplinare uni-
tariamente le Casse di Risparmio facendo salve però le peculiari-
tà operative che derivavano dai loro statuti, lasciando quindi ai
loro statuti ampi margini di autonomia. Questo quadro normati-
vo, insieme ad altre leggi speciali che autorizzavano le Casse ad
10
Generata dall’esperienza degli stessi soggetti che andava a regolare, la legge lasciava ampi spazi di autonomia alle
casse di risparmio; la duttilità delle disposizioni che ne conseguiva avrebbe consentito a questa legge di rimanere ap-
plicata per più di un secolo , il suo impianto generale venne infatti recepito nel testo unico del 1929, rimanendo in vigo-
re fino alla riforma della legge bancaria del 1993.
11
Le casse sono definite “istituti che si propongono di raccogliere i depositi a titolo di risparmio e di trovare ad essi
conveniente collocamento”, in questo modo si venivano a definire dei soggetti che, mantenendo la natura di istituti di
beneficenza, svolgevano un’attività assimilabile, per certi versi a quella degli ordinari istituti di credito.
Dalle Casse di Risparmio alle Fondazioni Bancarie
7
effettuare operazioni quali il credito speciale nei settori del credi-
to agrario e del credito edilizio, ha permesso quindi alle Casse,
dal punto di vista operativo, di assumere caratteristiche originali
rispetto agli altri operatori; caratteristiche che a loro volta hanno
posto le casse in una posizione intermedia, in deroga al principio
della specializzazione temporale degli enti creditizi stabilito dalla
legge bancaria del 1936, tra le aziende di credito, operanti nel
breve termine, e gli istituti di credito speciale, operanti nel me-
dio-lungo termine.
Questa specializzazione operativa, improntata essenzialmen-
te sul principio di prudenza nella acquisizione di depositi, con-
sentì alle Casse di Risparmio di affrontare le crisi di fine secolo
subendone in maniera ridotta i contraccolpi in quanto “Le diffi-
coltà attraversate da tutto il sistema del credito negli anni ottanta
e novanta, non aveva quasi per nulla toccato le casse, e certamen-
te non avevano toccato quelle di maggiori dimensioni”
12
. Infatti
la loro attività, fortemente radicata sul territorio, la prudenza ne-
gli impieghi, il fatto che per statuto non perseguivano fini di lu-
12
Alberto Cova, Il novecento Italiano in, Bermond G., Ciravegna D., Le Casse di Risparmio ieri e oggi, Atti del conve-
gno internazionale di studi, Torino, 15 novembre 1995, Fondazione CRT, Torino 1996, pag.50.
Dalle Casse di Risparmio alle Fondazioni Bancarie
8
cro sono tutti fattori che hanno rappresentato, nel tempo, la forza
di questi istituti.
Questa stessa specificità fu però la causa che portò successi-
vamente, all’inizio del Novecento, ad una crescita relativamente
minore delle Casse rispetto agli altri istituti, infatti “dall’inizio
del secolo e fino agli anni quaranta le grandezze di bilancio delle
casse di risparmio si sono venute riducendo, in termini relativi, a
fronte della crescita di quelle delle altre aziende di credito, fino a
stabilizzarsi, per quanto riguarda la raccolta, attorno al trenta per
cento del totale del sistema bancario”
13
.
2. Il processo di despecializzazione operativa e di assi-
milazione normativa delle Casse di Risparmio
Si sentì così l’esigenza di un cambiamento di rotta, lenta-
mente venne avviata una politica degli impieghi più dinamica, le
operazioni di impiego e raccolta persero le caratteristiche che le
distinguevano dalle operazioni bancarie, si procedette ad
13
1888-1988 Origine e Attualità della prima legge sulle Casse di Risparmio italiane, Associazione delle Casse di ri-
sparmio italiane, pag. 13.
Dalle Casse di Risparmio alle Fondazioni Bancarie
9
un’omologazione dei bilanci delle casse rispetto a quelli delle
banche ordinarie.
La spinta alla despecializzazione da parte delle Casse era
biunivocamente collegata all’evoluzione della normativa, che
tendeva ad assimilare le casse, dal punto di vista operativo, agli
altri operatori. Una serie di interventi regolatori tra il 1936 e il
1938 contribuì alla affermazione della natura bancaria delle Cas-
se di Risparmio, ma è con la legge bancaria del 1936 in particola-
re che si perviene alla equiparazione formale di questi istituti con
le banche ordinarie, come ricorda Giulio Ponzanelli: “la storia
delle Casse di Risparmio culmina alla fine degli anni trenta, nella
definitiva loro inclusione all’interno dell’ordinamento banca-
rio”
14
. L’evoluzione normativa procedette gradualmente verso la
equiparazione ed una spinta determinante, in tale direzione, ven-
ne “dall’assimilazione sin dal 1958 delle casse di risparmio, pur
con taluni adattamenti, alla normativa di vigilanza sulla riserva
obbligatoria.”
15
.
14
Ponzanelli Giulio, Fondazione bancarie: passato presente e futuro, in AA. VV., Le organizzazioni senza fine di lucro,
Giuffrè milano 1996, pag.251.
15
1888-1988 Origine e Attualità della prima legge sulle Casse di Risparmio italiane, Associazione delle Casse di ri-
sparmio italiane, pag. 14.