L’elusione fiscale non è l’unico modo con cui il contribuente cerca di sottrarsi
all’imposizione tributaria, ma è quello che si è rivelato più difficile da individuare e
contrastare.
Da quanto appena detto emerge che il rapporto Amministrazione finanziaria-
contribuente si rivela conflittuale. Probabilmente, il conflitto si ridurrebbe laddove il
rapporto tributario venisse improntato in questi termini: dovere del legislatore tributario
di organizzare un giusto sistema impositivo, pervaso dalla fondamentale funzione
redistributiva e satisfattiva di interessi collettivi, ed improntato a criteri di trasparenza e
rispetto della proprietà privata; dovere del contribuente di adempiere al proprio dovere
contributivo che, prima ancora di essere giuridico, è sociale.
L’ elusione fiscale si caratterizza per le difficoltà che presenta a cominciare dalla sua
definizione concettuale. Infatti, nell’ordinamento giuridico italiano manca una nozione
positiva di elusione fiscale. Detta lacuna implica, in primis, un problema di carattere
concettuale-definitorio correlato all'esigenza di definire e distinguere la fenomenologia
elusiva da altre figure con cui presenta affinità. Tali altre figure, già esistenti e
regolate, non vanno confuse con l’oggetto del nostro studio, né sono luogo per la
ricostruzione della relativa disciplina.
La posizione dell’ordinamento non è, infatti, ben delineata al di fuori di quei casi in cui
il legislatore è intervenuto a disciplinare il fenomeno in qualche sua manifestazione.
Seguire la strada della repressione dell’elusione fiscale al di fuori di un binario
legislativamente tracciato porta con sé un inevitabile rischio per la certezza del diritto.
Inoltre, si ritiene che ciò possa costituire attentato alla libertà negoziale, altro basilare
principio secondo cui ciascuno è libero di strutturare i propri rapporti usando gli
strumenti che il legislatore ha messo a disposizione.
Imprescindibile, inoltre, è il riferimento all’impianto costituzionale, il quale contiene
specifiche norme che investono direttamente la materia tributaria.
Inoltre, l’art. 53 Cost. sancisce il principio di imposizione secondo capacità
contributiva, il quale riveste importanza centrale nella materia tributaria.
In applicazione di esso, infatti, ognuno è chiamato a contribuire alla spesa pubblica in
modo proporzionato alla propria ricchezza e capacità economica, di modo che possa
dirsi rispettato in maniera sostanziale l’altro fondamentale principio, posto all’art. 3
Cost., ossia quello d’uguaglianza che, nello specifico contesto, assume il significato di
uguaglianza nel sacrificio determinato dall’imposizione fiscale.
Andrebbe, pertanto, ricercata una soluzione al problema elusivo che riesca a mediare tra
le varie esigenze in contrapposizione (capacità contributiva e uguaglianza, da un lato,
certezza e affidamento, dall’altro).
Tra gli aspetti problematici del tema in oggetto, il primo da affrontare, dopo quello
definitorio, riguarda la distinzione del fenomeno in questione da altre figure con le
quali pure presenta profili affini.
Il primo discrimine va tracciato rispetto al legittimo risparmio d’ imposta, in relazione
al quale il confine si presenta alquanto sottile, soprattutto sul piano pratico.
Comunemente si ritiene che si abbia legittimo risparmio d’imposta nel caso in cui il
privato evita di compiere un’operazione per non incorrere nella relativa imposizione.
È opinione comunemente condivisa che l’elusione fiscale si collochi a metà strada tra il
legittimo risparmio d’imposta e l’evasione fiscale, come una sorta di tertium genus,
diverso dall’uno e dall’altra .
Nel nostro ordinamento manca una norma generale con la quale si reagisca al
fenomeno, anche se questa non è opinione pacificamente condivisa.
Il legislatore si è mosso con rimedi specifici, quasi a voler ricucire le smagliature del
sistema più vistose, senza assumere una posizione radicale in proposito.
A fronte della scelta del legislatore tributario di non introdurre nell’ordinamento una
norma antielusiva generale, dottrina e giurisprudenza si sono divise.
Infatti, si teme che seguendo la strada della repressione dell’elusione fiscale al di fuori
dei casi legislativamente previsti, rimangano travolti importanti valori quali la certezza
del diritto, che da sempre è stata ritenuta baluardo della democrazia, ed il rispetto delle
libertà dell’individuo, nelle quali rientrano quella economica e negoziale. Inoltre, si è
ritenuto che introdurre una clausola antielusiva generale, avrebbe significato attribuire
molto potere discrezionale agli uffici dell’Amministrazione finanziaria; troppo per chi
teme che i relativi funzionari non abbiano la preparazione adeguata, la sensibilità giusta
e l’imparzialità necessaria al corretto svolgimento di questo compito.
Dall’altro lato stanno, invece, coloro i quali si sono impegnati nella ricerca degli
strumenti che, di volta in volta, apparissero idonei alla repressione del fenomeno
elusivo, ritenendo imprescindibile il rispetto del dovere di solidarietà sociale ed
incondizionato il rispetto del principio di contribuzione secondo capacità economica.
Vicino a queste posizioni, si può collocare una recente presa di posizione della Corte di
giustizia europea, indicata comunemente come “Caso Halifax”.
Questa sentenza è stata criticata per l’asserita presenza di evidenti limiti logico-giuridici
laddove pone premesse incompatibili con le conclusioni cui giunge.
Anche in ordinamenti giuridici stranieri si è posta la questione dell’elusione fiscale. In
essi la problematica ha determinato differenti reazioni.
La soluzione adottata dal nostro legislatore è stata quella di preferire previsioni
specifiche piuttosto che una norma antielusiva di carattere generale. Tale scelta pare
adottata consapevolmente in ragione, tra l’altro, della circostanza che in molti Paesi
stranieri, ove esiste una disposizione antielusione più generica, non sempre questa è
risultata di facile applicazione.
Come già anticipato, tuttavia, un dato accomuna questi Paesi: preoccupazioni ed
incertezze in relazione all’applicazione delle norme volte a contrastare il fenomeno.
Nelle pagine precedenti si è detto dell’esistenza, in altri sistemi fiscali europei, di
clausole generali volte a contrastare l’elusione fiscale.
Ad esse risulta simile la formulazione dell’art. 37-bis del DPR. 600/73. Senza voler in
questa sede entrare nel merito della questione relativa alla natura, generale o speciale,
della norma contenuta nell’articolo appena citato, passiamo ad esaminarla più da vicino.
La stessa finalità antielusiva sottesa, oggi, alla norma di cui all’art. 37-bis, era sottesa,
nel periodo precedente alla sua vigenza, all’art. 10 L. 408\1990.
Anche tale norma da ultimo citata riferisce il suo ambito applicativo alle operazioni
straordinarie d’impresa.
Può accadere, però, che tali operazioni si prestino ad essere utilizzate per raggiungere
uno scopo contrario a quello consentito dall'ordinamento giuridico. Infatti, l'insieme
congiunto di atti o negozi, di per sé non caratterizzati da intenti abusivi se analizzati
singolarmente, potrebbe avere come unico scopo quello di conseguire vantaggi fiscali
non consentiti.
Il legislatore tributario ha considerato le principali operazioni straordinarie
potenzialmente elusive delle norme tributarie e le ha inserite nell'elenco, più volte
ampliato, dell'art. 37-bis del DPR. 600/73, comma 3.
Affinché un comportamento sia assoggettato alle conseguenze previste dall'art. 37-bis
del DPR. 600/73, deve essere attuato attraverso una o più delle operazioni di carattere
straordinario tassativamente elencate dal comma 3
1) trasformazioni, fusioni, scissioni, liquidazioni volontarie e distribuzioni ai soci di
somme prelevate da voci del patrimonio netto diverse da quelle formate con utili;
2) conferimenti in società, nonché negozi aventi per oggetto il trasferimento o il
godimento di aziende;
3) cessioni di crediti e di eccedenze di imposta;
4) operazioni transnazionali di cui al D. Lgs. 544/1992 (conferimenti, fusioni, scissioni e
scambi di partecipazioni intra-comunitarie);
5) cessioni, valutazioni e classificazioni di bilancio di titoli, partecipazioni e strumenti
finanziari di cui all’art. 81, comma 1, lett. c, c-bis e c-ter del TUIR.
6) cessioni di beni tra soggetti ammessi alla tassazione di gruppo ex art. 117 TUIR;
interessi da finanziamento infragruppo.
La limitazione dell’ambito di operatività della disposizione antielusiva rappresenta un
compromesso tra esigenze dissuasive e difficoltà operative.
Affrontiamo la disamina dei tre elementi strutturali cui deve rispondere la fattispecie
elusiva così come essa è delineata nella norma in oggetto.
In primis, la disposizione in oggetto richiede per la configurazione dell’elusione
l’assenza di “valide ragioni economiche”. Tale requisito verrà trattato più
approfonditamente nel prosieguo del lavoro.
Come è già stato anticipato, l’art. 37-bis del DPR. 600/73 richiede un ulteriore requisito
ai fini della qualifica in termini di elusività di una determinata operazione, ossia
l’assenza di valide ragioni economiche sottese ad essa.
L'introduzione della clausola antielusiva nel nostro ordinamento giuridico tributario, è
noto, ha sollevato diversi problemi di ordine interpretativo ed applicativo. Molto si è
scritto intorno alla nozione di "valide ragioni economiche". Occorre, pertanto, ricercare
l’effettivo significato da attribuire a questa espressione.
Si ritiene importante aggiungere che parte della dottrina ritiene che il riferimento alla
validità delle ragioni porta ad escludere che quelle economiche debbano essere le
ragioni uniche o prevalenti sottese all’operazione.
Ciò vuol dire che possono sussistere anche interessi di ordine fiscale alla base
dell’operazione ma è sufficiente che sussistano anche apprezzabili interessi economici
perché venga esclusa l’elusività della stessa
.
Si ritiene importante segnalare l’orientamento espresso in materia dalla CGE nella
sentenza L’EUR Bloem.
Introdotte le prime considerazioni relative all’argomento, si passa ora ad indagare il
peso che tale requisito assume in funzione della qualificazione di una determinata
fattispecie in termini elusivi.
Si consideri, ad esempio, una fusione tra società. Possibili ragioni economiche sottese a
tale operazione straordinaria sono rappresentate dalla volontà di aumentare la
produttività complessiva o dalla volontà di entrare in settori contigui o, ancora, di
attuare politiche di internazionalizzazione.
La realizzazione di una fusione priva di una di queste giustificazioni, diretta ad ottenere
un vantaggio fiscale altrimenti indebito attraverso l’aggiramento di norme tributarie,
integrerebbe una fattispecie elusiva.
Gli elementi strutturali di cui consta il fenomeno elusivo, è chiaro, sono tre e devono
sussistere congiuntamente perché un’operazione possa qualificarsi come elusiva.