4corrisponde un prodotto e soprattutto una determinata promessa. In
particolare sono considerati: la gestione strategica della marca e il concetto
di brand equity; le diverse modalità con cui lo stesso viene misurato (criteri di
valutazione contabile e strategica). Infine viene spiegata come si genera la
brand equity che, come insegna Vicari col termine “generazione”, non si
intende la creazione di un marchio, bensì la generazione della brand equity a
partire da uno stock iniziale di risorse aziendali.
Il quinto capitolo, interamente sviluppato sul caso aziendale, rappresenta un
riscontro empirico dei temi prima analizzati.
In esso la ricerca si sviluppa esaminando le strategie aziendali, il
posizionamento della marca e il confronto tra la nuova e la vecchia brand
strategy del gruppo Bormioli.
La ricerca viene conclusa con un’intervista con la dott.sa Cristina Ughi, brand
manager nel settore marketing del gruppo Bormioli, nella quale si analizza il
mercato e il comportamento del cliente dopo l’introduzione della nuova brand
strategy.
5CAPITOLO 1
IL BRANDING, ORIGINE E SVILUPPO
1.1 DALLE ORIGINI AI GIORNI NOSTRI
1.2 IL MARCHIO OGGI
1.3 LA MARCA
1.4 L’ESTENSIONE DELLA MARCA
1.5 LE ORIGINI DEL BRANDING
1.6 IL BRAND NAME
1.7 CONCLUSIONI
61.1 Dalle origini ai giorni nostri
L’odierna importanza rivestita dal marchio commerciale ha radici profonde
tanto da poter affermare che ha affiancato la crescita e lo sviluppo delle varie
forme commerciali.
Si potrebbe sostenere, infatti, che i marchi soddisfino un innato bisogno
umano di scurezza, identificazione e conoscenza. (AAKER D. A. 1996)
Dimostrazioni a riguardo sono riscontrabili già in epoche antiche: a loro
tempo, etruschi, egizi, greci e romani avevano introdotto nei commerci
strumenti di comunicazione definibili come gli antenati dei “marchi”.
Sui mattoni o nei contenitori d’argilla era consuetudine apporre una serie di
simboli distintivi che col trascorrere del tempo sarebbero stati perfezionati
assumendo forme geometriche più complesse o addirittura nomi. Nell’antica
Roma furono sanciti principi giuridici con lo scopo d’assicurare la protezione
di questi primitivi simboli garanti della qualità e dell’affidabilità di specifici beni
(ARNOLD D. 1998).
Già in quell’epoca la decisone si rese necessaria di fronte alla precoce e
dilagante tendenza all’imitazione. Pratica ben conosciuta e tuttora in uso
nelle nostre moderne società.
Il crollo dell’impero Romano, purtroppo, fece precipitare tutta Europa in un
periodo di crisi ed ignoranza: le scoperte scientifiche, la cultura, le tradizioni
andarono lentamente perdendosi. Ne risentirono fortemente anche i
commerci che furono ridimensionati su “scala nazionale”.
Questa precarietà dell’esistenza ebbe forti ripercussioni sull’evoluzione e la
diffusione dei marchi tanto che arrivarono ad assumere sempre più una mera
dimensione locale. (BOTTON M. 1992)
In epoca medievale le associazioni di commercianti e le corporazioni
esprimevano il loro status sociale ed il carattere dei prodotti attraverso i
“trademark”
1
.
1
Un trademark può essere costituito da una lettera, un numero, una parola, una frase, un suono, un
odore, una forma, un logo, una figura, una particolare forma della confezione o qualsiasi tipologia di
combinazione, che possa agevolare la distinzione di beni e servizi tra attori economici distinti.
(International Trademark Association)
7Da un lato era pressante il bisogno di rendere immediato il messaggio di
sicurezza, garanzia, standard produttivi elevati che s’intendeva far percepire,
di contro il marchio costituiva un’ottima forma di protezione nei confronti dei
pericoli derivanti dalle imitazioni, o dall’attribuzione impropria d’origine dei
manufatti, e anche per smascherare i disobbedienti. (AAKER D. A. 1996)
E’ palese, quindi, come anche nel passato fosse crescente il desiderio da
parte dell’individuo e della sua famiglia d’emergere dalla moltitudine,
d’esprimere controllo e possesso dei propri manufatti, di mostrare e
dimostrare che i loro servizi o merci erano eccellenti, autentici e di
derivazione certa.
L’impiego del “vero” marchio, come lo conosciamo oggi, apparve per la prima
volta all’inizio del XVI secolo. I distillatori di whiskey lasciavano invecchiare il
loro prodotto in barili di legno su cui precedentemente avevano marchiato il
loro simbolo o nome. In questo modo non solo si dava la possibilità al
consumatore di distinguere in maniera diretta tra l’offerta, ma si evitava che
si venissero a creare situazioni dubbie, con rischio di sostituzione, in cui la
concorrenza puntava principalmente a rubare quote di mercato. (
FARQUHAR, P. 1990)
Questo “salto di qualità” discende dal nuovo ruolo che l’artigiano rivestiva:
libero dai vincoli della corporazione, rappresentava i frutti del suo lavoro
tramite i segni che maggiormente riteneva adatti.
Avvertiva quanto fosse ormai fondamentale per la sopravvivenza sua e delle
sue “opere” che s’instaurasse un legame duraturo e privilegiato col
consumatore.
L’imposizione sul mercato di questo nuovo soggetto economico fa si che le
sue necessità e le sue esigenze diventino motivo di stimolo per future
espansioni produttive. (CODELUPPI V. 2001)
Il concetto di marchio è andato evolvendosi nel corso di tutto il XVIII secolo.
Progressivamente ha assunto una funzione di denominazione e le fattezze di
un nome, un segno, un disegno, un luogo che fossero strettamente collegati
con il singolo imprenditore.
8L’obbiettivo era quello di rendere il proprio prodotto semplice da ricordare nei
momenti successivi ed al contempo si combatteva con la concorrenza per
rendere il manufatto sempre più all’avanguardia. (BOTTON M. 1992)
Il marchio diviene pertanto l’espediente che favorisce un’informazione
efficace e diretta circa obbiettivi da perseguire ed identità da potenziare.
La Rivoluzione industriale ha contribuito in modo netto, attraverso
l’innovazione tecnologia e produttiva, alla ricrescita culturale, tecnologica, ma
soprattutto economica di tutti i paesi avviatisi verso una dimensione
commerciale di massa.
Infatti, molte delle attuali marche cosi ben note al pubblico, sono nate in quel
periodo: la Coca Cola, la birra Bass, le pellicole Kodak, gli American Express
Travellers’cheques, sono solo alcuni esempi
2
.(AAKER D. A. 1996)
Senza dubbio si può affermare che nel corso del 1800 il potere della marca si
rafforzò non appena ne furono svelate tutte le potenzialità.
La nuova funzione divenne quella di incrementare il valore percepito del
manufatto attraverso l’aggiunta di un plus-valore simbolico e comunicativo. Si
creavano in questo modo una serie d’associazioni mentali in primis nella
mente del consumatore, ma nonostante ciò il marchio continuava ad
appoggiarsi al prodotto per poter esistere.(CODELUPPI V. 2001)
Per esempio Smuggled Scotch whiskey ottenne un’ottima reputazione
per quanto riguarda il gusto dei suoi liquori grazie ad un nuovo e particolare
sistema di distillazione.
Così nel 1835, una marca di Scoth chiamata “Old Smuggler” fu introdotta sul
mercato facendo proprio leva sull’aspetto del gusto e della qualità.
( FARQUHAR, P. 1990)
Sulla scia dei grandi avvenimenti politici, si assistette un boom economico in
cui i bisogni delle popolazioni furono in costante crescita e l’industria godette
di un incessante incremento della domanda.
2
Coca Cola nata il 29 maggio 1887 (Coca-Cola, un mondo da collezionare), Michelin nato 1898,
Kodak è del 1888, l’avena Quaker compare nel 1877, nel 1891 American Express introdusse il primo
travellers cheque, il marchio Nestlè apparì nel 1866
9Si verificò una vera e propria caccia al trademark ed al logo per garantirsi
maggiori guadagni e vantaggi competitivi sulla concorrenza
3
. Si può quindi
dire che essi rappresentano la metafora del capitalismo recente.
(CODELUPPI V. 2001)
La caduta del muro di Berlino nel 1989 e dei regimi comunisti nei paesi
dell’Europa dell’Est ha accentuato quel processo di sostituzione avviatosi tra
Stato e mercato, quest’ultimo in qualità di nuova forza regolatrice della
società.
A livello di singola impresa si è riscontrato un iniziale cambiamento per ciò
che concerne il rapporto impresa, bene, carattere distintivo. Quest’ultimo,
sganciotasi dal prodotto che in precedenza rappresentava, è ora ricercato
per conferire importanza, dare esistenza e connotazione d’originalità alla
produzione industriale.
Si può quindi sostenere che ormai il prodotto si trovi immerso in quel mondo
che il marchio gli disegna attorno. (CODELUPPI V. 2001)
3
Un esempio fu l’acquisto della Kraft, da parte della Philip Morris, per cifre da
capogiro nel 1988.(Kapferer 2001)
10
1.2 La marca oggi
Nella civiltà moderna i marchi hanno assunto un enorme potere non solo
economico, ma anche tecnologico e sociale.
Sempre più frequentemente la contemporaneità li accusa di essersi convertiti
in un nuovo strumento a disposizione delle grandi potenze economiche
occidentali, per sfruttare i mercati in vista di fatturati crescenti. (BUSACCA B.
2000)
Di fatto questa fusione di suoni, colori, forme e simboli si è trasformata in un
emblema superiore caratterizzato da un’identità stabile ed in grado di trarre i
massimi vantaggi dalla sua reputazione.
Presente in tutti gli aspetti della nostra vita quotidiana, nel XIX sec. il marchio
ha stabilito una sua dimensione e personalità del tutto autonoma rispetto al
suo ideatore
.
(FABRIS G. 2004)
A conferma di ciò, infatti, l’imprenditore gli ha riconosciuto da tempo
il decisivo contributo nell’incremento dei volumi di vendita e dei guadagni,
riuscendo nel contempo a contenere i costi. (CODELUPPI V. 2001)
La possibilità consegue dall’abile impiego delle economie di scala
4
, di
scopo
5
, d’apprendimento
6
, nonché dalla determinazione di evitare le
diseconomie
7
. Vi si affianca, inoltre, la volontà di stabilire una relazione
4
Dato il valore della tecnologia e dei prezzi degli input impiegati in un intervallo di produzione, nel
breve periodo si avrà una riduzione dei costi medi all’aumentare delle quantità prodotte, per cui si
ottiene la disequazione C(Į X) < ĮC(X). Nel breve periodo è fondamentale per l’impresa raggiungere
il pieno utilizzo delle sue capacità produttive onde evitare un incremento dei costi medi. (Besanko,
Dranove, Shanley 2001)
5
L’esistenza d’economie di scopo (o di varietà) è tale nel momento in cui non si considera solo un
prodotto specifico, ma la possibilità che l’impresa ricorra ad una varietà di produzione ( cerchi cioè
d’ampliare la sua gamma produttiva). La variabile applicata per spiegare tali economie è il costo totale
poiché nella produzione contemporanea di due beni, i costi totali risultano inferiori ai costi totali
ottenibili nelle produzioni separate. Le economie sono espresse dalla disequazione : CT(Qɯ, Qy ) <
CT(Qx, 0) + (0, Qy). (Besanko, Dranove, Shanley 2001)
6
La curva d’apprendimento si riferisce alla produzione accumulata effettuata in più periodi
temporali, quindi il discorso si sposta su di un lungo periodo. Si considera la possibilità
d’incrementare la produzione di un bene, in più periodi ( o anni ) diversi, per cui il raddoppio nei
volumi comporta un calo dei costi medi che potrà essere facilmente valutato. Sono definite economie
d’apprendimento perché, accumulando la produzione e trascorrendo il tempo, si ricava un efficiente
accumulo di conoscenze e competenze tecniche riproducibili in nuove situazioni. (Besanko, Dranove,
Shanley 2001)
7
Tale concetto evidenzia come le imprese abbiano sperimentato i limiti connessi soprattutto alle
economie di scala e scopo. Questo per indicare che oltre una certa soglia produttiva i grandi volumi
11
privilegiata e duratura con la domanda, impegnandosi in una gara senza
sosta con la concorrenza, nell’anticipare le richieste e soddisfare i bisogni dei
consumatori, fornendo, contemporaneamente, sempre una vasta gamma
d’offerta. (FABRIS G. 2004)
Questa viscerale propensione per i costanti incrementi produttivi, ottenibile
anche grazie al fascino esercitato da un nome, è associata sempre più
frequentemente ad un certo grado di standardizzazione della produzione, ma
oltre una certa soglia produttiva i grandi volumi non risultano essere più
convenienti, in termini di costi, all’impresa stessa. (ARNOLD D. 1998)
La deduzione che ne segue è quindi che il confronto e la lotta tra le parti
concorrenti si siano ormai traslati ad un livello secondario. Di fatto le capacità
tecnologiche e produttive, la regolare innovazione e rinnovamento,
facilmente acquisibili da gran parte delle imprese a costi contenuti, uniti agli
elevati standard qualitativi richiesti, fanno si che i beni risultino sempre meno
originali.
Il marchio è arrivato anche a suggestionare, e inoltre creare e definire, la
cultura popolare tramite quella sua elevata capacità d’influenzare il
linguaggio, di sedurre la domanda, di trasformarsi in un vero e proprio
modello da imitare. (MAZZEI R. 1999)
Il ruolo sociale cui ha dato vita è indiscutibile: esula dal semplice discorso
economico, tanto da assistere, per assurdo, alla stravolgente trasfigurazione
della struttura urbana di una città attraverso la “semplice” apertura di negozi.
Pertanto, il lancio del business ha elevato, economicamente e socialmente,
aree un tempo degradate, trasformandole nel cuore pulsante della vita
metropolitana
8
. (CODELUPPI V. 2001)
non risultano essere più convenienti, in termini di costi, all’impresa stessa. Superato il punto di
minimo dei costi medi, per cui risultava efficiente quella data produzione, il tutto prende le fattezze di
una diseconomia. Le fonti riguardano l’aspetto tecnologico a disposizione della compagnia, la
burocrazia, legata alle grandi dimensioni, i conflitti d’interesse che sorgono tra reparti distinti, la
standardizzazione in cui sempre più spesso s’incorre, l’eccessivo frazionamento delle risorse
specifiche o addirittura la ferma volontà dell’impresa di contenere il suo sviluppo. (Besanko, Dranove,
Shanley 2001)
8
Ne sono un esempio l’invasione di molteplici punti vendita verificatasi a Trafalgar Square o in
Oxford Street a Londra, gli Champs Elysees di Parigi o quanto accadde nella 54 a New York.
12
Riflettendo sulle strategie di mercato adottabili da un’impresa, si può
considerare che tra i pochi strumenti ancora rimasti per poter far la differenza
sul mercato, rientrino sia il marchio che la marca
9
. (ARNOLD D. 1998)
Non ci si accontenta che il campo d’azione sia limitato alla mera funzione
distintiva, è necessario che s’impongano sulla concorrenza, che diffondano
valori, stili di vita alternativi, visioni del mondo sui generis. Soprattutto devono
essere in grado di convincere la domanda che quello proposto è il migliore
dei mondi possibili. In questo modo nascerebbe un dialogo privilegiato tra
cliente e produttore. (BOTTON M. 1992)
Marco Lombardi scrisse “..la relazione nel tempo marca/consumatore conta
più della transazione del semplice prodotto: il prodotto in sé può essere dato
da chiunque, mentre la marca deve fornire una rappresentazione valoriale
con un continuum qualitativo di più prodotti e servizi. Il consumatore
risponderà con la fiducia e la fedeltà, non solo con un acquisto isolato..”
10
Il paradosso del processo si raggiunge quando il consumatore s’identifica
pienamente con i valori diffusi dal marchio a tal punto che, quest’ ultimo,
diventa incarnazione d’altro, tutto è concentrato in un semplice emblema
grafico. (CODELUPPI V. 2001)
L’impresa, a questo punto, ha raggiunto quel potere sufficiente per praticare
prezzi nettamente maggiori della concorrenza e rispetto alle prestazioni
annunciate.
E’ ormai innegabile che il marchio abbia assunto un ruolo dominante tanto
nel management aziendale quanto nella vita della società.
Nella “cultura del consumo” in cui viviamo, rimanere fossilizzati sulla
posizione che lo interpreta come semplice testimonial di qualità e di sistemi
produttivi originali, è riduttivo. (FABRIS G. 2004).
Le imprese hanno indirizzato i loro sforzi verso la promozione d’immagine
nella realtà unita a specifici messaggi. In mercati inevitabilmente sempre più
maturi, il confronto tra prodotti si sta incentrando su variazioni qualitative
9
Secondo l’opinione del British Brands Group, la marca deve essere concepita come una promessa
rivolta al consumatore per cui le aspettative riguardo un dato prodotto o servizio, saranno soddisfatte.
10
Il dolce tuono; 2000, citato in Codeluppi, 2001
13
minime, pertanto è essenziale disporre di un simbolo dotato di un fascino,
una reputazione ed una credibilità inimitabili. (LUGLI G. 2003)
In questo “capitalismo culturale”
11
in continua evoluzione, l’impiego del
marchio è stato esteso in varie aree della vita sociale per nulla avvezze alle
logiche economiche. Ha assunto posizioni autorevoli e molteplici funzioni.
Si parla cosi di marca relazionale
12
quando dimostra alla domanda che non
solo soddisfa le sue esigenze, ma le condivide.
Riesce a creare un collegamento affettivo e comunicativo col suo
interlocutore tanto da prenderne in possesso la vita.
Agli occhi del consumatore perde la sua dimensione di simbolo o nome
astratto per assumere le sembianze di un individuo pensante.
Non si tratta più di denominare una merce, ma di divulgare uno stile di vita,
un modo d’essere facilmente imitabile da parte della società.
D’altro canto non si può certo dimenticare quella dimensione onirica che i
segni simbolici sono in grado d’evocare, marchio quindi inteso come
immaginario specifico. (SEMPRINI A. 1993)
La parola d’ordine è seduzione, elogio; le prestazioni passano in
secondo piano ed emerge la simbologia. Si tratta di un lavoro lungo,
impossibile da realizzare ex novo.
Il marchio ha lavorato sul mercato: ne ha individuato le peculiarità e le ha
studiate, ha intuito i suoi punti di forza e li ha potenziati; ha ricreato attorno al
prodotto una realtà parallela, immateriale, individuando nella
reazione con i consumatori, la ragione della sua esistenza. (AAKER D. A.
1996)
Insomma ha modellato la realtà economica a suo vantaggio agendo sul
flusso continuo di domanda, di produzioni, di concetti e di valori.
Nell’era della globalizzazione, il marchio ha fornito un prezioso contributo a
questo fenomeno economico e sociale: identifica prodotti soggetti ad una
11
CODELUPPI V. (2001), citazione.
12
Termine impiegato sulle indicazioni fornite nei loro trattati da Deagon 1998, Manaresi 1999 e
riprese da Codeluppi 2001
14
diffusione universale e non necessita più di traduzioni perché il suo
messaggio sia compreso nelle lingue locali.
I grandi marchi mondiali hanno conquistato ogni angolo del pianeta, hanno
diffuso uno stile di vita ed una mentalità prima sconosciute, arrivando a
creare vere e proprie comunità transnazionali (ARNOLD D. 1998)