6
componimento, mentre tenta di celare il dolore nel «cor profondo interno», si sforza di
dar vita ad un ritratto celebrativo della donna virtuosa e pia, unico esempio da seguire per
le figlie, ora disorientate e spaesate:
Orfani che farem? Dal grave danno
chi ne riscuote? e le tue figlie amate
quelle leggi d’onor, che pia lor davi
onde misere avranno?
Sol ne la breve tua vita potranno
lunghi essempi d’onore
apprendere infelici e di dolore
Qual son, tal farsi di virtute eredi
l’orme segnando ove ponesti i piedi.
Il tono patetico della canzone che trova spazio nell’intimità del dolore familiare,
nell’ultima stanza si accende, trionfalistico, nel momento dell’ascensione della madre al
cielo. Nel grandioso affresco finale, la donna appare come «fra le gemme del ciel più
vive e chiare / quasi nuovo carbonchio», salita ad arricchire il manto stellato di una nuova
luminosa presenza
4
.
Malgrado le fonti a disposizione non chiariscano in maniera apprezzabile il suo
cammino di formazione nei primi anni della vita, siamo comunque a conoscenza del fatto
che, nonostante i già precoci interessi letterari, venne avviato agli studi giuridici presso la
locale università dove si laureò con il massimo dei voti in utroque iure nel 1580, all’età
di ventuno anni. La brillante carriera di studente indusse l’ateneo a proporgli un dottorato
e a premiarlo con il titolo onorifico di Cavaliere dello Spron d’oro, che dal 1537 Papa
Paolo III aveva concesso a chi si era distinto in ambito accademico
5
. Tra i suoi professori
4
F. MASSINI, Rime del sig. Filippo Massini l'Estatico Insensato al sereniss.o don Cosmo II de Medici g. duca di
Toscana, Pavia, Viani, 1609, pp. 76-77, vv. 36-44; 46-47. Il «carbonchio» o «carboncello» altro non è che il carbone
mentre arde; nel Vocabolario degli Accademici della Crusca del 1612 (in Venezia, appresso Giovanni Alberti) viene
definito «gioia del color del carbone acceso, e di maraviglioso splendore» (p. 158).
5
Elisabetta Patrizi nel suo lavoro sull’opera pedagogica di Cesare Crispolti, altro perugino nonché Accademico
Insensato di più giovane di Massini, oltre ad offrire una visione ampiamente negativa dell’università perugina (in
particolare pp. 39-40), esprime le proprie riserve anche intorno alla questione dottorati «diventata una semplice
formalità alla portata di tutti, scevra da qualsiasi barlume di serietà» (E. PATRIZI, Cesare Crispolti e l’ ‘Idea dello
scolare. Un trattamento educatico tra Rinascimento e Controriforma, in ID., La trattatistica educativa tra
7
più eminenti ci furono Rinaldo Ridolfi, Bernardino Alfani, e, specialmente, Giovanni
Paolo Lancellotti, verso il quale Massini provava un sentimento sincero di devozione e
ammirazione. Tutti e tre ebbero il merito di avvicinarsi ai precetti già dell’umanesimo: lo
studio del latino classico e la fusione tra speculazione giuridica e l’indagine storico
filologica erano divenute ormai le nuove doti del giurista di fine cinquecento. La carriera
accademica di Ridolfi si svolse tra Perugia e Pisa, dove in realtà si fermò solo due anni,
dal 1558 al 1560. Tornato nella città umbra come lettore di diritto civile, vi rimarrà, con
un consistente aumento di stipendio fino alla sua morte nel 1591, vista anche
l’opposizione di Papa Pio IV ad un suo eventuale trasferimento a Bologna. Alfani, nato
nel 1534 e morto nel 1590, iniziò il suo insegnamento nei primi anni sessanta per
concluderlo, sempre nell’ateneo umbro, nonostante le chiamate di Torino e Fermo, poco
prima del novanta.
Giovanni Paolo Lancellotti nacque a Perugia nel 1522 e vi morì nel 1590
6
. La sua
formazione, sotto la guida dei giuristi Guglielmo Pontano e Giulio Oradini, avvenne nella
città umbra, dove si addottorò nel 1546. Incominciata la sua carriera universitaria alla
cattedra di civile, ricoprì successivamente l’incarico di lettore di diritto canonico,
disciplina nella quale al tempo primeggiava. Con le Institutiones iuris canonici, in quattro
libri ad imitazione del Corpus Iuris di Giustiniano, l’autore aspirava al riconoscimento
ufficiale da parte della Santa Sede. Nonostante un primo giudizio favorevole, il papa
decise di non proseguire nella stampa. Venne, così, approntata la pubblicazione a cura
dell’autore a Perugia, nel 1563, e, nonostante le vicissitudini, piovvero abbondanti le lodi
Rinascimento e Controriforma. L’ ‘Idea dello scolare’ di Cesare Crispolti, Pisa-Roma, Istituti editoriali e poligrafici
internazionali, 2005, pp. 25-107: 40). Sulle modalità di svolgimento del dottorato a Perugia, è utile conoscere quanto
scritto da Alberico Gentili, studente contemporaneo a Massini, poi professore di diritto civile presso lo studio di
Oxford: A. GENTILI, Lodi dell’accademia di Perugia, in ID., Lodi delle accademie di Perugia e di Oxford, trad. it. di
G. ERMINI, Perugia, Libreria universitaria, 1968, pp. 15-49: 27-31.
6
Dalla famiglia di Giovanni Paolo proviene anche Don Secondo Lancellotti (1583-1643), al secolo Vincenzo,
autore del famoso L' hoggidì, overo il mondo non peggiore né più calamitoso del passato (Venetia, Gio. Guerigli,
1623), con il quale intervenne a favore dei sostenitori del presente nella polemica, scatenatasi nei primi decenni del
Seicento, contro i nostalgici del passato. Perugino, della generazione successiva a quella di Massini, fu allievo di
Marco Antonio Bonciari. Pur essendo più giovane di entrambi, si formò in un contesto culturale non dissimile dal
loro e al pari di Massini, venne accolto nelle Accademie degli Insensati di Perugia e degli Affidati di Pavia. Le brevi
indicazioni sulla vita di Secondo Lancellotto si ricavano da F. ARATO, Un erudito barocco: Secondo Lancellotti,
«Giornale storico della letteratura italiana», CLXXII (1995), pp. 509-549.
8
e persino le riedizioni, tanto in Italia, quanto all’estero
7
. La profondità del rapporto che
intercorse tra Massini e Lancellotti è testimoniata in un sonetto, composto dallo stesso
Massini, scritto per onorare la scomparsa dell’amico. Nel componimento scopriamo
l’intimità di un affetto, giocata sull’uso insistito dei pronomi personali, volti ad
accentuare il legame esclusivo che si instaurò tra i due:
Tu, Lancellotto, oimè, che con paterno
affetto sempre in me i tuoi merti amasti,
tu che sovente agli occhi miei mostrasti
il tuo candido cor sin nell’interno,
tu che il tuo nome, il tempo avendo a scherno,
e l’opre tue di salda gloria amasti,
da me lungi repente al ciel volasti,
lasciando entro il mio cor dolore eterno
8
.
Grazie all’esempio ed alla guida di maestri come Lancellotti, Massini, ancora
giovane, divenne professore nel locale ateneo, e da qui iniziò l’illustre carriera
universitaria che lo porterà a insegnare a Fermo, Pisa, Pavia e Bologna.
7
Per l’attività di Ridolfi, di Alfani e di Giovanni Paolo Lancellotti si è fatto riferimento a G. ERMINI, Storia
dell’università di Perugia, Firenze, Olschki, 1971, rispettivamente: I, pp. 527-529; I, p. 529 e I, pp. 525-527; 549-
551 (le ultime pagine dedicate alle vicende di pubblicazione qui descritte).
8
MASSINI, Rime, p. 123-125: 123 vv. 1-8, 124 e 125. Lo stesso tema è sviluppato in un gruppo di sonetti contigui:
Figli d’estinto padre amato, e caro, rivolto ai figli di Giovanni Paolo Lancellotti, Rosati, e ben potrà tua nobil
tromba, in risposta al Rosati e Tronco ha ’l candido fil pur l’empia Cloto. Per Lancellotti si fa riferimento a G. B.
VERMIGLIOLI, Biografia degli scrittori perugini e notizie delle opere loro, Perugia, Bartelli e Costantini, 1828, II,
pp. 40-48. Del libro di Vermiglioli esiste una recente ristampa anastatica (Bologna, Arnaldo Forni, 1973, 2 voll.).
9
1.2 Massini a Perugia
Concluso con lodevoli risultati il suo periodo di formazione, la vita di Massini si
muove intorno ai due poli della cultura locale, l’università e le accademie. Lo studio di
Perugia, di antichissima tradizione, nato ufficialmente intorno alla metà del Duecento,
verso la fine del Quattrocento incominciò un lungo periodo di decadenza, che, con buone
probabilità, portò al travagliato percorso del XVI secolo
9
. I problemi derivavano sia
dall’interno, per via delle profonde agitazioni che rendevano difficile l’elezione di un
rettore, con conseguente dissolvimento della gloriosa associazione studentesca, sia
dall’esterno, a causa della diffidenza con cui i governatori apostolici si occupavano
dell’università, pur pretendendone il controllo. Nel Cinquecento, però, le irregolarità si
moltiplicarono fino a minare le capacità funzionali e organizzative dell’Università:
occupazione abusiva delle cattedre, difformità salariali non giustificate, mancato rispetto
delle ore di lezione erano divenuti, ormai, una sgradevole consuetudine.
A dispetto della critica situazione organizzativa, Perugia in quegli anni,
sopportando le difficoltà dovute al pesante giogo della dominazione pontificia, alle
frequenti carestie e alle ondate di peste, profuse nello studio le sue migliori energie
creative. Allo stesso modo il risveglio degli studi letterari sarebbe apparentemente senza
motivazioni se non vi cogliessimo una precisa volontà di apertura verso nuove
prospettive culturali.
Verso la fine del Cinquecento e l’inizio del nuovo secolo, però, la città di Perugia
era lo scenario di una sorta di rivalità culturale che si giocava tra il mondo dell’università
e l’elitaria cerchia delle accademie
10
. Secondo Laura Teza, è proprio grazie al
9
Sulla storia dell’università perugina, è imprescindibile il riferimento a G. ERMINI, Storia dell’Università di
Perugia, Firenze, Olschki, 1971. Si veda, inoltre, anche O. SCALVANTI, Cenni storici della università di Perugia,
Perugia, Tipografia Perugina, 1910; E. IRACE, La nobiltà bifronte. Identità e coscienza aristocratica a Perugia tra
XVI e XVII secolo, Milano, Edizioni Unicopli, 1995, pp. 101-110 e il seicentesco scritto di GENTILI, Lodi
dell’accademia di Perugia.
10
Sull’accademia come istituzione è ancora oggi necessario riferirsi al saggio di A. QUONDAM, L’Accademia, in
Letteratura Italiana, dir. da A. ASOR ROSA, Torino, Einaudi, 1982, I, Il letterato e le istituzioni, pp. 823-889. Ma si
veda anche, dello stesso autore, Per una storia dell’istituzione ‘Accademia’, in La funzione delle accademie nella
cultura odierna: atti del Convegno organizzato per il 5
0
centenario della fondazione dell'Accademia (1477-1977),
Spoleto, Edizioni dell'Accademia spoletina, 1979, pp. 21-32.
10
«dinamismo» di queste due istituzioni che Perugia riuscì a mantenere un ruolo culturale
di prestigio
11
.
Per quanto non si voglia mettere in dubbio la validità della teoria di Quondam,
secondo la quale tra le due istituzioni viene a crearsi un rapporto «discontinuo ondulato,
in senso, però, sempre opposto», tanto che al prestigio dell’una, inevitabilmente,
scaturirebbe la crisi dell’altra, si può affermare che, verso la fine del XVI secolo, nella
piccola realtà di Perugia risulti poco agevole individuare quale organismo (universitario o
accademico) sia in crisi e quale, invece, no
12
. Va inoltre avvertito come gli intellettuali
perugini del tempo non percepissero un reale contrasto tra le due istituzioni, dal momento
che, spesso, partecipavano ad entrambe. Il problema concreto rimane quella di una
valutazione del ruolo delle accademie perugine tra la fine del Cinquecento e l’inizio del
Seicento. Pur senza addentrarsi compiutamente nel dibattito attorno al valore
dell’istituzione nella storia culturale del nostro paese, diviso tra chi nega ad essa ogni
funzione positiva («argomento avvelenato»), e chi, invece, ne esalta la sollecitazione
verso l’apprendimento, può essere utile riportare qualche considerazione intorno al caso
dell’Umbria. Le posizioni tra gli studiosi sono molto distanti, ma dovendo riassumere le
due opinioni antitetiche, vale la pena di riportare da una parte il pensiero di Emilia
Bonazzi, condiviso, tra gli altri, da Giuseppe Ermini e, dall’altra, il giudizio sostenuto da
Giuliano Innamorati. Erminia Bonazzi insiste sugli scarsi esiti letterari («poesie
convenzionali»), conseguiti con tale insistenza dalle accademie da porre in secondo luogo
la missione sociale. Inoltre, in riferimento proprio all’Accademia degli Insensati, la
studiosa osserva che «la lode era il tema perenne e con la lode cresceva a danno della
lingua italiana, l’abitudine di scrivere in latino, con la quale lingua si arrivarono a
scrivere cose per il popolo che così non capiva niente»
13
. La tesi della Bonazzi vuole,
dunque, denunciare le accademie a causa dell’isolamento corporativo che coinvolge la
totalità dei suoi membri. L’assenza di un vero confronto con la storia, intesa in senso lato
come mancanza di contatto con problematiche civili e culturali, è la colpa che le
11
L. TEZA, Cesare Crispolti, ‘sacerdote’ di Perugia, in Raccolta delle cose segnalate di Cesare Crispolti, pp. 11-
78: 13.
12
QUONDAM, Per una storia dell’istituzione ‘Accademia’, p. 31.
13
E. BONAZZI, Le accademie letterarie a Perugia, Foligno, Campitelli, 1915, pp. 27-28.
11
accademie, secondo la studiosa, devono scontare. Dimostrando una maggiore assenza di
preconcetti, invece, Innamorati contesta quel fastidio pregiudizievole che attanaglia molti
critici nel momento in cui si imbattono con la realtà delle accademie. È necessario porre
in risalto che grazie ad esse «circolò di fatto una vivacità di comunicazione e di
acculturazione che si tradusse anche in volontà di ricerca»
14
. Le accademie, avrebbero,
dunque, il merito di aver garantito alle realtà locali una volontà di emulazione delle
esperienze presenti nelle regioni culturalmente più vivaci. Al loro interno si raccoglieva e
si autopromuoveva ‘il meglio’ della cultura regionale. Il critico, inoltre, insiste sulla
necessità di un riordino della documentazione e di un approccio dogmatico più moderno
ed obbiettivo per dare rinnovato slancio verso un recupero storico e culturale intorno al
periodo delle accademie in Umbria.
Tra le varie associazioni di studiosi che coesistevano a Perugia, si ricordano quella
degli Atomi, degli Scossi, degli Eccentrici, degli Insipidi, e degli Insensati, cui Massini
prese parte, col nome di Estatico. Due le opinioni riguardanti l’anno di fondazione
dell’Accademia degli Insensati: i più ritengono che sia sorta nel 1561, come testimoniato
da Garuffi, Oldoini e Crispolti; altri, invece, seguono Vincioli e Vermiglioli, che
anticipano la data di fondazione al 1546
15
. Nella Perugia tra la fine del XVI secolo e
l’inizio del XVII, l’Accademia degli Insensati si affermò come la più vitale e poteva
annoverare tra i propri membri nomi illustri come Tasso, Guarini, Marino
16
. L’alto
14
G. INNAMORATI, Memorandum per la storia delle Accademie Umbre, in La funzione delle accademie nella
cultura odierna, Spoleto, Edizioni dell'Accademia Spoletina, 1979, pp. 33-53: 35.
15
Si veda: C. CRISPOLTI, Perugia Augusta, Perugia, appresso gli heredi di Pietro Tomassi e Sebastiano Zecchini,
1648, p. 50. Non particolarmente ricca è la bibliografia sull’Accademia: M. MAYLENDER, Storia delle accademie
d’Italia, Cappelli, Bologna, 1926-1930, III, pp. 306-311; INNAMORATI, Memorandum per la storia delle Accademie
Umbre, pp. 40-43; FANELLI, Introduzione, pp. 7-8; E. IRACE, Le Accademie letterarie nella società perugina tra
Cinquecento e Seicento, «Bollettino della Deputazione di storia patria per l’Umbria», LXXXVII (1990), pp. 155-
178: 166-168; EAD., Le Accademie e la vita culturale, in Storia illustrata delle città dell’Umbria, a c. di R. Rossi,
Milano, Elio Sellino, 1993, pp. 481-496; EAD., Accademie e cultura ecclesiastica in antico regime, in Una Chiesa
attraverso i secoli. Conversazioni sulla storia della Diocesi di Perugia, a c. di R. CHIACCHELLA, Perugia,
Quattroemme, 1996, pp. 59-73. Di grande importanza per una conoscenza più approfondita dell’Accademia sono i
tre libri manoscritti, conservati presso la Biblioteca Augusta di Perugia, che conservano le lezioni recitate dai
partecipanti al consesso: Lettioni volgari recitate pubblicamente nell’Accademia degli’Insensati, mss. 1058-1060.
Editi con evidente ritardo sono, invece, i Capricci poetici di diversi autori perugini ascritti all’augustissima
Accademia degl’Insensati raccolti da Francesco Degli Oddi accademico insensato (Perugia, Cosentini, 1698), che,
pur raccogliendo testi lirici di oltre un secolo precedenti, non comprende componimenti di Massini.
16
Lo scambio di sonetti tra Marino e Massini che scrive a nome dell’Accademia si può leggere nelle Rime del poeta
perugino, a p. 283. Per una trattazione più approfondita dei componimenti e del rapporto intercorso tra i due
personaggi, si veda nel presente lavoro il paragrafo Massini tra Tasso e Marino (3.4.5).
12
credito di cui godeva Massini, seppur in giovane età, presso gli accademici, trovò
dimostrazione nell’incarico a lui affidato di rispondere con un sonetto al poeta
napoletano, il quale ringraziava con una lirica per l’ammissione nell’Accademia. È bene,
però, differenziare le partecipazioni formali di questi illustri personaggi dal circolo di
intellettuali, per lo più perugini, che realmente gravitava attorno all’Accademia.
Non è semplice collocare spazialmente il luogo delle riunioni degli accademici:
mentre, da una parte, Laura Teza sostiene che queste avvenivano presso la casa di Cesare
Crispolti, dove si raccoglievano, con scadenza trisettimanale, anche gli Accademici
Unisoni, dall’altra, Maylender nega l’esistenza di una sede fissa, poiché, secondo lui, gli
incontri capitavano di volta in volta nella casa dell’uno o dell’altro partecipante, con una
certa preferenza per la villa di Luciano Pasino
17
.
L’Accademia, a differenza delle contemporanee esperienze analoghe perugine,
può vantare una certa durata, dal momento che gli Insensati sopravvivono, pur tra alti e
bassi, per tutto il XVII secolo. Il loro scioglimento nel 1707 coincide, di fatto, con
l’inizio dell’Arcadia perugina, dove gli stessi membri confluiranno
18
. Allo stesso modo è
innegabile riconoscere all’Accademia degli Insensati una capacità di mantenersi
autonoma, al di fuori da vere e proprie logiche di potere. La vera forza nasceva piuttosto
dalla capacità di ideare e di produrre un concreto progetto culturale
19
. Di certo, la matrice
neoplatonica, tra le altre suggestioni rinvenibile chiaramente anche nelle lezioni
accademiche di Massini, era una sorta di retroterra culturale comune e condiviso ai
partecipanti dell’Accademia
20
. Non è, dunque, un caso che l’impresa dell’Accademia
degli Insensati raffiguri un gruppo di gru che volano verso l’incanto delle cose celesti
seppure gravate da un sasso (il desiderio delle cose terrene) che le richiama verso terra
21
.
Nelle loro riunioni si dibattevano, con una certa propensione verso l’erudizione, temi di
argomento eterogeneo. Sebbene un parte considerevole della loro riflessione fosse
17
TEZA, Cesare Crispolti, ‘sacerdote’ di Perugia, p. 14; MAYLENDER, Storia delle accademie d’Italia, p. 309.
18
BONAZZI, Le accademie letterarie a Perugia, p. 59.
19
Sul concetto di «progetto culturale» ha insistito Quondam che lo considera un discrimine valido per distinguere
tra le accademie a breve durata e le cosiddette «accademie-fungo» (QUONDAM, Per una storia dell’istituzione
‘Accademia’, pp. 24-25).
20
HATAWAY, The age of criticism, p. 346; FANELLI, Introduzione, p. 7.
21
Una descrizione della loro impresa è contenuta nel ms. 1717 della Biblioteca Augusta di Perugia e parzialmente
citato da Emilia Bonazzi (Le accademie letterarie a Perugia, p. 19) e da Giuseppe Fanelli (Introduzione, p. 7).
13
dedicata ad argomenti letterari, gli Insensati non disdegnavano di allargare i propri
interessi ad argomenti inconsueti: dallo sviluppo di riflessioni pseudo-psicologiche
(intorno al timore, alla bellezza, al fascino) a motivi molto più ‘concreti’ connessi alle
convenzioni sociali o mondane.
Altro elemento fondamentale per garantire la durata e la stabilità dell’accademia è
il cosiddetto processo di «istituzionalizzazione» che si concretizza nella capacità di
regolarsi secondo delle leggi
22
. Benché già Maylender ne denunci la scomparsa,
nemmeno nelle sue pagine è messa in dubbio la reale stesura da parte degli Insensati,
probabilmente per merito di Anselmo Scotti, detto l’Aggirato, di una compilazione di
norme atte a garantire la funzionalità del consesso di studiosi
23
.
La partecipazione presso l’Accademia perugina di Massini che scelse per sé come
impresa un turibolo fumante e il motto lucrosa jactura fu tutt’altro che sporadica e
superficiale. Si pensi che ancora nel 1609, nel momento in cui pubblicò in Pavia le sue
Rime, raccolta che contiene un numero di oltre 500 componimenti, scritti dalla sua
giovinezza sino alla maturità, si firmò ancora una volta «l’Estatico Insensato». Allo
stesso modo, prima di partire da Perugia, proprio sotto gli auspici dell’Accademia
cittadina, pubblicò le sue Lettioni dell’Estatico Insensato recitate da lui pubblicamente in
diversi tempi nell’Accademia degli Insensati di Perugia (Perugia, per Pietro Jacopo
Petrucci, 1588)
24
. Dunque, l’adesione di Massini al consesso di studiosi non può essere
lasciata da parte nel tentativo di interpretare le sue opere letterarie, perché, come sostiene
Amedeo Quondam, occorre «pur sempre riferire il lavoro accademico […] di ogni
membro al lavoro dell’Accademia». Questa come istituzione, infatti, si muove nella vita
culturale locale come un soggetto unico, e, insieme, «collettivo»
25
.
22
QUONDAM, Per una storia dell’istituzione ‘Accademia’, pp. 24.
23
Maylender, afferma che, se un tempo le leggi dell’Accademia si conservavano presso i Pp. Filippini, ora non
«restano di esse particolari notizie». Segue una breve descrizione delle stesse: la procedura di elezione del principe
presso gli Insensati doveva avvenire con voti segreti. Colui che era stato scelto doveva poi provvedere a «nominare i
Censori e gli altri ufficiali, e singolarmente un Vicepresidente ed un Segretario» (MAYLENDER, Storia delle
accademie d’Italia, pp. 308-309).
24
All’analisi delle lezioni sarà dedicato l’intero secondo capitolo: Le ‘Lettioni dell’Estatico Insensato’.
25
Entrambe le citazioni da QUONDAM, Per una storia dell’istituzione ‘Accademia’, pp. 22, 23.
14
1.3 Massini a Fermo
La «speme d’onor» condusse Massini lontano dalla città natale, alla ricerca, nella
nostra penisola, sia di nuove occasioni culturali (al tempo, cioè, accademie), sia di nuove
università nelle quali esercitare la sua professione. In una poesia dedicata ad Orsella, una
delle tante donne che compaiono nella serie di componimenti bucolici nelle Rime di
Massini, il giureconsulto umbro intende annunciare il momento dell’addio da Perugia per
trasferirsi nella più umile realtà di Fermo. Così, l’intestazione del sonetto, «Quando
l’Autor partì di Perugia condotto à leggere a Fermo», è l’elemento in grado di esplicitare
il significato reale del componimento, per il resto, non troppo evidente. Con la presente
lirica il poeta prese congedo dalla sua città natale, quando nel 1590 lasciò Perugia per
recarsi a Fermo dove venne chiamato come professore di diritto:
Orsella, io parto, altrove honor mi chiama,
io parto, Orsella, e l’alma e ’l cor ti lasso,
ma, s’io gli occhi da te rivolgo, e ’l passo,
l’alma, e ’l cor mi ritiene e mi richiama.
Dunque, se l’alma tua se ’l tuo cor m’ama,
non mi lascin di core e d’alma casso,
che non può senza vita un uom di sasso
peregrino mercare onore e fama.
Tu ’l mio amor, la mia fe’ conosci omai,
viviamo, io co ’l tuo spirto, e tu co ’l mio,
e ne gli onori miei tempra i tuoi guai.
Né, per ch’io là men vada, ove un bel rio
di Lete ha ’l nome, puoi temer giamai,
che ’l tuo amor, la tua fe’ ponga in oblio
26
.
26
MASSINI, Rime, p. 118.
15
Nelle fonti i due anni passati nella cittadina marchigiana, pur venendo
risolutamente attestati, rimangono, privi di notizie sostanziali.
L’antica università fermana fu istituita per volere di Bonifacio VIII, con la bolla
papale del 1303, nella quale si stabiliva la creazione del nuovo studio a somiglianza
dell’ateneo Bolognese, strutturato secondo le tre facoltà di teologia, di diritto (canonico e
civile) e di ‘arti’
27
. Al fine di raggiungere traguardi così prestigiosi, si intraprese, sotto la
protezione di Sisto V, una sorta di ricerca di docenti qualificati dalle vicine città di
Bologna, Siena, e Perugia, tra i quali figura di certo il giovane Massini.
Seppure ignorati dalle fonti, due sonetti contenuti nelle Rime, possono mostrarsi
utili per ricavare alcune indicazioni biografiche interessanti, anche se di complessa
interpretazione. Nel primo Antonio Maria Vinci, amico del poeta perugino e poeta,
rivolgendosi a Massini quando decise di lasciare Fermo per recarsi a Pisa, così si
esprime:
Dal colle altier, che Tenna, e ’l picciol Lete,
e l’Adria e l’Apennin cingono intorno,
Tirsi, ratto fuggisti, pria che ’l giorno
fesse co ’l raggio suo l’erbette liete;
et a ragion partita quinci avete
voi fatta, voi di mille pregi adorno,
che lieto d’Arno nel gentil soggiorno
la vostra Orsella risonar farete.
Né del Piceno il boscareccio stuolo,
Titiro e Melibeo (con vostra pace)
era degno d’udir canto sì dolce.
27
Storia dell’Antica Università di Fermo, Bologna, Lo Scarabeo, 1991, p. 38. Sull’Università di Fermo si è fatto
anche riferimento a V. CURI, L’università degli studi di Fermo, Ancona, Aureli, 1880; L'antica Università di Fermo,
Fermo, Fondazione Cassa di Risparmio di Fermo, 2001.
16
Tal Filomena stende lungo il volo
da lo stormo d’augei roco e loquace,
e tra cigni s’asside e l’aura molce.
Massini, in rima, sente quasi necessità di giustificarsi per quel desiderio di fama che lo ha
‘costretto’ ad intraprendere nuove strade e, inevitabilmente, a fuggire dalla piccola realtà
di Fermo, dove, in ogni caso, il suo pensiero è spinto, mosso da un sentimento profondo
di nostalgia:
Quando al colle gentil, dove voi siete,
Vinco, tal’or co ’l pensier vago io torno,
ho de la fuga mia vergogna, e scorno,
cui fur compagne ombre notturne, e quete;
ben ché speme d’onor, non d’auro sete,
cagione è ancor, ch’io volentier soggiorno
qui, dove inalza Arno superbo il corno,
lunge da la mia dolce aurea quiete.
Ma pur vorrei tal’or venire a volo,
là, ’ve tien vostro canto il piè fugace,
or di Tenna, or di Lete, e ’l mare addolce
28
.
Nel primo sonetto, attraverso i quattro luoghi geografici elencati da Vinci che la
«cingono intorno», deduciamo l’individuazione spaziale della città di Fermo, il «colle
altier», sorto sugli Appennini, non lontano da dove nasce il Tenna. Sembra che lo stesso
Vinci voglia legittimare, ed in qualche modo giustificare, la preferenza accordata dal
Massini all’esperienza pisana dove i suoi «mille pregi» possono trovare uno scenario
adatto.
28
Entrambi i sonetti in MASSINI, Rime, p. 139. Nel primo è citato il Tenna (v. 1) fiume marchigiano che scorre tra
Fermo e Macerata e sfocia nel mare Adriatico.
17
Il componimento del poeta perugino offre una simile chiave di lettura: infatti
«colle gentil» sarebbe riferimento a Fermo, città dove vive Vinci («dove voi siete») e
verso la quale Massini prova imbarazzo per il proprio comportamento («de la fuga mia
vergogna») disonorevole.
Dopo Fermo, Oldoini rende noto che il giureconsulto umbro sarebbe andato ad
insegnare a Macerata, ma, in realtà, tale notizia, viene prontamente smentite da
Vermiglioli, il quale afferma che «se ne può dubitare con ogni ragione, anche perché
Filippo non lo dice, allorché ricorda le Cattedre da essolui sostenute»
29
.
29
OLDOINI, Athenaeum Augustum, p. 286. Nella pagina di confutazione di Vermiglioli (Biografia degli scrittori
perugini e notizie delle opere loro, II, p. 93), accanto all’affermazione di Oldoini è riportata quella di Pompeo
Pellini, storico perugino del Cinquecento, anche lui convinto della permanenza di Massini a Macerata. La notizia
riferita da Vermiglioli ed attribuita a Pellini non è stato possibile verificarla. Con ogni probabilità, essa è contenuta
nell’opera maggiore di Pellini, Dell'historia di Perugia (è disponibile oggi una ristampa anastatica: Bologna, Forni,
1968-70 in 3 voll.), sulla cui complessa storia editoriale, si veda G. CONTINI, A proposito della stampa a Venezia
dell’«Historia» della città di Perugia di Pompeo Pellini, «Bollettino della Deputazione di Storia patria per
l'Umbria», LXIX (1972), pp. 45-88.
18
1.4 Massini a Napoli?
Oltre a Macerata, rimane dubbia la sua presenza nella città partenopea, così come
l’eventuale motivazione o durata del soggiorno. Mentre tutte le fonti antiche escludono
Napoli dall’elenco delle città in cui egli trovò impiego, quelle novecentesche si
comportano diversamente, mostrandosi possibilista Alfredo Massini («forse per un
anno») e risoluto Mirko Volpi («prima a Fermo, poi a Macerata, quindi a Napoli e
Pisa»
30
). Al di là, dunque, delle fonti che tra di loro si contraddicono, una lettura di un
sonetto autobiografico di Massini può valere come autorevole testimonianza:
Far risonar del picciol Lete indarno
egro cigno tentai l’incolte sponde,
per cui del bel Sebeto e l’erbe e l’onde
folle sdegnai pur dianzi Eliri e Sarno.
Or che di là men fuggo, esiguo e scarno,
dove più spero aver l’aure seconde,
rive di Flora, voi colte e feconde,
forse cantar m’udrete in riva all’Arno
31
.
30
M. VOLPI, Massini, Filippo. Rime, in Sul Tesin piantàro i tuoi laureti. Poesia e vita letteraria nella Lombardia
spagnola (1535-1706). Catalogo della mostra, Pavia, Castello Visconteo, Pavia, Cardano, 2002, pp. 216-220.
31
MASSINI, Rime, p. 130. I diversi riferimenti geografici cui Massini fa rifermento meritano di essere illustrati: il
Lete, che senza dubbio Massini riferisce a Fermo (come può confermare la lettura dei primi due versi del sonetto
Dal colle altier, che Tenna, e ’l picciol Lete), è nella realtà un breve fiume campano affluente del Volturno che
nasce nel Matese. Il Sebeto è un nome che oggi non trova più alcuna corrispondenza geografica, ma in verità esso è
un nome mitico di un fiume riconducibile ai primi insediamenti partenopei. Doveva essere un fiume di discrete
dimensioni se le popolazioni locali lo elessero a divinità fluviale (per approfondire si rimanda a G. MANCINI,
Misterioso Sebeto, Napoli, Associazione Il Quartiere ponticelli, 1989). L’Eliri, esattamente come il Sebeto, oggi non
si trova più sulle cartine geografiche; con ogni probabilità il poeta intendeva il fiume Liri, affluente del Garigliano,
che scorre entro il Lazio fino al confine con la Campania e si trova vicino al Lete del v. 1. Il Sarno scorre a sud di
Napoli. Il fiume Flora, invece, non esiste; forse Massini intendeva riferirsi al fiume Fiora che passa attraverso il
confine tra Lazio e Toscana. Facilmente si spiegherebbe, infatti, l’appellativo di rive colte e feconde, in quanto
incontra sul proprio cammino le necropoli etrusche di Vulci e di Poggio Buco.
19
Dal presente componimento risulta difficile ipotizzare una presenza di Massini a
Napoli, città che il poeta perugino «folle sdegnò». Sembra, infatti, che Massini, pur di
rimanere a Fermo («picciol Lete») rifiutò l’offerta di un incarico più prestigioso nella
città partenopea. Dopo aver rifiutato la possibilità di insegnare in Campania, se ne fuggì
verso nord, incrociando le rive del fiume «Flora», che lo udranno, di lì a poco, cantare
sulle sponde dell’«Arno», cioè a Pisa. Si crede, dunque, preferibile seguire l’unanimità
dei documenti antichi, incoraggiati dall’assenza del nome del professore perugino sulle
più importanti storie dell’università di Napoli
32
.
32
Si vedano Storia dell’università di Napoli, Napoli, Ricciardi, 1924 e la più antica opera di Giangiuseppe Origlia,
Istoria dello studio di Napoli, Napoli, nella stamperìa di Giovanni di Simone, 1753, dove non compare il nome di
Massini.