2
Avvertenza
Per la citazione degli scritti di Antonio Gramsci sono state usate le seguenti
abbreviazioni:
SG: Scritti giovanili (1914-1918), Einaudi, Torino 1958;
ON: L'Ordine Nuovo (1918-1920), a cura di V. Gerratana e A. A. Santucci, Einaudi, Torino,
1966;
SF: Socialismo e fascismo (L'Ordine Nuovo 1921-1922), Einaudi, Torino 1966;
CPC: La costruzione del Partito comunista (1923-1926), Einaudi, Torino 1971
Q: Quaderni del carcere, edizione critica a cura di V. Gerratana, Einaudi, Torino 1975.
3
I. Introduzione. La teoria ordinovista dei Consigli di fabbrica
1. Il movimento operaio torinese nella prima metà del 1919
Le masse popolari italiane subirono, nella prima metà del 1919, gli effetti
di una congiuntura economica che si faceva via via più difficile.
La guerra mondiale, terminata nel novembre 1918, aveva condotto a un
“gigantesco indebitamento dello Stato”
1
, che fu realizzato in parte attraverso
un forte aumento della circolazione cartacea; “il valore della lira diminuì (...)
dopo Caporetto in misura assai notevole per effetto principalmente
dell’aumento della circolazione”
2
. Questo processo inflattivo continuò e si
aggravò nel primo semestre del 1919, causando una “rapida diminuzione
dei salari reali”
3
che accrebbe la tensione sociale e sfociò nei moti contro il
caro-vita del giugno-luglio 1919
4
.
Tale situazione congiunturale sviluppò i suoi effetti su di una classe
lavoratrice che, nella sua componente operaia, era notevolmente mutata
rispetto all’anteguerra.
Un importante effetto strutturale della guerra sull’economia italiana fu la
poderosa accelerazione che essa diede allo sviluppo dell’industria, in
particolare quella più direttamente coinvolta nelle forniture militari, come la
siderurgia, la meccanica e la chimica
5
. “La guerra attribuì funzioni
economiche nuove allo Stato, in quanto lo indusse ad operare alla stregua
d’una pompa che, aspirando coi redditi individuali, sotto le più diverse
1
Giorgio Candeloro, Storia dell’Italia moderna, vol. VIII, Feltrinelli, Milano 1984
2
, p. 225.
2
Ivi, p. 229.
3
Ivi, p. 281.
4
Ivi, p. 282.
5
Ivi, p. 230.
4
forme, ricchezze ingenti, le riversava nel mondo anonimo dell’alta banca e
della grande industria.”
6
Questa politica ebbe come risultato “una nuova forte spinta alla
concentrazione delle imprese”
7
, concentrazione che “si manifestò soprattutto
nel campo siderurgico e meccanico con un grande rafforzamento dell’Ilva,
dell’Ansaldo e della Fiat.”
8
In particolare la Fiat ebbe durante la guerra una crescita spettacolare.
“Alla conclusione della guerra la società di corso Dante era balzata dal
trentesimo posto nella graduatoria delle industrie nazionali al terzo. Tra il
1915 e il 1918 la Fiat aveva moltiplicato di oltre sette volte il capitale sociale
sino a giungere l’anno dopo a 200 milioni. La manodopera era cresciuta di
dieci volte da 4.000 a più di 40.000 dipendenti.”
9
“Si ha così, per la prima
volta in Torino, lo sviluppo di un gigantesco apparato produttivo e
finanziario che è destinato a dare la sua impronta decisiva a tutta la vita
economica cittadina e alla stessa lotta sociale. (...) La ‘dinastia’ degli Agnelli
forma in questi anni la sua potenza economica.”
10
Anche la maggioranza
delle altre industrie torinesi può vantare alla fine della guerra “un notevole
aumento di produzione, un ampliamento massiccio, e una cospicua messe di
profitti.”
11
Un indice della crescita industriale della città piemontese durante la
guerra è costituito dall’aumento del numero degli operai. P. Spriano stima in
circa 150.000 il numero complessivo degli operai di fabbrica a Torino nel
luglio 1918, cioè il doppio del 1913
12
.
6
Rodolfo Morandi, Storia della grande industria in Italia, Einaudi, Torino 1966, p. 261.
7
G. Candeloro, op. cit., p. 232.
8
Ivi, p. 233.
9
Valerio Castronovo, Giovanni Agnelli, Einaudi, Torino 1977, pp. 109-10 (si tratta dell’edizione
ridotta e aggiornata dello stesso libro pubblicato dalla Utet nel 1971).
10
P. Spriano, op. cit., p. 342.
11
Ibid.
12
Ivi, p. 339.
5
E’ una classe operaia mutata non solo quantitativamente rispetto
all’anteguerra: lo sviluppo del settore metallurgico ha richiamato un vero e
proprio “nuovo esercito del lavoro, uomini donne e ragazzi, venuti dal
contado e da tutte le province piemontesi, dalla Toscana, dal Veneto altresì,
nel secondo periodo della guerra: gente che rapidamente deve imparare a
fare l’operaio, inserirsi in una vita civile diversa, acquistare abitudini e
mentalità nuove.”
13
Già nel 1917 gli operai torinesi ormai “formavano una
massa estremamente eterogenea e difforme. Crescenti schiere di lavoratori
immessi in fabbrica per rispondere alle esigenze belliche avevano preso
posto accanto alle vecchie ‘élites’ di manodopera specializzata, già avvezze
alle grandi lotte sindacali dell’anteguerra.”
14
Assieme ai mutamenti della composizione di classe, la guerra provocò
importanti trasformazioni nei volumi e nei metodi della produzione,
trasformazioni che si riflessero in un peggioramento delle condizioni di
lavoro in fabbrica.
L’aumento massiccio della produzione spinse infatti gli industriali “a
ricercare il potenziamento degli impianti e la loro massima utilizzazione. Tutti i
processi di modificazione dell’organizzazione in fabbrica, avranno
un’origine comune, quindi: la ricerca di più elevati profitti da parte
padronale, che cercherà di razionalizzare il tempo occorrente alla produzione
delle merci, intensificando nei ritmi i processi lavorativi e passando per un più
elevato sfruttamento della mano d’opera.”
15
La razionalizzazione produttiva
13
Ivi, p. 338.
14
V. Castronovo, op. cit., p. 87. I primi mesi del dopoguerra "coincidono poi con un rigonfiamento
massiccio ed elefantiaco dei ranghi delle organizzazioni operaie (...). La Federazione provinciale del PSI
triplica, dal 1918 al '19, il numero dei suoi iscritti; alla fine del '19 la Sezione locale della Fiom conta più di
20.000 iscritti; e la Camera del Lavoro arriverà a contare, ai primi mesi del '20, 90.000 iscritti." (Emilio
Soave, Appunti sulle origini teoriche e pratiche dei Consigli di fabbrica a Torino, in "Rivista storica del
socialismo", a. VII, n. 21, gennaio-aprile 1964, p. 15).
15
Ferdinando Dubla, Gramsci e la fabbrica, Lacaita, Manduria 1986, p. 44; corsivi dell’autore. Lo
sfruttamento di cui parla il Dubla fu accentuato dalla disciplina di tipo militare imposta negli stabilimenti
dichiarati “ausiliari” a norma del decreto lgt. dell’agosto 1915 che istituì i Comitati di mobilitazione
industriale. Cfr. P. Spriano, op. cit., pp. 344-8.
6
(l’organizzazione scientifica del lavoro secondo il sistema Taylor aveva
cominciato ad essere applicata alla Fiat a partire dal 1912
16
) costituì
un’ulteriore causa di profondi mutamenti strutturali nella classe operaia.
Infatti “in una produzione in serie l’organizzazione del lavoro non fa più
leva sull’operaio di mestiere che gestisce i tempi del proprio lavoro, che gira
per l’officina da una macchina all’altra, che fa tutt’uno con i propri utensili,
ma l’elemento indispensabile diventa l’operaio che sappia usare una sola
macchina e che ad essa sia adibito per tutta la giornata lavorativa, che sia
così intercambiabile da rendere possibile il prolungamento della giornata
lavorativa globale in azienda, e con cui sia possibile realizzare dei turni di
produzione che unifichino le particolarità produttive dovute all’abilità e che
standardizzino le tolleranze e le proprietà dei pezzi prodotti.
Paradossalmente potremmo identificare questo nuovo operaio
‘specializzato’ in quello che sa usare un solo tipo di tornio (...) per fare
esclusivamente un certo pezzo. Ne deriva che se la fabbrica razionalizzata è
ben diretta, più aumenta la divisione del lavoro che è fattore essenziale di
produttività, meno apprezzata o richiesta è l’abilità dell’operaio di mestiere
e più è richiesta la manodopera semiesperta.”
17
Sul piano retributivo “gli industriali percorsero la strada di mantenere i
salari base pressoché stazionari, relegando gli aumenti di salario al variare
della produttività e, quindi, all’intensità dello sforzo psicofisico. Questi
elementi si trovavano in genere combinati con l’introduzione delle macchine
utensili universali o polivalenti come nel caso della Fiat, determinando una
moltiplicazione degli operai qualificati a scapito degli specializzati.”
18
Nella
convenzione stipulata il 14 gennaio 1916 tra la Fiom e il Consorzio degli
16
Cfr. V. Castronovo, op. cit., pp. 46-9.
17
Bruno Bezza, L’azione sindacale durante la prima guerra mondiale, in AA. VV., Storia del sindacato.
Dalle origini al corporativismo fascista, Marsilio Editori, Padova 1982, p. 86.
18
Ivi, p. 92.
7
industriali automobilistici “per la prima volta si aveva un raggruppamento
degli operai in categorie delle varie specialità.”
19
Si ebbe poi l’adozione
massiccia della retribuzione a cottimo: a Torino nel 1917 il guadagno di
cottimo degli operai cottimisti raggiungeva il 100% della paga base
20
. “Il
salario operaio oltre a subire l’impatto delle nuove tecnologie e della
razionalizzazione si ramificava nella geografia produttiva italiana (...).
Torino, a parte le acciaierie e le ferriere, era in testa con gli alti salari delle
fonderie e della meccanica.”
21
“Inoltre ogni officina - meccanica, siderurgica
o cantieristica - aveva propri livelli salariali, consuetudini e particolari forme
retributive di cottimo.”
22
Il quadro era perciò quello di un’estrema frammentazione salariale e delle
qualifiche. Questa frammentazione faceva d’altronde parte di una precisa
politica padronale volta a incrementare la produttività e lo sfruttamento
della manodopera senza che ciò si traducesse in un aumento della
conflittualità. Tale politica era particolarmente evidente in un’industria
come la Fiat. Come ha ben evidenziato Stefano Musso, “la politica del
padronato dell’auto nei confronti delle ‘aristocrazie operaie’ (...) a partire dai
mutamenti dell’organizzazione del lavoro del periodo bellico, accompagnati
dall’entrata in fabbrica di masse di operai poco qualificati messi a contatto
coi vecchi gruppi di operai provetti, aveva dovuto farsi più sottilmente
articolata: da una parte si tendeva a rivalutare la qualifica operaia (premi
agli operai che propongono valide innovazioni tecniche, ideologia della
produttività come reciproco vantaggio per operai e padroni nel quadro di
una integrazione aziendalistica) con aumenti salariali tendenti ad allargare il
ventaglio retributivo e a dividere i vecchi gruppi operai dalle nuove masse
19
Ibid. Su questo accordo cfr. anche P. Spriano, op. cit., pp. 348-50.
20
B. Bezza, op. cit., p. 93.
21
Ivi, pp. 93-4.
22
Ivi, p. 94.
8
poco specializzate; dall’altra parte si concedevano questi aumenti in cambio
della massima libertà di iniziativa sul terreno dell’organizzazione del
lavoro, volta alla serizzazione della produzione, alla suddivisione delle
mansioni complesse in semplici e all’eliminazione dell’influenza della
capacità operaia sulla produzione stessa.”
23
La politica padronale non riuscì però a conseguire il suo scopo. Già
durante la guerra la classe operaia torinese manifestò un elevato tasso di
conflittualità, nonostante l'atteggiamento conciliante della Fiom
24
. Tale
conflittualità non era affatto destinata a scemare alla fine della guerra.
Da una parte, infatti, "fallì (...) il tentativo di differenziare e scomporre la
classe operaia con incentivi salariali, dato l'aumento del costo della vita
25
";
dall'altra, l'incremento dello sfruttamento in fabbrica valeva ugualmente per
tutti gli operai, al di là delle categorie spesso artificiose nelle quali essi
venivano classificati.
"Torino è al contempo la città in cui si è più efficacemente realizzato il
compromesso riformista e quella che ha espresso le più dure battaglie di
piazza contro la guerra e contro il caro-vita (...). La spiegazione di questi
fenomeni va ricercata sul terreno della fabbrica. E' (...) la contraddizione tra
alti salari e sfruttamento intensivo che dà ragione della ripresa di iniziativa e
di lotta delle masse operaie. I periodi di tranquillità e di ordine dentro le
officine (...) segnano allo stesso tempo i momenti di più intensa iniziativa
padronale sugli orari e sui ritmi.
23
Stefano Musso, Gli operai di Torino 1900-1920, Feltrinelli, Milano 1980, p. 223.
24
Sulla linea sindacale della Fiom durante la guerra cfr. il saggio cit. di B. Bezza, in particolare alle
pp. 92-8. Il giudizio di Bezza sull'atteggiamento del sindacato è parzialmente positivo; per una valutazione
più critica cfr. F. Dubla, op. cit., pp. 58-62.
25
F. Dubla, op. cit., p. 71; sulle dinamiche salariali a Torino durante la guerra cfr. P. Spriano, op. cit.,
pp. 376-85.
9
Vengono così progressivamente ad accumularsi motivi di tensione che
finiscono inevitabilmente per sfociare nella rottura di ogni equilibrio
collaborazionistico.
26
"
Lo stesso mutare della composizione della forza-lavoro non è fonte di
divisione in seno agli operai, ma anzi si ha una saldatura tra le lotte delle
aristocrazie operaie che vedono messa in crisi la loro posizione dai nuovi
sistemi produttivi, e le lotte dei nuovi operai semi-specializzati e generici
entrati durante la guerra nel circuito produttivo.
"E' del resto proprio nel corso del conflitto che vengono a maturare nuovi
livelli di unità di classe che stanno (...) alla base dell'ondata di lotte del
dopoguerra
27
". L'immigrazione in città di nuovi strati operai e l'accentuato
impiego nelle fabbriche di manodopera generica conducono ad un "impatto
coi vecchi gruppi di lavoratori qualificati di questi nuovi strati operai,
spesso poco avvezzi all'organizzazione e alla lotta di fabbrica ma
caratterizzati da una notevole carica di combattività per le condizioni di vita
particolarmente dure in relazione alle retribuzioni meno elevate e ai gravi
problemi dell'inurbamento, impatto che tende a superare residue spinte
corporative e tendenze alla chiusura aziendalistica nelle categorie più
qualificate, anche in rapporto ai mutamenti dell'organizzazione del lavoro
che portano ad una progressiva omogeneizzazione della condizione
oggettiva in fabbrica, all'interno non solo del metallurgico-meccanico ma
anche di altri settori molto importanti a Torino, quali il chimico, le concerie, i
calzaturifici.
Su queste basi strutturali cresce la solidarietà operaia, tra le categorie
all'interno della fabbrica e tra i diversi settori, di fronte alla durezza delle
condizioni di vita e di lavoro; da un lato il problema degli alloggi, il caro-
26
S. Musso, op. cit., pp. 170-1.
27
Ivi, p. 186.
10
vita, la caduta del salario reale, la carenza degli approvvigionamenti,
dall'altro la rigida disciplina; gli orari e i ritmi massacranti (...). Il comune
sentimento di opposizione alla guerra diventa infine cemento politico di
larghe masse
28
."
Torniamo ora alla congiuntura economica italiana della prima metà del
1919. Abbiamo visto sopra come essa fosse caratterizzata da una forte
inflazione. Questo problema era comune a tutte le economie dei paesi
europei usciti dalla guerra mondiale. E la soluzione del problema, per tutte
le classi dirigenti borghesi, consisteva nell'aumentare la produttività del
lavoro.
Giuseppe Maione, dopo aver rilevato che in quella situazione di "aumento
vertiginoso di tutti i prezzi" non era possibile attuare politiche monetarie
deflattive, perché ciò nella congiuntura post-bellica non avrebbe fatto altro
che "rendere disperata la situazione per la maggior parte delle aziende", così
argomenta: "Esiste però un altro modo di provocare una deflazione che non
sia la eliminazione del circolante: è quello che consiste nello spingere al
massimo l'attività produttiva perché si adegui al livello della circolazione.
Tutti i nodi conducono dunque alla necessità di incrementare il rendimento
del lavoro con tutti i mezzi, concedendo agli operai dei settori decisivi della
economia tutto quanto è necessario perché essi siano disposti a collaborare:
28
Ibid. Si ha cioè nella Torino operaia della guerra e del dopoguerra una situazione analoga a quella
teorizzata in termini generali da Vittorio Foa: "La compresenza di passato e futuro, di una lotta difensiva
contro il capitalismo che avanza e di un attacco operaio autonomo al capitalismo, è fenomeno sempre
presente nella storia sindacale. Ma la lotta assume una dimensione militante e un potenziale politico di
rinnovamento solo quando le forze tradizionali minacciate dal capitalismo aggressivo, dalle macchine e
dalle nuove forze di lavoro non professionalizzate, prendevano coscienza dell'impossibilità di una pura e
semplice difesa corporativa, scrutavano nuovi orizzonti e si facevano protagonisti di unità con le nuove
forze di lavoro per un comune controllo sulla prestazione del lavoro." (Sindacati e lotte sociali, in Storia
d'Italia, vol. V, Einaudi, Torino 1973, p. 1787).
11
da una nuova legislazione sociale, alla riduzione della giornata lavorativa,
ad aumenti salariali
29
."
Un importante frutto di questa politica padronale fu il concordato firmato
a Milano il 20 febbraio 1919 tra la neo-costituita Amma (Associazione
metallurgici meccanici e affini) e la Fiom. Elementi caratterizzanti di questo
accordo erano, oltre agli aumenti salariali, la riduzione dell'orario di lavoro
a 8 ore giornaliere e il riconoscimento delle Commissioni interne
30
. "Quale
contropartita, gli industriali torinesi si assicuravano l'abbandono da parte
dei sindacati di ogni pregiudiziale nei confronti dei sistemi tayloristici e
dell'organizzazione scientifica del lavoro.
31
"
Gli storici non sono pienamente concordi nella ricostruzione delle prime
reazioni della classe operaia torinese all'accordo del 20 febbraio. Musso
sostiene che "la strategia del grande padronato torinese di mantenere buoni
rapporti con l'organizzazione sindacale attraverso concessioni salariali, in
cambio della tranquillità in fabbrica e della disponibilità sulla forza-lavoro,
consentirà buoni risultati produttivi almeno fino all'autunno 1919
32
", e
aggiunge: "Avviene così che nelle grandi aziende del settore metallurgico
torinese lo scoppio delle grandi lotte del dopoguerra viene in parte
'ritardato', e il massimo numero di scioperanti si avrà solo nel 1920 (...)
quando invece i più importanti dei rimanenti settori operai della provincia
di Torino (...) esprimono nel 1919 le punte più alte di mobilitazione.
33
"
29
Giuseppe Maione, Il biennio rosso. Autonomia e spontaneità operaia nel 1919-20, Il Mulino, Bologna
1975, p. 301. L'analisi di Maione è confermata da Castronovo per quanto riguarda la politica della Fiat; cfr.
V. Castronovo, op. cit., pp. 143-4.
30
Per il contenuto dell'accordo cfr. Maione, op. cit., p. 8. Sulle Commissioni interne cfr. infra (II, 1).
31
V. Castronovo, op. cit., pp. 144-5.
32
S. Musso, op. cit., p. 189.
33
Ivi, p. 190. Anche per Mario Abrate "l'atteggiamento del padronato torinese valse ad evitare per il
momento i grandi scioperi delle industrie metalmeccaniche che altrove, e specie in Liguria, assunsero
proporzioni rilevanti." (M. Abrate, La lotta sindacale nell'industrializzazione in Italia, 1906-1926, Franco
Angeli, Milano 1967, pp. 211-212).
12
Maione invece evidenzia tutta una serie di sintomi che dimostrerebbero
un diffuso scontento nella base operaia, scontento che si manifesta già nel
marzo 1919 anche fra i metalmeccanici. A suffragio della sua tesi Maione cita
una lettera di un gruppo di operai pubblicata sull' "Avanti!" del 15 marzo e
contenente critiche rivolte soprattutto alle parti del concordato che
riguardavano i cottimi e gli straordinari
34
; menziona poi un'agitazione di un
reparto Fiat svoltasi nello stesso mese allo scopo di aumentare le tariffe di
cottimo
35
.
Ancora più rilevante, nella ricostruzione di Maione, è la vertenza che vede
protagonisti i capitecnici nei mesi di marzo-aprile; questa agitazione era tale
da preoccupare seriamente gli industriali, a causa del rischio "che se i
capitecnici e gli impiegati si fossero uniti agli operai, non si sarebbe più
potuta garantire la disciplina in fabbrica. Occorreva pertanto (...) impedire
che si formasse tale spirito di solidarietà
36
". Ma gli industriali non riuscirono
a fare ciò, anzi "alla fine vi furono segni non dubbi che gli operai avevano
perfettamente inteso il valore della lotta dei tecnici. Gruppi sempre più
numerosi dell'una categoria e dell'altra cominciavano a trarre da
quell'esperienza la conclusione che bisognava combattere un nemico
comune ad entrambe.
37
"
In questa ricostruzione storica si vedono dunque i primi segni di
un'alleanza di tutta la classe lavoratrice della fabbrica in funzione
anticapitalistica; come vedremo in seguito (I, 4), la teorizzazione di questa
34
G. Maione, op. cit., pp. 12-4.
35
Ivi, pp. 16-7. Maione rileva come soprattutto nella lettera pubblicata sull' "Avanti!" si affacci la
consapevolezza che il cottimo costituisce "strumento politico di divisione tra gli operai" e che in generale
"ogni questione va affrontata da un unico punto di vista, da quello dei rapporti di antagonismo insanabile
che sussistono tra operai e Direzione." (ivi, p. 13).
36
Ivi, p. 18.
37
Ivi, p. 19.
13
alleanza costituirà uno dei temi principali dell'elaborazione degli
ordinovisti
38
.
Nei mesi di aprile e maggio la Fiom conduce un'altra vertenza volta alla
riduzione delle categorie di paga e all'integrazione nella paga base di una
certa quota del profitto di cottimo. Le trattative con la Fiat si concludono con
esito favorevole, ma "quando la sera del 30 maggio 1919 Uberti, della Fiom,
espone il progetto in una assemblea di operai della Fiat, intervengono
soltanto oratori che lo giudicano troppo moderato.
39
"
Tutta la ricostruzione storica di Maione è volta a dimostrare l'esistenza nel
proletariato torinese di una forte spinta eversiva che si indirizza anche,
polemicamente, nei confronti delle "organizzazioni tradizionali", il PSI e la
CGdL
40
.
Questo spirito eversivo delle masse operaie (il quale, nell'analisi di
Maione, è del resto comune a tutto il proletariato europeo) impedisce
durante tutto il 1919 agli industriali di realizzare i loro progetti di
ristrutturazione e di incremento della produttività.
"Accade un fatto eccezionale e dai padroni non certo previsto: mentre si
pensa di aver trovato il bandolo della matassa per uscire dalla crisi
economica, creando una aristocrazia operaia supersfruttata e superpagata,
contrapponendola a tutto il resto del proletariato e facendone la base del
loro controllo di classe, gli operai (...) rifiutano i salari ad incentivo,
richiedono il pagamento a tempo, ingaggiano dovunque una vera lotta per
abolire o impedire l'introduzione di cottimi e premi.
41
"
38
Per E. Soave in questo periodo nasce "una solidarietà nuova tra tutti i fattori della produzione. I
problemi che si pongono in questa situazione divengono quelli di una gestione alternativa a quella
capitalistica." (Soave, op. cit., p. 15).
39
G. Maione, op. cit., p. 28. Secondo Maione "si verificava che, sia pure a tentoni, gli operai andavano
investendo ad uno ad uno tutti i fondamenti della organizzazione capitalistica del lavoro." (ibid.).
40
Ivi, p. 7.
41
Ivi, p. 294.
14
La ricostruzione storica di Maione coglie con efficacia il manifestarsi di
una forte carica rivoluzionaria nel proletariato torinese durante il biennio
rosso. Tuttavia Maione, a differenza di quanto si è visto sopra con Musso,
tende a non valutare con la necessaria attenzione il ruolo che in questa
dinamica rivoluzionaria è svolto dalle aristocrazie operaie dell'industria
automobilistica
42
. Maione è invece incline ad esaltare la spinta
"spontaneista" ed anarcoide proveniente dai nuovi strati operai dequalificati
entrati in scena nel periodo bellico
43
.
Come vedremo in seguito, questo vizio dell'analisi del Maione lo conduce
ad una sostanziale incomprensione del significato e dell'importanza
dell'esperienza teorico-pratica condotta dal gruppo ordinovista, e ad una
accentuata sottovalutazione di tutta la tematica consiliare.
Il 1° maggio 1919 uscì il primo numero dell' "Ordine Nuovo", "rassegna
settimanale di cultura socialista" fondata da Antonio Gramsci, Angelo Tasca,
Umberto Terracini e Palmiro Togliatti, "quattro giovani, ex studenti,
socialisti, che formano solo ora un gruppo, lanciandosi in una comune
impresa culturale.
44
"
Il clima politico-sociale nel quale nasce la rivista è quello dell'attesa della
rivoluzione. "Sono la classe operaia e gran parte delle masse contadine della
penisola, a vivere profondamente più che la speranza, la certezza di un
arrovesciamento imminente, ad avvertirne l'avvicinarsi sia dai clamori di
42
In un luogo Maione si dichiara concorde con la tesi secondo cui "l'operaio qualificato, quando è
isolato in mezzo a un grande numero di manovali perde la coscienza di classe e tende ad acquistare mente
ed animo di piccolo borghese" (ivi, p. 107).
43
Cfr. ad es. ivi, p. 108 e p. 296. Guido Romagnoli rileva d'altra parte nel libro di Maione "alcune
forzature relative all'analisi della composizione della forza-lavoro dell'epoca" (G. Romagnoli, Consigli di
fabbrica e democrazia sindacale, Gabriele Mazzotta editore, Milano 1976, p. 44 n.).
44
Paolo Spriano, "L'Ordine Nuovo" e i Consigli di fabbrica, Einaudi, Torino 1971, p. 18. Per alcuni
rapidi cenni sulle biografie dei quattro, sulle identità che compongono il "gruppo intellettuale che più
assiduamente partecipa della vita della rivista" e sul loro ambiente cfr. anche dello stesso autore Storia del
PCI, vol. I, Einaudi, Torino 1967, pp. 46-9. Cfr. anche Giuseppe Berti, Appunti e ricordi (1919-1926), in Annali
dell'istituto G. Feltrinelli, Milano 1966. Sulla formazione di Gramsci antecedente alla fondazione dell'
"Ordine Nuovo" vedi tra l'altro Giuseppe Fiori, Vita di Antonio Gramsci, Laterza, Bari 1977, pp. 9-138;
15
una rivoluzione che da Pietroburgo pare espandersi per tutta l'Europa (...)
sia dall'impulso che parte dalle fabbriche e dai campi italiani per un nuovo
potere operaio e contadino.
45
" Si legge sul primo numero della rivista:
Questo numero esce per gettare un grido di raccolta, per conoscerci a vicenda (...). E'
un proclama per la mobilitazione delle intelligenze e della volontà socialiste, per la
determinazione e il valorizzamento del programma dello Stato socialista
46
.
La rivista "non sorge come organo o espressione (...) né della sezione
socialista, né del 'fascio' giovanile del partito, bensì come tentativo
particolare di impostare, senza dover assumere una rappresentanza o una
responsabilità specifica di corrente politica, un discorso ideale che valga
appunto a 'mobilitare le intelligenze e la volontà socialiste'. Il lettore a cui si
pensa è il giovane, l'operaio colto, lo studente, l'intellettuale (...)
47
".
Il settimanale diventerà in breve famoso come "il giornale dei Consigli di
fabbrica", come lo stesso Gramsci ricorderà in seguito
48
; esso costituirà la
coscienza teorica di quel movimento consiliare i cui prodromi abbiamo visto
sorgere nelle fabbriche torinesi dell'immediato dopoguerra.
Leonardo Paggi, Gramsci e il moderno Principe, vol. I, Editori Riuniti, Roma 1970, pp. 3-205; Gianluca
Bergami, Il giovane Gramsci e il marxismo, 1911-1918, Feltrinelli, Milano 1977.
45
P. Spriano, "L'Ordine Nuovo" cit., p. 14.
46
"L'Ordine Nuovo", anno I, n. 1, 1° maggio 1919; citato in P. Spriano, op. ult. cit., p. 17.
47
P. Spriano, ivi, p. 18.
48
Il programma dell' "Ordine Nuovo", in "L'Ordine Nuovo", a. II, n. 12, 14 agosto 1920; ora in ON, p.
622.