- 4 -
Più partitamene:
l’attività svolta dalla pubblica Amministrazione di rado è misurabile nello
stesso modo di quella praticata da privati considerate le diverse finalità e condizioni
operative; pertanto, va evitata la suggestione, già emersa in occasione della mutuabilità
nel pubblico della certificazione del bilancio, di ritenere integralmente trasponibili istituti
della scienza aziendalistica;
la misurazione dell’attività amministrativa trova un suo “naturale” ostacolo
nell’asimmetria dell’informazione posseduta dall’amministrazione rispetto a quella
fornita al controllore; ed invero, normalmente, la struttura operativa della gestione tende
ad opporre un grado di resistenza più o meno elevato nel rendere disponibili i dati in
proprio possesso in ragione del fatto che i controlli interni, ed in particolare quelli esterni,
si traducono anche in valutazione o giudizio;
l’informazione ha un suo costo e deve, pertanto, essere mirata individuando
preventivamente la specifica utilità che ne può derivare. D’altra parte non appare
superfluo rammentare che l’eccesso di informazioni soffoca chi le deve fornire e
paralizza e confonde chi deve operare con il possibile rischio di una riorganizzazione
dell’amministrazione, al dichiarato scopo di ottenere una maggiore efficienza ed
efficacia, che si traduca nell’impianto di strutture sostanzialmente identiche nei risultati
alle precedenti;
la sollecitazione forte che emerge dalla normativa citata non è più solo quella
di improntare l’attività al rispetto delle c.d. tre “e” (efficienza, economicità ed efficacia),
ma anche e soprattutto, quella di individuare i passaggi logico-procedimentali dell’azione
attraverso quelle che possono essere definite le tre “c”: chi, cosa, come e, cioè, centri di
costo e di responsabilità, centralità di risultati e di obiettivi, conoscenza delle modalità di
gestione delle risorse;
una diversa qualità dell’informazione comporta un ripensamento dell’archetipo
contabile che ancora fornisce elementi insufficienti; occorre, quindi, rendere rapidamente
effettivo l’obbligo di introdurre per tutti gli enti un bilancio economico che si affianchi a
quello finanziario e prevedere, accanto ad una contabilità generale che registra i valori
per natura, una contabilità analitica che rileva le operazioni aziendali secondo la
provenienza o la destinazione dei fattori consentendo così anche l’individuazione di
centri di responsabilità e la distinzione tra responsabilità della gestione e responsabilità
economica del fatto aziendale.
- 5 -
INTRODUZIONE
E’ osservazione fin troppo ovvia che le leggi di riforma intervenute negli anni ‘90 –
L. n. 20/1994 modificata dalla L. n. 639/1996 – completate dal D.L.vo 30 luglio 1999,
n. 286, hanno inciso profondamente su una competenza della Corte dei conti vitale
come quella di controllo; nessuna meraviglia, dunque, che il nuovo assetto di questo sia
stato oggetto (oltre che di numerose delibere delle Sezioni riunite e delle Sezioni di
controllo della Corte) di una tale quantità di trattazioni dottrinali – i cui autori sono
spesso gli stessi magistrati contabili – che anche gli addetti ai lavori più attenti fanno
ormai fatica a tenerne il conto.
Tuttavia, non si può fare a meno di rilevare come il “fil rouge” di questi interventi
sia rappresentato dall’idea di fondo – verosimilmente, condivisa dal legislatore – che
l’autentica innovazione introdotta dalla riforma sia stata, oltre e forse più
dell’introduzione di un controllo generale di buona gestione, la compressione del fino
ad allora preponderante controllo preventivo di legittimità1.
Ciò ha contribuito all’affermazione dell’opinione – seguita indistintamente, anche se
con atteggiamento opposto, tanto da chi rimpiangeva il controllo di legittimità
preventivo generalizzato, quanto da coloro che si auguravano invece un passo ulteriore
nella direzione della definitiva eliminazione dei controlli di legittimità – secondo cui la
riforma, oltre a ridimensionare il controllo preventivo della Corte, avrebbe introdotto
una nuova categoria di controllo successivo, il controllo sulla gestione, avente ad
oggetto la “attività” dell’Amministrazione e comprendente tanto il controllo di
legittimità che quello di opportunità.
Su questa base comune si sono sviluppate due interpretazioni “speculari”:
– la prima, riconducente il nuovo “controllo sulla gestione” all’area dei controlli
tradizionalmente definiti di legittimità, sia pure intesa in senso “moderno”, e quindi
dilatata fino a ricomprendere aspetti in passato ritenuti attinenti al merito dell’azione
amministrativa, mediante l’utilizzo del parametro del “buon andamento” contenuto
nell’art. 97 della Costituzione, ulteriormente specificato da elementi introdotti dalla
legislazione più recente;
1
Per una disamina più approfondita del “clima culturale” della riforma del controllo della Corte, v. Russo
P., La revisione dei conti pubblici in Italia e in Europa: raffronti comparativi, in Atti del Convegno “ La
revisione dei conti pubblici in Italia e in Europa: tradizione e prospettive evolutive”, Roma 2002, pag. 24 e
segg., e La certificazione dei conti pubblici in Italia e in Europa: raffronti comparativi, in questa Rivista n.
5/2003, pag. 259 e segg.
- 6 -
– la seconda, tendente ad attribuire al “controllo sulla gestione” essenzialmente la
finalità di accertare l’idoneità dell’attività amministrativa a raggiungere determinati
risultati, attraverso la verifica della sua efficacia, efficienza ed economicità, mentre il
riscontro della conformità della stessa a norme di carattere giuridico assumerebbe,
rispetto alla prima funzione, carattere incidentale.
Entrambe le interpretazioni presentano elementi di insufficiente chiarezza in ordine
al rapporto esistente, all’interno del “controllo sulla gestione”, tra gli accertamenti (per
usare la terminologia della L. n. 20/1994) sulla legittimità e regolarità delle gestioni e
quelli tendenti ad acclarare la rispondenza dell’attività amministrativa agli obiettivi
stabiliti dalla legge, tanto più che si riconosce in generale come i primi vertano su (un
insieme di) atti comunque riconducibili alla categoria degli atti amministrativi, mentre i
secondi hanno per oggetto l’“attività” dell’Amministrazione, sostanziantesi anche in
manifestazioni di tipo diverso (comportamenti materiali, omissioni, ecc.)2. Non si tratta
peraltro di un fatto casuale, ma al contrario della dimostrazione delle insormontabili
difficoltà – tanto sul piano sistematico quanto su quello applicativo – che sorgerebbero
se veramente fosse stata introdotta nel nostro ordinamento la categoria anfibologica del
“controllo sulla gestione”, racchiudente in sé due tipi di controllo totalmente diversi per
finalità ed oggetto quali quello di regolarità e quello di buona gestione3.
Ciò, in realtà, non corrisponde al vero. Ambedue le tesi suesposte (che contengono
comunque elementi validi e condivisibili, come si vedrà più oltre) vanno quindi
disattese. Deve invece ritenersi che la riforma dei controlli della Corte dei conti – oltre a
ridurre, com’è del tutto evidente, l’incidenza del controllo preventivo – ha, per quanto
2
Cfr., per tutti, Allegretti, I controlli sull’amministrazione dal sistema classico all’innovazione: le
problematiche generali, in Allegretti (a cura di), I controlli amministrativi, Bologna 1995 e Marchetta, I
controlli successivi della Corte dei conti tra storia e attualità, ibidem.
3
Poiché questi termini, utilizzati nel testo, vengono correntemente impiegati in varie accezioni, un
chiarimento “semantico” si impone. Il termine “controllo di regolarità” viene qui usato ellitticamente,
ricomprendendo in esso tanto,in generale, la verifica della conformità dell’azione amministrativa alle
norme giuridiche che la disciplinano, quanto – nell’ambito di questa – della conformità della gestione
finanziaria a quelle norme (giuridiche), di carattere finanziario–contabile appunto, che più specificamente
la concernono. Per “controllo di buona gestione”, d’altra parte, si intende il riscontro dell’idoneità
dell’attività discrezionale dell’amministrazione (quindi, di quelle scelte che sono sottratte alla previsione
della legge e di conseguenza – salvi i pochi casi di giudizio di merito – al sindacato giurisdizionale, la c.d.
“discrezionalità inevitabile”) a raggiungere i suoi obiettivi; riscontro, da effettuarsi accertando l’efficacia,
efficienza ed economicità di tale attività alla stregua di parametri non giuridici, ma invece finanziari,
tecnici, economici, ecc.. Espressamente, non ho fatto ricorso al termine “controllo sulla gestione”, per
evitare ogni possibile confusione con il significato attribuitogli dalle tesi da cui si dissente (sul punto si
tornerà ampiamente in seguito), né a quello di “controllo di gestione”, poiché esso viene usualmente
utilizzato per definire il controllo interno sull’azione amministrativa, in ontologica contrapposizione a
quello (esterno ed effettuato dalla Corte dei conti) “sulla gestione”, suppostamene introdotto dalle leggi di
riforma.
- 7 -
riguarda il controllo successivo, da un canto lasciato immutato il controllo di conformità
a norme giuridiche previsto dall’art. 100 della Costituzione, nonché dalla normativa
precedente, dall’altro introdotto un controllo generale di buona gestione, volto ad
accertare, con l’uso di parametri non giuridici, l’efficacia, efficienza ed economicità
dell’attività amministrativa. Queste due forme di controllo restano, sul piano
concettuale come su quello pratico, del tutto distinte (detto questo, può senz’altro
convenirsi – ma si tratta, sia ben chiaro, di cosa del tutto diversa dall’ipotizzare la loro
fusione – che entrambe risulteranno più incisive se praticate contestualmente, il che
avviene del resto normalmente, ma non necessariamente, nella moderna attività di
controllo).
La dimostrazione dell’assunto che precede richiede un esame del(la funzione di)
controllo di regolarità e di buona gestione che prenda le mosse dalla teoria generale,
fermo restando che la presente analisi riguarda solamente i controlli successivi della
Corte sulle Amministrazioni statali, pur se i principi che saranno enucleati valgono per
tutti i controlli dalla stessa espletati “ex post”. La riforma dei controlli sulle
Amministrazioni regionali e locali (solo in parte attuata attraverso le leggi di riforma
ricordate, e – per ora – completata nel contesto della modifica in senso “federalista”
dell’assetto costituzionale) non si presenta quale sviluppo del sistema precedente, ma
appare al contrario caratterizzata da forti elementi di discontinuità. Essa dunque merita,
e richiede, una trattazione a parte.