I GRUPPI NELL’ORDINAMENTO GIURIDICO ITALIANO
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Il capitolo termina con una paragrafo finalizzato a mettere in evidenza le affinità e
differenze tra il gruppo aziendale e l’impresa divisa in sezioni; spesso in
letteratura si tende a confondere i due fenomeni a causa dell’esistenza di aspetti
comuni, in questa sede, invece si sottolinea che si tratta di processi aggregativi
distinti
Secondo capitolo.- Si propone di analizzare il concetto di gruppo su un piano
prettamente giuridico. Si mette in evidenza l’assenza nel nostro ordinamento di
una definizione esplicita di gruppo, che rende necessario analizzare la definizione
di controllo dettata dal art. 2359 c.c., alla quale è stata riconosciuta una posizione
di centralità.
Ampio spazio è stato dedicato alla riforma societaria del 2003 che ha apportato
molte novità in riferimento ai gruppi aziendali con l’introduzione dell’articolo
2497 c.c. e non solo. In modo particolare si rileva come la riforma del 2003 abbia
finalmente riconosciuto ai soci e creditori delle società controllate maggiore
tutela, cosa che ci si augurava da anni.
Terzo capitolo.- In questa parte del lavoro sono state messe in evidenza le
principali modalità nonché le finalità che spingono verso la creazione dei gruppi
aziendali. Grande spazio è stato dato alle diverse tipologie di gruppo riscontrabili
in letteratura. La varietà delle tipologie esaminate, che sicuramente non vogliono
esaurire la casistica di tutte le configurazioni possibili che un gruppo può in
concreto assumere, ci mettono in evidenza che il gruppo aziendale può essere
costituito per perseguire differenti strategie aziendali e quindi può assumere una
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differente forma organizzativa, quella più idonea a realizzare progetti dei
menager. Da ciò discende che il gruppo non rappresenta una realtà omogenea al
suo interno bensì esso rappresenta un ampio insieme di aggregati aziendali che
sono caratterizzati aspetti formali o sostanziali che li differenziano profondamente
tra loro. Tutto ciò rende difficile emanare una definizione di gruppo che
comprenda tutte le tipologie esaminate senza rischiare di dare una definizione
troppo vaga e approssimativa. Dall’altro lato, una definizione più restrittiva non
accontenterebbe tutti che tenderebbe a privilegiare alcuni aspetti a discapito di
altri non accontenterebbe tutti, questo giustifica in parte il perché ancora oggi
manchi una definizione di gruppo che sia unitariamente accolta.
Questo è quanto è stato trattato nella prima parte di questo lavoro.
La seconda, invece, si impernia sull’analisi del processo di redazione del bilancio
consolidato. L’emanazione, del Regolamento CE, 19-7-2002, n. 1606 e del d.lgs.
28 febbraio 2005 n. 38, hanno stabilito, che a partire dal esercizio 2005, alcune
società sono obbligate ed altre hanno la facoltà di redigere i propri bilanci in base
ai principi contabili internazionali.
Nei fatti a partire da tale data all’interno nel mercato italiano convivranno imprese
che hanno l’obbligo di redigere il consolidato nel rispetto della normativa
nazionale (D.lgs. 127/1991), e imprese che saranno “costrette” a farlo secondo i
principi internazionali, altre ancora, avranno la facoltà di redigerlo secondo l’una
o l’altra normativa.
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Alla luce di quanto su esposto ho ritenuto opportuno analizzare il consolidato
facendo riferimento costantemente sia alla normativa italiana che hai principi
contabili internazionali.
Le forti differenze esistenti tra i due corpus normativi, ne hanno reso spesso
necessario una trattazione separata. Tuttavia non sono mancati momenti di
confronto; all’interno dei capitoli sovente sono stati realizzati paragrafi che, in
un’ottica comparativa, tendono a mettere in evidenza in maniera sintetica,
frequentemente attraverso l’ausilio di tabelle, le caratteristiche peculiari delle due
discipline, in modo da agevolare la comprensione sia delle norme nazionali e dei
principi contabili internazionali, sia delle principali differenze esistenti tra gli
stessi.
Specificatamente questa seconda parte è stata articolata nel seguente modo.
Primo capitolo.- Non prima di aver dato una definizione di bilancio consolidato,
ho cercato di analizzare le funzioni e definire i principali destinatari dello stesso.
Non meno importanza è stata data alla significatività e alla capacità informativa
del bilancio consolidato, a questi aspetti è stato dedicato il secondo nonché ultimo
paragrafo di questo capitolo che possiamo definire introduttivo.
Secondo Capitolo.- In questa sede è stato trattato un argomento complesso quanto
importante, l’area di consolidamento. Il tutto è iniziato con l’analisi della nozione
di controllo prevista dalla disciplina del bilancio consolidato, per poi passare
all’individuazione delle imprese obbligate al consolidamento dei bilanci Per
delineare con precisione il perimetro di consolidamento è stato necessario
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analizzare minuziosamente anche i casi di esonero (imprese controllanti), ed i casi
di esclusione (imprese controllate) dal consolidamento.
Terzo Capitolo.- Affinché si possa avere consolidamento, è necessario che i
bilanci delle unità economiche coinvolte siano omogenei sotto l’aspetto della data
di chiusura, principi di valutazione, moneta di conto utilizzata etc. Quando questa
omogeneità non è raggiunta con gli standard contabili di gruppo, è necessario che
al consolidamento preceda una fase di armonizzazione dei singoli bilanci. In tale
fase, in concreto le singole imprese sono chiamate a uniformare il proprio bilancio
a quello della controllante. Nei paragrafi di questo capitolo sono state esaminare
tutte le operazioni necessarie per rendere i bilanci idonei al consolidamento. In
concreto si è argomentato circa la necessità dell’omogeneità in termini di forma e
contenuto degli schemi di bilancio, è stata poi affrontata, la questione della data di
riferimento, per passare successivamente, ai criteri di valutazione e alla questione
sulla moneta di conto. Il capitolo si concludere con un approfondimento circa la
riconciliazioni delle voci infragruppo.
Quarto Capitolo.- In questa sezione è stato affrontato l’aspetto più delicato, il
trattamento contabile delle partecipazioni.
Il capitolo risulta essere molto complesso ed ogni accenno al riguardo è
insufficiente per tracciarne il contenuto. Si consiglia per tanto una lettura attenta e
critica. Qui mi limito ad argomentare che il primo aspetto considerato è il
consolidamento delle partecipazioni e l’analisi in maniera accurata sulle cause
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economiche delle eventuali differenze di consolidamento e il loro relativo
trattamento.
Sia la normativa nazionale che i principi contabili internazionali prevedono
l’adozione del metodo di consolidamento integrale, tuttavia diversi sono i risultai
del medesimo metodo perché diversa è la teoria di consolidamento a cui i due
corpus normativi fanno implicitamente riferimento; ciò ha reso necessario, prima
di affrontare l’argomento passare in rassegna le teorie sul consolidamento.
È stata considerata anche l’ipotesi della partecipazione non totalitaria, molto
diffusa nella realtà, di conseguenza è stato dedicato un paragrafo alla
determinazione e l’esposizione nel bilancio consolidato i diritti vantati dai soci di
minoranza sul patrimonio netto e sul reddito d’esercizio delle unità controllate.
Di seguito è stato analizzato, prima il metodo di consolidamento proporzionale
riservato al consolidamento delle partecipazioni detenute in Joint Venture,
successivamente il metodo del patrimonio netto (equity method), sottolineando tra
l’altro che si tratta di un approccio che genera gli stessi risultati del metodo del
consolidamento integrale, tuttavia non può essere definito un metodo di
consolidamento vero e proprio; alla questione è stata dedicata paragrafo.
Il capitolo di chiude con un paragrafo che accenna alla eliminazione delle partite
infragruppo.
Quinto Capitolo.- In quest’ultimo capitolo sono stati trattati i documenti
obbligatori che compongono il bilancio consolidato. In fine è stata accennata la
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relazione sulla gestione che pur non essendo un documento obbligatorio riveste un
importanza non trascurabile.
Non accenno altro, auguro buona lettura a coloro che fossero desiderosi di
approfondire gli argomenti tratti in questo lavoro.
Prima di lasciarvi devo ringraziare il mio relatore Prof. Coronella Stefano,
persona che stimo molto e grande esempio di vita, che con i suoi consigli, grande
professionalità e dedizione verso il suo lavoro ha contribuito attivamente alla
realizzazione di questa opera.
Tengo a precisare, tuttavia, che ogni omissione, errore, imprecisione e quant’altro
è imputabile esclusivamente al sottoscritto.
Vincenzo Migliaccio.
I GRUPPI NELL’ORDINAMENTO GIURIDICO ITALIANO
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PARTE PRIMA
ANALISI DEL CONCETTO DI GRUPPO
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Capitolo primo
I GRUPPI AZIENDALI
1.1. Origini storiche del fenomeno.
Il gruppo, è oggi considerato la “veste” della grande o media-grande impresa, non
perché imprese di piccole dimensioni non adottino tale forma organizzativa
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, ma
perché le maggiori concentrazioni produttive si realizzano oggi nella struttura di
gruppo. Esso è un fenomeno moderno quanto antico. La sua genesi può essere
datata intorno alla seconda metà dell’ 800. Le prime manifestazioni concrete si
ebbero negli Stati Uniti d’America, come risposta al divieto imposto alle aziende
di creare collegamenti di trust,
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considerati espressioni monopolistiche e quindi
capaci di pregiudicare la concorrenza sul mercato. Infatti il 2 luglio del 1890
venne approvata la “Sherman Act”, con tale legge vennero dichiarati illegali i
trust in quanto concentrazioni restrittive del commercio e delle produzioni. Si
cercarono così altre vie alternative per formare concentrazioni e raggruppamenti
di aziende che si intendeva eliminare con tale provvedimento. I gruppi
rappresentarono una strada prediletta in tal senso. Il loro sviluppo fu assicurato
dalla approvazione di una legge emanata nel New Jersey nel 1888 e modificata da
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Da un indagine effettuata su un campione di circa 1200 imprese industriali con 50 o più addetti,
si evince che appartengono ad un gruppo il 99% delle imprese con più di 1000 addetti, l’ 89% di
quelle che vanno dai 500 ai 999 adetti, il 77% di quelle da 200 a 499 dipendenti, il 63% di quelle
da 100 a 199 dipendenti, il 31% delle aziende che hanno da 50 a 99 dipendenti; Cannari L., Gola
C., La diffusione dei gruppi industriali in Italia, in: Balzarini P., Carcarno G., Mucciarelli G. (a
cura di), I gruppi di società, Giuffrè, Milano, 1996, p. 45.
2
Già in precedenza, prima che i trust fossero dichiarati illegali.
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un emendamento del 1893, che a chiare lettere consentiva alle società costituite in
quello stato di possedere partecipazioni al capitale di rischio di altre aziende.
Questa disposizione legalizzava a tutti gli effetti le Holding prima vietate dai
principi fondamentali del diritto americano
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. L’emanazione di questa legge e dello
“Sherman Act” in pochissimo tempo invertirono la situazione giuridica fino ad
allora esistente con inevitabili effetti sul piano economico. Nel arco di pochi anni
si rivoluzionò l’asseto organizzativo delle imprese, le quali abbandonarono i trust,
fino ad allora la via normale e legale per collegare le imprese tra loro, a favore dei
gruppi, la cui formazione come detto sopra e qui ribadito era favorita dalla legge
dello Stato del New Jersey emanata dopo qualche anno l’approvazione dello
“Sherman Act”. Le imprese presero a collegarsi tramite partecipazioni di capitale
dando vita inevitabilmente a forme più solide e durature di concentrazioni
economiche.
A questo punto mi chiedo se questo “stravolgimento normativo” non privo di
incoerenza sia servito in qualche modo a salvaguardare i principi della
concorrenza o addirittura non l’abbia resa ancora più precaria. Tuttavia pur non
rinunciando ad una osservazione del genere non sarà in questa sede che, per ovvi
motivi, approfondiremo tale argomento. La American Sugar Refining Company
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Già prima che i trust furono dichiarati illegali dallo “Sherman Act”, vi erano stati diversi
tentativi di costituzione di gruppi, ma Le Corti statali statunitensi si erano opposte duramente,
ritenendo che l’acquisto da parte di società commerciali di partecipazioni al capitale di un’altra
costituisse un atto ultra vires, estraneo all’oggetto per il quale la società stessa era stata creata.
Grazie a questo divieto le aziende americane si orientarono verso i trust al fine di creare
concentrazioni produttive. Ciò fino alla promulgazione, nel 1890, dello “Sherman Act” che,
congiuntamente ad altre disposizioni legislative, determinò il capovolgersi della situazione ossia
l’abbandono dei trust a favore del gruppo. Passaponti B., I gruppi e le altre aggregazioni
aziendali, Giuffrè, Milano, 1994, p.70.
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fù la prima azienda che di fatto sfrutto i benefici di questo nuovo asseto
normativo, nel 1892 quando la società forniva al mercato il 65% del prodotto
acquisto anche il pacchetto di maggioranza della E. C. Knight Company venendo
di fatto a controllare tutta la produzione di zucchero americana. Come è facile
intuire l’operazione non passo in osservato, molte furono le critiche sollevate.
Alcuni anni dopo la Corte suprema Federale stabilì che la Sugar Refining non
agiva in violazione delle leggi antitrust. La sentenza che destò scalpore anche per
il modo con cui era stata giustificata, inevitabilmente rappresentò un ulteriore
passo in avanti verso la legalizzazione dei Gruppi Aziendali.
Ci si è soffermati molto su questo caso perché fu proprio grazie a questa sentenza
che in pochissimo tempo nacquero tantissime Holding. Tra il 1897 e il 1903 ne
furono costituite più di 225. Dopo le prime contrastate manifestazioni, il
fenomeno ha assunto con il passare del tempo sempre più consistenza , alimentato
tra l ‘altro da un generale ampliamento dei mercati. Si è sviluppato non solo negli
Stati Uniti d’America, sua patria, ma anche in molti altri paesi, soprattutto
industrializzati, al punto tale da essere considerato uno degli indicatori dello
sviluppo economico
4
.
4
Per ulteriori approfondimenti sull’origine dei gruppi aziendali si rinvia a: Passaponti B., op. cit.,
1994, p. 69 e ss.