- Introduzione -
3
Nel territorio spagnolo si sta assistendo alla crescita e all’estensione
dell’associazionismo femminile all’interno della comunità gitana: negli ultimi quindici anni
sono aumentate le associazioni di donne gitane, fino al momento attuale in cui se ne possono
contare una quarantina, circa la metà delle quali si trova in Andalusia. Si tratta cioè di un
fenomeno in espansione, e che ad oggi è ancora poco indagato
3
.
Teresa San Román (1997: 210) sottolinea l’interesse ed insieme la complessità che
acquisirebbe uno studio sul movimento associativo gitano. In questa tesi mi propongo di
considerare una parte peculiare di questo movimento, quella formata dalle associazioni
femminili, nelle quali le protagoniste sono le donne gitane.
Tale studio si basa su una breve ricerca etnografica che mi ha permesso di conoscere
alcune donne gitane e le associazioni da esse fondate, ed in questo modo partecipare con loro
nel movimento.
La tesi si propone quindi come il risultato iniziale di un lavoro di ricerca e riflessione basato
su un’esperienza etnografica e guidato da una prospettiva antropologica, in particolare ispirato
dall’ottica dell’antropologia femminista.
La rilevanza dell’analisi dei movimenti sociali per l’antropologia sociale e culturale
risiede nel loro essere fenomeni complessi, nei quali in gioco è l’accesso alle risorse, il
miglioramento delle condizioni socioeconomiche e la competizione per il potere, ma anche la
contesa per la definizione dei significati, la loro rielaborazione e creazione, così come i
processi di produzione e riproduzione identitaria. I movimenti sociali sono cioè luoghi di
intersezione tra cultura e politica, tra l’ambito del simbolico e quello della pratica: anzi
rendono evidente l’intreccio permanente di queste dimensioni nella dinamica di costruzione,
negoziazione e mutamento delle reti di relazioni sociali e di significati condivisi che
attraversano e formano la “cultura” e la società.
Questa rilevanza e la conseguente opportunità di un avvicinamento alla comprensione dei
fenomeni di azione collettiva organizzata da parte dell’antropologia è stata sottolineata, tra gli
altri, da Arturo Escobar (1992), in un articolo appunto intitolato “Cultura, pratica e politica.
Antropologia e studio dei movimenti sociali”. In esso l’autore afferma che dalla ricerca
antropologica sulla pratica politica di attori sociali collettivi, possono derivare nuovi spunti
“per ripensare come i gruppi di persone partecipano collettivamente nel modellare il loro
3
Oltre ad essere un fenomeno che, secondo le mie conoscenze, non è presente nelle numerose comunità zingare
e rom in Italia.
- Introduzione -
4
mondo nella loro vita quotidiana, basandosi sulla propria cultura e significati” (Escobar, 1992:
402).
L’interesse che riveste per l’antropologia lo studio di un movimento di donne si
ricollega, in maniera più specifica, agli argomenti esposti, ai quali si aggiungono le
sollecitazioni provenienti da oltre 30 anni di studi sulla donna, di studi di genere e di
riflessione femminista; e viene efficacemente espresso, a mio parere, dalle citazioni che ho
scelto di apporre in apertura di questa tesi.
Concentrarsi sui fenomeni di azione collettiva da parte di diversi gruppi di donne,
significa indagare in che modo la dimensione del genere entra in ciascun contesto a
determinare il tipo e la direzione di quest’azione collettiva. Questa indagine permette di
contemplare, come affermano Díez Mintegui e Esteban Galarza (1999), la varietà di strategie,
di modi e modelli che si dispiegano e vengono elaborati dalle donne in ciascun contesto e
seguendo diverse definizioni della situazione: credo che la ricchezza di punti di vista che ne
deriva sia di sicuro interesse antropologico.
Inoltre lo studio empirico di un caso di mobilitazione collettiva da parte di un gruppo di
donne rappresenta un contributo che si aggiunge a quelli presenti in una ormai vasta
letteratura, volta ad evidenziare l’azione delle donne in quanto soggetti attivi e pienamente
partecipi della dinamica sociale e culturale. Per quanto l’assunzione del carattere di attori
sociali delle donne possa sembrare scontata, l’aggiunta di questo contributo risulta, a mio
avviso, un compito non trascurabile, soprattutto nel momento in cui riguarda un gruppo di
donne appartenenti ad una “minoranza etnica”.
Infatti il caso di studio scelto presenta una caratteristica che lo rende particolarmente
interessante: si tratta di un movimento formato da donne appartenenti ad una minoranza
etnica, quella gitana, ovvero un gruppo minoritario che si definisce e viene percepito come
distinto dalla società spagnola ed andalusa di cui fa parte (o presso la quale vive), la cui
diversità viene fatta risiedere precisamente nella cultura, individuata nell’identità culturale ed
etnica e quindi classificata, appunto, come differenza etnica.
Come succede anche per altri collettivi di donne, appartenenti a minoranze etniche o a
società che vengono definite “tradizionali”, a gruppi che vengono bollati come “non moderni”
(legittimando in questo modo la loro esclusione dai benefici che questa “modernità”
apporterebbe), anche per le donne gitane è vigente un’immagine stereotipata che le ritrae
come sottomesse, vittime passive di una società patriarcale, di una cultura la cui arretratezza
- Introduzione -
5
si manifesta in modo spettacolare proprio nella mancanza di libertà delle sue donne. La
diffusione di questo tipo di visione dimostra che il riconoscimento della agenzia delle donne è
meno affermato di quanto possa sembrare; mostra quanto sia parziale, limitata ad alcuni
collettivi ideali di donne, l’accettazione dell’idea che queste ultime, al pari di tutti gli altri
attori sociali (compresi quelli in posizione subordinata perché appartenenti a gruppi
dominati), siano soggetti che formulano le proprie azioni e strategie secondo razionalità e
intenzionalità riconoscibili (Piccone Stella e Saraceno 1996:25), e quindi contribuiscono a
creare, riprodurre e trasformare il proprio mondo.
Ecco dunque dove risiede l’interesse di indagare una forma di unione e mobilitazione
collettiva da parte di donne appartenenti ad una “cultura” distinguibile da quella dominante o
maggioritaria.
Attraverso una ricerca orientata in questo modo mi propongo di comprendere come
questo gruppo di donne si organizzi, elabori strategie individuali ma soprattutto collettive per
superare la discriminazione, per perseguire i propri fini, far fronte alle proprie necessità e dar
voce alle proprie rivendicazioni; mi propongo inoltre di risaltare le forme attive di mutamento
che emergono dalla pratica collettiva, ed in generale di avvicinarmi alla comprensione delle
strategie, delle decisioni, dei comportamenti e dei significati formulati dalle donne del
movimento, evidenziando la commistione tra cambiamento e continuità che caratterizza
qualsiasi dinamica sociale, anche quella organizzata e frutto di riflessione collettiva,
volontariamente orientata al mutamento.
Il movimento associativo di donne gitane si definisce come movimento femminile ed
etnico, ossia viene contemporaneamente segnato dall’appartenenza etnica e da quella di
genere delle donne che lo creano e lo compongono. In questo modo esso permette di
focalizzare da vicino l’intreccio tra il genere ed altri tipi di appartenenza, altri elementi che
segnano l’identità; tra la dimensione del genere e le altre dimensioni che strutturano la
differenza e la diseguaglianza, quali appunto l’etnia, la classe, l’età, l’orientamento culturale,
religioso, sessuale. Anzi direi che il caso scelto richiede questo tipo di focalizzazione,
attraverso l’adozione di una prospettiva che renda oggetto privilegiato d’analisi le intersezioni
tra “le differenze”, tra la struttura di distribuzione asimmetrica del potere e le sue direttrici, in
sintesi, tra le dimensioni appena elencate. Credo che l’antropologia femminista sia la
posizione teorica che meglio fornisca questo tipo di prospettiva.
Le donne gitane impegnate nelle associazioni e nel movimento occupano una specifica
posizione nel tessuto delle relazioni sociali della società gitana e della società maggioritaria;
- Introduzione -
6
questo è anche un tessuto di rapporti di potere asimmetrici, tra società maggioritaria e gruppo
minoritario, ma anche tra gruppi ed individui interni a quest’ultimo. Si situano inoltre in una
posizione identitaria costruita dalle definizioni imposte dall’esterno e dalle proprie
autodefinizioni, caratterizzata dal loro essere donne, dal loro essere gitane, dal loro essere
donne gitane di una determinata classe sociale, eccetera. Da questa posizione e situazione, le
donne del movimento sperimentano una forma specifica di oppressione, ma anche partono per
analizzare la propria realtà, proporne “alcune modifiche” e agire per la sua trasformazione,
secondo ciò che definiscono preferibile o migliore.
Il principale interesse di questo lavoro dunque è quello di comprendere una particolare
forma di mobilitazione, ossia di riflessione ed azione collettiva, la costruzione di significati
condivisi e magari alternativi, la definizione comune degli interessi e delle modalità di
intervento, infine il tipo di creazione identitaria che in essa avviene e si esprime, stando
particolarmente attenta alla trama delle dimensioni che strutturano questa identità ed il
posizionamento dei soggetti che la esprimono.
In questo modo inoltre il presente lavoro vorrebbe offrire la visione, un esempio di come
soggetti in posizione subordinata, o dominati, con risorse proprie perseguono un mutamento e
miglioramento della propria condizione e degli elementi strutturali che la determinano.
L’antropologia è un sapere critico particolarmente adatto ad avvicinare campi di senso,
modelli di comportamento e forme culturali ed espressive “altre” (Fabietti, 2001: VII-XII),
estranee e diverse cioè da quelle di chi le sta osservando e le interpreta, proprio perché attento
a cogliere il punto di vista dei soggetti che vivono e investono di significato tali modelli,
espressioni e strutture di senso.
La prospettiva di genere e l’ottica femminista contemplano il genere come una
costruzione, quindi passibile di mutamento, e come un campo nel quale si dispiega il potere;
così che i processi di produzione e trasformazione che lo riguardano investono queste
relazioni di potere, generando conflitti e resistenze. Inoltre considerano la differenza di genere
come un tipo di differenza basilare, anche se non unica ed impossibile da esperire sola, che
viene costruita ed utilizzata per segnare e legittimare la diseguaglianza.
Entrambi i campi teorici inoltre sono particolarmente sensibili alla tematica del
mutamento, dei processi di produzione, riproduzione e trasformazione del sistema delle
relazioni sociali e di potere e della struttura dei significati condivisi e dominanti. Se
l’antropologia, come suggerisce Escobar (1992), ha spesso esitato a confrontarsi e a dotarsi
degli strumenti adeguati per teorizzare l’azione politica collettiva ed organizzata, tale
- Introduzione -
7
problema non può certo essere rintracciato per la teoria femminista, che nasce ed esiste come
riflessione critica incorporata nella pratica politica.
Dall’incontro tra antropologia e femminismo può quindi emergere a mio parere una
cornice teorica particolarmente adatta all’analisi e comprensione di fenomeni di mobilitazione
collettiva da parte di soggetti che costruiscono la loro identità in maniera multipla, in modo
che la loro identità di genere si definisce attraverso l’identità etnica e viceversa, ed entrambe
in modi specifici a seconda dell’appartenenza di classe e generazionale; un movimento
integrato da donne che incarnano la molteplicità della differenza e della diseguaglianza e che,
ancora prima di eventualmente tematizzare questa realtà, la esperiscono.
È per questo motivo che mi propongo di affrontare lo studio del movimento associativo
di donne gitane attraverso un’ottica che integri la prospettiva antropologica a quella di genere
e femminista.
Per fare ciò, nella prima parte della tesi delineo il quadro teorico all’interno del quale
intendo situare il presente lavoro.
In particolare nel Capitolo 1 introduco in modo sintetico la prospettiva dell’antropologia
femminista, sottolineo alcuni concetti e categorie analitiche fondamentali, quali quella di
genere, ed i punti di maggiore interesse che derivano dall’incontro tra antropologia e critica
femminista, o tra antropologia e prospettiva di genere, cercando inoltre di mostrare la loro
rilevanza e la convenienza della loro applicazione in uno studio su un movimento etnico di
donne.
Nel Capitolo 2 mi avvicino al tema dei movimenti di donne, delineando, attraverso
l’analisi di alcune opere esistenti in letteratura, le ipotesi e gli strumenti teorici ed euristici che
guidano il presente studio ed hanno orientato la mia ricerca. In maniera particolare presto
attenzione alle molteplici connessioni tra le forme di azione collettiva ed organizzata ed altre
forme dell’agire sociale delle donne; oltre che alle questioni che emergono da un confronto tra
i movimenti di donne ed il movimento (e riflessione) femminista, tra il modello di prassi
femminista ed altri tipi di azione femminile.
La seconda parte della tesi riguarda direttamente il movimento associativo di donne
gitane, e si basa sulla mia ricerca etnografica. Questa parte è un tentativo di restituire le
esperienze, le osservazioni, le riflessioni che hanno segnato la ricerca sul campo e fuori dal
campo, e di presentare alcune interpretazioni, alcune conclusioni o “risultati”.
- Introduzione -
8
Nel Capitolo 3 racconto i processi che hanno caratterizzato e costruito la mia esperienza
sul campo, le interazioni, gli incontri e gli accadimenti. Descrivo anche i metodi che ho
utilizzato nella ricerca, cercando di discuterli e problematizzarli. Infine cerco di fornire
un’idea del contesto nel quale si è svolta la ricerca, che aiuti a situarla e a situare il presente
studio.
Nel Capitolo 4 focalizzo ulteriormente il contesto e l’oggetto di studio ripercorrendo la
storia del movimento gitano spagnolo, nello svolgimento della quale si inserisce il percorso
del movimento di donne gitane. Considero e propongo inoltre alcune interpretazioni delle
associazioni e delle organizzazioni gitane e zingare, ovvero dei movimenti a base etnica che si
stanno diffondendo nel mondo gitano e nelle comunità zingare d’Europa, dimostrando come
in questo fenomeno collettivo si renda evidente il rapporto dialettico tra società gitana e
società non gitana: un rapporto di scambio, di traffico culturale e mimesi segnato dallo
squilibrio di potere ma anche da processi creativi.
Dalla descrizione del movimento gitano ampio, torno dal Capitolo 5 in poi a restringere
l’attenzione sull’oggetto specifico di questo studio, il movimento associativo di donne gitane.
Così, nel Capitolo 5 descrivo la rete di relazioni che connette le diverse associazioni e le
donne che vi militano; dimostro l’esistenza di un discorso condiviso, prodotto del movimento
e dotato di caratteristiche particolari. Individuo inoltre i “luoghi” di produzione e riproduzione
del movimento, ossia gli spazi, le occasioni ed i rituali durante i quali questo discorso viene
pronunciato, formulato e riaffermato, durante i quali si crea e rinsalda la rete di relazioni che
costituisce il movimento.
Anche il Capitolo 6 contribuisce a delineare il campo nel quale si è svolta la ricerca e ad
inquadrare il fenomeno di studio, attraverso la descrizione delle persone conosciute e del loro
ambiente sociale. La ricerca etnografica è composta da situazioni comunicative e dialogiche,
sulle quali si costruiscono molteplici interpretazioni: non posso quindi prescindere dalla
presentazione e considerazione dei soggetti con i quali ho stabilito “contatti”; sono i soggetti,
le persone con le loro azioni, comportamenti e significazioni quelle che costituiscono un
fenomeno sociale o culturale, anzi lo incarnano. Così in questo capitolo accenno ai significati
che le donne attribuiscono alla partecipazione nelle associazioni e al movimento, e riferisco
alcune esperienze di trasformazione individuale che si producono attraverso questa
partecipazione. Inoltre mi soffermo sulla questione dell’eterogeneità della popolazione gitana,
in un modo che mi offre la possibilità di esplorare la dimensione della stratificazione
socioeconomica e dell’appartenenza di classe all’interno di questo collettivo e del movimento.
- Introduzione -
9
Come detto, nelle associazioni di donne gitane l’identità etnica e quella di genere si
mescolano, così che per cogliere il tipo di rielaborazione dell’identità etnica che si osserva nel
movimento non si può prescindere dalla considerazione che essa è frutto di un gruppo di
donne, e per analizzare gli obiettivi e la definizione degli interessi femminili e di genere non
bisogna dimenticare che sono opere di gitane, ed appartenenti a determinati strati sociali e
generazionali. Così, nel Capitolo 7 tratto dell’obiettivo di promozione e sviluppo della donna
gitana, che è la finalità attorno alla quale si costituiscono e funzionano le associazioni ed il
movimento: uno scopo connesso alla condizione della donna ed al suo miglioramento.
Analizzo come nella definizione dell’obiettivo ritenuto prioritario e delle attività nelle quali si
investono le maggiori risorse, così come nello sviluppo di questi obiettivi ed attività in mete
specifiche e pratiche concrete, entri la dimensione culturale accanto a quella di genere, ed
influisca il contesto delle relazioni interetniche.
Nel Capitolo 8 considero le trasformazioni ricercate ed indotte, da parte delle donne del
movimento, del movimento e del suo discorso condiviso, nella struttura dei rapporti e delle
rappresentazioni di genere proprio della società gitana. Nell’ovvia impossibilità di riferirmi a
quest’ordine ed analizzarlo nella sua globalità, mi concentro in particolare su alcuni aspetti
del sistema di genere o ad esso relazionati (sistema matrimoniale, relazioni di genere
all’interno della famiglia e modello famigliare, trattamento e condizione della donna), quelli
sul quale il movimento maggiormente riflette e si interroga, interrogando così la società gitana
intera ed anche la società non gitana.
Nel Capitolo 9 affronto il tema delle modalità di azione e riflessione del movimento, le
sue strategie di aggregazione, di diffusione del messaggio, di conservazione e rinnovamento.
Richiamo l’attenzione sull’esistenza di alcuni temi esclusi dall’elaborazione e discussione
collettiva e propongo alcune possibili interpretazioni. Considero infine il rapporto tra il
movimento di donne gitane ed il femminismo non gitano; osservo l’immagine del
femminismo che opera all’interno del movimento ed il confronto che viene attivato dal
movimento di donne gitane con questa immagine e con il modello di mobilitazione
femminista. In questa sezione del mio lavoro di far dialogare il caso empirico con i concetti e
gli spunti emersi dall’analisi della letteratura sui movimenti di donne.
Nel Capitolo 10 infine analizzo la proposta di ridefinizione dell’identità e della cultura
gitane, o, in altre parole, dell’identità etnica gitana da parte del movimento. Sottolineo in
modo particolare come questa proposta sia segnata dalla preoccupazione per la conciliazione
tra continuità e mutamento, segua alcune linee “tipiche” della costruzione identitaria gitana
dominante (poiché si dispiega nel campo della pratica quotidiana e della morale, e si radica
- Introduzione -
10
nel presente) e sia caratterizzata in modo peculiare ed unico per il fatto di provenire da donne:
una rielaborazione identitaria, o reinvenzione dell’etnia, genericamente segnata.
Chiudono il presente lavoro delle note di conclusione.
-
11
Parte prima
LO STUDIO DEI MOVIMENTI DI DONNE NELLA PROSPETTIVA
DELL’ANTROPOLOGIA FEMMINISTA
12
CAPITOLO 1
LA PROSPETTIVA FEMMINISTA IN ANTROPOLOGIA
1.1 La critica femminista nelle scienze sociali
“Nella misura in cui costituisce una forma di critica ai modi di pensare e
d’interpretare l’appartenenza di sesso ed i rapporti di sesso, il femminismo
costituisce anche un punto di vista critico all’interno dei diversi discorsi
disciplinari: delle scienze sociali anzitutto (antropologia, sociologia, economia,
storia) in quanto queste si occupano più esplicitamente dei rapporti sociali, delle
strutture di potere, della distribuzione delle risorse, dei processi di costruzione e
attribuzione di senso” (C. Saraceno, 1994: 60).
Chiara Saraceno spiega in questo modo il rapporto tra femminismo e scienze sociali,
cioè tra un pensiero critico, una riflessione teorica ed insieme una prassi politica che si
organizza attorno alla concettualizzazione, la denuncia e il superamento dell’oppressione della
donna e della diseguaglianza di genere, ed il campo di produzione teorica efficacemente
descritto nella citazione appena riportata.
La storia di questa relazione inizia negli anni settanta, con la critica della visione
scotomizzata e stereotipata delle donne presente nelle scienze sociali: in esse, si disse, le
donne sono considerate oggetti passivi, piuttosto che soggetti protagoniste nei processi di
produzione e riproduzione sociale, o ancora sono escluse dal discorso scientifico, che si
pretende neutro e valido universalmente. Nacque così una serie di studi che mise al centro del
proprio interesse la donna, considerata come soggetto attivo “con strategie e intenzionalità
riconoscibili” (Piccone Stella e Saraceno, 1996: 25): i women’s studies
1
.
1
L’uso del termine inglese è dovuto al fatto che questi studi si inaugurarono in area statunitense e britannica, e
posteriormente si svilupparono nel resto d’Europa. Per questo presentando questo campo di studi preferisco
riportare il termine inglese con cui nacque, anche se successivamente mi riferirò ad essi come “studi sulle
donne”. In generale, la critica femminista alle scienze sociali si formulò inizialmente negli ambienti accademici
degli Stati Uniti, così come i primi studi di genere, le prime opere di antropologia della donna, di genere e
- Capitolo 1 -
La prospettiva femminista in antropologia
13
Il significato e la ripercussione degli studi sulle donne superano la mera introduzione della
“donna” nelle scienze sociali; piuttosto, essi rappresentarono una svolta epistemologica
all’interno di queste discipline: non fu più possibile parlare dell’insieme delle relazioni
sociali, della storia, dei fenomeni culturali come di realtà univoche e neutre, si dovette
riconoscere la prospettiva maschile celata dietro la pretesa neutralità ed universalità del
discorso scientifico.
Questa “rivoluzione epistemologica” fu progressiva, contestuale allo sviluppo della
riflessione femminista e della sua prospettiva critica, all’elaborazione da parte di questa di
strumenti teorici efficaci per concettualizzare le rivendicazioni, le intuizioni e le direzioni di
riflessione ed azione che emergevano.
Credo che non ci possa che essere consenso sul fatto che il principale di questi strumenti
sia rappresentato dal concetto di genere. La creazione ed elaborazione di questa categoria
concettuale, la discussione intorno ad essa ed il suo approfondimento fu forse il “prodotto”
teorico più rilevante del femminismo e degli studi di genere; la sua introduzione, o meglio
l’adozione della prospettiva che da questo sforzo teorico deriva, e l’assunzione della
consapevolezza della sua imprescindibile inclusione in qualsiasi scienza sociale, fu l’apporto
maggiore e profondamente trasformatore della critica femminista alle scienze sociali.
Se è giusto distinguere per chiarezza concettuale gli studi di genere dagli studi sulle
donne, non bisogna dimenticare il loro legame: gli studi sulle donne frequentemente
precedettero quelli di genere e furono uno spazio iniziale di sperimentazione di questo
concetto, e, soprattutto, alla base di entrambi vi era la medesima orientazione critica.
Gli studi di genere analizzano i processi di costruzione del genere, le strutture ed i modelli
delle relazioni tra i generi ed i modi in cui questi entrano in maniera trasversale a plasmare le
forme di organizzazione sociale e i meccanismi di riproduzione sociale (Piccone Stella e
Saraceno, 1996: 31). Si occupano quindi di una dimensione dialettica e relazionale (che
include uomini, donne e le loro relazioni). Gli studi sulle donne si concentrano su un aspetto
parziale di questa relazione. Ma, come afferma Busoni, “sia i women’s studies che gli studi di
genere fanno parte di un campo più generale di sociologia della conoscenza. Si studiano le
donne non per un’attenzione esclusiva verso di loro ma per reintegrare e rimettere in una
prospettiva corretta il discorso scientifico” (Busoni, 2000: 103).
femminista. Lo stesso concetto di genere, com’è noto, è nato in area anglosassone come “gender” e quest’origine
non è priva di conseguenze sulla sua storia, iniziando dalle difficoltà e dai dibattiti introno alla sua traduzione
italiana.
- Capitolo 1 -
La prospettiva femminista in antropologia
14
Alcuni contributi suggeriscono poi un’ulteriore distinzione tra prospettiva di genere e
prospettiva femminista. Britt Marie Thurén (1993), per esempio, riferendosi in modo
specifico all’antropologia, propone di distinguere l’oggetto dello studio da quella che è
“l’intenzione”, cioè la prospettiva o l’orientamento, non solo teorico, che muove lo studio;
individua poi tra i possibili oggetti “la donna” ed il “sistema di genere”, e, tra le intenzioni,
una che considera “femminista”. La prospettiva femminista aggiunge un’attenzione specifica
alla comprensione delle forme di diseguaglianza ed oppressione nell’intento politico di
superarle, o modificarle. In questo modo, secondo l’autrice, è possibile classificare gli studi
sulle donne come quelli che hanno per oggetto la donna, e riconoscere che possono
incorporare o meno una prospettiva femminista; parallelamente, si può contemplare
l’esistenza di studi antropologici che siano consapevoli della trascendenza del concetto di
genere e quindi si occupino in modo corretto dell’analisi del sistema di genere, e discriminare
all’interno di questi a seconda del loro orientamento femminista o meno. Thurén, in sintesi,
propone di considerare l’antropologia femminista come lo studio antropologico del sistema di
genere, ossia delle relazioni tra uomini e donne “con l’intenzione di comprendere come si
convertono in relazioni asimmetriche, e fino a che punto ed in che modo sono realmente
asimmetriche; con l’intenzione inoltre che questi dati possano essere utili anche fuori
dall’ambito accademico, nel lavoro politico di trasformazione del nostro sistema di genere”
(Thurén, 1993: 96).
Pur accettando questa ulteriore specificazione, vorrei sottolineare che sia gli studi sulle
donne che gli studi di genere sono in modo intrinseco studi critici (ed in questo manifestano
potentemente la loro derivazione dal pensiero femminista), proprio perché usano e si
strutturano attorno ad un concetto, quello di genere, che incorpora in modo costitutivo l’idea
di potere; un concetto, inoltre, che ha una profonda spinta trasformatrice. Probabilmente
questo suggerimento di Thurén, come altre indicazioni simili, può essere un utile modo di
ribadire questa valenza del concetto e della prospettiva di genere, scongiurando il rischio di
una sua banalizzazione ed un suo “disarmo” politico, in un momento nel quale è ormai
incorporato nelle scienze sociali e ad esso viene riconosciuto almeno formalmente uno spazio
tra i saperi accademici.
Ritengo sia indispensabile a questo punto fermarmi a considerare, anche se brevemente,
il concetto di genere.
- Capitolo 1 -
La prospettiva femminista in antropologia
15
1.2 Il concetto di genere
Una discussione approfondita del significato di “genere” meriterebbe uno spazio assai
maggiore di quello che permette e richiede il presente lavoro. Per questo, non mi propongo in
questo paragrafo di fornire un quadro esaustivo della storia del concetto e neppure di
soffermarmi sul dibattito attuale che lo attraversa. Credo però sia necessario precisare in che
senso uso il termine “genere”, e soprattutto situare il concetto, dato che, come tutte le
costruzioni teoriche, dall’analisi della sua origine e delle sue metamorfosi se ne ricava una più
precisa comprensione del significato.
Bisogna anzitutto riconoscere e ricordare che il concetto di genere deriva dal
femminismo: nasce all’interno della sua riflessione teorica e prassi politica e rappresenta una
categoria concettuale matura e sofisticata con la quale pensare le interazioni tra i sessi e la
loro costruzione, frutto della sistematizzazione delle sue iniziali intuizioni, della presa di
coscienza della discriminazione delle donne e delle azioni per superarla (Piccone Stella e
Saraceno, 1996: 11-12).
Il vincolo che lega il concetto di genere al pensiero e al movimento femminista non è però
banalmente di “derivazione”: il genere è un concetto in costante mutamento, la cui
costruzione, continua discussione e ridefinizione segue la storia della riflessione femminista
(e degli studi di genere), e contemporaneamente la segna, dato che attorno ad esso, al suo
significato ed alla sua validità si struttura un dibattito fondamentale e tuttora aperto. Non si
tratta infatti di un concetto monolitico definito univocamente, né accettato in modo unanime
dai vari “gruppi e centri di elaborazione del pensiero femminista” (Piccone Stella e Saraceno,
1996: 12).
Dunque il genere è una categoria analitica la cui portata e contenuto sono oggetto di
dibattito e di differenti visioni all’interno delle teorizzazioni provenienti dagli studi di genere
e della stessa riflessione femminista, ma che comunque trova in questa il luogo in cui si è
sviluppato, è stato proposto, ed è formulato e riformulato, criticato e riformato. Si tratta di un
concetto dialettico, che mantiene un chiaro legame con il procedere della riflessione, ma
anche dell’azione e mobilitazione politica.
Il legame con il femminismo alimenta e spiega il carattere trasformatore del concetto,
che si manifesta nel mutamento di “paradigma” indotto dalla sua adozione. Il concetto di
genere si rivela un “prisma” attraverso cui riconsiderare le analisi di ogni campo o fenomeno
- Capitolo 1 -
La prospettiva femminista in antropologia
16
sociale, la cui incorporazione nelle scienze sociali, come visto, trae la conseguenza di
riformularne le definizioni e le domande, non solo gli oggetti, ed anzi giunge sino alla
riconsiderazione del concetto di identità e di soggetto.
Sono numerose le autrici che, nel tentativo di ripercorrere la storia del concetto di
genere, della sua genealogia e delle trasformazioni, individuano nel saggio di Gayle Rubin del
1975 “The traffic in women: notes on the “political economy” of sex” e nell’espressione lì
coniata “sex-gender system” la nascita del termine gender, appunto tradotto nel linguaggio
italiano delle scienze sociali con “genere”.
2
Rubin definì il “sistema sesso-genere” come
“l’insieme delle disposizioni sulla base delle quali una società trasforma la sessualità
biologica in prodotti dell’attività umana e nelle quali questi bisogni sessuali trasformati
trovano soddisfazione” (Rubin, 1975: 158).
Da allora, appunto, si è molto discusso sul significato di questo concetto ed esso si è
assai trasformato.
Per esempio, uno dei punti di dibattito più intensi e complessi riguarda il rapporto tra il
concetto di genere e quello di differenza sessuale. L’iniziale concezione dominante, del
genere come costruzione socioculturale di una differenza biologica data, fissata inizialmente e
indiscutibilmente dalla biologia, ha poi lasciato il passo ad una diversa idea del genere, come
costrutto che ingloba il sesso, ovvero la differenza sessuale
3
. Questa dunque viene considerata
anch’essa un prodotto della capacità antropo-poietica dell’essere umano, piuttosto che un dato
originario e primitivo sulla base del quale si costruiscono gli attributi generici. L’idea è che
“la cultura incarna le possibilità dell’esperienza umana” (Moore, 1996: 43) e quindi anche
quelle vissute come essenziali quali l’esperienza del corpo, e del corpo sessuato.
2
Si veda, tra le altre: Bellagamba, 2000: 72; Busoni, 2000: 126; Campani, 2000: 76; Nicholson, 1996: 43;
Piccone Stella e Saraceno 1996: 7. Busoni, per esempio, ricostruisce in modo leggermente diverso l’origine del
termine ed il suo ingresso nel discorso scientifico: dice che esso appare sporadicamente nella letteratura
femminista dei primi anni settanta, per poi affermarsi in una decina d’anni. Cita nell’ordine: Oakley, Ann (1972)
Sex, gender and society; ed il volume collettivo Toward an antrhopology of women (1975) nel quale il concetto
appare sia nell’Introduzione di Rayna Rapp Reiter, sia nel saggio di Gayle Rubin già citato. Anche lei riconosce
però che soprattutto a quest’ultimo testo si deve la teorizzazione compiuta del concetto.
3
Non si tratta comunque di una concezione condivisa in modo unanime. Mi riferisco alla formulazione del
concetto che seguo in questo lavoro.