trasferimenti a titolo gratuito, a garanzia del passaggio generazionale
della proprietà aziendale e nel nome della continuità d’impresa.
Come qualsiasi altro bene, infatti, anche l'azienda può formare oggetto
di cessione, a titolo oneroso o gratuito, ovvero di conferimento in
entità giuridiche diverse dall'impresa conferente, in quanto il
corrispettivo viene rappresentato da azioni o quote. Si parlerà più
propriamente di cessione in senso stretto, e sarà l’oggetto principale
delle pagine che seguiranno, quando l’operazione di trasferimento di
un complesso di beni dal cedente al cessionario avviene dietro
corrispettivo monetario.
Al di là di ogni considerazione in merito all'aspetto contrattualistico
delle operazioni sopra accennate, l'elemento che più le caratterizza lo
si rinviene specialmente sotto il profilo dell’oggetto delle stesse.
L’analisi, infatti, partirà proprio dalla definizione generale di azienda
proposta dal codice civile all’art. 2555, che dispone testualmente che
“l’azienda è il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per
l’esercizio dell’impresa”, e valevole per ogni tipo di impresa,
indipendentemente dalla natura (individuale o societaria, privata o
pubblica), dalla dimensione (piccola, media o grande impresa) o
dall’oggetto (commerciale o agricolo), perché in dottrina, pur in
presenza di una nozione civilistica chiara, sì è da sempre discusso
sulla natura giuridica dell’azienda, portando avanti tesi divergenti sia
con riferimento alla ricostruzione della figura sia con riferimento,
conseguentemente, agli effetti che da questa discendono: verranno
così analizzate le due maggiori e opposte teorie, quella c.d. atomistica
2
e quella c.d. universalistica, sottolineando quale sia la più condivisa e
seguita dalla giurisprudenza.
La distinzione ha, infatti, la sua importanza anche ai fini tributari, in
quanto a seconda della tesi seguita, ne discende la sottoposizione
dell’operazione all’imposta di registro ovvero a quella sul valore
aggiunto, oltre, ovviamente, ai riflessi sulla disciplina Ires, di cui però
non si tratterrà oltre. Come si vedrà meglio in seguito, in virtù del
principio di alternatività Iva-Registro, sulla assoggettabilità della
cessione di azienda all’imposta di registro e sulla conseguente
esclusione di applicabilità dell’Iva non esiste controversia; le
divergenze sorgono, invece, sulla esatta individuazione delle ipotesi di
cessione di azienda ovvero di cessione di singoli beni strumentali, in
ragione del fatto che solo la cessione di beni soggetta ad Iva, si
presenta neutrale agli effetti del carico fiscale. Notevole risulta, infatti,
il lavoro dell’Amministrazione finanziaria nel verificare che eventuali
contratti traslativi frazionati nel tempo e riguardanti singoli beni
dell’azienda, non siano altrochè un modo elusivo per mascherare una
reale cessione di azienda, soggetta, invece all’imposta di registro; si
andranno, perciò, ad esaminare quali sono gli elementi essenziali che
determinano i casi di vere cessioni di azienda, e quali beni invece
possono non esser coinvolti nel trasferimento, senza però escludere la
fattispecie in esame, nonché quale rilevanza abbia la volontà delle
parti ai fini della qualificazione del contratto di cessione.
Interessante sarà soffermarsi sul trasferimento del marchio e il suo
trattamento fiscale nell’ambito di una cessione di azienda, in quanto
appare, quantomeno particolare l’orientamento più recente della
3
Cassazione volto a ribadire come tale operazione sia da assoggettarsi,
sempre e in ogni caso, ad Iva, nonostante avvenga congiuntamente
con il trasferimento dell’azienda, facendo valere solo per tale bene
immateriale la definizione “atomistica” dell’azienda, laddove invece
per tutti gli altri beni, materiali e immateriali viene fatta valere
l’opposta teoria universalistica.
Argomento di particolare importanza, che è arrivato a spingere i
giudici italiani a rivolgersi anche alla Corte di Giustizia europea,
riguarda la restituzione dell’Iva indebitamente versata. Essa
costituisce un’ipotesi più frequente di quanto si possa comunemente
pensare, in quanto molte volte accade che gli operatori economici, per
obiettive difficoltà di interpretare correttamente le specifiche e spesso
complicate norme fiscali, nel dubbio, partendo anche dal presupposto
che tale imposta possa poi essere detratta dalla controparte,
preferiscano applicare l’Iva piuttosto che escluderla, correndo, poi, il
rischio di contestazioni e rilievi da parte dell’Amministrazione
finanziaria. Come si vedrà, invece, la detraibilità dell’Iva
erroneamente addebitata, non è affatto sicura, anzi l’orientamento sia
della Corte di Cassazione che dell’Amministrazione finanziaria su
questo punto non è mai stato univoco, anche se ormai dopo le
pronunce in sede europea pare si sia stabilito che la soluzione più
corretta del problema sia quella che prevede l’indetraibilità dell’Iva,
legittimando il cessionario all’azione di rimborso contro il cedente, ed
eventualmente e, solo in via subordinata, alla stessa Amministrazione
Finanziaria.
4
Dal punto di vista dell’imposizione indiretta, le cessioni a titolo
oneroso di complessi aziendali, sia aziende che rami d’azienda,
costituiscono, come espressamente prevedono le norme, operazioni
fuori campo Iva, che, per il principio dell’alternatività, scontano
l’imposta di registro in misura proporzionale. Com’è noto, l’imposta
di registro è un tributo che colpisce l’atto, piuttosto che la pattuizione
tra le parti ad esso sottostante, e da ciò ne consegue che la base
imponibile dell’imposta non è costituita dai valori attribuiti e
concordati dalle parti, quanto piuttosto dall’effettivo valore dei beni e
dei diritti compresi nell’atto soggetto ad imposta di registro, e tale
tematica verrà affrontata analizzando come per ogni tipo di bene,
mobile, immobile e per l’avviamento, che costituisce una rilevante
qualità economica dell’azienda, vi siano diverse soluzioni dettate
dall’Amministrazione Finanziaria e più o meno avallate anche dalla
giurisprudenza per il relativo calcolo.
La reintroduzione dell’imposta sulle successioni e donazioni, ha
portato nuovo interesse alle ipotesi di cessione di azienda a titolo
gratuito oppure in un contesto successorio; in tal caso, infatti, non
potendo trovare applicazione l’imposta di registro, né tantomeno
l’imposta sul valore aggiunto, si dovrà far riferimento al T.U. n.
346/1990 sull’imposta di successione e donazione, così come
modificata con la Finanziaria 2007, che ne ha previsto l’imponibilità,
non solo per i trasferimenti a titolo gratuito mortis causa ovvero per
donazione o per altro atto di liberalità, ma anche per quei trasferimenti
attuati attraverso la costituzione di vincoli di destinazione, ossia senza
un effettivo trasferimento di una ricchezza, quasi in contrasto con la
5
norma costituzionale sulla capacità contributiva. C’è da aggiungere,
però, che ai fini di agevolare la continuità d’impresa, su espressa
richiesta dell’Unione europea, sono stati previsti casi specifici di
esclusione dall’imposta, e ci si soffermerà ad analizzare la ratio di
tale norma reintroduttiva.
Nel caso in cui attraverso una cessione di azienda si trasferiscano
anche beni immobili, questi saranno soggette anche alle ordinarie
imposte ipotecarie e catastali, che si applicheranno, in maniera
abbastanza semplice, in misura proporzionale al valore del bene
immobile. C’è però una questione, ancora aperta, riguardante la base
imponibile su cui trovano applicazione le suddette imposte, in quanto
per il suo calcolo la prassi dell’Amministrazione, avallata pure dalla
Corte di Cassazione, è stata criticata da una parte della dottrina, che la
ritiene arbitraria in quanto non aderente a quanto espressamente
previsto dalle norme.
6
- Capitolo I -
IL CONCETTO CIVILISTICO DI AZIENDA E
IL SUO RECEPIMENTO NEL DIRITTO
TRIBUTARIO.
Sommario: 1. Il problema dei rapporti tra il diritto tributario e il diritto privato -
2. La nozione di azienda nel diritto civile. - 2.1 L’elaborazione civilistica della
nozione di azienda - 2.2 Dalla concezione atomistica a quella universalistica - 3.
La cessione d’azienda nella giurisprudenza della Corte di cassazione e
conclusioni.
1. Il problema dei rapporti tra il diritto tributario e il
diritto privato.
La nozione di azienda, non prevista nel codice di commercio del 1889,
si trova oggi enunciata nell’art. 2555 del codice civile, il quale la
definisce come “il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore
per l’esercizio dell’impresa”.
Le vicende di tale entità giuridica, soprattutto con riferimento ai
fenomeni dinamici di trasferimento, di cessione, e di circolazione,
7
sono particolarmente rilevanti, in quanto, proprio in relazione alle
modalità e all’atteggiarsi di tali vicende traslative, si riconnettono le
più significative conseguenze ai fini tributari.
Un concetto, dunque, elaborato in sede privatistica, in particolare, nel
ramo del diritto commerciale, e sembra perciò necessario, in via
preliminare, analizzare nello specifico la nozione di azienda. E ancor
prima, sembra altrettanto inevitabile affrontare un argomento che si
atteggia quasi a “questione pregiudiziale”: il concetto di azienda,
infatti, è stato definito tramite il rinvio ad una norma contenuta nel
codice civile, per cui si pone il problema se il diritto tributario, nel
momento in cui fa riferimento alla nozione di azienda nella disciplina
delle varie imposte, ha recepito, facendola propria, la corrispondente
nozione civilistica, oppure, ha elaborato una specifica concezione
dell’azienda, attribuendole così un’accezione più specificamente
tributaria
1
.
La riconosciuta autonomia del diritto tributario, non deve indurre
all’erroneo convincimento di una netta, totale e rigida separazione di
tale disciplina da altri settori del diritto. Partendo dal presupposto della
presunzione di coerenza e unitarietà dell’ordinamento giuridico, in via
generale, si deve, allo stesso modo, presumere l’uniformità dei
significati degli stessi termini qualora ricorrano contemporaneamente
1
Sulla questione del rapporto tra questa disciplina e gli altri rami del diritto: cfr. FALSITTA G. ,
Corso istituzionale di diritto tributario. Parte generale, Padova, 2007, II ed., p. 4 ss.; FANTOZZI
A., Il diritto tributario, Torino, 2005, p. 10 ss.; FEDELE A., Appunti di diritto tributario, Torino,
2005, p. 15 ss.; BERLIRI A., Corso istituzionale di diritto tributario, Milano, 1987, p. 6, secondo
cui, “il diritto tributario fa parte della species delle discipline giuspubblicistiche e del genus delle
discipline giuridico-finanziarie. In ogni caso, l’aver individuato questi rapporti di genus e di
species, non significa affatto dire che una disciplina debba restare assoggettata all’altra, quasi in
una relazione gerarchica nei confronti del diritto tributario”; RUSSO P., Manuale di diritto
tributario, Milano, 2002, p. 93 ss.
8
in una norma tributaria e in una non tributaria, salvo deroghe implicite
o esplicite; e lo stesso legislatore nel porre la norma tributaria che
utilizza istituti di altri rami del diritto non può liberamente discostarsi
dalla qualificazione oggettiva prestabilita dalla normativa presente
negli altri rami, se non in presenza di convincenti motivi, cadendo
altrimenti in un vizio di irragionevolezza e quindi di
incostituzionalità
2
.
Per ciò che riguarda la presente indagine, la nozione di “ azienda ”,
accolta dal legislatore tributario, è diversa rispetto a quella di cui
all’art. 2555 del codice civile?
Non si può scegliere una soluzione assolutamente generale, univoca e
valida in ogni situazione, e sostenere che il termine civilistico debba
essere sempre “trapiantato” col suo significato originario e col suo
(spesso articolato) bagaglio di interpretazioni dottrinali e
giurisprudenziali; o, all’opposto, che in ogni caso, data l’autonomia
del diritto tributario, ogni istituto, anche se “esterno”, assume una
connotazione particolare quando è recepito nella norma tributaria,
finendo così per distaccarsi dall’originario ambito di appartenenza, la
vera soluzione è data da un’accettazione (parziale) delle affermazioni
di entrambe.
Con tale soluzione concorda ormai la gran parte della dottrina
3
, e
anche la Corte Costituzionale
4
, in una pronuncia sul punto ha
2
Così FALSITTA G., op. cit., 2007, II ed., p. 83; cfr. DE MITA E., Il diritto tributario tra diritto
comune e principi costituzionali, in Jus, 1999, p. 33 e ss.; Idem, Diritti tributario e diritto civile:
profili costituzionali, in Riv. Dir. Trib., 1995, I, p. 145.
3
Cfr. LUPI R., Diritto tributario,parte generale, Milano, 2005 pag. 77; TESAURO F., Istituzioni
di diritto tributario. Parte generale, Torino, 2005, pag. 37; FANTOZZI A., op. cit., p. 186; DE
MITA E., Corte costituzionale: ultimi interventi nella materia tributaria, in Dir. e prat. trib., 2003,
I, p. 3 e ss..
9
riconosciuto che non vi è sempre e comunque un mero trasferimento
“in blocco” di principi ed istituti da un settore giuridico ad un altro,
ma che il fenomeno tributario può “divergere e financo ampliare il
corpus delle regole comuni”.
Il legislatore tributario, perciò, talvolta ritiene che sia preferibile rifarsi
alle categorie civilistiche, essenzialmente al fine di un uguale
apprezzamento dello stesso fenomeno da parte dei vari rami
dell’ordinamento giuridico, e anche per il vantaggio dell’utilizzo di
categorie già collaudate, altre volte, invece, considera che la nozione
civilistica mal si adatti alle esigenze ed agli scopi propri del diritto
tributario: è quel che accade, in maniera esemplare, con la nozione di
impresa, di cui all’art. 55 primo comma del D.P.R. del 22 dicembre
1986 n. 917
5
, in cui si assiste ad un sensibile ampliamento del concetto
ricavabile dagli artt. 2082 e seguenti del codice civile, e in cui il
distacco dall’ambito privatistico potrebbe trovare giustificazione nel
fatto che il soggetto che svolge attività d’impresa, viene individuato
dalla legge quale destinatario di quegli obblighi formali, primo fra tutti
quello del sostituto d’imposta, che consentono più intense garanzie di
tutela erariale, nell’accertamento del reddito attribuibile all’impresa
6
.
4
Cfr. Corte Cost., 30 aprile 1986, n. 115, in Boll. Trib., 1986, p. 1093.
5
Ex art. 51 T.U. modificato con D. Lgs. 12/12/2003, n. 344
6
Cfr. TINELLI G., Istituzioni di diritto tributario, Milano, 2007, p. 21 ss.; Idem, Il reddito
d’impresa nel diritto tributario. Principi generali, Milano, 1991, p. 65 ss. Si può osservare, infatti,
che l’art. 55 del dpr 22 dicembre 1986, n. 917, dà dell’impresa una nozione, in realtà, più ampia di
quella ricavabile dal codice civile, e quindi propria del diritto privato e commerciale: sia nel senso
che riguarda soggetti passivi che non sono sempre veri e propri imprenditori commerciali ai sensi
dell’art. 2082 c.c., sia nel senso di colpire attività diverse da quelle considerate nell’art. 2195 del
codice civile. O, ancora, differenze tra diritto privato e tributario, possono riscontrarsi nell’art. 2
del dpr 26 ottobre 1972, n. 633, per la definizione di cessione di beni ai fini IVA; è evidente che il
legislatore tributario sia partito dalla nozione civilistica, per poi trasformarla incisivamente: per
certi aspetti ampliandone il contenuto, per altri, viceversa, restringendolo (è quello che avviene
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