Decidendo di seguire questo percorso si è cercato di scoprire e si è appurato che, nonostante
questi condizionamenti, è nata comunque una produzione fantascientifica nazionale, pur se figlia
del mondo letterario angloamericano, in grado di esprimere una propria originalità.
Gli elementi ed i temi tipici della fantascienza fanno ormai parte di un tessuto mitico
convenzionale comune a lettori e scrittori, al punto che si è parlato della costituzione di una sorta di
“folklore atomico”, divenuto col tempo una cornice sovrastrutturale suscettibile delle più fantasiose
variazioni. Franco Ferrini, cercando di analizzarne questo aspetto totalizzante ed enciclopedico, cita
testualmente: «Non si scrive che al limite del proprio sapere, su quella punta estrema che separa il
nostro sapere e la nostra ignoranza, e che fa passare l’uno nell’altra».
2
Come si forma questo serbatoio di immagini? Generalmente per proliferazione e accumulazioni
successive, introduzione di luoghi comuni, convenzioni, passaggi obbligati. Un tentativo
tassonomico di analizzarlo è giustificato dalla sua intrinseca razionalità e quindi dalla sua natura
gerarchizzata e condizionata dalle necessità editoriali, che portano alla stratificazione di un
«meraviglioso prestabilito», come rileva Daniela Guardamagna, autrice di varie monografie e saggi
sui temi utopici, nel suo studio sulle utopie del Novecento. Secondo l’autrice, il genere
fantascientifico presuppone una libertà immaginativa relativa, che non può cioè esulare da alcune
briglie logico-interpretative, come la necessità dell’oggettività, della verosimiglianza e di una certa
prevedibilità. La “necessità” del meraviglioso fantascientifico può essere un limite perché
condiziona lo scrittore di fantascienza, a differenza di quello del fantastico, entro le conseguenze
necessarie dei suoi stessi presupposti narrativi e rispetto alle esigenze di coerenza richieste dal
lettore: «L’autore si situa all’interno di un’attesa, da parte del pubblico e quindi degli editori, che
tende a spingerlo in binari prevedibili e quindi a condizionarlo».
3
Spesso, per la reiterazione delle immagini e l’uniformità delle tendenze, la fantascienza è stata
definita una narrativa di natura collettiva: scopo di questo lavoro è stato quello di indagare quanto
c’è di collettivo negli scrittori italiani in ambito soprattutto tematico.
Ho pensato di impostare l’analisi cercando un terreno comune nell’interesse per i risvolti umani
delle trame e nel privilegio accordato alle scienze soft a fronte di quelle hard, ossia quelle che più si
concentrano sui dati tecnologici, pensando al background umanistico della preparazione culturale
dei nostri autori.
Durante la lettura dei testi si è individuato un primo iato: gli scrittori attivi soprattutto tra gli anni
Sessanta e gli anni Ottanta (i “pionieri” della fantascienza italiana ed i loro successori), quando non
si adattavano all’imitazione pedissequa dei modelli stranieri, non di rado, assumendo un rapporto
2
F. FERRINI, Il ghetto letterario, Roma, Armando Editore, 1976, p. 137.
3
D. GUARDAMAGNA, Analisi dell’incubo. L’utopia negativa da Swift alla fantascienza, Roma, Bulzoni,
1980, pp. 63, 64.
2
complesso con la scienza delle “magnifiche sorti e progressive” bypassavano la tecnologia e
adottavano un linguaggio con valenze letterarie opposto al tradizionale registro logico-scientifico,
con descrizioni ed ambientazioni poste entro un teatro evocativo, l’immensità cosmica. Altre volte
giocavano con i topoi secondo le vie umorose e felici del divertissement linguistico e di una certa
concezione (molto letteraria) della narrazione: limavano la lingua e curavano la forma,
incuneandosi nell’alveo magno della letteratura fantastica tout court con racconti a tesi, allegorie,
discese nell’inconscio tra psicologismo e introspettivismo, indagini sull’uomo al limite dell’umano,
favole da terzo millennio.
Al contrario, gli esiti più recenti della produzione italiana si muovono sostanzialmente nella
direzione di una narrativa consapevolmente di genere, e ne sfruttano i meccanismi quali le tecniche
della suspense e la serialità, accentuano la presenza di espressioni gergali, la commistione degli
stili, l’allusione ironica e metaforica. La serialità sembra essere divenuta la carta vincente in questi
anni, mutuando le sue strutture da altri generi popolari quali le drammatizzazioni televisive ed i
fumetti. Se ne può individuare una funzione semantica di “stabilizzazione” e “rassicurazione” del
lettore.
Ė nata la figura di uno scrittore che si muove tra fiction e studio dei fenomeni culturali
contemporanei, che aderisce alle nuove tendenze del mercato e rifiuta altresì l’aggancio alla
tradizione della narrativa fantastica otto-novecentesca.
Decidendo di concentrarmi su questa fase più recente della produzione narrativa, ho cercato di
rintracciare scuole o repertori tematici e ho notato un aspetto interessante: anche se la fantascienza è
geneticamente fondata sulla modalità temporale del divenire, molti degli scrittori più recenti hanno
adottato il passato, sia esso quello storicamente determinato, sia esso frutto d’invenzione, come
teatro per ambientare le loro opere.
Uno degli approcci tematici operativamente più fecondi sembra essere quello della
manipolazione del tempo, e soprattutto della “Storia”, disciplina che costituisce forse quell’ideale
legame privilegiato con le già menzionate radici umanistiche dei nostri scrittori.
Il viaggio nel tempo è uno dei temi più apprezzati ed esplorati della fantascienza, ed ha dato
luogo ad una ricca produzione narrativa, soprattutto nel mondo anglosassone.
3
2. La fantascienza italiana
2.1 cenni critici: la fantascienza come paraletteratura
Nel 1978 si tenne a Palermo una sessione internazionale di studi sulla fantascienza, l’unica a
livello accademico che a tutt’oggi si possa menzionare (assieme a qualche tentativo di saggistica
critica, come la rivista «La città e le stelle»,
4
curata dallo studioso Carlo Pagetti e pubblicata dalla
casa editrice Nord negli anni Ottanta). L’iniziativa rispondeva all’attenzione suscitata da alcune
evidenze quali la crescente popolarità di questa narrativa ed il coevo interesse per essa da parte della
critica d’oltralpe. Ciò aveva colpito anche in Italia alcuni critici e letterati che si riunirono,
affiancati dai loro colleghi stranieri, per riflettere sulla rilevanza in sede teorica di questo filone
della letteratura di massa. Al convegno parteciparono infatti studiosi di diversa formazione ed anche
una rappresentanza di critici, scrittori ed addetti ai lavori, tra cui Darko Suvin, professore di
letteratura inglese e comparata della McGill University di Montreal, che coordinò i lavori, lo
scrittore Brian Aldiss, i critici letterari Marc Angenot, Jean Baudrillard, Jacques Goimard, Fredric
Jameson e Julij Kagarlickij tra i nomi più rilevanti, accanto ad un piccolo e abbastanza eterogeneo
gruppo italiano: gli scrittori e traduttori Vittorio Curtoni e Riccardo Valla, il sociologo Romolo
Runcini ed i letterati ed accademici Giacinto Spagnoletti, Franco Ferrini e Carlo Pagetti. Mentre
ognuno dei partecipanti esponeva le sue teorie non mancarono contrapposizioni e polemiche, in un
vasto quadro interdisciplinare.
Trattandosi di una narrativa ad ampia diffusione, sono quasi obbligate alcune riflessioni
propedeutiche in relazione al genere di attrattiva esercitata sui fruitori occasionali e sugli
appassionati. A questo proposito, Fruttero e Lucentini descrivono in modo vivido il genere di
fascino che la fantascienza può esercitare sul lettore medio, tracciandone l’identikit di un
“visionario”, attratto dalla ricchezza apparentemente inesauribile di figure, immagini e miti che la
caratterizzano, disposto alla suspension of disbelief per potersi immergere in un universo di
meraviglie ed eventi fantastici; al contempo possessivo e pignolo, anche critico nei confronti della
propria passione, ma pronto a far muro contro i detrattori, o meglio i “miscredenti”. L’appassionato
si uniforma, a loro avviso, a due categorie, i sognatori e i meditanti.
4
«La Citta e le Stelle», rivista di critica della fantascienza, fu pubblicata dalla casa editrice Nord in
collaborazione con l’Istituto di Lingue e Letterature Germaniche della Facoltà di Lingue di Pescara. Il primo
numero uscì tra l’inverno del 1981 e la primavera del 1982. La versione on-line dei sei numeri pubblicati si
trova sulla rivista «Intercom» all’indirizzo: < http://www.intercom.publinet.it/cs/1cs.html>.
4
I sognatori sono attratti dalla vastità dell’universo e prediligono le epopee spaziali e i temi della
space opera «ovvero la fantascienza ariostesca»,
5
trionfante e ottimisticamente orientata verso il
futuro; i meditanti invece ne colgono le estrapolazioni e le proiezioni apocalittiche come moniti
contro un’acritica corsa verso il progresso, un correttivo all’eccessivo ottimismo tecnologico,
«l’unico tipo di letteratura in grado di rappresentare adeguatamente la nostra caotica,
incontrollabile, suicida civiltà».
6
Nonostante questa “appassionata” adesione, il dato rilevante è che il mercato della fantascienza
italiana è asfittico, ed il pubblico che la legge in definitiva è composto da pochi appassionati, fedeli
in genere ad alcune particolari pubblicazioni che non sembrano avere grandi potenzialità di
incremento. Solo in certe occasioni subisce delle impennate, di solito in coincidenza con
avvenimenti che l’opinione pubblica è portata a definire ‘fantascientifici’, come quelli che
riguardano le conquiste spaziali o gli eventi mediatici come films e giochi di grande successo. In
questo caso sono gli organi di informazione che fungono da cassa di risonanza per l’avvenimento, e
il pubblico si accosta a questa letteratura senza circospezione.
Lo stesso andamento caratterizza la pochezza degli studi critici. Luigi Russo, accademico,
presidente della Società Italiana d'Estetica e curatore del convegno, ne chiarì il nodo problematico
nell’introduzione che fu in seguito premessa agli atti: in ambito teorico egli sottolinea il fervore
degli studi critici, sia militanti che accademici, soprattutto in Nordamerica, e rileva che in Italia
invece la differenza è grande, «la cultura ufficiale l’ha relegata in posizione strettamente
subalterna».
7
Nell’indagare sulle ragioni di questa marginalizzazione saltano agli occhi alcune questioni; il
primo punto è che si tratta di un “macrofenomeno”, un catalizzatore delle concrezioni
dell’immaginario contemporaneo poiché, pur essendo un mezzo di espressione popolare, affronta
temi di grande pertinenza sociale ed epistemologica e congloba tutte le principali forme della
comunicazione mass-mediatica, dalla narrativa ai fumetti, dal cinema ai videogames, divenendo
così un “fenomeno culturale”:
la fantascienza, nell’opinione corrente, prima di costituirsi in quanto genere letterario, si
impone quale confluenza ideale di eventi culturali contigui e paralleli (siano essi gli UFO, il
5
C. FRUTTERO e C. LUCENTINI, Incontro ravvicinato con la fantascienza, in Tirature 1978 a cura di V.
Spinazzola, Milano, Il Saggiatore, 1978, pp.126-134:133.
6
Ibidem.
7
L. RUSSO, Introduzione, in La fantascienza e la critica. Testi del Convegno Internazionale di Palermo,
Milano, Feltrinelli, 1980, pp. 9-22:10.
5
futuribile, la crisi energetica o la rivoluzione), ma comunque eterogenei.[…] Nasce in tal modo
il “fenomeno” fantascienza, che riverbera dalla e rifluisce nella dimensione letteraria.
8
Questa caratteristica rende difficile identificarne un modello strutturale comune, omogeneo e
pertinente: intrecciandone lo statuto proprio con tematiche disparate, si finisce col farla coincidere
con l’universo della cultura tout-court. Il cospicuo ventaglio di temi studiabili entro il “contenitore”
fantascientifico attesta il potenziale numero di indirizzi culturali che essa è chiamata ad assolvere:
«In realtà a fronte delle due tesi radicali ed antitetiche, secondo cui la fantascienza è praticamente
tutto (“megafantascienza”) ovvero è circoscritto sottoprodotto culturale (“letteratura analfabeta”),
era essenziale preventivamente definire la sua specifica unità di campo e l’ambito delle funzioni a
cui essa assolve.[...]».
9
In sintesi sono queste le considerazioni che hanno costituito la spinta propulsiva
all’organizzazione del Convegno, a cui si può aggiungere come corollario che uno studio critico
sulla fantascienza quale letteratura “minore” trova un sostegno teorico anche nel principio per cui
soprattutto di fatti ed oggetti “minori” si compone la medietà della vita quotidiana, e la somma di
questi rappresenta la “contemporaneità”, fenomeno sociologico degno dei più attenti mezzi di
indagine.
Come conclude Russo: «In tal guisa, riconosciuta la fantascienza quale essa realmente è, ossia un
territorio fertile, umoroso e felicemente abitabile, era sperabile assicurare una presa di coscienza
capace di ribaltare definitivamente la cortina di silenzio e di censura che la cultura italiana di regola
ha sempre opposto ad una sua analisi spassionata, ed avviare una rigorosa disamina dei suoi
problemi di fondo».
10
Le direzioni di approfondimento, pur ponendosi entro una notevole diffrazione di ambiti, si
riconnettono ad alcuni elementi centrali: il posto occupato dalla fantascienza entro l’evoluzione
della letteratura fantastica occidentale in senso diacronico, e, in senso sincronico, la sua eventuale
“parentela” con altri generi affini, cioè la sua collocazione entro il genere letterario cui appartiene,
in una prospettiva “orizzontale”, e lo scarto rispetto a questa collocazione (e dunque lo “specifico”
della science-fiction) in una prospettiva “verticale”.
Vi sono anche studi sul suo ruolo di letteratura di massa, entro il quadro della formalizzazione
delle relazioni tra editoria e pubblico; altri studi infine, in un orizzonte semantico, la indagano quale
serbatoio mitopoietico della modernità.
8
Ivi, p. 11.
9
Ivi, p.13.
10
Ivi., p. 20.
6
Il fatto stesso che sia un fenomeno contemporaneo, che viene studiato in fieri, non può non
provocare distorsioni nel campo d’osservazione.
Per inquadrare il fenomeno “fantascienza” entro le suddette direzioni si sono scelti alcuni punti
di osservazione di tipo morfologico e strutturale: per comodità analitica sono affrontati
separatamente i due discorsi sulla fantascienza pertinente ad un alveo popolare e ad uno di massa:
l’uno non coincide necessariamente con l’altro.
2.1.1. una letteratura popolare
Sergio Solmi, nella sua raccolta di studi Saggi sul fantastico,
11
individua alcune specifiche di una
letteratura di fruizione popolare che si possono estendere e comparare con quelle della fantascienza,
a partire dall’ampia e capillare diffusione a carattere internazionale: la science-fiction, nata negli
Stati Uniti negli anni Trenta, si è poi diffusa in buona parte dei paesi europei ed ha raggiunto anche
il Sud-Est del mondo.
Altro elemento è il ricorso a modelli e stereotipi (la creazione di “miti”) a carattere cumulativo e
rapsodico, che si formano attraverso la proposizione di argomenti di interesse comune producenti
una tensione immaginativa che stimola la fantasia e l’emotività: «È chiaro che l’interesse del
fenomeno risiede proprio nel massiccio sfogo “immaginativo” ch’esso rappresenta, attraverso il
gigantesco fiorire d’un letteratura popolare comparabile a quello del romanzo poliziesco, ma ricco
di ben altri significati».
12
Ogni nuova invenzione narrativa crea poi una catena di “applicazioni” e
svolgimenti, ed entra a far parte della convenzione, del bagaglio mitopoietico agito ed arricchito
continuamente dagli autori e condiviso dai lettori, e ciò ne determina la “riconoscibilità” e porta
anche alla collettività ed in certo senso all’anonimia, perché essendo parte del “folklore”, e
condivise da tutti, diviene difficile rintracciare l’origine delle immagini.
Più un genere è codificato, più è popolare”: una siffatta forma ha persuaso molti studiosi a
definire i testi della science-fiction come le “fiabe” del nostro tempo, poiché elaborano in forma
metaforica i grandi interrogativi esistenziali della condizione umana contemporanea e lo fanno
attraverso i “tipici” e gli “universali” dunque, molto più che con gli “individuali” ed i “precisamente
caratterizzati”.
In materia di analisi strutturale, si può fare la comparazione con un altro genere paraletterario: il
“giallo”.
11
S. SOLMI, Saggi sul fantastico. Dall’antichità alle prospettive del futuro, Torino, Einaudi, 1978. Il testo è
una riedizione riveduta del precedente Della favola, del viaggio e di altre cose, Napoli, ed. Ricciardi, 1971.
12
S. SOLMI, Divagazioni sulla science-fiction, l’utopia e il tempo, in ID, Saggi sul fantastico, cit., pp. 45-
77:53.
7
La fantascienza, ampio “contenitore” di moduli narrativi, attinge certi stili e temi anche dal
mistery quali l’enigma, il noir e, spesso, l’horror. Da ciò discende che il giallo ha una struttura più
semplificata, depurata da quelli che Solmi definisce gli “elementi emotivi”, cioè gli elementi
narratologici che provocano il coinvolgimento emotivo del lettore come la vicenda caratteriale e
l’evoluzione dei personaggi, che ci possono essere, ma non sono essenziali, poiché il focus sta tutto
nella soluzione del puro meccanismo logico della trama.
Riepilogando, ciò che giallo e fantascienza hanno in comune è l’irrealismo, la schematicità
formulare, il ricorso a modelli ed archetipi, che nella science-fiction americana delle origini sono
rappresentati dalle saghe dei pionieri e dai miti della frontiera western.
Altra caratteristica interessante di una produzione letteraria di questo genere è che spesso elabora
un mito popolare che accompagna un cambiamento epocale: si può mettere la fioritura della
narrativa fantascientifica rispetto alle prospettive aperte dalla scienza nel XX secolo in rapporto a
quella del romanzo cavalleresco del XV secolo rispetto alla scoperta del “Nuovo Mondo”. La
materia fantastica dei romanzi cavallereschi divenne il serbatoio immaginifico delle aspirazioni
avventurose dei conquistadores, in uno scambio tra fantasia e realtà, alimentato dall’illusione di
«rintracciare nelle nuove terre i leggendari luoghi comuni della fantasia medievale».
13
Allo stesso
modo si può pensare che i miti dell’esplorazione e della frontiera (questa volta futuristico-
tecnologica) abbiano accompagnato la nascita e lo sviluppo della economia coloniale ed industriale
moderna. Ovviamente vi sono evidenti differenze dovute al diverso contesto storico-sociale.
Quella più interessante è che nella science-fiction è venuto a mancare l’ingenuo ottimismo delle
saghe medievali: nelle moderne chansons de gestes dell’era tecnologica vi è una componente critica
rispetto al mito della scienza che ne ha trasformato l’originaria struttura utopistica in una più lucida
e spesso pessimistica visione il cui corollario è che la distinzione manichea tra il “bene” ed il
“male”, di origine religiosa, e l’inevitabile vittoria delle forze del bene (connaturato eticamente
all’infallibilità del principio divino) è stato sostituito in epoca contemporanea dall’ambiguità
ideologica di una scienza neutra e sostanzialmente indifferente al destino dell’uomo.
13
Ivi., p. 48.
8
2.1.2. una letteratura di massa
Subordinatamente alle modalità del suo sviluppo e della sua ricezione, la fantascienza è nata ed
ancora oggi vive nel circuito della fruizione di massa, risentendo dei più vari condizionamenti.
Questa narrativa, che secondo una bella definizione riportata da Solmi rappresenta un «esercizio
mentale sui possibili laterali dell’esperienza»,
14
è il frutto dell’incontro fra lo “svago laterale” di
menti speculative (scienziati, divulgatori, tecnici, docenti, ecc..) ed il gusto delle masse per il
fantastico e l’avventuroso. Il carattere commerciale, che testimonia dell’intensità della domanda di
questa narrativa, ne indica proprio la “necessità” in senso popolare. La conseguenza, sul piano
critico, è che la si può agevolmente studiare ponendola, con i suoi statuti ed i suoi modelli, ad un
polo dialettico e collocando all’altro capo la Società con i suoi paradigmi culturali, non secondo
canoni estetici ma come fenomeno sociologico e di costume.
Prendendo in considerazione i caratteri di una cultura “di massa” e le posizioni critiche in
relazione ad essa, si può osservare come alcune siano applicabili genericamente anche alla
fantascienza, mentre altre invece siano specifiche, spesso in contraddizione con le precedenti.
Quelle di massa sono per lo più produzioni effimere, di breve durata e di ispirazione
“preconfezionata”: essendo destinate principalmente a consumatori di mezzi e cultura modesta,
devono veicolare tutti gli elementi del plot e del pathos destinati a quel target, in una
“preconfezione” (un modello codificato) che contiene in sé già una sorta di principio auto-
promozionale (pubblicitario) poiché denunciano i loro contenuti e suggeriscono l’atteggiamento
adeguato per “consumarli”: il romanzo rosa offre storie sentimentali ed una certa gamma di
emozioni, il noir altre trame ed altre emozioni, e via dicendo.
La fantascienza invece può assumere molti di questi modelli narratologici, e per questo la si
definisce un “contenitore”, infatti esiste già un corpus di testi fantascientifici considerato classico,
di riferimento, quasi propedeutico per i neofiti del genere.
Essendo prodotti dell’industria culturale, e quindi soggetti alla legge della domanda e
dell’offerta, i mass-media seguono e riflettono il gusto corrente, senza stimolare il rinnovamento,
dando al pubblico ciò che chiede cioè emozioni vive e non mediate, non destinate alla
rielaborazione. Il mercato, essendo un sistema di condizionamenti materiali ed ideologici in quanto
economici, finisce per istituire le leggi cui devono adeguarsi gli operatori culturali, al livello basso
come a quello alto del sistema. E del resto le commesse degli intellettuali non vengono più da
aristocratici mecenati ma dal popolo, raggiungibile per l’appunto con gli stessi mezzi. Questo
contribuisce generalmente ad una visione passiva ed acritica della realtà.
14
Ivi, p. 58.
9
La fantascienza delle produzioni dozzinali seconda questa tendenza, quella di alcuni scrittori
lucidi ed innovatori e di certe tendenze sperimentali, invece, contribuisce attraverso la metafora
futuristica all’analisi critica dello status quo.
Offrendo una grande mole di informazioni circa il presente, e riducendo a cronaca anche le
prospettive storiche, i mass-media finiscono per intorpidire la coscienza storica.
Nei testi italiani che manipolano il tempo l’effetto di banalizzazione è un rischio comune
sebbene vi sia un genere di questa narrativa, quello della “storia mista” (personaggi storici che
interagiscono con personaggi finzionali), in cui l’immersione in presa diretta nella materia del
vissuto di altri tempi può generare una identificazione non scevra dell’apprendimento di nozioni
relative al contesto, la cui qualità è comunque culturale: se la regola generale è che i mass-media
producono una accumulazione di informazioni “superficiali”, caso applicabile anche ai romanzi
fantastorici, può anche succedere che oltre la soglia di una certa massa critica queste nozioni
possano arrivare a trasformarsi in “formazione”.
Ed infine veniamo a quegli elementi che ne costituiscono il cuore e la sostanza: il curatore dei
lavori del convegno di Palermo, Darko Suvin, ha condotto lunghi studi nel tentativo di circoscrivere
lo specifico della science fiction – laddove per science egli intende non le scienze esatte ed il loro
portato tecnologico, bensì le sciences humaines, o scienze sociali – e l’ha individuato nel concetto
semiologico di novum, attorno al quale ha creato una poderosa costruzione teorica e a cui ha
dedicato molti scritti di approfondimento.
Il novum cognitivo è un elemento romanzesco (idea, concetto, insieme contestuale) di profonda
innovazione entro l’universo del socio-letterario in cui emerge, ed ha l’effetto di mutare questo
quadro, un effetto cioè sistemico e totalizzante. Il novum appartiene a diverse categorie che Suvin
elenca in ordine gerarchico seguendo un ordine di grandezza: si va dal minimo di una sola
“invenzione” (congegno, tecnica, fenomeno, ecc…), fino ad un massimo costituito da una
“collocazione” (il continuum spaziotemporale, come nel caso della fantascienza che si occupa del
tempo), un “agente” (personaggio o personaggi più o meno esotici) o, infine, una serie di rapporti
(probabilmente antropici) «sostanzialmente nuovi e sconosciuti nell’ambiente dell’autore».
15
Nel suo intervento, intitolato La fantascienza e il “Novum”, cerca di illustrarlo:
Un novum o innovazione cognitiva è un fenomeno o relazione totalizzante che si allontana
dalla norma della realtà dell’autore e del lettore presunto. Ora, senza dubbio, ogni metafora
poetica è un novum, e la moderna narrativa in prosa ha fatto delle nuove cognizioni
dell’uomo il suo grido di battaglia. Però, sebbene la fantascienza valida abbia profonde
15
D. SUVIN, La fantascienza e il “Novum”, in La fantascienza e la critica, cit., pp. 25-51:26.
10
affinità con la poesia e la narrativa realistica più innovatrice, la sua novità è “totalizzante”:
cioè, essa comporta una modifica dell’intero universo del racconto o almeno di aspetti
crucialmente importanti di esso.
16
Si tratta, specificamente, di quell’elemento di novità-rottura-cambiamento che a posteriori
giustifica e permette di afferrare analiticamente il racconto, e nasce entro la tensione epistemologica
creatasi tra i lettori, prototipi dell’Uomo Contemporaneo in tutte le sue accezioni, e la sua stessa
portata innovatrice: il campo in cui agisce è quello delle profonde trasformazioni sociali e culturali
prodotte dalla sua apparizione. Essendo elemento sovrastrutturale diviene una «categoria
mediatrice»
17
che collega il terreno letterario a quello extra-letterario.
Una volta individuatone lo specifico, un altro passaggio potrebbe consistere nell’analizzare in
prospettiva umanistica il rapporto tra i due termini che ne costituiscono l’architettura semantica: la
scienza e l’elaborazione fantastica.
2.1.3. fantascienza e scienza
La fantascienza non produce un’apologia bensì una mitologia della scienza in quanto comporta
l’assunzione irrazionale e speculativa delle estrapolazioni delle scoperte scientifiche.
Tramontata la con il XIX secolo la speranza di spiegare tutto tramite i mezzi conoscitivi del
razionalismo meccanicistico, la nuova scienza relativistica ha scardinato le basi stesse del
millenario paradigma gnoseologico occidentale e con esso le fondamenta dell’Universo, divenendo
sempre più ostica e lontana dall’uomo comune, ma contemporaneamente più invadente e pervasiva
nel suo portato tecnologico, finanche foriera di nefaste applicazioni, rappresentabili simbolicamente
nell’immagine apocalittica del “fungo atomico”.
Terminato il sogno positivista, è terminata anche la sua ambizione a sostituirsi alla religione ed è
intervenuta la fantascienza ad assumere la funzione di metafisica laica e la missione di ponte tra la
cultura classica e quella scientifica per riconciliare la divaricazione tra l’uomo e la corsa verso
l’incalzante e soverchiante futuro, tramite un’opera di progressiva acculturazione, educazione
immaginativa ai profondi cambiamenti portati della tecnologia.
Carlo Pagetti, accademico e studioso della letteratura di area inglese e nordamericana, ivi inclusa
la science-fiction, nel suo intervento al Convegno, che fa il punto sulla direzione dei suoi numerosi
lavori sull’argomento, rintraccia la genesi storica del ruolo educativo della fantascienza a partire
dalla sua origine nel mondo anglosassone, come base ideologica per le masse dei cittadini borghesi
16
Ibidem.
17
Ibidem.
11
alle prese con le incognite del progresso tecnologico, ancora privi del supporto di una elaborazione
mitica di questi contenuti:
Gli esempi del primo Ottocento [...] si muovono ancora in un’atmosfera letteraria rarefatta, senza
porsi il problema della presenza e della comunicazione del mito scientifico in una società di
massa fortemente industrializzata – come succede, invece, attraverso un processo di
ristrutturazione formale, per la sf anglo-americana degli ultimi 100 anni.
18
In questo specifico caso Pagetti si riferisce al portato dei scientific romances di H. G. Wells:
Invece, il mito si cala nella sostanza narrativa del scientific romance e viene comunicato,
spiegato, discusso davanti al lettore: il dialogo si instaura attraverso l’elaborazione di una forma
mista, che contiene in sé elementi didascalici di derivazione vittoriana, elementi satirici,
elementi realistici ed elementi fantastici […].
19
Questa narrativa diviene così uno dei veicoli della alfabetizzazione del mito industriale, una
letteratura propositiva cioè, che oltre che alla pura evasione ha elaborato anche idee e modelli
comportamentali omogenei alla civiltà tecnico-industriale.
Umberto Eco, quando negli anni Sessanta ha iniziato le sue analisi critiche sui valori e i disvalori
della cultura di massa, ha assegnato una funzione positiva alla fantascienza, quella di una narrativa
allegorico-didascalica, proprio in virtù della sua capacità di riflessione sul reale in chiave
metaforica. Tra i vari prodotti della cultura massmediatica la colloca sul fronte progressista in
quanto termometro delle tematiche più scottanti dell’attualità, che, proprio perché prodotto
industriale, per queste tematiche cerca di produrre soluzioni “propositive” che mantengano nel
pubblico una tensione positiva: «essa non rimane mai una gradevole giustificazione del fattuale, ma
mantiene una tensione utopistica, una funzione allegorica ed educativa. […]».
20
18
C. PAGETTI, La fantascienza: la scienza come favola – la favola come ideologia, in La fantascienza e la
critica, cit., pp. 206-216: 207.
19
Ivi., p. 209.
20
U. ECO, Apocalittici ed integrati. Comunicazioni di massa e teorie della cultura di massa, Milano,
Bompiani, 1964, p. 374.
12
2.2 Cenni storici: la fantascienza italiana
La fantascienza, fra i generi popolari, ha una qualità specifica, perché le sue reali o supposte
origini vengono strettamente intrecciate con le creazioni dell’immaginario fantastico tout-court, e in
tal guisa è suscettibile di riferimenti e di tracce anche nel remoto passato letterario.
I pionieri della fantascienza italiana non si sono ispirati ai precursori, né alle indicazioni che
potevano risultare dalla letteratura fantastica primonovecentesca, che pure non è mancata: sono stati
attratti invece dalla narrativa nata in America a partire dagli anni Trenta.
Per delimitare il campo si considera “fantascienza” ciò che editorialmente si indica con questo
nome, cioè la produzione che appare con questa etichetta, a partire dagli Stati Uniti, dalla
fondazione di quella che viene da tutti considerata come la prima vera pubblicazione di science-
fiction, «Amazing Stories». La rivista fu fondata nel 1926 da un elettrotecnico, Hugo Gernsbach,
che voleva proporre in una forma accessibile e comprensibile a tutte le fasce di pubblico una
drammatizzazione di storie incentrate sul mito emergente della scienza, e basate sul modello della
narrativa di Jules Verne, H. G. Wells e Edgar Allan Poe.
A Giorgio Monicelli, ideatore e primo direttore di “Urania” fino al 1961, si deve il calco del
termine che traduceva l’inglese science-fiction, cioè “fantascienza”, e che s’impose su quel “scienza
fantastica” che era stato il primo tentativo di traslazione nella lingua italiana del principio sotteso
alla nuova narrativa importata dall’estero, quello del connubio tra scienza e fantasia; un sostantivo
ormai entrato nell’uso comune, anche se esso travisa in parte il senso originario, dato che fiction
significa narrativa e non fantasia.
In Italia fattori di ordine socio-culturale ne hanno ostacolato la fortuna e la diffusione: nel primo
dopoguerra la cultura era dominata da intellettuali che si erano formati in un humus umanistico,
aderenti al veto contro la macchina-monstre ed incapaci di sottrarsi alla pregiudiziale di ispirazione
crociana nei confronti di una produzione letteraria orientata dal mercato. La scena era dominata
dalla cultura neorealista, che accreditava la narrativa oggettiva, o mimetica, quale unica forma
letteraria in grado di assolvere ad una funzione di impegno intellettuale e di disamina del reale, e
individuava nella letteratura un momento didattico; ugualmente al bando erano le avanguardie
storiche che avevano assunto come poetica il rapporto tra letteratura e tecnologia, si pensi ai miti
futuristi della velocità e della macchina.
Sul piano sociologico, d’altro canto, un forte attrito che rallentava l’affermarsi della fantascienza
era costituito dall’arretratezza tecnologica del paese, impreparato ad accogliere il distillato
dell’immaginario post-atomico.
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Ancora nei primi anni Ottanta Vittorio Spinazzola, analizzando il panorama culturale ed
editoriale italiano, riteneva la questione della difficile interazione tra fantasia e letteratura, e tra
“letteratura alta” e “letteratura bassa” come un nodo ancora irrisolto:
La letteratura italiana moderna ha sempre avuto una forte diffidenza per i giochi della fantasia,
preferendo attestarsi sul doppio terreno dell’oggettivismo realistico o dell’astrazione simbolica.
Negli ultimi anni si è però manifestata una tendenza a rivalutare l’opera di vari scrittori
‘irregolari’, come Savinio, Bontempelli, Landolfi. Nella nostra epoca c’è una netta antitesi fra la
letteratura colta, altamente intellettualizzata, nutrita di difficili riflessioni sull’arte, e la
letteratura di massa, che si dedica a inventare personaggi emblematici molto semplificati, ma
capaci di agire con efficacia sui meccanismi consci e inconsci dell’immaginazione collettiva.
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Uno degli episodi più significativi della ghettizzazione della fantascienza fu la polemica che
ebbe inizio il 10 novembre 1977 sulle pagine del «Corriere della Sera», con un articolo di Giorgio
Manganelli che portava come occhiello le parole: Omaggio alla fantascienza, letteratura
analfabeta, e che si intitolava: L’oroscopo? No, meglio Guerre Stellari:
Vorrei rendere omaggio a quel genere letterario infimo, infantile, fracassone e demente che in
quasi italiano si chiama fantascienza. È stato detto, del tutto a ragione, che la fantascienza è
sintomo di schizofrenia, che è una infinita ed infima proliferazione di liquami maniacali, che
sfama la nostra fame di follia. Vero, verissimo; ed appunto per questo intendo renderle
omaggio. Rozza, elementare, ripetitiva, appunto come la demenza e, possiamo aggiungere,
come la morte. In un tempo in cui l’ottimismo riposa su un ingegnoso sistema di lapsus,
scotomi, dimenticanze ed omissioni, la fantascienza parla di qualcosa che tutti gli esseri umani
mediamente ragionevoli hanno in mente: parla delle Apocalisse. Questa brutta letteratura mi
porta alla mente quegli opuscoli fogli e volantini che al tempo della Riforma parlavano agli
incolti della fine del mondo, dell’ultimo giudizio, dei novissimi. Difficilmente la paura è sottile,
colta, smaliziata; e tuttavia vuole essere detta. […] La fantascienza nasce da una brutta
sofferenza, dalla coscienza che mai come adesso noi siamo stati sottratti a noi stessi, […] Non
dimentichiamo che la fantascienza parla di stelle: è, dunque, questa letteratura analfabeta, quello
che resta, o quel che l’angoscia ci ha restituito, di senso del cosmo. Si possono preferire gli
oroscopi settimanali che preannunciano inaudite imprese sessuali e lievi disagi serali ai nati in
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V. SPINAZZOLA, L’immaginazione senza potere, in ID, Pubblico 1981. Produzione letteraria e mercato
culturale, Milano, Ed. Milano Libri, 1981, pp. 31-32:31.
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