2
dando un rilievo particolare alla pubblicità e a come i meccanismi psicologici
che sono alla sua base possano apportare un cambiamento di atteggiamento
nell’audience cosi come dimostrano alcuni contributi sperimentali descritti.
Nel quarto e ultimo capitolo della tesi, ho messo al centro del discorso
il concetto, che poi si rivela essere un vero e proprio atteggiamento, che
potrebbe essere la causa principale della trasformazione delle persone in
vittime o preda dei professionisti della persuasione cioè la consapevolezza
d’invulnerabilità di fronte alla persuasione mass mediatica e la dimostrazione
di essere vittime dell’Effetto Terza Persona
1
a causa del quale si tende a
riconoscere gli altri come sole e uniche vittime dell’influenza della
persuasione pubblicitaria e in prima persona ci si dichiara immuni dalla
stessa.
Nella parte conclusiva ho tentato di suggerire alcune soluzioni per
contrattaccare i professionisti della persuasione nonché abili manipolatori
delle 6 armi o trappole delle quali Cialdini parla, in modo che solo loro ne
possano trarre vantaggio.
Ciò che mi propongo con questa tesi è di mostrare come qualunque
persona anche quelle a noi più vicine, possano vestirsi degli abiti di
professionisti della persuasione nelle più svariate e comuni situazioni della
vita quotidiana. Si tratta di quei frangenti nei quali dire di no vorrebbe dire
deludere le aspettative altrui, non ricambiare un favore, sentirsi in colpa o
sgradevoli di fronte alla simpatia mostrata dall’interlocutore o mancare di
rispetto a quella figura che può apparire come colei che ci dà un suggerimento
in una situazione imbarazzante nella quale non si trova via d’uscita e la stessa
rappresenta l’ancora alla quale aggrapparsi.
La mia intenzione inoltre è di evidenziare per mezzo di alcuni
contributi sperimentali, come, a fronte dei nuovi scenari che la tecnologia ci
propone, la pubblicità in qualità di creazione dell’uomo sia un puzzle di tanti
tasselli tra i quali io ho solo avuto modo di venire a conoscenza per ora di
quello psico – socio - emotivo.
1
Davison, 1983
3
Si tratta di un aspetto tanto profondo, forse il più nascosto; e, in quanto
tale, il più facilmente manipolabile sia a fini negativi che positivi dagli esperti
della persuasione. La manipolazione dello stesso da parte di questi ultimi porta
al cambiamento di atteggiamento nei possibili consumatori i quali, in qualità
di membri dell’attuale società consumistica, e quindi bramosi dal desiderio di
apparire e molto spesso, inconsapevoli dell’invulnerabilità nei confronti dei
mass media ….alla fine vengono convinti a dire di sì!
4
1. L’evoluzione storica e teorica della persuasione
1.1 Introduzione
Nel primo capitolo ho voluto illustrare come, attraverso i secoli, gli studi
sulla retorica, da semplici analisi sul cosa e come si siano parallelamente evoluti
fino ad utilizzare strumenti d’analisi adottati dalla psicologia sociale la quale
attraverso interventi empirici ha tentato e tutt’ora tenta di capire e illustrare i
meccanismi di persuasione. Si tratta di quei processi sottesi e invisibile ai contesti
dove la parola sembra che abbia il ruolo cardine; in realtà sono determinanti per
convincere il pubblico o l’interlocutore a dire di sì ovvero a muoversi nella
direzione di cambiamento d’atteggiamento che il persuasore aiuta a scegliere.
Infatti già i primi illustri retori come Platone, Aristotele e Cicerone
tentavano di convincere o meglio persuadere un audience di persone quali politici,
giudici o addirittura persone comuni attraverso i loro discorsi studiati al fine di far
dire al loro pubblico di sì.
Attualmente i meccanismi di persuasione utilizzati in ambito pubblicitario
non sono cambiati solo è cambiato il modo di studiarli e interpretarli da parte
degli studiosi. Gli anni che si considerano cruciali nella psicologia sociale sono gli
anni ’20 e ’30 ovvero quando si data il primo effettivo contributo scientifico alla
persuasione a partire dallo studio sugli atteggiamenti.
Sempre in questi anni gli studiosi mostrano un grande impegno per mettere
a punto tecniche di misurazione quali le più diffuse scale di atteggiamento alla
base delle quali vi è un continuum di valutazione che va da favorevole a
sfavorevole, fino ad arrivare alla fine degli anni ’30 quando l’interesse si sposta
verso l’area delle dinamiche e dei processi disdici e di gruppo.
Successivamente l’interesse privilegiato per lo studio degli atteggiamenti
porta alcuni autori a esprimere un proprio punto di vista sulla definizione di
persuasione, i cui orientamenti sono riconducibili a due orientamenti in particolare
quello cognitivo e quello sociale.
5
1.2 La retorica: dalle origini al XX secolo
1.2.1 Le teorie classiche
Il primo studio sistematico della retorica risale all’operato di coloro i quali
diedero i natali alla politica in qualità di dibattiti discussione. Questi, attraverso
l'applicazione di studiatissime regole e di schemi logici sui quali basavano i loro
interventi diedero i natali alla suddetta disciplina che col tempo sarebbe diventata
la principale forma di esercizio del potere della storia.
Gran parte della comunicazione può essere ricondotta ad un più generale
“gioco” di persuasione; nella nostra vita di relazione tentiamo di provocare
cambiamenti nelle idee e opinioni altrui, di convincere le altre persone a mettere
in atto certi comportamenti piuttosto che altri e allo stesso tempo siamo
costantemente impegnati a fronteggiare questo stesso tentativo da parte delle altre
persone nei nostri confronti
Quanto fu scritto nei periodi classico, medievale e nel primo Rinascimento
riguardava principalmente la classificazione dei fattori aventi a che fare con la
persuasione, la moralità di questi fattori e la moralità della persuasione o della
retorica in sé. La classificazione è fondamentale per una teoria; ma un sistema che
si limiti a classificare senza chiarire le relazioni esistenti tra le diverse categorie
non può, in base alla nostra definizione, essere considerato una “teoria”. Le
dichiarazioni morali spesso riguardano fenomeni più ipotetici che osservabili, e
raramente forniscono predizioni verificabili.
Molti di questi autori formularono effettivamente delle previsioni sui modi
in cui un’audience risponderà a certi modi di persuadere, ma tali predizioni
sembrano basate più su un succedersi di osservazioni che su una vera e propria
analisi delle cause sottotanti.
Per gli scrittori classici l’arte della persuasione, coincideva con l’arte della
retorica. Platone, per voce di Socrate nel Fedro definiva la retorica come un’arte
universale dell’incantare la mente con argomenti vari e che si mette in atto sia nei
tribunali, che nelle pubbliche assemblee ma anche nelle case private e sia che si
abbia a che fare con le cose importanti che con quelle più piccole.
6
Platone nei suoi due dialoghi di cui tratta di retorica, il Gorgia e il Fedro
concentra la sua attenzione al problema sia dell’etica della retorica (o persuasione)
che a quello di come la si possa conseguire. Il primo dei due dialoghi, il Gorgia, si
risolve in un attacco alla retorica quale “artificio della persuasione”. Ponendo in
bocca a Socrate il proprio pensiero, Platone sostiene che l’oratore attraverso la
retorica fa sì che il buono appaia cattivo e il cattivo buono recando danno sia
all’oratore che al pubblico. Anche se, per Platone, è possibile immaginare
un’utilizzazione della retorica per il bene effettivo dell’oratore e del pubblico ciò
si verifica nella realtà solo accidentalmente. Nel Fedro, Platone contrappone la
cattiva retorica ad una retorica di tipo ideale in cui l’oratore appare come una
combinazione di filosofo, logico, psicologo e uomo di stato che mira al massimo
bene del suo pubblico.
Nella parte conclusiva del Fedro Platone si sofferma brevemente ad
analizzare i principi mediante i quali si può conseguire la persuasione, ma l’analisi
appare marginale agli scopi principali del dialogo.
L’approccio di Aristotele fu notevolmente diverso. In maniera più
scientifica, egli considerò l’atto della persuasione come un fenomeno del mondo
fisico, descrivendolo cosi come avrebbe descritto qualunque altro fenomeno, e
l’arte della retorica come uno strumento, in sé né morale né immorale.
La maggior parte delle considerazioni di Aristotele sembra derivata
dall’osservazione, e molte di esse si prestano ad una verifica sperimentale anche
se nella Retorica non compare esplicitamente alcuna spiegazione generale del
modo di operare della persuasione.
L’unico aspetto della Retorica di Aristotele che può avvicinarsi ad una
teoria generale è l’osservazione che un oratore ottiene ottiene il massimo della
presa sul suo pubblico quando adotta le linee di ragionamento che gli ascoltatori
sono più disposti ad accettare e fa appello alle motivazioni che più li
caratterizzano.
Questa affermazione però, affiancata al fatto che le linee di discussione
considerate più valide dall’oratore potrebbero non essere quelle che hanno la
maggiori probabilità di persuadere un certo pubblico: per contro, quelle che
riescono a persuadere tale pubblico potrebbero non riuscire a persuaderne un altro
7
Le opere retoriche di Cicerone furono concepite come veri e propri
manuali pratici per l’oratore che si propone di persuadere degli ascoltatori. A
Cicerone, come ad Aristotele non interessava in modo particolare l’etica della
persuasione però egli adottò uno schema di classificazione più elaborato di quello
di Aristotele e la sua analisi dei mezzi per conseguire la persuasione fu più
completa e specifica anche se non tentò in alcun modo di spiegare in che modo
operi la persuasione sembrandogli sufficiente descrivere i mezzi con cui ottenerla.
Aristotele e Cicerone e si preoccuparono di come la persuasione potesse
essere ottenuta influenzando i teorici delle generazioni successive. Almeno fino al
XVIII secolo infatti gli studiosi di retorica non fecero altro che risistemare e
riformulare ciascuno a modo proprio lo stesso materiale. Ancora oggi gli autori
che si occupano della comunicazione tendono a giudicare ogni nuova trattazione
del tema della persuasione confrontandola o contrapponendola alle opere di
Aristotele, Cicerone.
L’arte della persuasione si faceva consistere nelle cosiddette “cinque
grandi arti”: l’invenzione, la disposizione, lo stile, la memoria, l’esposizione. La
prima è l’arte dello scoprire le argomentazioni più adatte per persuadere un
pubblico specifico. La disposizione era l’arte del disporre o dell’organizzare gli
argomenti nel discorso. Lo stile era l’arte dello scegliere e dell’impiegare
efficacemente il linguaggio. La memoria allora generalmente considerata più di
quanto non si faccia oggi, era l’arte del richiamare in modo vivido alla mente le
idee al momento dell’enunciazione. L’esposizione o pronuntiatio era l’arte del
presentare il discorso servendosi in modo efficace della voce, del corpo e della
toga.
Gli autori classici classificavano i discorsi a seconda dell’occasione o
della circostanza in cui venivano tenuti. Il discorso deliberativo, per esempio,
veniva tenuto di fronte all’assemblea legislativa o popolare, e generalmente
mirava a sollecitare una linea d’azione; il discorso forense si teneva in tribunale; il
discorso epidittico veniva pronunciato in speciali occasioni rituali, ed era di solito
commemorativo, inteso a lodare o condannare individui o azioni del passato.
Ehninger inoltre afferma che, almeno in teoria, la distinzione tra le tre
diverse forme di prova artistica erano l’ethos, il logos e il pathos. Lo ethos, o
8
prova etica, era secondo Aristotele la persuasione che scaturiva dalla forza morale
o dal carattere dell’oratore; il logos é la persuasione che derivava dalla logica
dell’argomentazione; il pathos quella che nasceva dall’appello all’emotività.
Scrivere qualcosa in più
Infine l’intento manifesto dei teorici classici era quello di mettere a punto
un sistema di analisi cui l’oratore meno abile e meno ispirato potesse attenersi.
Ehninger descrive questo sistema come consistente: “primo, in uno schema per
classificare le questioni da discutere; secondo, nello status; terzo, nelle topiche;
quarto, nella descrizione degli stadi attraverso i quali una disputa procede verso la
risoluzione.
Dall’analisi delle caratteristiche più importanti della retorica classica
appare evidente come la preoccupazione maggiore di questi autori fosse quella di
mettere a punto un sistema di classificazione dei diversi problemi che l’oratore
deve affrontare al momento di preparare e di tenere un discorso. Per quanto utili
possono risultare questi sistemi di classificazione non offrono tuttavia una
spiegazione sistematica né consentono di generalizzare sul modo di operare della
persuasione.
1.2.2 La persuasione dopo il Medioevo
Il Medioevo dominò il periodo tra l’ottavo e il tredicesimo secolo
proiettandosi anche sull’arte della persuasione.
Howell descrive il periodo che va dl 1500 al 1700 come caratterizzato da
tre movimenti: la rinascita della retorica tradizionale, classica ed essenzialmente
ciceroniana; una fase di rivolta contro la retorica tradizionale; infine, un
movimento che “aspirava ad nuova retorica”.
Nell’ambito delle retoriche tradizionali, pur potendosi riconoscere in
ciascuna di esse la matrice ciceroniana, sono individuabili tre distinte correnti. La
prima comprende le retoriche di ispirazione ciceroniana più stretta ponendo un
accento particolare sull’invenzione. Il culmine di questo approccio si ebbe The art
of Rhetorique di Thomas Wilson, pubblicata nel 1553. Secondo Howell, essa
9
rappresentò la versione inglese della teoria ciceroniana, e la sua somiglianza con
le opere di Cicerone fu così stretta che quanto si è detto a proposito dell’approccio
ciceroniano può essere esteso a quello di Wilson.
La seconda delle correnti tradizionali, secondo Howell, fu quella stilistica.
Le retoriche stilistiche più tarde si volsero diffusamente all’elencazione e alla
descrizione delle figure del discorso. D’altra parte, anche se includevano
considerazioni in merito all’efficacia dei diversi schemi e delle diverse metafore,
questi elaborati sistemi di classificazione non si proponevano alcuna spiegazione
di carattere generale di come tali espedienti operassero per produrre la
persuasione.
La terza delle correnti tradizionali individuate da Howell è quella del
formulario è costituita dalle composizioni che mirano ad illustrare i principi
retorici.
Peter Ramus, un francese, fu il primo ad iniziare la rivolta contro la
retorica tradizionale di cui parla Howell nell’ambito di un suo disegno per la
riorganizzazione delle arti liberali. Sul piano pratico, la rivolta non andò molto al
di là di una semplice riorganizzazione del materiale tradizionale della retorica, e la
sua importanza, per gli studiosi delle teorie sulla persuasione è piuttosto limitata.
Gli studiosi successivi a Ramus non si dimostrarono molto entusiasti della
sua riorganizzazione in quanto essa eliminava dalla retorica quello che essi e gli
autori classici avevano generalmente ritenuto il suo fulcro: lo studio
dell’invenzione. Per un certo periodo di tempo, la retorica divenne così non già lo
studio di che cosa dire ma di come dirlo. È proprio questa immagine della
indifferenza del retore nei confronti della verità delle idee propugnate che ha
attirato tante calunnie sulla sua figura dai tempi di Platone ad oggi, presentando la
retorica come un’arte basata sull’impostura e l’inganno. Il fatto che tale punto di
vista sia prevalso in Inghilterra durante il tardo XVI secolo, e per la maggior parte
del XVII secolo, presenta un interesse storico della persuasione dal punto di vista
teorico della persuasione, tuttavia, la controversia non appare così rilevante: è
fuori discussione, infatti, che l’oratore che si propone di persuadere un certo
pubblico debba costruirsi delle argomentazioni razionali ed ordinarle in modo
efficace, e quindi formularle ed esporle.
10
1.2.3 Nuove alternative alle teorie classiche
Durante il XVII secolo la retorica fece qualche passo all’indietro,
riaccostandosi all’approccio tradizionale basato sulle opere di Cicerone. Più
importante, ai fini di questa rassegna delle pre-teorie sulla persuasione, fu invece
la comparsa, agli inizi del XVII secolo, del The Advancement of Learning e del
De Augmentis Scientiarum di Francesco Bacone. È nelle sezioni di queste due
opere dedicate alla retorica, infatti, che troviamo la prima, importante analisi
innovativa della persuasione apparsa dopo il periodo classico.
Da principio Bacone distinse tra l’anima razionale, “che è divina” e
l’anima irrazionale, “che è comune anche agli animali” sostenendo che quella
irrazionale era solo “lo strumento dell’anima razionale”.
Bacone descrive il concetto di immaginazione come direttrice e guida
dell’agire volontario, esprimendo un punto di vista che suonerebbe
sorprendentemente moderno.
Questa sfumatura di modernità si ritrova anche in Bernard Lamy
2
che con
la sua Art of Speaking
3
afferma che l’oratore che padroneggia la propia materia
ed è ben documentato non ha bisogno di topiche perché sarà certamente in grado
di intuire quali siano i punti cruciali e le linee di argomentazioni più efficaci per il
suo discorso. Lamy afferma che per persuadere si necessita un unico argomento
purchè esso sia solido e forte e l’eloquenza di cui tanto si parla consiste nel
chiarirlo e nel renderlo evidente.
Nel 1776 Campbell propose quella che viene definita una teoria “psico-
espistemologica” della persuasione: la prima, probabilmente, che possa
configurarsi come una “teoria”
4
.
La retorica di Cambpell non è organizzata secondo le parti del discorso,
bensì per il tramite di “un’analisi astratta di come gli uomini pensano e
conoscono, di come essi sono stimolati e indotti all’azione”. Campbell sottolinea
come i diversi tipi di prova, (il logos, il pathos, l’ethos,), nel sistema aristotelico,
concorrano insieme al conseguimento della persuasione; l’oratore deve dapprima
2
retore francese (1640-1715)
3
T. Bennet, 1969
4
Abbagnano, 1990
11
indugiare su quelle che sono le motivazioni del pubblico, e quindi dimostrare in
che modo esse possono essere soddisfatte.
Campell propone anche un modo d’intendere l’ethos, o appello etico,
decisamente nuovo, sostenendo che il potere persuasorio del carattere dell’oratore
non dipende dalla sua “essenziale bontà”, bensì dal modo in cui il pubblico,
soggettivamente, lo osserva e lo valuta.
Nel XVIII secolo appare sul panorama retorico Joseph Priestley. Si
distingue per credere nella psicologia associazionistica come dimostra il suo
studio retorico dal titolo “A course of Lectures on Oratory and Criticism che fu
pubblicato per la prima volta nel 1761.
L’invenzione retorica viene da lui definita come un procedimento per
ricordare e selezionare quanto è stato scoperto con altri mezzi. Coerentemente alla
sua fede nella psicologia dell’associazione egli propone due possibili moduli di
organizzazione degli argomenti: si può procedere dagli assunti, sui quali il
pubblico concorda, fino alle logiche conclusioni, oppure descrivere il processo di
investigazione seguito dall’oratore per arrivare alla conclusione, assumendo che
anche il pubblico seguirà lo stesso percorso. Priestley esclude dalla sua trattazione
dell’invenzione la prova etica e quella emozionale, mentre le introduce parlando
dello stile, che includerebbe tutto ciò che colpisce le passioni, il giudizio e
l’immaginazione rendendo un’idea della realtà viene richiamata mediante
l’associazione.
Nel 1828 Richard Whateley pubblica Elements of Rhetoric dove espone la
sua teoria sulla base della quale la retorica era una parte della logica ed l
sillogismo il mezzo con cui essa opererebbe. Gli Elements of Rhetoric sembrano
concepiti più come un saggio su come la persuasione dovrebbe operare per
produrre una decisione critica, che come una descrizione o spiegazione del modo
in cui la persuasione opera effettivamente.
Di quest’opera emergono tre aspetti particolarmente rilevanti; il primo è
l’ethos che viene considerato una parte del pathos, o prova emotiva, in quanto gli
atteggiamenti del pubblico verso l’oratore sarebbero di natura “effettiva”. Il
secondo è che la testimonianza viene considerata come un segno del verificarsi di
12
un evento: in tal modo essa non sarebbe naturale né dovrebbe la sua efficacia
all’azione.
1.2.4 Le teorie del XX secolo
Quasi un secolo più tardi, nel 1915, James A. Winans pubblicò un
manuale, intitolato Public Speaking il cui approccio consiste nell’applicare alla
situazione del discorso in pubblico “il principio di fondo della persuasione” cioè
che ciò che trattiene l’attenzione determina l’azione. Una delle asserzioni
principali di quest’opera è che la persuasione è il procedimento che serve per
indurre gli altri a prestare una benevola, favorevole ed unanime attenzione a delle
affermazioni. Ciò equivale a servirsi dell’attenzione per definire la persuasione;
più esattamente, l’attenzione costituirebbe il fine ultimo della persuasione. Se può
sembrare abbastanza singolare fare dell’attenzione e non della convinzione
l’obiettivo finale della persuasione, Winans chiarisce meglio tale aspetto
precisando che la convinzione l’attenzione sono la stessa cosa. Gran parte
dell’opera di Winans, coerentemente è intesa ad evidenziare in che modo l’oratore
può ottenere e trattenere l’attenzione del pubblico.
Winanas fu il primo a proporre una definizione distinta ai termini
convinzione e persuasione mostrando di attribuire loro due significati distinti
mettendo in contesa con un altro autore Mary Yost che scrive nel 1917 Quarterly
Journal in cui narra che quasi tutti i manuali affermano che un’argomentazione
raggiunge il suo scopo per mezzo della convinzione e persuasione. Pur con
qualche differenza tra le varie enunciazioni, le definizioni dei due termini sono
sostanzialmente analoghe: la convinzione fa appello alla ragione, la persuasione è
un appello alle emozioni.
Nel numero successivo del Journal, Charles Woolbert continua nella
direzione secondo la quale tutte le distinzioni tra convinzione e persuasione, tra
emozione e intelletto, tra pensiero e azione, dovevano considerarsi
psicologicamente false e pedagogicamente non desiderabili. Qualunque stato
mentale, secondo Wooldbert, produce un’azione, sia pure una semplice
13
accelerazione della respirazione o della circolazione. Affermando che la
convinzione provocherebbe solo una decisione, mentre la persuasione
produrrebbe l’azione, gli studiosi di retorica commettevano dunque, secondo
Woolbert, un errore.
In generale l’attacco alla dualità convinzione/persuasione di cui si è riferito
non fu l’unico contributo recato da Woolbert alla teoria della persuasione in una
serie di articoli per Quarterly Journal of Speech Education egli avanzò infatti
anche una teoria della persuasione decisamente sofisticata per il suo tempo.
In effetti il punto di vista di Wooldbert sembra far coincidere la
persuasione con la comunicazione orale. Qualsiasi comunicazione verbale,
secondo Woolbert, mirerebbe infatti ad un’azione o ad una risposta; ogni risposta
implicherebbe un’accettazione. Poiché l’accettazione implica necessariamente
delle proposizioni, l’obiettivo di qualsiasi tipo di persuasione è quello di ottenere
l’accettazione di proposizioni. Da questo punto di vista, ogni comunicazione
verbale implica evidentemente una persuasione; le asserzioni utilizzate per la
persuasione risultano adeguate se sono accettate dal pubblico. Il comunicatore
dovrebbe quindi analizzare attentamente le motivazioni dominanti del proprio
pubblico e scegliere quelle asserzioni che, se accettate, condurranno all’azione
desiderata. Tali asserzioni, secondo Woolbert, contengono sia elementi logici che
elementi emozionali. L’oratore dovrebbe basare i suoi appelli su quelli che egli
chiama gli “stimolatori” (qualcosa di simile a ciò che oggi definiremmo
“bisogni”) del pubblico. Questi si dividerebbero in due classi: gli “stimolatori
interni”, con i quali Woolbert sembra indicare i bisogni fondamentali o biologici,
e gli “stimolatori esterni” che oggi chiameremmo esigenze o bisogni secondari,
sociali o culturali.
La teoria di Woolbert mostra un grado di sofisticazione che va oltre il suo
tempo, e si ha la sensazione che la teoria retorica avrebbe potuto trarre un
considerevole profitto da un legame ancora più stretto con i principi basilari della
psicologia del comportamento, se egli non fosse morto in così giovane età.
Anche negli scritti di Richards è possibile cogliere una certa enfasi
“comportamentale”; ma Richards non avrebbe certamente incluso la sua nuova
retorica in un qualsiasi elenco di teorie sulla persuasione. Nonostante questo,
14
considerare la teoria di Richards ha senso in quanto essa presenta parecchi punti
di contatto con il concetto di “persuasione”. L’obiettivo della nuova retorica di
Richards è quello di eliminare l’ambiguità così da rendere più precisa la
comunicazione. L’eliminazione dell’ambiguità, o equivoco, è un mezzo molto
potente per modificare il comportamento valutativo degli altri. Una ridefinizione
ed una chiarificazione dell’oggetto di giudizio da parte del pubblico, spesso
possono provocare una modifica del comportamento di questo nei confronti
dell’oggetto stesso. Questo processo appare strettamente collegato con la tecnica
della “differenziazione” in quanto mezzo particolarmente efficace per risolvere il
conflitto conoscitivo e per provocare un cambiamento di atteggiamento.
Mentre I.A. Richards definisce la retorica tentando di eliminare da esso le
scorie di ciò che egli intendeva per persuasione, Burke intese sia la retorica che la
persuasione in un senso più ampio di ogni altro autore precedente. Filosofo
interessato all’analisi del linguaggio, Burke considerò sia la persuasione che la
retorica in un senso più ampio di ogni altro autore precedente. L’assunto di
partenza di Burke è che tra gli uomini esista una inconsapevole tendenza al
raggiungimento della coesione sociale. A questa meta si perviene tramite la
strategia dell’identificazione: quanto più gli uomini diventano simili per
aspirazioni, linguaggio, aspetto, modi di pensare ed ogni altra caratteristica
identificabile, tanto meno essi saranno disposti ad accettare la separazione. La
retorica e la persuasione, secondo Burke, includono “tutte quelle aree in cui ha
luogo una qualsiasi forma di identificazione”. Diventa difficile, a questo punto,
stabilire se sia l’identificazione a produrre la persuasione, o viceversa; almeno
fino a quando non ci si sia resi conto che identificazione e persuasione sono, per
Burke, la stessa cosa.
Di tipo assai più tradizionale è la descrizione dei mezzi di persuasione di
cui, secondo Burke, il persuasore può avvalersi. I precetti aristotelici, ad ogni
modo, sono reinterpretati da Burke alla luce del suo personale concetto di
identificazione. Per dirla con Burke, “si può persuadere un uomo a condizione
che si parli la sua stessa lingua, usando le sue stesse espressioni, gli stessi gesti,
15
la stessa tonalità, le stesse immagini, lo stesso atteggiamento e si identifichi la
propria condotta con la sua”
5
L’ultimo approccio derivante dalla tradizione retorica cui accenneremo,
prima di passare all’esame della letteratura psicologica, è quello del filosofo
inglese Stephen Toulmin. In The Uses of Argument, Toulmn sostiene che la
discussione non procede in forma sillogistica, ma trae origine da un’asserzione
quale, per esempio: “Anna non deve essere cattolica”. Se la persona che ascolta
non accetta l’asserzione, ciò probabilmente sta ad indicare che egli vorrebbe
conoscerne il motivo. Chi ha introdotto il discorso dovrebbe allora fornire quelli
che Toulmin chiama i dati; nel nostro caso, per esempio, precisando: “Anna è
divorziata”. L’ascoltatore, d’altra parte, potrebbe non avere dimestichezza con le
norme della chiesa cattolica, e non vedere quindi alcuna relazione tra i dati e
l’asserzione. In questo caso il primo interlocutore dovrà fornire una garanzia che
precisi la relazione esistente. L’ascoltatore potrebbe attendersi qualche prova della
verità della garanzia; nel qual caso chi ha introdotto la discussione dovrebbe
produrre un supporto per la garanzia. Toulmin prende in considerazione anche la
possibilità che chi ha enunciato l’asserzione iniziale non intenda sostenerne
l’universalità e l’indiscussa attendibilità; egli potrebbe allora introdurvi un
elemento di qualificazione e giungere a specificare il grado di probabilità. Un
ulteriore elemento di qualificazione, infine, potrebbe presentare delle eccezioni.
Ció che limita la possibilità di utilizzare il modello di Toulmin per
comprendere un’intera discussione è evidente però allo stesso tempo appare di
grande utilità per descrivere il processo di persuasione.
5
Cronkhite, G. (1989)