armonia tra comunità
1
spesso in conflitto fra loro. Il mio obiettivo diventava vivere a
stretto contatto con gli organizzatori e le coppie, seguire le celebrazioni, raccogliere le
opinioni dei partecipanti e, infine, valutare l’impatto sul territorio del programma.
Questa traccia di lavoro mi ha aperto la possibilità di vivere direttamente e in
profondità un’esperienza di campo. La mia passione per i matrimoni comunitari è
cresciuta di pari passo con la possibilità di entrare in contatto con delle persone,
conoscere le loro storie e renderli partecipi delle mie.
Le scienze sociali in generale e l’antropologia in particolare, infatti, non sono il
risultato di esperimenti di laboratorio o analisi asettiche, ma, ognuna nel suo ambito di
competenza, provano a dare senso a un insieme di relazioni umane. Molto spesso, però,
proprio le relazioni oggetto di studio diventano parte del vissuto del ricercatore.
Il mio periodo sul campo, ben prima di essere concepito come la prima fase di
un lavoro etnografico, è stato un’esperienza di viaggio. Le persone, attraverso una serie
di gesti, parole e azioni, hanno espresso sentimenti, pensieri e visioni della realtà. Fra
queste persone, chiaramente, ci sono anch’io. I protagonisti dei matrimoni comunitari
non sono tipi culturali, paesani o indigeni, ma uomini e donne. Il ricercatore, allo stesso
modo, non è il depositario di una visione oggettiva, che gli permetterà di comprendere
l’altro in termini solo scientifici, bensì è un viaggiatore alla ricerca di senso.
Durante i sei mesi in Tamil Nadu ho seguito metodi diversi per comprendere il
fenomeno dei matrimoni comunitari. Ho partecipato alla fase di preparazione, ho
osservato nel dettaglio le celebrazioni, ho raccolto i dati quantitativi sui partecipanti, ho
effettuato interviste qualitative con alcune coppie, ho tenuto un diario di campo.
Ognuna di queste attività ha contribuito alla definizione del disegno di ricerca. Nessuna,
però, può essere considerata come un unicum dal valore oggettivo. Anzi, tutte devono
essere collocate all’interno di un percorso di viaggio, il cui fulcro è la relazione umana.
Il viaggio non è inteso solo come un’esperienza di spostamento continuo da un
luogo a un altro, ma come una condizione esistenziale della nostra epoca e, in questo
caso, della ricerca etnografica (Clifford, 1997). Esso costituisce allo stesso tempo il
limite e la risorsa di questo lavoro, definito e circoscritto nel tempo, nello spazio, ma
1
Il termine “comunità” ha occupato numerosi dibattiti all’interno delle scienze sociali. Secondo la
definizione data dal sociologo Ferdinand Tonnies la comunità è un gruppo di persone caratterizzato da
contatti intimi, sentimenti di solidarietà molto forti e legame con la tradizione (Tonnies, 1887). Nel
contesto da noi considerato vi sono quattro soggetti che assumono queste caratteristiche: 1 - la casta, che
gli stessi indiani chiamano spesso “comunità”, 2 - un gruppo di fedeli di una stessa religione all’interno di
un’area delimitata, 3 - il villaggio e 4 - l’ASSEFA, chiamata “comunità” o “grande famiglia” dai dirigenti
dell’associazione. Per questo motivo il termine comunità assumerà significati differenti a seconda del
contesto nel quale è espresso.
18
soprattutto nelle culture delle persone che lo hanno vissuto. È opinione comune di una
certa avanguardia antropologica che “gli interlocutori – individui complessi, che
vengono fatti solitamente parlare per raccogliere conoscenze culturali – rivelano di
possedere le loro personali propensioni etnografiche, nonché interessanti storie di
viaggio.” (Clifford, 1997: p. 29) Il viaggiatore, quindi, non sono solo io: tutti gli uomini
e le donne incontrate stavano seguendo un cammino. E’ l’insieme di questi percorsi
personali a costruire la dimensione del viaggio: frontiera da un lato e ricchezza
dall’altro.
Quest’opera, quindi, ha un secondo obiettivo: testimoniare la parabola di
un’esperienza. Sia chiaro: non è assolutamente nelle intenzioni di chi scrive ridurre una
tesi di laurea a un insieme di impressionismi emotivi. Le esplorazioni personali non
saranno “rivelazioni da un’autobiografia, ma barlumi di un determinato sentiero fra gli
altri.” (Clifford, 1997: p. 22) L’elemento scientifico e l’elemento umano si intersecano a
più riprese poiché “le specifiche narrazioni contenute in un lavoro di etnografia non
potranno mai essere soltanto un progetto di descrizione scientifica, se l’obiettivo che
guida il lavoro è di rendere umanamente comprensibile un comportamento (spesso
estraneo) proprio di un differente modo di vita.” (Clifford, 1986; p. 138) Tuttavia,
all’interno del testo, i due elementi rimarranno ognuno nel proprio ambito. Questa tesi si
atterrà il più rigorosamente possibile alle regole della dissertazione in ambito
accademico e il lettore sarà sempre avvertito, nel momento in cui verranno introdotti
elementi personali.
I matrimoni comunitari sono stati il pretesto per un percorso di esplorazione
etnografica, ma questo non significa averli affrontati solo in superficie. Anzi, proprio
l’immersione all’interno dell’esperienza e dei suoi significati ha contribuito a dare senso
alla parabola del viaggio.
Il periodo complessivo della ricerca è durato circa un anno e mezzo. Ai sei mesi
sul campo, divisi in due periodi di quattro e due mesi, è seguita una fase di
rielaborazione, il tentativo di collocare l’esperienza non solo in un contesto di viaggio,
ma anche e soprattutto in un contesto antropologico.
In India, il matrimonio ricopre un notevole valore sociale. All’interno di questa
istituzione / sacramento si sviluppano le relazioni uomo / donna, si stabiliscono i termini
dei rapporti tra due famiglie, si consolidano o si cambiano le fondamenta della struttura
sociale. Per questo motivo, i matrimoni comunitari non sono stati affrontati come
un’esperienza circoscritta: sono stati messi in relazione con il contesto che li ha partoriti
19
e con i matrimoni tradizionali che si svolgono normalmente nelle stesse aree. Le nozze a
cui partecipano molte coppie hanno un notevole potenziale sociale ed è l’analisi di
questo potenziale che costituisce l’obiettivo ultimo del presente lavoro.
Tenuto conto di questi presupposti, il lavoro si articolerà in tre capitoli. Il primo
descriverà il contesto. I matrimoni comunitari e le persone che li hanno vissuti, ma
anche chi li ha osservati, si collocano all’interno di una fitta rete di relazioni fra uomini
e donne. Queste prendono la forma di un’associazione, l’ASSEFA, di una serie di
luoghi geografici e sociali, i villaggi, e di un viaggio itinerante, il mio.
Il secondo capitolo costituirà il termine di paragone. Il matrimonio ha origini
antiche in molte parti del mondo: fra queste vi è anche il Tamil Nadu. Nel corso dei
secoli, le nozze hanno preso forme e significati diversi, a seconda dell’area geografica e
dell’identità castale e religiosa. La nostra analisi si concentrerà sul matrimonio
celebrato, nel contesto sopra descritto, da indù, cristiani e musulmani.
L’ultimo capitolo, dopo aver chiarito nel dettaglio la metodologia della ricerca,
approfondirà la descrizione e l’analisi dei matrimoni comunitari.
E’ corretto avvertire il lettore, in ogni caso, che la trama di questo “racconto
analitico” avrà un filo conduttore continuo e difficilmente sarà possibile slegare una
parte dal tutto (Silverman, 2000: p. 335). Per questo si invita chi legge a immergersi
all’interno di questo percorso.
Prima di concludere l’introduzione, ritengo corretto pagare i miei debiti
intellettuali. Bernard de Chartres diceva che “siamo nani issati sulle spalle di giganti, in
modo che possiamo vedere più cose e più lontano, che non ne vedessero questi ultimi. E
questo non perché la nostra vista è migliore o la nostra statura più vantaggiosa, ma
perché siamo portati e innalzati dall’alta statura dei giganti.”
2
(Saresberiensis, 1159)
Non posso valutare dove arrivi la mia vista, però vi sono quattro testi fondamentali che
mi hanno permesso di “vedere”: i miei giganti.
Routes, di James Clifford, ha ispirato la base teorica del mio lavoro. The
argumentative indian, di Amartya Sen, mi ha offerto i primi strumenti interpretativi di
un’India spaziosa e assimilativa, pluralista e ricettiva, inclusiva e umanista. Une vie
paria, di Viramma, Josiane e Jean-Luc Racine, mi ha introdotto alla realtà del villaggio
tamil con quella sincerità, umanità e semplicità (ma mai banalità) che nessun testo
2
“Nous sommes comme des nains juchés sur des épaules de géants, de telle sorte que nous puissions voir
plus de choses et de plus éloignées que n’en voyaient ces derniers. Et cela, non point parce que notre vue
serait puissante ou notre taille avantageuse, mais parce que nous sommes portés et exhaussés par la haute
stature des géants.”
20
antropologico avrebbe potuto riprodurre. Infine, poiché, come dice anche Umberto Eco,
“non sempre le idee migliori ci vengono dagli autori maggiori” (Eco, 1981: p. V), Mass
marriages in Karnataka, di K. G. Joshi, è stato l’unico testo reperibile sui matrimoni
comunitari, all’interno di una letteratura scientifica pressoché inesistente. Pur non
essendo un libro da annali della ricerca socio-antropologica, si è rivelato un utile
termine di paragone.
Date tali premesse, ci accingiamo a intraprendere questo viaggio all’interno dei
matrimoni comunitari. Come diceva Leonardo Sciascia in uno dei suoi romanzi più
pungenti, “naturalmente questo … non sorge dal nulla né resta così, isolato o quanto
meno isolabile: ha tutto un humus, tutto un contesto.” (Sciascia, 1971: p. 89) Da questo
contesto partirà la ricerca.
21
22
23
1 IL CONTESTO
Our civilization, our culture, our swaraj, depend
not upon multiplying our wants but upon restricting our wants
M. K. Gandhi (Young India, 23 febbraio 1921)
Our attempt is to build the India of Gandhi’s dream …
We have managed to increase the growth of our nuclear energy programme
Manmohan Singh (Discorso alla nazione, 15 agosto 2005)
L’obiettivo di questo capitolo è introdurre la realtà culturale, sociale, economica,
geografica e politica che ha “ospitato” i matrimoni comunitari.
Fingiamo di avere tra le mani una macchina fotografica e voler immortalare
un’immagine di questa esperienza. Al centro della foto vi sono le coppie, ma
tutt’intorno vi è il paesaggio. Questo paesaggio non è muto, non funge solo da contorno,
anzi è proprio grazie al contesto che i matrimoni comunitari si sono sviluppati.
Oscuriamo per un attimo l’immagine delle coppie in processione e focalizziamo
l’attenzione sugli organizzatori, sul villaggio e sugli occhi di chi ha visto e descritto
questo evento.
“I fatti non parlano da soli, devono essere introdotti in una trama piuttosto che
raccolti, inseriti in relazioni mondiali piuttosto che osservati in ambienti controllati.
Questa crescente consapevolezza del versante poetico e politico del lavoro sul campo –
una consapevolezza imposta agli antropologi dalle sfide anticoloniali del dopoguerra
alla centralità euroamericana – si riflette in un più concreto senso testuale della
posizione dell’etnografo.” (Clifford, 1997: p. 90) Per questo motivo il contesto occupa
uno spazio così ampio.
La trama di questo capitolo si svilupperà attorno a due assunti fondamentali.
“Le scienze sociali sono scienze strutturalmente eterogenee” (Adorno, 1969: p.
95) e nella società indiana questa eterogeneità costituisce un paradigma imprescindibile
25
per il ricercatore. Il primo capo di governo dell’India indipendente, Jawaharlal Nehru,
3
soleva dire che “l’India contiene al suo interno tutte le cose peggiori e tutte le cose
migliori.”
4
(Fischer, 1951: p. 157)
Questo favorisce il manifestarsi di prepotenti contraddizioni a livello micro e a
livello macro e tutto ciò condiziona pesantemente anche l’osservazione poiché “la
difficoltà del pensiero complesso è quella di dover affrontare il disordine (il gioco
infinito delle inter-retroazioni), la solidarietà dei fenomeni tra loro, la nebbia,
l’incertezza, la contraddizione.”
5
(Morin, 1990: p. 22) Ma la complessità diventa un
paradigma imprescindibile anche per il viaggiatore. In India la sindrome da
spaesamento è così intensa che un paese occidentale (la Francia) ha istituito un
dipartimento psichiatrico in ambasciata per assistere i connazionali vittime di
improvvisi stati confusionali, amnesie, crisi isteriche o di panico (Airault, 2002).
Tenuto conto di questi presupposti, l’analisi prenderà in considerazione il ruolo
dell’associazione che ha organizzato i matrimoni comunitari, la realtà dei villaggi in
India in generale, e quella dei luoghi dai quali provengono le coppie, in particolare;
infine, un’attenzione specifica sarà dedicata allo sguardo del viaggiatore / ricercatore e
alle influenze che i vari contesti hanno avuto su di lui.
3
Jawaharlal Nehru (Allahabad 1889 – Delhi 1964) è stato probabilmente il più importante uomo politico
indiano. Fu leader del partito del Congresso e primo ministro dall’indipendenza dal Regno Unito (15
agosto 1947) alla morte.
4
“India contains all that is disgusting and all that is noble.”
5
“La difficulté de la pensée complete est qu’elle doit affronter le fouillis (le jeu infini des inter-
rétroactions), la solidarité des phénomènes entre eux, le brouillard, l’incertitude, la contradiction.”
26
1.1 L’ASSEFA
L’ASSEFA
6
è un’Organizzazione Non Governativa indiana, tra le più importanti
di tutto il subcontinente.
7
Si ispira al pensiero e all’azione di Gandhi e Vinoba
8
ed opera
principalmente nelle aree rurali dell’India meridionale. Le sue origini risalgono alla fine
degli anni ’60 e sono il frutto di una stretta collaborazione tra un professore di filosofia
di Sanremo, Giovanni Ermiglia (Sanremo 1905 - Sanremo 2004), e un giovane attivista
tamil, S. J. Loganathan (Madurai 1942).
Oggi l’ASSEFA segue 380.000 famiglie, il suo bilancio si aggira attorno ai 31
milioni di euro e le sue attività si estendono in otto stati dell’Unione: Tamil Nadu,
Karnataka, Maharashtra, Madhya Pradesh, Jharkand, Bihar, Rajasthan e Pondicherry.
Ripercorrere in breve la genesi e l’evoluzione di questa associazione, nonché il suo
impegno attuale, permetterà di capire su quali presupposti sono nati i matrimoni
comunitari.
1.1.1 Le origini: una prospettiva storica
L’esperienza dell’ASSEFA prende il via all’interno di un contesto culturale
molto ricco. Il pensiero gandhiano è stato così articolato
9
che dalla sua morte, il 30
gennaio del 1948, sono stati migliaia i movimenti, le associazioni e i singoli individui,
che hanno dichiarato di ispirarsi al Mahatma.
10
6
L’acronimo ASSEFA sta per Association for Sarva SEva FArms: le parole che lo compongono sono di
origine inglese e sanscrita. Sarva ha vari significati tra cui “a favore di tutti”; Seva significa “servizio
disinteressato”. La traduzione italiana di ASSEFA è “Associazione per le fattorie al servizio di tutti”.
7
Per una lista delle ONG indiane, delle loro attività e della loro estensione sul territorio
http://www.indianngos.com
8
Vinoba Bhave (Gagode 1895 – Paunar 1982) fu un discepolo di Gandhi. Rimase legato soprattutto agli
aspetti spirituali del pensiero gandhiano. Dopo l’indipendenza organizzò un movimento per la
redistribuzione delle terre ai contadini (il movimento Bhoodan).
9
L’Opera Omnia di Gandhi è formata da 100 volumi di circa 500 pagine ciascuno e comprende tutti gli
scritti di Gandhi (libri, articoli, discorsi, interviste, lettere) dal 1884 al 1948: The collected works of
Mahatma Gandhi, New Delhi, The publications division, Ministry of information and broadcasting,
Government of India.
10
Mahatma è un termine sanscrito che significa "grande anima". Questo epiteto è stato attribuito a Gandhi
da Nautamlal Bhagavan Mehta il 21 gennaio 1915 alla Scuola di Kamribai a Jetpur. I documenti con il
discorso di accoglienza di Mehta (Gandhi tornava allora dalla lotta nonviolenta in Sudafrica) sono
conservati al Gandhi Museum di New Delhi. Gandhi fu poi chiamato Mahatma anche dal poeta
Rabindranath Tagore, il che contribuì a diffondere tale epiteto in tutta l’India e in tutto il mondo.
27
In India vi sono due movimenti, che, per importanza e capacità di
mobilitazione, si sono distinti nella prosecuzione dell’opera gandhiana. Essi sono il
movimento Sarvodaya (per il “benessere di tutti”) e il movimento Bhoodan (per il
“dono della terra”).
Il movimento Sarvodaya nacque direttamente da Gandhi: l’idea vide la luce nel
1908, a seguito della lettura di un libro di John Ruskin, Unto this last:
11
“(questo libro
fu) l’unico che influenzò immediatamente ed in modo pratico la mia vita: più tardi lo
tradussi in gujarati con il titolo Sarvodaya.” (Gandhi, 1986: pp. 272-273) Anche i suoi
principi sono enunciati in maniera semplice e sintetica proprio dal Mahatma: “1 - il
bene individuale è parte integrante del bene comune; 2 - l’opera dell’avvocato vale
quanto quella del barbiere, in quanto tutti hanno il medesimo diritto di guadagnarsi da
vivere con il proprio lavoro; 3 - una vita dedita al lavoro, come quella del contadino e
dell’artigiano, è la sola degna d’essere vissuta.” (Gandhi, 1986: p. 273)
Finché Gandhi è stato in vita, si può affermare che il movimento Sarvodaya è
coinciso con le persone che hanno seguito gli insegnamenti e il modello da lui proposti.
Il Sarvodaya, infatti, “è un ideale di vita; assorbe tutto ciò che è bene e contiene vari
concetti, come verità, nonviolenza, decentralizzazione, attenzione verso gli ultimi,
piccole comunità le une accanto alle altre, dignità del lavoro, limitazione dei desideri,
vita semplice in accordo con la natura.”
12
(Narayanasami, 2003: p. 9)
Dopo la morte di Gandhi il movimento Sarvodaya può essere considerato come
“un’estensione del lavoro che egli stava facendo in India, un’opera interrotta dal suo
assassinio.”
13
(Narayan, 1959: p. 9) Dal 1948 quasi tutte le organizzazioni indiane che si
sono dette ispirate dal “Padre della Nazione” sono state parte del movimento Sarvodaya.
Questo, però, non si è rivelato solo una somma di iniziative individuali e circoscritte,
ma, almeno in alcuni periodi, ha avuto le caratteristiche di un vero e proprio
movimento.
In primo luogo, sin dal 1949, i rappresentanti delle organizzazioni gandhiane
hanno ritenuto utile incontrarsi in conferenze annuali pan-indiane. I meeting, che si
svolgono ancora oggi in primavera o in autunno, sono una possibilità di scambio e, in
11
John Ruskin (Londra 1819 – Coniston 1900) fu uno scrittore e critico d’arte inglese. Il libro Unto this
last è stato anche tradotto in italiano: A quest’ultimo, Torino, Marco Valerio Editore, 2003, pp. 103.
12
“is an ideal of life; it absorbs everything that is good and it contains various concept like satya, ahimsa,
decentralization, antyodaya, small but face to face communities, dignity of labour, limitation of wants,
simple life in tune with nature.”
13
“an extension of the work that Gandhi was himself doing in India, a work which was interrupted by his
assassination.”
28
alcune occasioni, la sede opportuna per mettere a punto strategie comuni.
14
Alcuni di
questi programmi sono visibili su larga scala. È il caso dei Khadi Village Industries, una
sorta di commercio equo e solidale ante litteram. I negozi Khadi, infatti, promuovono i
prodotti delle campagne (agricoltura e artigianato), garantendo un “fair salary” ai
contadini. Oggi, dopo oltre mezzo secolo di attività, si contano circa tremila negozi
Khadi in tutta l’India.
15
Il movimento Sarvodaya, nei primi decenni successivi alla morte di Gandhi,
ebbe una forte connotazione politica. D’altra parte, non bisogna dimenticare che il
metodo nonviolento, applicato da Gandhi, fu innanzitutto un metodo di lotta politica. Il
principale ispiratore del Sarvodaya politico fu Jayaprakash Narayan.
16
Egli guidò il
movimento attraverso una serie di campagne a favore dei villaggi rurali, contro le
disuguaglianze e le inefficienze della burocrazia centralizzata, per la democrazia
partecipata a tutti i livelli (a partire dai più bassi). Le sue lotte nonviolente lo portarono
più volte in prigione, sia sotto il dominio degli inglesi che sotto quello di Indira
Gandhi.
17
Nel 1977 riunì tutte le forze contrarie al Partito del Congresso, ormai troppo
diverso da quello in cui anche lui, da giovane, aveva militato, e lo sconfisse alle
elezioni, per la prima volta dopo l’Indipendenza. Il professor S. Jeyapragasam,
dell’Università di Madurai, sostiene che “Narayan salvò la democrazia. Nel 1975 la
Gandhi attuò, di fatto, un colpo di stato. Due anni dopo cercò la legittimazione popolare
al suo regime semi-dittatoriale: invece, anche grazie all’impegno e al radicamento del
movimento Sarvodaya, ne uscì sconfitta.”
18
Quell’esperienza politica terminò nel 1979,
14
Uno studioso del movimento ha calcolato che, dal 1950 al 1990, sono stati organizzati 68 programmi
per lo sviluppo rurale, sotto il cappello del Sarvodaya, con o senza l’aiuto governativo (Narayanasami,
2003: pp. 43-44).
15
Anche i Khadi Village Industries (http://www.kvic.org.in) furono in principio un’idea di Gandhi, per
contrastare l’invasione del mercato indiano con prodotti inglesi e per garantire l’autonomia dei villaggi
rurali. Loganathan racconta: “India was self-reliant and prosperous when the Europeans came here. In
course of time we became poor and backward. They took away our raw material and dumped our markets
with machine made goods. Our traditional handicrafts were destroyed and there was a setback in
agriculture. India became poor. Mahatma Gandhi revived Khadi and Village Industries. He converted
home industry. By using local resources and local talents, basic consumer goods were produced locally,
mostly for local consumption. This was an effective way to overcome poverty, generate meaningful
employment, challenge colonial exploitation and eliminate middle men. Further it was eco-friendly, low-
cost and self-reliant” (Jeyapragasam, 2001: pp. 64-65)
16
Jayaprakash Narayan (Sitabdiara 1902 – Patna 1979), ai tempi della lotta per l’indipendenza dell’India
fu il leader dell’ala socialista del Partito del Congresso. Dopo la morte di Gandhi si dedicò al sociale, per
poi portare la sua esperienza in politica negli anni ’70.
17
Indira Gandhi (Allahabad 1917 – New Delhi 1984), figlia di Jawaharlal Nehru (leader del Partito del
Congresso prima e dopo l’Indipendenza), assunse il nominativo Gandhi dopo il matrimonio (ma non vi
era nessun legame di sangue con la famiglia del Mahatma). Fu un primo ministro controverso e spesso
autoritario. Governò dal 1966 al 1977 e dal 1980 al 1984, anno in cui fu assassinata da due guardie del
corpo.
18
Da un dialogo personale sul tema il 22 dicembre 2005.
29
poiché la coalizione messa in piedi da Narayan si dimostrò troppo eterogenea: ne
facevano parte i gandhiani e i rappresentanti dell’industria pesante. Il suo leader morì
proprio quell’anno e le ambizioni politiche del movimento Sarvodaya iniziarono un
lento declino.
Il movimento Sarvodaya ha sicuramente influenzato anche l’etica sociale delle
campagne indiane. Tuttavia, valutare l’impatto culturale di questo movimento è assai
più complesso. Di sicuro, la predicazione dei valori di giustizia e uguaglianza per tutti
ha giocato un ruolo importante nell’effettivo riconoscimento di questi principi tra le
varie caste, classi e religioni. In alcuni casi, probabilmente, ha influito pesantemente
sulle abitudini dei villaggi rurali, ma le valutazioni antropologiche devono essere
intrinsecamente tarate su una scala micro. Quindi, ci si riserva di mostrare l’impatto
culturale del movimento Sarvodaya a partire da alcuni esempi, nel prosieguo di questa
tesi, senza dimenticare che proprio l’oggetto della ricerca, i matrimoni comunitari, cade
sotto le voci “Sarvodaya” e “impatto culturale”.
L’esempio più importante di Sarvodaya per i suoi risultati politici, economici e
sociali è il movimento Bhoodan. Esso nasce il 18 aprile del 1951 in un piccolo villaggio
dell’Andhra Pradesh, Pochampalli. Qui, Vinoba Bhave, un poeta e filosofo, definito da
Gandhi il “primo lottatore per la verità”, si mise in ascolto della comunità dei contadini,
martoriata da alcuni di anni di guerra civile a bassa intensità.
19
“Egli fu avvicinato da
alcuni intoccabili senza terra, che gli chiesero aiuto per ottenerla. Vinoba si rivolse alle
persone del villaggio e chiese se tra loro c’era qualcuno che avesse voluto dare un
appezzamento di terreno ai suoi confratelli, di modo che loro non dovessero morire di
fame. E un uomo venne e offrì cento acri di terra. Così vide la nascita quello che
conosciamo come movimento per il dono della terra.”
20
(Jeyapragasam, 1994: p. 50)
Visto l’inaspettato successo dell’iniziativa, Vinoba decise di intraprendere un
pellegrinaggio a piedi in tutta l’India, per organizzare una grande redistribuzione delle
terre, su base volontaria e nonviolenta. Dal 1951 al 1957 Vinoba raccolse 4.194.270 acri
19
“Nella regione del Telingana (Andhra Pradesh), un movimento contadino (inquadrato dal partito
comunista), che si contrapponeva ai latifondisti locali, sfociò nel luglio 1946 nella maggiore insurrezione
contadina mai verificatasi fino a quel momento nella storia dell’India contemporanea. Tale rivolta era
destinata a durare fino all’ottobre 1951, quando fu schiacciata dalle truppe dell’India indipendente.”
(Torri, 2000: pp. 617-618)
20
“He was approached by a number of landless untouchables, who asked him for help in obtaining land.
Vinoba turned to the people of the village and asked whether there was somebody among them willing to
give land to his brethren, so that they may not die of starvation; and a man came forward and offered a
hundred acres of land. This was the birth of what became known as the Bhoodan movement.”
30
di terreno.
21
In seguito il movimento Bhoodan ispirò idee anche più radicali. Di queste
la più importante è il Gramdan: “A metà degli anni ’50 il movimento Bhoodan (per il
dono della terra) ispirò il movimento Gramdan (per il dono del villaggio) e Bhave iniziò
a chiedere ai villaggi di stabilire la proprietà collettiva e di condividere la terra secondo
i bisogni di ciascuno.”
22
(Church, 1975: p. 94)
Se da un lato entrambe le iniziative di Vinoba ebbero una vasta eco e risultati
eccezionali, è anche vero che incorsero in diversi problemi. In primo luogo, molte delle
terre donate erano situate in zone inaccessibili o erano aride e inadatte ad essere
coltivate. Degli oltre 4 milioni di acri raccolti da Vinoba quasi la metà (1.857.398 acri)
non furono utilizzati a causa delle condizioni dei terreni. Poi, alcune delle promesse
fatte durante il pellegrinaggio furono ritirate al momento dell’effettiva redistribuzione.
Per questo motivo e per diatribe legali al momento della spartizione, un milione di acri
non fu redistribuito. Insomma, gli acri di terreno effettivamente ricevuti dai contadini
furono circa un quarto (1.285.738) di quelli raccolti da Vinoba. Si trattava comunque di
un’area considerevole, corrispondente all’area dell’intera provincia di Torino, per la
quale, però, “i beneficiari del dono, che viceversa erano senza terra, non avevano il
capitale da investire, per reclamare e irrigare quei terreni.”
23
(Jeyapragasam, 1994: p.
52) Insomma, erano necessarie due cose: un’autorità in grado di assegnare i vari lotti ai
senza terra e una conoscenza tecnica per rendere fertili i terreni. Per il primo compito
furono istituiti una serie di Bhoodan Boards, uffici governativi preposti
all’amministrazione delle terre Bhoodan anche da un punto di vista legale. Il secondo,
invece, fu lasciato alla buona volontà di singoli e gruppi che avevano a cuore la causa.
A metà degli anni ’60, il movimento Sarvodaya era nel pieno del suo slancio
ideale, per la realizzazione di una società più giusta a favore di tutti; il movimento
Bhoodan, invece, aveva raggiunto ottimi risultati, ma rimaneva il problema di come far
fruttare l’enorme “dono” incassato da Vinoba.
E’ in questo contesto che, nell’agosto del 1968, avvenne l’incontro tra Giovanni
Ermiglia e Loganathan, un uomo di 63 anni e un uomo di 25, un professore di filosofia
21
Questi dati, come quelli sotto riportati, sono presi da una stima del governo indiano del 1975. Un acro
equivale a 4.046,9 metri quadrati, quindi le terre raccolte da Vinoba corrispondono a 16.973,79 kmq. Per
valutarne l’ampiezza, si pensi che tale area corrisponde quasi all’area della regione Veneto. Per una
corretta interpretazione di questo dato si tenga comunque presente che la superficie totale dell’India
(3.287.590 kmq) è oltre dieci volte quella dell’Italia.
22
“in the mid-1950’s Bhoodan evolved into Gramdan (village-gifts) and Bhave began asking villages to
establish collective ownership and to share the land according to need.”
23
“the Bhoodanees, who were otherwise landless, lacked the capital to invest in land reclamation and
irrigation.”
31
in pensione e un giovane attivista del Sarvodaya Mandal,
24
entrambi laici, entrambi non
credenti, entrambi guidati dalla praticità. Giovanni Ermiglia arrivò in India con una dote
di cinque milioni di lire,
25
raccolti attraverso il movimento Sviluppo e Pace di Torino
per finanziare progetti per l’auto-sufficienza economica delle campagne indiane.
Affascinato dall’azione di Gandhi e Vinoba, il professore sanremese suggerì alla branca
Sarvodaya del Tamil Nadu di sfruttare i suoi fondi proprio per sviluppare alcuni terreni
Bhoodan. I responsabili del Sarvodaya Mandal,
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scettici sull’affidabilità della proposta,
affidarono il compito di verificarne la fattibilità a un giovane attivista. Loganathan fino
a quel momento “aveva il compito di visitare i vari villaggi e rappresentarvi dei drama,
cioè una sorta di commedia teatrale che spiegasse ai contadini poveri e senzaterra il
grave pericolo a cui sarebbero andati incontro se si fossero indebitati con il padrone,
diventandone in pratica schiavi.” (Daniele, 2003: p. 37) Ma si rese subito disponibile a
lavorare con l’anziano professore.
L’improbabile coppia italo–indiana visitò un villaggio nei dintorni di Madurai
(Sevalur) e individuò alcuni terreni Bhoodan sui quali cominciare a lavorare. Mentre
Ermiglia tornò in Italia per cercare nuovi fondi, Loganathan organizzò i giovani dei
villaggi e i braccianti diseredati e in un anno di lavoro quelle terre diventarono una
“zona verde, con coltivazioni di banane e orzo e lunghi tubi che innaffiavano le
coltivazioni.” (Daniele, 2003: pp. 47-48)
Era il 1969. Nasceva la prima Sarva Seva Farm.
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Branca del movimento Sarvodaya allora attiva in Tamil Nadu: nata nel 1956, fu di supporto alle attività
Khadi, contribuì alla fondazione di un’università centrata sui problemi rurali (Gandhigram), partecipò al
movimento Bhoodan e si adoperò per l’emancipazione e l’autonomia di molti villaggi tamil (in
particolare nella zona di Thanjavur)
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Corrispondono a circa 44 mila euro attuali. Il calcolo è stato fatto attraverso il sito
http://www.rivaluta.it secondo gli indici dei prezzi dell’Istat.
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I leaders del movimento Sarvodaya in Tamil Nadu all’epoca erano S. Jagganathan (Sengarpadai 1912),
fondatore del LAFTI (http://www.lafti.net) e Ralph Richard Keithan, un missionario quacchero
americano che dedicò tutta la sua vita ad attività di promozione sociale in India. Insieme fondarono
Gandhigram (1947), prima Casa di formazione dei lavoratori, poi università rurale. Entrambi, e
soprattutto Keithan, ispirarono e sostennero le attività dell’ASSEFA, non appena queste presero piede.
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