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“L’espressione storia orale è una specie di stenogramma,
un’abbreviazione d’uso per riferirsi a quello che andrebbe designato
come uso delle fonti orali”
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. Si tratta quindi di aggiungere ad altre
fonti di cui lo storico dispone, anche quelle che si chiamano
testimonianze rese oralmente da parte di protagonisti o partecipanti
agli eventi su cui verte la ricerca, e registrate dello storico. In questo
senso, il concetto di fonte orale si differenzia da quello di tradizione
orale; infatti, quest’ultima si occupa di forme verbali tramandate,
condivise, mentre le fonti orali dello storico sono narrazioni
individuali, dialogiche, anche se è possibile trovare elementi delle
forme tradizionali.
Le fonti orali, come tutte le altre, andranno poi sottoposte a
procedimenti critici per accertarne l’attendibilità e utilizzabilità
come avviene per i documenti d’archivio. Il passaggio da fonte
orale a storia orale implica delle trasformazioni più rilevanti. Infatti,
bisogna trattare queste fonti non come se fossero un materiale
aggiuntivo rispetto ad altre fonti più “canoniche”, bensì fare un
lavoro storiografico impostando tutto sulla centralità delle fonti
orali.
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A. Portelli in Un lavoro di relazione:Osservazione sulla storia orale, dal sito internet
www.unipa.it
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A differenza della maggior parte dei documenti che la ricerca
storica utilizza, infatti, le fonti orali non sono trovate dallo storico,
ma sono costruite in sua presenza. Con la sua diretta partecipazione.
Si tratta di fonti basate su una relazione, in cui la comunicazione
avviene sotto forma di scambio di sguardi (inter/vista), di domande
e di risposte, non sempre in un'unica direzione. A volte può capitare
che ciò che lo storico desidera non sempre coincide con quello che
le persone intervistate vogliano raccontare. Come anche le domande
che lo storico si è preparato non è detto che possano essere
pertinenti per l’intervistato. Per questo motivo, il lavoro con le fonti
orali è in primo luogo un’arte dell’ascolto, che va ben oltre la
tecnica dell’intervista aperta.
L’arte dell’ascolto si manifesta anche quando, finita l’intervista,
spento il registratore si continua a parlare di altro. Non bisogna mai
affermare che sono cose che non interessano più, perché molto
spesso le cose che si dicono dopo sono fondamentali e preziose.
Quindi ne deriva che la storia orale è un’arte, oltre che dell’ascolto,
anche della relazione:
1. la relazione fra persone intervistaste e persone che
intervistano (dialogo);
2. la relazione fra il pubblico e il privato, la biografia e la storia;
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3. la relazione fra il presente di cui si parla e il passato
(memoria)
4. la relazione fra oralità (fonte) e scrittura (storico).
Partendo dalla prima relazione, per esempio può capitare che tra
l’intervistato e l’intervistatore ci possono essere delle esperienze di
vita comuni e questo possa permettere di cambiare totalmente il
rapporto che diventa più intimo e confidenziale e l’intervistato non
si sente più soggetto al potere indagatore dell’intervistatore.
Anche la diversità può comunque generare un rapporto empatico tra
intervistato e intervistatore. Sarebbe un errore pensare che solo la
similarità permetta alle persone intervistate di aprirsi. Infatti, uno
scambio di conoscenze, per definizione, ha senso se queste non
sono a priori condivise, in altre parole se esiste fra l’intervistato e
l’intervistatore, una differenza che renda lo scambio significativo.
Infine possiamo affermare che il terreno comune rende possibile la
comunicazione, ma è la differenza che la rende significativa. Il
terreno comune non deve essere necessariamente una comune
identità (di classe, genere, ideologia), ma deve essere delimitato
all’ascolto reciproco.
In altre parole: è la disponibilità dello storico all’ascolto che
istituisce dialogicamente la possibilità del narratore di parlare.
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Naturalmente, è la disponibilità del narratore a parlare che permette
allo storico di fare il suo lavoro.
La seconda relazione, quella fra pubblico e privato (Storia e storie)
è uno dei motori dell’incontro dialogico della storia orale.
L’argomento della storia orale è la storicità dell’esperienza
personale unita all’impatto personale delle vicende storiche. E’
proprio nel racconto di come la storia ha fatto irruzione nella
propria vita (per esempio: i bombardamenti) o di come si è andati
incontro alla Storia (per esempio: le trincee della prima guerra
mondiale) che sta l’essenza della storia orale.
Le fonti orali, dunque, contribuiscono a rimettere in discussione di
che cosa è storico e cosa non lo è. Da un lato sta la difficoltà di
entrambe le parti: lo storico fatica ad inoltrarsi in territori imprevisti
dall’esperienza dell’altro; e il narratore a riconoscere l’importanza
delle proprie vicende personali. Per questo nasce da parte del
narratore una gelosia protettiva cioè la paura di vedere svalutata la
propria esperienza di vita. Perciò “non ho niente da dire” è un
classico incipit di molte interviste, anche da parte di persone che
non solo hanno molto da raccontare e bruciano dalla voglia di farlo,
ma hanno paura che il loro prezioso racconto possa essere
disprezzato.
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Non è casuale che gli esempi fatti sopra- i bombardamenti, le
trincee- si riferiscano alla guerra, perché è proprio qui che avviene
nel modo più drammatico e indimenticabile l’incontro fra il privato
e la storia ( per esempio: “Nonno cosa hai fatto in guerra?). Infatti il
grado zero della storia orale è fatta da bambini che intervistano i
loro nonni che hanno fatto la guerra ed è impossibile che questi
nonni non la raccontino.
Il legame fra il presente e il passato di cui si parla (memoria) è una
delle relazioni più delicate riguardante l’attendibilità delle fonti
orali. Non si può prestare fede a tutto quello che è raccontato perché
la memoria e la soggettività modificano i fatti.
Come scrive Paul Thompson, uno dei fondatori della moderna
storia orale, <<sembra che la mancanza di memoria colpisca
innanzi tutto la memoria recente.. inoltre nell’età anziana si trova
quello che gli psicologi chiamano il fenomeno del “riesame della
vita”; emergono improvvisamente ricordi accompagnati dal
desiderio di comunicarli e una caratteristica schiettezza
determinata dalla consapevolezza di aver terminato la vita
attiva>>, perciò, conclude Thompson, <<intervistare gli anziani
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non introduce questioni metodologiche diverse rispetto ai normali
problemi dell’intervista>> (1972).
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Infatti tutta la storiografia orale ha ragionato esattamente come
Thompson: le fonti orali sono importanti e affascinanti
precisamente perché non si limitano a testimoniare sui fatti , ma li
elaborano e ne costruiscono il senso attraverso il lavoro della
memoria e il filtro del linguaggio.
Quando si lavora con le fonti orali, dunque, dobbiamo tenere
insieme tre fatti distinti:
¾ un fatto del passato, l’evento storico;
¾ un fatto del presente, e cioè il racconto che è fatto
dall’intervistato;
¾ un fatto di relazione e durata, e cioè il rapporto che esiste e
che è esistito tra questi due fatti.
Perciò il lavoro dello storico orale include la ricostruzione storica
in senso stretto (ricostruzione del passato), l’antropologia culturale,
la psicologia individuale, la critica testuale (l’analisi e
l’interprestazione del racconto), e l’applicazione della seconda alla
prima. La storia orale è dunque storia degli eventi, storia della
memoria, e revisione degli eventi attraverso la memoria.
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Citato da A. Portelli in Un lavoro di relazione:Osservazione sulla storia orale, dal sito
internet www.unipa.it
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La memoria infatti, non è un semplice deposito di dati da cui
recuperare informazioni, ma un processo in continua elaborazione
di cui studiare le modalità. La memoria quindi non è un testo o un
repertorio, ma è il racconto stesso. Come ha scritto lo studioso
Walter J. Ong: << L’oralità non produce testi, ma performances,
nell’oralità non siamo di fronte ad un discorso compiuto, ma al
compiersi del discorso >>.
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Quando parliamo di fonti orali, dunque, dovremmo usare non
sostantivi, ma verbi - non memoria, ma ricordare, non racconto, ma
raccontare. E’ in questo modo che possiamo pensare alla fonte
orale non come un documento sul passato, ma come ad un atto del
presente.
Soprattutto, quando guardiamo all’atto e non solo al suo prodotto, ci
rendiamo conto che ricordare e raccontare sono sì influenzati dal
contesto storico delle memoria, ma in fin dei conti filtrati dalla
responsabilità individuale: è nella mente del singolo che si elabora
il ricordo, è attraverso la sua parola che è comunicato.
La terza relazione, rapporto fra oralità e scrittura, è la performance
del narratore attraverso la sua narrazione e la forma del testo scritto
dallo storico.
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Citato da A. Portelli, Un lavoro di relazione:Osservazione sulla storia orale, dal sito internet
www.unipa.it
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Diventa importante anzi fondamentale, che nel presentare i risultati
di un lavoro di storia orale si riesca a lasciare traccia dell’origine
dialogica e narrativa del materiale ottenuto. Anche per questo, e non
per un semplice scrupolo documentario, gli storici orali usano citare
più ampiamente le proprie fonti più di quanto non faccia in generale
la storiografia, o anche non facciano discipline come l’antropologia
o la sociologia.
L’utilizzo delle citazione salva la polisemia e la forma narrativa che
è sempre soggetta ad interpretazioni perchè è complessa e a volte
ambigua. Non bisogna quindi sottrarsi al compito di interpretare le
fonti e non solo, ma bisogna riportarle ampiamente perchè possono
offrire per chi legge, strumenti per una propria interpretazione e
anche un auto-interpretazione per gli stessi narratori.
L’oralità, insomma, non è solo un veicolo dell’informazione, ma
anche una componente del suo significato. La forma dialogica e la
forma narrativa che caratterizzano le fonti orali culminano nella
densità e complessità del linguaggio, che già nei toni e nelle
cadenze esprime storia e identità di chi parla, e intreccia e unisce
significati che vanno a volte ben oltre l’intenzione dei parlanti.
Un aspetto importante che rende specifiche le fonti orali sta nella
loro capacità di informarci, più che sugli avvenimenti, sul loro
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significato. Questo non significa che siano prive d’interesse sul
piano referenziale: a volte si possono conoscere eventi sconosciuti o
aspetti ignoti di eventi conosciuti. Infatti, il dato insostituibile che le
fonti orali impongono allo storico, e che nessun altro tipo di fonti
può rappresentare con la stessa efficacia, è quello della soggettività
dell’informatore.
Le fonti orali, ci informano non solo sui fatti, ma su quello che essi
hanno voluto dire per chi li ha vissuti e li racconta, non solo quindi
quello che le persone hanno fatto, ma quello che volevano fare, che
credevano di fare, che credono di aver fatto; motivazioni;
ripensamenti; giudizi.
Quindi le fonti orali non sono oggettive, anche se a volte la scrittura
porta a dimenticarlo. La non oggettività è un elemento
caratterizzante e chiave delle fonti orali, in quanto fonti variabili,
parziali, costruite.
Perciò la testimonianza orale dipende dalle domande, dagli stimoli,
dal rapporto personale instaurato dal ricercatore. La sua presenza è
fonte di possibili distorsioni: gli informatori tendono talvolta a
dirgli quello che credono che lui voglia sentirsi dire; oppure può
strutturare l’intervista in modo rigido che l’informatore non avrà
spazio per esprimere elementi di cui il ricercatore ignorava la
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possibile esistenza. Si tratta in primo luogo di accettare la fonte,
dando priorità a ciò che vuol dire l’informatore, e poi
eventualmente a fine intervista fare degli approfondimenti e
chiarimenti.
Questi chiarimenti sono importanti perché un informatore non potrà
mai dire tutto, sia perché la memoria non si può mai esaurire e sia
perché l’informatore fa una selezione soprattutto in base al rapporto
che si istituisce con il ricercatore.
Le fonti orali sono quindi soggettive, ci permettono di comprendere
la visione di se stessi, la visione della storia, le immagini del
mondo, i valori…
Come scrive Evans, << finalmente potevo porre domande alle mie
fonti, chiedere loro di spiegare meglio quanto non mi riusciva di
capire. Era un vantaggio enorme rispetto alle ambiguità o alle
risposte silenziose che talvolta si ottengono dai documenti >>
(Evans 1975; trad. it. 1978, 4).
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Potendo quindi interrogare le persone e servirsi di racconti orali,
invece di materiale scritto, il ricercatore può evitare che la sua base
informativa sia limitata agli strati sociali superiori, riuscendo così a
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Citato da P.Corbetta in Metodologia e tecniche della ricerca sociale, Il Mulino, Bologna,
1998
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pervenire ad una ricostruzione della storia cosiddetta “dal basso”,
centrata sulle condizione della vita delle classi subalterne.
Sono state fatte delle critiche alle fonti orali accusandole di
parzialità. In realtà, come gli storici hanno ormai messo in
evidenzia, tutte le fonti sono parziali e vanno sottoposte a un vaglio
critico.
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1.2 Storie di vita: un approccio biografico
“Nell’analizzare le esperienze e le attitudini di un individuo noi
raggiungiamo dati e fatti elementari che non sono esclusivamente
limitati alle personalità individuali, ma possono essere trattati
come istanze di classi di dati e fatti più generali e quindi possono
essere utilizzati per la determinazione di leggi del divenire sociale.
Anche quando stiamo cercando leggi generali i life-records il più
completi possibile costituiscono il tipo perfetto del materiale
sociologico. E il fatto che la scienza sociale debba usare altro
materiale è solo per difficoltà pratica di ottenere al momento un
numero sufficiente di questi documenti per coprire la totalità dei
problemi sociologici” (…).
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Questa citazione, ormai famosa, di un classico della ricerca
biografica (Il contadino polacco in Europa e in America, di Thomas
e Znaniecki, 1918-20, vol 3, p.1,), sarebbe oggi improponibile nella
sua dichiarazione di fedeltà alle storie di vita come modo unico
esclusivo di analizzare la società. Nel periodo che ci separa dalla
ricerca di Thomas e Znaniecki, la discussione sull’approccio
biografico e sulle sue applicazioni è infatti proseguita in una
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Citato in Che vita è di M. Olagnero/C. Saraceno, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1993,
p.7
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direzione assai più flessibile di quella prevista dai due famosi
autori. Alla sociologia oggi non si chiede più di cercare leggi di
funzionamento generale della società. Dai metodi d’indagine, quali
essi siano, non si pretende l’esclusione di altri metodi di ricerca. Per
contro, l’idea originaria che la conoscenza delle storie e dei percorsi
di vita sia un potente mezzo di analisi della società e dei suoi
mutamenti rimane, affinata e articolata da una nuova
consapevolezza che riguarda sia la società nel suo insieme sia i
soggetti singolarmente presi. Le società e gli individui crescono e
maturano secondo le proprie capacità di assorbire e rielaborare
come risorsa per il presente la memoria del passato. Di qui l’ipotesi
che utilizzare analisi di storie e percorsi di vita sia qualcosa di più
che una semplice opzione metodologica.
Attraverso l’analisi delle storie di vita la sociologia si interroga
sulla possibilità di forzare le proprie fonti e i propri tradizionali
protocolli di analisi. Tenendo conto del tempo e mettendosi
all’incrocio tra passato e presente, tra società e individuo, tra storia
e vita quotidiana.
Per comprendere l’approccio biografico dobbiamo prima definire la
storia di vita (o biografia).