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Questo modo di procedere, che vede il Servizio di Consulenza Psicologica strutturarsi in
funzione delle richieste e delle necessità precedentemente indagate nelle pazienti,
rappresenta un’innovazione in campo ospedaliero, dando voce alle diverse opinioni
delle “utenti”, e coinvolgendole attivamente nella costruzione di un sistema in grado di
fornire servizi sanitari migliori, che considerino le diverse esigenze di ciascuna paziente
nella loro globalità, siano esse fisiche che psichiche, e che tengano conto dell’ unicità e
delle caratteristiche soggettive di ciascuna malata.
Tale modalità di interazione con i soggetti degenti contribuirebbe ad abbattere quella
barriera asimmetrica che molte volte caratterizza il rapporto medico/paziente,
configurando così una relazione maggiormente paritaria ed umana, ed influendo
positivamente sulla qualità di vita delle persone costrette dalla malattia al ricovero
ospedaliero.
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CAPITOLO I
LA PSICONCOLOGIA
1. Psiconcologia: definizione
La psiconcologia, negli ultimi decenni, ha avuto un grande sviluppo, acquisendo una
precisa identità culturale, scientifica e metodologica. Essa rappresenta la convergenza
tra psicologia da un lato, focalizzandosi sugli aspetti maggiormente soggettivi espressi
dal paziente attraverso i suoi sintomi e la sua sofferenza, e oncologia dall’altro, che al
contrario privilegia gli aspetti più oggettivi e tangibili dei medesimi sintomi e della
medesima sofferenza.
La psicologia oncologica si è soprattutto concentrata sulla ricerca e lo studio di due
principali aree:
• l’area psicosociale, che indaga l’impatto psicologico della diagnosi di cancro e
delle terapie sul paziente, sui suoi familiari e sull’équipe curante;
• l’area psicobiologica, che esamina il ruolo di determinati fattori psicologici e
comportamentali che giocano un ruolo importante nell’esposizione a fattori di
rischio, nella prevenzione, nell’insorgenza della malattia e infine nella
sopravvivenza. Un ramo relativamente nuovo di quest’area è rappresentato dalla
psiconeuroendocrinoimmunologia, la quale analizza l’influenza delle emozioni
sull’eziologia e lo sviluppo di alcuni non ancora ben identificati cambiamenti
dell’equilibrio interno.
La psiconcologia, pertanto, ha in sé il proposito di promuovere la ricerca, stimolando
una maggiore comunicazione e alleanza tra medicina oncologica, psicologia e
sociologia, e soprattutto, compito più arduo, di tradurre in pratica, nel lavoro giornaliero
di psicologi, medici, tecnici, assistenti sociali, infermieri e volontari le conoscenze
acquisite.
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Il fine ultimo di questa disciplina è costituito dalla promozione della salute, intesa in
modo globale, ovvero da un punto di vista psico-fisico del paziente, tramite un
approccio multidisciplinare alla patologia neoplastica. Essa pertanto si rifà alla moderna
concezione di malattia, il cui principio base è rappresentato dal reciproco
condizionamento tra psiche e soma: la salute non è mera assenza di sofferenza o disagio
ma viene considerata come presenza di equilibrio tra benessere fisico, sociale e psichico
(OMS, 1946).
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2. Una rapida cronistoria.
Nonostante la psiconcologia sia una disciplina giovane, in realtà è a partire dagli inizi
del ‘900 che la necessità di mantenere una visione globale del paziente affetto da
qualunque patologia somatica e di approfondire la conoscenza dei correlati psicologici
delle malattie ha comportato una evidente collaborazione tra discipline mediche e
psichiatriche. Nel 1902, infatti, viene costituito, negli Stati Uniti, il primo reparto
psichiatrico in un ospedale generale e negli anni ’20 nasce la Psichiatria di
Consultazione come branca specificatamente rivolta alla valutazione e al trattamento di
problemi psicologici in pazienti affetti da patologie somatiche. Proprio in tale disciplina,
sviluppatasi presto anche in altre parti del mondo, si pongono dunque le premesse per
istituire e diffondere modelli teorici assistenziali applicati alle diverse branche medico-
chirurgiche. Tra gli anni ’40 e ’50, l’oncologia, l’ostetricia, la cardiologia, la
ginecologia e la dermatologia rappresentano le discipline più interessate al fenomeno
(Lipowsky, 1992).
Precedentemente, negli anni ’30 e ’40, si prepara il terreno all’ingresso delle discipline
psicologico-psichiatriche attraverso la fondazione, nel 1937, del National Cancer
Institute e della International Union Against Cancer, mentre l’American Cancer Society
promuove in questo stesso periodo i primi gruppi di auto-aiuto attraverso il
reclutamento e la formazione di pazienti laringectomizzati e colostomizzati,
comprendendo l’importanza dell’informazione e del confronto reciproco tra le persone
che hanno vissuto la stessa esperienza di malattia (Holland, 1998).
Sono immediatamente successivi i primi esempi dello sforzo compiuto per offrire ai
pazienti neoplastici interventi a carattere psicosociale tesi a garantire sollievo rispetto
alla sofferenza psicologica secondaria al cancro.
L’attivazione di un servizio specifico in questo senso nel 1950 dallo psichiatra Arthur
Sutherland presso il Memorial Sloan-Ketting Cancer Center di New York, il lavoro
della psichiatra svizzera Elisabeth Kubler Ross sulle reazioni psicologiche del paziente
con cancro in fase terminale di malattia e lo sviluppo di servizi analoghi nel 1967, da
parte di Cicely Saunders, a Londra, presso il St. Cristopher Hospice, rappresentano
punti cardine per la psiconcologia.
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A partire dagli anni ’80 si assiste sia a livello nazionale che internazionale ad un
definitivo consolidamento dell’interesse verso la psicologia applicata all’oncologia. Si è
avuta, pertanto, una crescita capillare dei servizi di psicologia o di singoli professionisti
che si sono occupati del supporto psicologico e sociale del paziente e dei suoi familiari,
lavorando in équipe con il personale curante.
A partire da questo interesse sono nate le prime società scientifiche: nel 1985 viene
fondata la Canadian Association of Psychosocial Oncology, seguita nel 1986
dall’American Society of Psychosocial and Behavioral Oncology/AIDS. Tali società si
pongono come gruppi multidisciplinari di professionisti che operano nell’assistenza di
pazienti affetti da cancro. Il fine è fondamentalmente di promuovere il benessere
psicologico, sociale e fisico dei pazienti e delle loro famiglie, durante il percorso della
malattia attraverso interventi clinici ed educazionali oltre che attraverso progetti di
ricerca.
Gli obiettivi sono rappresentati dalla sensibilizzazione dei settori pubblici e sanitari
rispetto alle problematiche psicosociali e spirituali del cancro e delle malattie correlate,
dallo sviluppo di programmi formativi per gli operatori, dall’individuazione di standard
assistenziali e gestionali di qualità, dall’esplorazione di metodiche innovative che
facilitino il riconoscimento e il trattamento delle conseguenze psicologiche,
comportamentali e spirituali secondarie alle suddette patologie.
In Italia il primo servizio di psiconcologia è nato nel 1980 presso l’Istituto Nazionale
per la Ricerca sul Cancro di Genova, seguito poi dall’istituzione di numerosi altri
servizi specifici su tutto il territorio nazionale fino alla costituzione nel 1985 della
Società italiana di psiconcologia (SIPO), con la pubblicazione delle prime linee guida
in ambito psiconcologico nel 1998 e la fondazione nel 1999 del Giornale Italiano di
Psiconcologia.
Le motivazioni fondamentali grazie alle quali lo sviluppo e l’affermazione della
psiconcologia è stata possibile sono da ricercarsi innanzi tutto in cambiamenti dal punto
di vista socio-culturale. In tal senso possiamo affermare che negli ultimi decenni si è
modificato l’atteggiamento sociale nei confronti della malattia oncologica, con un
sempre maggiore coinvolgimento della popolazione rispetto alle tematiche del consenso
informato e della partecipazione attiva nei trattamenti.
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D’altro canto anche l’aumento progressivo dell’efficacia degli interventi per sconfiggere
il tumore ha avuto un ruolo importante: il cancro assume oggi, nella maggioranza dei
casi, i connotati di una malattia cronica piuttosto che certamente mortale.
Inoltre l’importanza attribuita alle scienze psicologiche e psichiatriche si è consolidata
maggiormente, basti pensare all’enfasi posta sul ruolo di variabili psicologiche
implicate nella patologia neoplastica: l’analisi dei comportamenti a rischio, la
prevenzione nella diagnosi precoce, l’interesse per la cura globale del paziente e per la
sua qualità di vita.
Tutto ciò ha fatto sì che nelle istituzioni si diffondessero sempre più servizi di
consulenza psichiatrica e psicologica, la cui attenzione era centrata sulla salute mentale
di soggetti affetti da patologie somatiche, aprendo la strada alla costituzione di gruppi di
supporto e di discussione multidisciplinare sul disagio psicologico del paziente, sulle
questioni etiche, sullo stress degli operatori.
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3. Psiconcologia: obiettivi e aree di intervento
Nello specifico, gli obiettivi di ricerca e di applicazione clinica riguardano quattro
principali settori (Grassi et al., 1999):
1- la prevenzione e la diagnosi precoce. Quest’area si occupa di analizzare e
studiare le variabili psicologiche e sociali che influenzano in vari modi
l’esposizione degli individui a fattori di rischio per lo sviluppo di patologie
neoplastiche e le variabili che in qualche modo interferiscono con la prevenzione
e la diagnosi precoce. Inoltre questo settore comprende al suo interno anche lo
studio dei fattori psicologici implicati nella compliance del paziente rispetto alle
terapie e a condotte preventive (screening, visite di controllo, contenimenti dei
fattori di rischio..).
2- La valutazione della morbilità psicosociale in oncologia e la sua
prevenzione. Questo settore ha come obiettivo principale quello di limitare il
rischio di conseguenze psicopatologiche che condizionino la vita futura del
malato, effettuando ricerche finalizzate ad indagare la prevalenza dei sintomi
indicativi di sofferenza psicologica nei pazienti oncologici e nei loro familiari,
considerando le eventuali relazioni con caratteristiche di personalità, stili di
coping, storia psicologica precedente e supporto sociale.
3- Interventi psico-oncologici. Quest’ambito si occupa di “testare” l’efficacia
degli interventi di sostegno psicologico, psicoterapeutico, psicofarmacologico e
di analizzarne le caratteristiche.
4- La formazione. Da un lato riguarda gli operatori sanitari, affinchè questi ultimi
adottino stili comunicativi e relazionali più efficaci con i malati e le loro
famiglie, dall’altro la preparazione specialistica degli psicologi e psichiatri
impegnati professionalmente nel settore.
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4. L’attività clinica in psiconcologia
Le aree di intervento della psiconcologia sono state descritte dettagliatamente nelle linee
guida della SIPO (“Standard, opzioni e raccomandazioni per una buona pratica in
Psiconcologia”), pubblicate nel 1998, le quali riferiscono i seguenti ambiti di
applicazione clinica:
• colloqui individuali e di gruppo per i pazienti;
• colloqui individuali e di gruppo per i familiari;
• attività psicodiagnostica, con la valutazione delle reazioni psicopatologiche;
• terapie di supporto e psicoterapia per i pazienti;
• trattamento psicofarmacologico per i pazienti;
• conduzione di gruppi di self-help e di gruppi eterocentrati per il personale;
• colloqui di selezione e orientamento per i volontari.
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5. I concetti chiave
Rifacendosi ancora una volta alle linee guide elaborate dalla SIPO, vale la pena di
prendere in esame i concetti basilari su cui si fonda la disciplina psiconcologica.
Innanzi tutto, come premessa, dobbiamo tenere in considerazione che dal punto di vista
psiconcologico il disagio di un paziente neoplastico è conseguente al trauma causato
dalla malattia stessa, pertanto non dipende primariamente da un disturbo
psicopatologico. Questa prima affermazione costituisce il punto di partenza dal quale
poi si snodano i fondamentali concetti collegati ad esso:
• la crisi, considerata come cambiamento, passaggio da una condizione ad
un’altra, composta a sua volta da tre momenti:
1. l’esplicitazione del problema: il soggetto si rende conto che le circostanze
oltrepassano la sue capacità di autogestione del problema.
2. la mobilitazione della rete sociale prossima al paziente (famigliari, amici,
curanti).
3. lo sviluppo di un nuovo equilibrio attraverso l’individuazione di soluzioni
adattive e l’accettazione del cambiamento.
• Le strategie di adattamento, o coping, definite come le risorse che il soggetto
attiva o sviluppa al fine di gestire o diminuire l’impatto di un evento che
soggettivamente costituisce una minaccia per il suo benessere fisico e/o
psichico. L’adattamento a sua volta dipende da tre variabili:
1. dalla valutazione cognitiva dell’evento e delle risorse disponibili;
2. dal comportamento che il paziente adotta per far fronte al problema sia in
termini di intervento (coping attivo) che di evitamento (coping passivo);
3. dal tipo di controllo emotivo utilizzato.
• L’adattamento psicologico plurifattoriale, che distingue diverse categorie di
fattori interdipendenti:
1. in relazione ai pazienti possono esserci fattori predittori (eventi di vita, status
sociale, costituzione biologica, personalità..) e fattori moderatori (strategie di
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adattamento, caratteristiche personologiche..) che si combinano per dare
origine ad un particolare stile di adattamento;
2. in relazione al trattamento: l’organizzazione delle cure, le terapie utilizzate.
In aggiunta a ciò, altri concetti importantissimi derivati dalle teorie psicoanalitiche
(meccanismi di difesa, interpretazione), dalle teorie sistemiche (interazione gruppale,
comunicazione familiare), dalle teorie cognitivo-comportamentali (distorsioni
cognitive, tecniche per l’apprendimento delle condotte funzionali o per l’estinzione di
quelle disfunzionali al benessere psico-fisico del paziente), sono fondamentali sia per la
comprensione delle situazioni di conflitto e di disagio relazionale che per le
problematiche individuali.
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CAPITOLO II
PSICOLOGIA e CANCRO
Introduzione
Numerosi studi sono stati condotti allo scopo di chiarire e spiegare il ruolo di
determinate variabili psicologiche nello sviluppo e nella gestione della patologia
neoplastica. In particolare la ricerca psiconcologica si è focalizzata sull’indagine in due
ambiti distinti ma correlati fra di loro:
1. il ruolo di determinati fattori mentali e psicologici (ad esempio lo stress, il
disagio psicologico, particolari eventi di vita..) rispetto all’eziologia del cancro
(ambito psicosomatico);
2. le reazioni psicologiche, i meccanismi di difesa, il processo di adattamento
che ciascun individuo intraprende nei confronti della malattia.
1. La psicosomatica in ambito oncologico
Il tentativo di individuare dei fattori psicologici capaci di influenzare la carcinogenesi
ha radici antiche: già nel II sec. d.C. Galeno, secondo la teoria umorale, faceva notare
che le donne “melanconiche” hanno maggiori probabilità di sviluppare il tumore alla
mammella (Imbault-Huart, 1985); in altre parole l’eziologia del cancro è attribuita ad
uno squilibrio della bile nera. Più tardi, nel XVI sec., il massimo chirurgo del
Rinascimento Ambroise Paré, condivide tale ipotesi spiegando le metastasi come
manifestazioni locali dell’umor nero.
Nel 1759 il chirurgo inglese Guy scrive che il carcinoma mammario sembra peculiare
negli individui con una costituzione tendente alla depressione e alla melanconia.
Herbert Snow (1891, 1893) sostiene ripetutamente che la depressione mentale è un
precursore del cancro e a lui va attribuito il primo studio statistico in questo campo: su
250 pazienti del Cancer Hospital, in 156 Snow osservò “una pena immediatamente
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antecedente, spesso in una forma molto viva come la perdita di un parente stretto”,
mentre 32 pazienti riferivano “la durezza del lavoro e le privazioni”.
La concezione del cancro come malattia sistemica iniziata con Galeno ha prevalso per
più di mille anni, ma con lo sviluppo dell’anatomia patologica questa teorizzazione, che
vede una correlazione tra psiche e cancro, viene completamente abbandonata. In un
clima culturale in cui prevalgono le osservazioni oggettive e scientifiche e che
sottolineano l’importanza degli agenti cancerogeni esogeni si afferma la teoria locale
dei tumori.
Negli ultimi anni però, numerosi studi hanno messo in luce alcuni elementi anomali che
contrastano con l’interpretazione della malattia neoplastica in senso locale (Bailar &
Smith, 1986):
• insorgenza della malattia solo in alcuni soggetti a rischio;
• variabilità interindividuale nella insorgenza e nella evoluzione dei tumori;
• resistenza, in alcuni individui, alla progressione;
• effetti sistemici di tumori locali;
• occasionale remissione spontanea;
• stato quiescente delle metastasi;
• minore efficacia delle terapie locali rispetto a quelle sistemiche.
E così la psicologia ha cominciato ad interessarsi di nuovo alla patologia neoplastica,
conducendo sempre più numerosi studi sulle cause psicologiche nell’eziopatogenesi del
cancro. Possiamo comunque distinguere due distinti filoni di ricerca: il primo si occupa
dello studio di determinate variabili psicologiche soggettive che possono portare a
particolari comportamenti che a loro volta rappresentano fattori di rischio per
l’insorgenza del cancro (tabagismo, abuso di alcool, alimentazione scorretta..). La
seconda corrente si occupa invece di studiare il rapporto diretto esistente tra psiche e
cancro, indagando il ruolo di determinati fattori psicologici implicati
nell’eziopatogenesi della malattia.
Le conclusioni a cui sono giunti i vari ricercatori, però, come spesso accade, sono tra
loro contrastanti ed hanno dato adito, di volta in volta, a differenti interpretazioni.
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1.1 Stress e cancro: il modello psicobiologico
Negli anni ’40 Hans Seyle fu il primo ad approfondire l’eventuale correlazione tra stress
e condizioni fisiche, conducendo alcuni studi nei quali risultava evidente come il
sistema immunitario fosse sensibile a stimoli stressanti sia fisici che emozionali
(Seyle,1951).
Da allora la disciplina della psiconeuroendocrinoimmunologia si è sviluppata
notevolmente grazie all’accumulo di numerosi studi sull’argomento, che hanno
permesso di delineare maggiormente la relazione tra stress e condizioni di
salute/malattia, sia a livello psichico che somatico.
Gli studi sull’uomo hanno cercato di rilevare l’effetto delle variabili psicosociali (stress,
eventi stressanti, stili di coping) sull’attività neuroendocrina ed immunitaria.
In primis è stato dimostrato che lo stress da perdita, ovvero la condizione di lutto,
determina nell’uomo fenomeni di immuno-depressione (Bartrop et al., 1977; Scheifler
et al., 1983). Il lutto è inteso non solo come perdita oggettiva di una persona cara, ma
anche come la perdita improvvisa del proprio ruolo, identità o status nella propria rete
sociale.
Biondi e collaboratori (1991) hanno ulteriormente specificato come la reazione allo
stress sia altamente soggettiva e dipenda soprattutto dal modo in cui l’individuo affronta
la situazione.
Numerosi altri studi (Greer & Brady, 1988); Rosenberg, 1987; Irwin et al., 1988) si
sono focalizzati sull’effetto dello stress sui linfociti Natural Killer (cellule NK), i quali
si trovano nel sangue di ogni individuo e sono dotati di attività citotossica spontanea
contro determinate cellule bersaglio: in tali ricerche si riscontra una depressione delle
cellule NK in varie condizioni stressanti dal punto di vista emozionale, in particolare
nelle situazioni in cui si sperimenta la perdita di una persona cara.
Inoltre è da tempo accertato e largamente dimostrato che l’esposizione a stressors
aumenta, nell’uomo, la vulnerabilità alle infezioni: subire l’effetto di agenti stressanti ,
sia fisici che emozionali, significa, in molti casi, indurre un aumento della suscettibilità
ad agenti patogeni, virali, batterici e fungini (Biondi et al., 1994).
Lo stress, indubbiamente, è una componente fondamentale della vita, poiché gli
stressors hanno la funzione di sollecitare l’adattamento dell’organismo a determinate
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condizioni ambientali e, a loro volta, le reazioni allo stress costituiscono tentativi di
adattamento dell’organismo stesso. Va sottolineato, quindi, che gli effetti dannosi dello
stress sono correlati alla sua intensità: stressors troppo intensi e/o che si protraggono
lungamente, e che assumono pertanto la caratteristica di cronicità, inducono una
reazione allo stress eccessiva, impedendo all’organismo di fronteggiare e neutralizzare
la minaccia, portando ad esempio ad una continua attivazione del sistema
neurovegetativo e neuroendocrino (Biondi et al., 1997).
Si può affermare, quindi, che lo stress non è dannoso in quanto tale ma che il rischio di
malattia aumenta se è presente una condizione di stress intenso e persistente, che
ostacoli in tal modo la possibilità da parte dell’individuo di reagire.
In definitiva è possibile affermare che fattori psichici e stress sono in grado di
condizionare l’insorgenza e il decorso di talune neoplasie.
A tal proposito Biondi (1987) ha tentato di operare una sintesi tra i vari fattori di rischio
emersi dalla letteratura psiconcologica, connettendoli tra di loro, ed elaborando infine
un modello trifattoriale. Tale modello prospetta la malattia del cancro come patologia
multifattoriale, la cui insorgenza dipende da tre variabili fondamentali, distinte ma
interagenti tra loro:
1. Fattore di rischio cellulare: si è scoperto che progenitori di oncogeni potenziali
(protoncogeni) sono normalmente presenti nel DNA cellulare; la loro attivazione
può produrre una proliferazione incontrollata delle cellule stesse. Normalmente i
protoncogeni sono al servizio delle comuni esigenze di vita, ma in particolari
condizioni possono degenerare, causando gravi danni all’organismo. Esiste
pertanto in natura un rischio per il cancro che è inscritto nella cellula stessa, che
è parte della sua natura in quanto struttura biologica capace di processi di
crescita, differenziazione, proliferazione. Questo può essere considerato il più
importante fattore di rischio e rappresenta il fattore base.
2. Fattore di rischio ambientale: l’esposizione a cancerogeni ambientali con
azione diretta o indiretta è causa di un discreto numero di neoplasie, come è
stato dimostrato da numerosissime ricerche: vari meccanismi agenti cancerogeni
(alimenti, tabacco, amianto, solventi..) possono concorrere alla eziopatogenesi
del cancro. Rappresentano pertanto degli importanti fattori di rischio.
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3. Fattori di rischio psicosociale: fattori psichici e comportamentali, con
mediazione diretta o indiretta (attraverso vari meccanismi biologici come circuiti
neurali, neuroendocrini e immunitari) possono influenzare in determinati casi la
crescita e il decorso del cancro.
1.2 I modelli psicodinamici ad orientamento analitico
Le teorie psicodinamiche ad orientamento analitico che danno un’interpretazione del
cancro sono numerose. Risulterà evidente che ad esse ho dedicato maggiore spazio
rispetto ad altre di diverso orientamento teorico; ciò rispecchia, oltre che un interesse
personale, la maggiore diffusione che esse hanno in campo psiconcologico
psicosomatico, di cui costituiscono le concettualizzazioni base.
A scopo puramente descrittivo è possibile suddividere i vari contributi in tre grandi
aree:
1. Cancro come simbolo. Tale concezione spiega il cancro in termini di dinamiche
inconsce, attribuendo ad esso un significato simbolico: il processo canceroso appare
come il sintomo di un conflitto intrapsichico non risolto (Groddeck, 1966; Reich,
1976; Fornari, 1985). Tali autori riprendono ed ampliano il concetto freudiano di
conversione, supponendo che parte dell’energia psichica si trasformi in qualcosa di
somatico.
2. La teoria della perdita-depressione. Molti autori, soprattutto di matrice
anglosassone, hanno cercato di trovare conferma all’esistenza di una correlazione tra
disagio psicologico ed insorgenza di cancro.
In primo luogo la ricerca si è concentrata sul possibile ruolo di particolari eventi di
vita infausti che “segnano” in qualche modo la vita del soggetto: in questo senso
numerosi studi retrospettivi mostrano una sorprendente corrispondenza tra traumi
affettivi (perdite precoci, lutti..) e comparsa di tumore dopo un certo periodo (Abse,
1973; Bahnson, 1969).