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Dall’istituzione del codice civile ad oggi c’è stato uno scarso adeguamento
delle norme in esame con le reali esigenze del settore. Il D. Lgs. 460/97 viene in
contro a questa esigenza di qualificazione degli enti non commerciali, quindi
soggetti che già operano nel terzo settore, ma anche a stimolare la nascita di nuove
realtà sociali come l’introduzione delle onlus, che costituisce la vera novità del
decreto, in quanto identifica, seppur a fini fiscali, quella parte degli enti non
commerciali che svolgono attività socialmente utili distinguendoli da quelli che
sono riconosciuti profit.
Il presente lavoro vuole affrontare il tema degli enti non profit, in particolar
modo la figura delle Onlus, con un taglio aziendale, partendo dalla considerazione
che tali soggetti, pur essendo caratterizzati dall’assenza di lucro sono condizionati
dal problema economico di dover gestire al meglio le scarse risorse, finanziarie e
umane, a disposizione reperite in vari modi come nel caso del fund raising, per
raggiungere gli obiettivi che hanno il fine di solidarietà sociale. I soggetti Onlus
nonostante abbiano diritto ad una serie di agevolazioni fiscali sono chiamati a
rispettare veri e propri obblighi come qualsiasi altra fattispecie disciplinata dal
nostro codice civile, quali: la tenuta della contabilità, la redazione del bilancio, le
imposte, l’iscrizione all’anagrafe unica ed una corretta condotta amministrativa.
L’obiettivo di tale lavoro è quello di inquadrare nello specifico la figura delle
Onlus e nel generale quella degli altri enti non profit in tali ambiti; tutto ciò
scaturisce dalla naturale conseguenza di considerarle imprese a tutti gli effetti pur
operando e rispettando la condizione di economicità. Si deve aggiungere il
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notevole sviluppo e rilevanza conseguiti nel corso degli ultimi anni nella nostra
società tale da dover istituire un organo di controllo esclusivamente per la tutela
delle Onlus, quale l’Agenzia per le Onlus.
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1. INTRODUZIONE DELLE ONLUS
NELL’ORDINAMENTO ITALIANO
1.1. CENNI STORICI
Il terzo settore rappresenta una dimensione dell’economia che si sta
imponendo come tendenza strutturale nella società avanzata. Esso da forma ad un
radicale mutamento alla stessa società e si pone oltre la tradizionale dicotomia tra
pubblico e privato, anzi supera la coincidenza tra cosa pubblica e Stato.
Il terzo settore agisce attraverso sue istituzioni (associazioni, fondazioni,
organizzazioni di volontariato), producendo beni relazionali collettivi, d’utilità
sociale ed agisce in base alla logica della solidarietà. Il modello più importante
d’organizzazione di un settore non profit è considerato quello nordamericano.
Esso è utilizzato dai Paesi europei come schema di riferimento per la costruzione
del terzo settore. L’espansione del terzo settore negli Usa è da ricercare in
motivazioni storiche culturali affiancate da una realtà in cui il settore pubblico
riduce al minimo la sua sfera d’intervento in campo sociale, tanto che si parla di
“Stato minimale”, si deve inoltre considerare l’organizzazione del settore fiscale,
poiché le non profit organizations non sono sottoposte ad alcuna tassa.
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In Italia, verso la fine del XIX secolo, si afferma una concezione dell’attività
assistenziale come “funzione” dello Stato e si apre il conflitto tra lo Stato Unitario
e la Chiesa cattolica; tale da condurre all’approvazione della L. n°. 6972 del 1890
nota come Legge Crispi. Essa sottometteva al controllo statale le Opere Pie, che
fornivano servizi di tipo assistenziale, sanitario e educativo trasformandole in
Ipab, Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza, quali organismi di natura
giuridica. Il sistema ha iniziato a mutare quando ha avuto inizio il processo di
decentramento regionale nel 1977 e nel 1988 la Corte ha dichiarato
incostituzionale l’art. 1 della Legge Crispi che, di fatto, proibiva la prestazione di
servizi assistenziali da parte di soggetti privati. Ecco che a partire dagli anni ’80,
le organizzazioni non profit hanno trovato un’importante e crescente collocazione
nella crisi del modello di gestione del Welfare State.
L’insostenibilità del Welfare è una questione molto complessa ma gli aspetti
più rilevanti non possono essere tralasciati come la crescita dei costi alla quale si
ricollegano i limitati incrementi di produttività, l’inefficienza provocata sia
dall’assenza di competizione sia dai problemi nel controllare i comportamenti
opportunistici e la crescita delle retribuzioni degli addetti. Si devono poi
considerare anche le crescenti insoddisfazioni per la qualità dei servizi pubblici
offerti, per la limitata differenziazione dell’offerta stessa e per la scarsa tutela
garantita alle classi sociali più deboli. Le vie seguite per affrontare tale crisi sono
state diverse ad esempio si è ricorso ad un decentramento delle responsabilità, in
materia di servizi, dallo Stato alle amministrazioni locali, oppure per recuperare
l’efficienza sono state introdotte nelle unità d’offerta pubbliche forme e tecniche
di gestione ispirate a logiche privatistiche, nonostante ciò scaturisce la necessità di
sostegno culturale e giuridico da parte del non profit con finalità del tutto sociali.
In particolare nel nostro paese tende sempre più ad affermarsi una partnership
operativa fra stato ed organizzazioni non profit, le ragioni che spingono in questa
direzione sono molteplici le più rilevanti sono:
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• Il settore non profit offre servizi che meglio si adattano alle diverse scelte
del consumatore;
• Favorisce l’introduzione di meccanismi di competizione tra fornitori
(pubblici e privati), così da favorire un miglioramento dell’efficienza e
dell’efficacia;
• Si realizzano prodotti servizi “specializzati” più economici rispetto al
settore pubblico;
• La maggiore economicità deriva dall’uso del lavoro volontario, dai minori
vincoli nella gestione della manodopera e da una maggiore motivazione dei
lavoratori;
La tendenza “ad associarsi per risolvere i problemi” è stata recentemente
riscoperta e rivalutata in Italia, quindi l’ispirazione al modello americano è
apparsa come la soluzione più conveniente le cui caratteristiche salienti sono da
attribuire al maggiore interesse che suscita nei destinatari, alla capacità di attrarre
donazioni, alla facilità di attirare volontari, ne deriva un’equazione come sintesi di
tale posizione: più spazio alle organizzazioni non profit nell’area dei servizi
collettivi uguale alla minor spesa pubblica e un miglior servizio per i cittadini.
Si delinea un nuovo rapporto tra Stato ed enti privati, rispetto al sistema
prefigurato nel codice civile del 1942 in altre parole tali enti non sono più visti
come fenomeni da proibire ma organismi da proteggere e sostenere. Ciò spiega il
favor del legislatore per tali enti che a partire dai primi anni ‘ 90, si manifesta
dapprima con finanziamenti a fondo perduto, poi con sovvenzioni finalizzate e
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agevolazioni ed esenzioni nonché numerosi provvedimenti legislativi, rilevanti sia
dal punto di vista fiscale che dal punto di vista civilistico. Trattasi di normative di
settore, volte a regolare specifiche figure organizzative o aspetti della loro attività,
in relazione alla meritevolezza del fine perseguito e alla sussistenza di specifici
requisiti in capo all’ente stesso, è in questo contesto che si inserisce il D. Lgs. 460
del 1997, il quale ha definito e disciplinato la figura delle ONLUS, organizzazioni
non lucrative di utilità sociale, sulla base del testo elaborato dalla commissione
Zamagli ed intitolato “riordino della disciplina tributaria degli enti non
commerciali e delle organizzazioni non lucrative e di utilità sociali”. Pertanto le
onlus sono considerate come organizzazioni che svolgono unicamente attività di
utilità sociale, pubblic benefit, che non possono distribuire utili e avanzi di
gestione, ma che devono reimpiegarli nella struttura stessa.
Sin dall’inizio della loro storia, le onlus, sono state concepite in vario modo
come ad esempio: sotto-tipo di ente non lucrativo oppure come una piramide dove
esse costituiscono un sottoinsieme dell’ente non commerciale dove l’iniziativa
economica che ad essa fa capo si connota come un’impresa non esclusiva o
principale rispetto al perseguimento dello scopo-fine.
Altro parere è quello del Ministero delle Finanze che ha stabilito che le onlus
costituiscono un’autonoma e distinta categoria di enti, destinataria di un regime
tributario di favore in materia di imposte sui redditi.
Inizialmente erano soggetti che ottenevano risorse grazie a donazioni, rendite
e sovvenzioni che venivano ad essere ridistribuite sottoforma di prestazioni o
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servizi; ora stanno passando dalle primitive forme organizzative ad aziende che
programmano la produzione di beni e servizi e si attivano per acquisire, attraverso
normali forme di scambio, le risorse necessarie a realizzare l’attività, cercando di
conseguire un surplus economico necessario a garantirne la sopravvivenza e lo
sviluppo nel medio e lungo termine.
Le onlus non sono quindi nuovi soggetti che si aggiungono a quelli già noti,
ma sono un “contenitore” fiscale a cui possono aderire i vari e diversi soggetti
giuridici operanti nel campo della cultura, dello sport, della solidarietà sociale,
adeguando il proprio statuto secondo regole fissate dalla legge. E’ introdotto nel
T.U.I.R. un nuovo articolo (111-ter) il quale stabilisce per le onlus, ad eccezione
delle società cooperative, che non costituiscono esercizio di attività commerciale
lo svolgimento delle attività istituzionali nel perseguimento di esclusive finalità di
solidarietà sociale.
Come noteremo più avanti la disciplina sulle onlus sarà povera ma non per
questo non avranno precisi obblighi da rispettare, inoltre sono oggetto di
particolare interesse per la nostra società, visto la notevole crescita realizzata
nell’ultimo decennio.
1.2. COSA SONO LE ONLUS
Affermando il significato di onlus, organizzazioni non lucrative di utilità
sociale, come dice il nome il loro scopo non è quello di guadagnare ponendosi
come obiettivo la massimizzazione del profitto, ma di reinvestirlo nel sociale