Emozioni in parole: la tecnica della scrittura
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cognitiva dell’evento, a miglioramenti dello stato di salute tanto
fisica quanto psichica.
Nella prima parte verranno passate in rassegna le teorie
cognitive dell’emozione, ovvero quelle teorie che si focalizzano
non tanto sull’emozione in sé quanto sulla valutazione cognitiva
generata dal soggetto che vive l’emozione. Quindi, verrà
descritto il processo di regolazione delle emozioni, ovvero il
processo volontario di inibizione o intensificazione delle
emozioni e le sue conseguenze sociali più significative per
l’argomento di questo lavoro: da un lato la ruminazione
mentale, dall’altro il processo più doloroso, ma allo stesso
tempo adattivo, della condivisione sociale.
Il secondo capitolo è inerente le conseguenze della
soppressione delle emozioni. Nella parte centrale viene
descritta la teoria dell’inibizione delle emozioni di James W.
Pennebaker, substrato teorico della parte sperimentale
presentata nell’ultimo capitolo. L’autore sostiene che l’inibizione
delle emozioni generi un indebolimento delle difese del sistema
immunitario e che l’esercizio della scrittura conduca a
miglioramenti nello stato di salute. A tale proposito ha messo a
punto un paradigma sperimentale consistente nell’esercizio di
scrittura per tre/quattro giorni consecutivi
1
ed un software per
l’analisi testuale, il Linguistic Inquiry and Word Count (LIWC)
(Pennebaker e Francis, 1996), basato sul calcolo della
percentuale di parole, appartenenti a specifiche categorie
linguistiche, utilizzate dalle persone che rievocano eventi
traumatici.
Il terzo capitolo affronta il tema inerente la narrazione del Sé
con riferimento al linguaggio utilizzato per esprimere le proprie
emozioni. E’ merito di J. Bruner l’aver approfondito la relazione
fra esperienza ed espressione della stessa, osservando come
la narrazione imponga arbitrariamente un significato al flusso
1
Per la descrizione del paradigma cfr. par.2.4.
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della memoria, evidenziando alcune cause e trascurandone
altre. Inoltre, esprimere le proprie emozioni attraverso la
narrazione richiede l’utilizzo di etichette verbali che influiscono
sulla strutturazione dell’esperienza emotiva; per cui provare
un’emozione e denominarla rappresentano eventi distinti fra
loro discrepanti.
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Capitolo 1
Una panoramica sulle emozioni:
determinanti, approcci cognitivi e
regolazione
“Tutti sanno cos’è un’emozione, finché non gli viene chiesto
di darne una definizione. Allora sembra che nessuno lo sappia”.
(Fehr e Russell, 1984)
Immaginiamo di fare una passeggiata tranquilla in un
boschetto insieme ad un’amica. All’improvviso troviamo di
fronte a noi un uomo con aria minacciosa che ci guarda. In quel
preciso istante stiamo provando un’emozione.
Le emozioni contrassegnano i momenti più significativi della
nostra vita. Sentimenti come orgoglio, ansia, gioia, paura o
rabbia ci segnalano che qualcosa di importante sta accadendo.
La paura segnala che bisogna scappare da un pericolo, la gioia
ci dice che bisogna festeggiare un esito positivo.
Ma come può essere definita un’emozione? In caso di paura
può rappresentare semplicemente l’accelerazione del battito
cardiaco, l’affanno del respiro oppure il nostro impulso
all’attacco o alla fuga?
Questa reazione rappresenta un nodo centrale per gli
psicologi sociali. L’emozione e’ considerata un costrutto
ipotetico non direttamente osservabile, ma inferibile da vari
indicatori e dalla loro interazione (Hewstone e Stroebe, 2002).
Molte teorie concordano nel definirla un’esperienza
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multicomponenziale poiché rappresenta un che coinvolge
l’intero organismo, ossia processi neuropsicologici e
psicofisiologici, processi cognitivi e sistemi di controllo del
comportamento (D’Urso, Trentin 1990; 1992 cit. in Arcuri,
1995).
Questo è chiaramente espresso da Kleinginna e Kleinginna
(1981) per cui:
“L’emozione è un insieme complesso di interazioni fra fattori
soggettivi e oggettivi, mediati dai sistemi neurali/ormonali, che
può: a) suscitare esperienze affettive come senso di
eccitazione, di piacere e dispiacere; b)generare processi
cognitivi come effetti percettivi emozionalmente rilevanti,
valutazioni cognitive, processi di etichettamento; c) attivare
adattamenti fisiologici diffusi di fronte a condizioni di
eccitamento; e d) condurre ad un comportamento che spesso,
ma non sempre, è espressivo, diretto ad uno scopo e adattivo”
(pp. 346).
Attualmente la ricerca sulle emozioni percorre strade diverse
cercando di individuare ed analizzare in maniera distinta le
componenti specifiche delle emozioni (espressioni corporee,
reazioni psicofisiologiche e neurofisiologiche, componenti
cognitive). L’obiettivo, comunque, è quello di arrivare a far
convergere questi diversi piani di analisi in un unico schema
integrato che definisca le caratteristiche proprie di ciascuna
emozione.
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1.1.- DETERMINANTI DELL’EMOZIONE
Le emozioni sono sistemi di reazione coordinati e complessi
che comprendono:
-risposte espressive;
-risposte fisiologiche;
-una valutazione cognitiva;
-una tendenza all’azione;
-sensazioni interne.
• Risposte espressive.
Uno degli aspetti più tipici dell’emozione è il fatto di produrre
in chi la prova delle modificazioni ben visibili nel modo di
esprimersi con la faccia, con la voce e con il corpo.
Questo legame tra emozioni ed espressioni è stato discusso
e analizzato per la prima volta da Darwin nel libro L’espressione
delle emozioni nell’uomo e negli animali (Darwin, 1872 cit. in
Pagel, 2002). Darwin, a cui interessava il significato che le
espressioni facciali possono rivestire in una prospettiva teorica
evoluzionistica, aveva raccolto elementi che provavano che
alcune espressioni facciali: a) compaiono in una forma simile
negli animali inferiori, specialmente nei primati; b) presentano
nei neonati e nei bambini la stessa forma che si osserva negli
adulti; c) sono identiche in persone nate cieche e in individui
con vista normale; d) sono simili in razze e gruppi umani molto
diversi tra loro.
Darwin è stato il primo ad esprimere la convinzione che le
espressioni facciali abbiano una base innata e di conseguenza
un carattere universale, anche se questo non significa che
esse non possano venire influenzate dal contesto culturale in
cui le persone esprimono le proprie emozioni (Birdwhistell,
1970; LaBarre, 1947 cit. in Hager e Ekman, 1983).
Dati a favore del carattere universale di alcune espressioni
sono stati ottenuti da uno studio di Izard (Izard, 1971 cit. in
Ekman, 1993) e da una ricerca di Ekman e Friesen (1971)
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condotta con soggetti della Nuova Guinea assolutamente privi
di giornali, cinema, TV, ecc. e che quindi in nessun modo
potevano aver imparato quali erano per gli occidentali le
espressioni convenzionali delle emozioni. A queste persone
venivano raccontate delle brevi storie (per esempio:…un uomo
ha appena saputo che suo figlio è morto…) e mostrate tre foto
fra cui dovevano scegliere quella che mostrava l’espressione
emotiva più opportuna per la storia ascoltata. Le scelte di questi
soggetti si mostrarono corrette in percentuale elevata; inoltre,
chiedendo loro di produrre queste emozioni, fu possibile
verificare che i muscoli coinvolti nelle espressioni facciali erano
gli stessi per questi soggetti e per quelli delle culture
occidentali.
Pur essendo sostanzialmente convinto dell’universalità di
alcune espressioni emotive, Ekman ritenne di non poter
trascurare i dati di altri studiosi che dimostravano invece la
relatività culturale di queste manifestazioni emotive. Per cui
formulò il concetto di regole di esibizione (display rules) che
consistono di meccanismi, appresi durante il processo di
socializzazione, e che interagiscono con i programmi espressivi
innati. Rappresentano delle abitudini acquisite che agiscono
secondo Ekman in quattro modi: aumentando o diminuendo
l’intensità, rendendo neutra la reazione, cioè mostrando
indifferenza, e mascherando, cioè dissimulando la vera
emozione (Ekman, 1993).
Vi sono altri tipi di comportamento espressivo che possono
palesare delle emozioni. La voce, in particolare, è considerata
un segnalatore molto attendibile degli stati emotivi, ben
riconosciuto dagli osservatori e poco manipolabile da chi parla.
La relazione tra voce ed emozioni è basata sull’assunzione
che le reazioni fisiologiche tipiche di uno stato emotivo
producano delle variazioni negli indici acustici rilevabili nella
produzione del discorso e a carattere universale: emozioni
molto attivanti producono una parlata più rapida, con alte
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frequenze e più ampia estensione della voce, mentre le
emozioni a bassa attivazione si associano ad una parlata più
lenta e con basse frequenze (Frick, 1985 cit. in Hewstone e
Stroebe, 2002).
• Risposte fisiologiche
Si tratta di alterazioni neurali, ormonali, viscerali e muscolari
la cui funzione non è quella di comunicare ma piuttosto quella
di preparare l’individuo all’esecuzione di specifici schemi motori
d’azione (es. “attacca o fuggi”).
Allo studio dei processi fisiologici delle emozioni hanno
contribuito in modo sostanziale alcuni grandi padri della
psicologia.
Secondo la teoria di James-Lange (James, 1980), e
seguendo un esempio che ormai è divenuto un classico, se
siamo sorpresi da un orso nella foresta, non scappiamo perché
abbiamo paura, ma abbiamo paura perché scappiamo. Sulla
base di tale formulazione, la comprensione dei fenomeni
emozionali richiede infatti in primo luogo lo studio del ruolo del
sistema nervoso periferico, autonomo e somatico. E’
l’attivazione di esso in forza di un evento emotigeno a produrre
uno stato emotivo.
Nel 1927 Cannon riprende l’ipotesi di James-Lange per
dimostrarne l’insostenibilità. Getta le basi per una teoria
centrale dell’emozione, assumendo che per ciascuna delle
principali emozioni esistano dei meccanismi speciali del sistema
nervoso centrale, che producono cambiamenti fisiologici
appropriati per l’azione nei diversi sottosistemi dell’organismo
(Frijda, 1990; Hewstone e Stroebe, 2002).
Concludendo queste teorie hanno via via nel tempo messo in
luce l’esistenza di pattern fisiologici specifici per le emozioni.
Inoltre hanno evidenziato come le emozioni servano a
preparare, ma non ad eseguire immediatamente, delle azioni
adattive.