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Queste vicende mostrano, come la storia del denaro sia un progressivo
susseguirsi di processi di simbolizzazione, astrazione e smaterializzazione,
accompagnati da continui riadattamenti cognitivi da parte della collettività
(Ferrari e Romano, 1999). Queste dinamiche sono influenzate, e nello stesso
tempo influenzano, il preesistente sistema di Rappresentazioni Sociali
(Moscovici, 1961), Memoria Sociale e Identità Sociale implicati
congiuntamente nella costruzione della realtà sociale.
Per questo motivo nel primo capitolo ho considerato fondamentale lo studio dei
costrutti di Rappresentazione Sociale, di Memoria sociale e di Identità Sociale
per mostrare il modo in cui convergono nella rappresentazione del denaro, in
particolare della moneta unica.
Nel secondo capitolo, ripercorrendo il pensiero di Parsons (1937;1951;1977),
Luhmann (1984) ed Habermas (1986) il denaro sarà trattato nella sua veste di
medium simbolico che veicola, tramite il linguaggio, significati, valori e
pratiche condivisi dalla collettività.
Infine, nei capitoli 3 e 4, descriverò le basi metodologiche e i risultati della
ricerca condotta al fine di indagare le Rappresentazioni Sociali dell’Euro che un
individuo, inserito in un contesto di interazioni e di pratiche quotidiane, si
costruisce sulla base delle conoscenze preesistenti, legate a loro volta alla
Memoria Sociale di eventi dell’Europa e dell’Italia, alle Pratiche Sociali con
l’Euro e con la Lira e all’Identità Sociale italiana ed europea (de Rosa,
Mormino, 2000).
L’introduzione dell’Euro costituisce, dunque, un evento economico e politico
fondamentale con ripercussioni a livello nazionale, europeo ed internazionale.
La sua storia a lontane radici ma, solo il 1° gennaio 2002, l’Euro diventa una
realtà concreta in quanto si manifesta materialmente in monete e banconote. Le
principali tappe che hanno portato alla creazione dell’Euro sono riassumibili
nella tabella che segue.
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Tabella I. Principali tappe dell’Unione Europea e dell’Euro.
(Fonte: www.europa.eu)
1950 Nascita della CECA
(Comunità Europea del Carbone e dell’Accaio)
1957 Trattati di Roma che istituiscono:
CEE (Comunità Economica Europea);
CEEA o Euratom (Comunità Europea dell’Energia
Atomica)
FES (Fondo Europeo di Sviluppo)
1979 Nascita dello SME (Sistema Monetario Europeo)
1984 Nascita dell’Unione Europea
1990 Firma dell’accordo di Schengen
1993 Entrata in vigore del trattato di Maastricht
Nascita del Mercato Unico Europeo
1994 Nascita dell’IME (Istituto Monetario Europeo)
Entata in vigore dell’accordo di Schengen: avvio alla libera
circolazione dei capitali tra gli stati membri
1995 Il Consiglio Europeo denomina EURO la moneta unica
1996 Vengono presentati i bozzetti delle banconote
1997 Costituzione della Carta fondamentale dell’Eurosistema
1998 Definizione della politica monetaria unica
1999 L’Euro entra nei mercati finanziari
2002 L’Euro entra nel quotidiano
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Capitolo 1
Il denaro come oggetto sociale: un approccio
multi-teorico all’analisi della Rappresentazione
Sociale dell’Euro
1. LE RAPPRESENTAZIONI SOCIALI: UN INQUADRAMENTO
STORICO.
La nozione di Rappresentazione possiede un’ origine sociologica. Inizialmente
Wundt (1900;1920) distingue una psicologia considerata come una scienza di
laboratorio e una psicologia considerata come una scienza sociale , la sua
Volkerpsychologie (Farr, 1984). Conseguenza fondamentale di ciò consiste
nell’influenza che il pensiero di Wundt (1900;1920) ebbe su Durkheim
(1963;1969), il quale sostenne la distinzione tra Rappresentazioni individuali e
Rappresentazioni collettive, ciò che egli chiama in un primo momento
rispettivamente, “rappresentazioni sensibili” e “concetti” (Durkheim 1963).
Egli considera le rappresentazioni sensibili (individuali) come facenti parte di
un flusso ininterrotto, in continuo divenire, permeate da un’ instabile variabilità
e da un carattere effimero (Durkheim 1963). I concetti, invece godono di una
maggiore stabilità di trasmissione e di riproduzione, sono universalizzabili e
fuori dal tempo, sottratti a questa agitazione, resistono al mutamento
(Durkheim, 1963). In sintesi, «le rappresentazioni individuali assumono come
substrato la coscienza di ciascuno, e le rappresentazioni collettive, la società
nella sua totalità» (Moscovici 1992). Quest’ ultime riflettono il modo in cui «la
società concepisce le cose della propria esperienza» (Durkheim, 1963); pensare
per concetti non significa ricondurre il reale a qualcosa di più generale, ma
piuttosto:
«proiettare sulla sensazione una luce che la illumina, la penetra e la
trasforma.[…]collocare il variabile sotto il permanente, l’individuale sotto il sociale»
(Durkheim, 1963, p.475-477)
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Durkheim (1963) avverte la necessità insita nell’individuo di trascendere dalle
sue rappresentazioni personali e di ricorrere ad «un mondo di nozioni-tipo» per
mezzo del quale far luce e districarsi nella complessità del reale.
Moscovici (1992) afferma che una linea di demarcazione tra le componenti
individuali e quelle collettive può essere costituita dall’ elemento simbolico.
Tramite quest’ ultimo si designa un qualcosa che sta per qualcos’altro, ed è
anche il significato che sta dietro al termine “rappresentazione”. Il simbolismo è
un aspetto predominante nel pensiero di Durkheim (1963;1969). Egli lo
trasforma in un mezzo mediante il quale «la società diventa cosciente di se
stessa» (Moscovici, 1992). Il sociologo francese in “Le forme elementari della
vita religiosa” (1963), eleva l’elemento simbolico a fattore centrale delle più
diverse forme della vita collettiva (Deutscher, 1984). La religione, il mito, il
rito, il culto, tutto è permeato dal “simbolo”, che illumina la «coscienza
collettiva» (Durkheim, 1963), la quale trascendendo le contingenze personali,
fornisce agli individui schemi in base ai quali codificare la realtà ed agire
congruentemente rispetto ai circoli rappresentativi da essi creati. Il simbolo e
quindi la rappresentazione, da una parte guida l’agire sociale e dall’altra
costituisce una forma di coercizione esterna, un vincolo sociale,
«consapevolmente riconosciuto» (Deutscher, 1984), in quanto “impone” agli
individui di forgiare le proprie convenzioni sociali, il proprio pensiero in modo
conforme alla società o, più in particolare, al significativo gruppo di riferimento.
Tralasciando l’arbitraria dicotomia individuale - collettivo, lo scienziato
francese Levy-Bruhl (citato in Moscovici, 1992, p.83), focalizza l’attenzione sul
rapporto tra la società e le sue rappresentazioni, (Moscovici, 1992)
preconizzando il passaggio verso la dimensione “sociale” della nozione di
rappresentazione. Egli sottolinea la variabilità caratterizzante le
rappresentazioni a seconda del quadro sociale in cui vengono originate e
costruite. In particolare distingue una “mentalità primitiva” contraddistinta da
un pensiero «mitopoietico», ed una “mentalità civilizzata” caratterizzata,
invece, da un pensiero «logico-empirico» (Goody e Watt, 2000, p.322). A
questo proposito Levy-Bruhl (citato in Moscovici, 1992, p. 84) afferma che «i
modelli di rappresentazione che formano la mentalità di un popolo, non sono
misurabili con quelli di un altro popolo» . Sulla scia del pensiero di Levy-Bruhl
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(1952), lo psicologo svizzero Piaget (citato in Moscovici, 1992, p) si dedica
all’analisi delle rappresentazioni del mondo del bambino, individuando una
complessa variabilità delle rappresentazioni del bambino, dovute appunto al suo
sviluppo, quindi un effetto di un’evoluzione naturale (Moscovici, 1992).
Analogamente allo scienziato francese, Piaget (1926) identifica nella nostra
cultura da una parte, un pensiero “primitivo”, sensibile, più propriamente
sociocentrico, tipico del mondo del bambino e, dall’altra una mentalità
“civilizzata”, logica, frutto di operazioni formali e di processi di socializzazione,
proprio dell’universo dell’ adulto. Anche lo psicologo svizzero considera questi
due mondi come non misurabili mutuamente, in quanto, alla stregua di due
distinte società, sono fondati su difformi substrati psichici, caratterizzati da
diversi processi cognitivi, nonché plasmati attraverso differenti processi
rappresentativi. Moscovici (1992) fa notare che ciò potrebbe condurre ad uno
sconvolgimento di uno dei presupposti sul quale Durkheim (1963;1969) fonda il
proprio pensiero, ossia l’omogeneità e la stabilità con le quali le
rappresentazioni vengono trasmesse, di generazione in generazione ai vertici di
una collettività.
In tal senso, si percepisce il preludio di un nuovo passaggio nella storia dello
studio della nozione di rappresentazione, che vede piuttosto un affievolimento
della predominanza del “sociale” come spiegazione della teoria, sempre più
rivolta, invece, all’individuale (Moscovici, 1992).
In “Atteggiamenti e Rappresentazioni Sociali” Jaspars e Fraser (1984) citano
Thomas e Znaniecki (1918), in quanto quest’ultimi, a differenza di altri
psicologi sociali quali Allport (1954) o Fishbein (1960) (entrambi citati in
Jaspars e Fraser, 1984, p 143) che utilizzano il costrutto di atteggiamento con un
accezione puramente individuale, percepiscono l’importanza di attribuire a tale
costrutto una natura sociale. Thomas e Znaniecki (1918) collegano
l’atteggiamento, «come riflesso del mondo sociale nell’individuo» (Jaspars e
Fraser, 1984) , a ciò che loro chiamano «valori sociali», elementi oggettivi della
vita sociale, come un piatto elaborato, un mito, una moneta, etc. In sintesi, gli
atteggiamenti e i valori sociali, costituiscono due versanti, l’uno psicologico e
l’altro sociologico, di una stessa realtà (Doise, 1992).
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La nascita del concetto di Rappresentazione Sociale e l’assunzione quindi di
pari dignità della dimensione sociale ed individuale nella costruzione della
rappresentazione si deve a Serge Moscovici (1961), il quale percepisce
un’insufficienza nei concetti e nei paradigmi della psicologia sociale (Jodelet,
1992) e , dunque, tenta di costruire un paradigma capace di apportare nuova
luce alla psicologia sociale, permettendo di studiare l’agire sociale, evitando di
deformarlo o semplificarlo. Egli trova nel costrutto di Rappresentazione Sociale,
lo strumento che permette di ovviare alle carenze della psicologia sociale. Infatti
Moscovici (1984) sostiene che:
«le rappresentazioni sociali non sono semplicemente «opinioni su», «immagini di», o
«atteggiamenti verso», ma sono di diritto «teorie» o «branche della conoscenza» che
vengono usate per la scoperta e l’organizzazione della realtà » (Jaspars e Fraser,
1984, trad. it., p. 130)
Le Rappresentazioni Sociali hanno quindi, secondo Moscovici (1984), una
doppia funzione: da una parte fissano un ordine che permette agli individui di
comprendere ed orientarsi nel mondo, nonché di padroneggiarlo e, dall’altro
forniscono un codice che permette loro la comunicazione e gli scambi sociali, in
modo da poter classificare e denominare chiaramente gli aspetti del loro mondo
(Jaspars e Fraser, 1984), consentendo così la circolazione e la trasmissione
delle Rappresentazioni Sociali condivise.
Si dovrà ancora attendere un periodo di latenza, prima che la nozione di
Rappresentazione Sociale si veda operante in discipline quali la sociologia,
l’antropologia, la storia (Jodelet, 1992) e, attraverso i processi cognitivi che
implica, raggiungere la psicologia cognitiva, la cognizione sociale, la logica
naturale, la socio-linguistica (Jodelet, 1992). «Questa molteplicità di relazioni
con discipline vicine, conferisce al trattamento psicosociologico della
rappresentazione uno statuto trasversale, che interpella ed articola diversi campi
di ricerca, reclamando non una giustapposizione, ma una reale coordinazione
dei loro punti di vista» (Jodelet, 1992, p. 53).
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Nel 1961, Moscovici, con la sua opera “La psychanalyse, son image e son
public”, intende dimostrare come una nuova conoscenza scientifica si diffonda
ed entri a far parte di una determinata cultura e, come, quest’ultima trasformi il
sapere scientifico in un sapere ingenuo, avviando un processo in cui sia il
sistema culturale preesistente e che la nuova teoria scientifica introdotta si
modificano vicendevolmente. Moscovici (1961) sceglie come oggetto del suo
studio la psicoanalisi che in quel periodo stava penetrando nella società francese
(Farr, 1989). La prima parte della su opera, è centrata sulla valutazione delle
conoscenze della popolazione francese sulla psicoanalisi, tramite l’utilizzo di
questionari. Nella seconda parte si dedica all’analisi del contenuto di numerosi
articoli concernenti argomenti psicoanalitici che erano apparsi in tre settori della
stampa francese: i giornali a grande tiratura detti indipendenti, la stampa
cattolica e quella militante comunista (Palmonari, 1984).
Moscovici (1961) identifica tre tipi di comunicazione corrispondenti ai tre
settori della stampa. Una modalità di comunicazione basata sulla diffusione
tramite la quale, la stampa di opinione diffonde un sapere comune adattandosi
agli interessi del suo pubblico; la propagazione, con cui la stampa cattolica tenta
di diffondere un atteggiamento il più possibile coerente con la religione; infine,
per quel che concerne la stampa militante comunista, essa crea e diffonde, sulla
base di un sistema di comunicazione propagandistico, una posizione di netto
rifiuto.
In tal modo Moscovici (1961) dimostra che differenti modalità comunicative si
convertono in altrettanti dissimili predisposizioni all’agire e, che quindi vi è una
corrispondenza tra la comunicazione e il modo di edificazione della condotta
(Palmonari, 1984). Moscovici (1961) assegna un ruolo di primo piano alla
comunicazione in quanto dispensatrice di un sapere comune e creatrice di un
«universo consensuale» (Jodelet, 1992); tramite gli scambi e le interazioni
sociali, le rappresentazioni si co-costruiscono, in quanto «il linguaggio porta la
comunicazione al livello simbolico» (Farr, 1984), si tramandano e si
perpetuano.
La Rappresentazione Sociale è una forma di conoscenza specifica, una teoria di
senso comune, «una conoscenza socialmente elaborata e partecipata» (Jodelet,
1989), in quanto è creata a partire dalle esperienze, dalle informazioni, dai
modelli di pensiero ricevuti e trasmessi (Jodelet, 1989).
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Una Rappresentazione Sociale ha la funzione di stabilire una serie di categorie e
concetti comuni (Durkheim, 1963), in base ai quali codificare, comprendere e
dominare, «l’ambiente sociale, materiale ed ideale» (Jodelet, 1989) e, di
rendere familiare il non familiare, definendola ulteriormente come una modalità
di pensiero pratico. (Jodelet, 1989). Abric (citato in Deutcher, 1984, trad. it., p.
125) specifica che «una rappresentazione sociale è sia il prodotto che il
processo di un’attività mentale per mezzo della quale un individuo o un gruppo
ricostruisce la realtà che ha di fronte e attribuisce ad essa un significato
specifico» (Deutcher, 1984, trad. it., p. 125). Infine la Rappresentazione
Sociale, in quanto sistema d’interpretazione, consente il mantenimento
dell’identità sociale, nonché contribuisce a favorire la coesione e l’unità nel
gruppo (Jodelet, 1989).
I processi di Oggettivazione e Ancoraggio danno vita a ciò che Moscovici
(1984) ha definito «alchimia» delle rappresentazioni, «che trasmuta il vile
metallo delle nostre idee nell’oro della nostra realtà» (1984, trad. it. p. 40).
Secondo Jodelet (1989) il processo dell’oggettivazione permette di dare corpo a
schemi concettuali, rendere concreto l’astratto, quindi, di materializzare la
parola.
Il modello si sviluppa mediante tre meccanismi. Per mezzo della «costruzione
selettiva», si opera una selezione ed una decontestualizzazione degli elementi di
una nuova teoria scientifica che vengono rielaborati e ricostruiti all’interno di
una teoria di senso comune; la «schematizzazione strutturante» permette la
formazione di un «nucleo figurativo, un complesso di immagini che riproduce
visibilmente un complesso di idee» (Moscovici, 1984); infine tramite la
«naturalizzazione», gli elementi, ormai immaginifici della teoria,
vengono concretizzati acquisendo un’entità naturale. In questo modo, ad
esempio, «l’inconscio è inquieto», «i complessi sono aggressivi» (Jodelet,
1989).
Il processo dell’ Ancoraggio - come anche quello dell’Oggettivazione – è basato
sul processo di memorizzazione, in quanto si tenta di conoscere delle idee
insolite, non familiari, integrandole negli schemi di pensiero precostituiti
(Jodelet, 1992).Con tale processo si dota di senso ciò che è sconosciuto,
interpretando così la realtà ed orientando le condotte e i rapporti sociali.
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L’incontro tra la novità e il sistema di conoscenze preesistente produce due
ordini di fenomeni, ciò che Moscovici chiama «polifasia cognitiva»: da una
parte, l’assorbimento del nuovo nel pensiero preesistente può generare, secondo
l’autore, una «conversione» delle rappresentazioni precedenti che si
modificano, adattandosi, al nuovo elemento; dall’altra, invece, possono
prevalere i vecchi sistemi di pensiero, di conseguenza il nuovo viene
classificato, categorizzato, etichettato e riadattato alle posizioni precedenti.
In sintesi, Jodelet (1992) riconosce che le Rappresentazioni Sociali sono sempre
una rappresentazione di un oggetto; hanno un carattere immaginifico,
determinato dall’oggettivazione, e un carattere significante, grazie
all’ancoraggio; sono caratterizzate da autonomia e creatività e, si riferiscono
non alla “ri-presentazione” di un segno quanto alla “costruzione” del segno, in
quanto l’individuo nell’atto di rappresentazione fa emergere, oltre al simbolo
che quest’ultima veicola, un’interpretazione personale. L’autrice parla, a tal
proposito di «décalage» del soggetto con il referente della rappresentazione, un
«décalage» dovuto alle forme di pensiero preesistenti, alle norme collettive, alle
implicazioni personali ed ai coinvolgimenti sociali degli individui che
caratterizzano il contesto sulla base del quale si sviluppa il processo di
costruzione delle Rappresentazioni Sociali. In questo senso si pone in risalto il
ruolo significativo che riveste l’individuo, nella costruzione delle
Rappresentazioni Sociali di fatto compenetrazione di processi cognitivi e di
fenomeni sociali.