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Qualche volta, nonostante tutto, l’incidente capita ugualmente: il più
delle volte si tratta di problemi banali che di norma non lasciano conseguenze;
più raramente i problemi sono importanti e gravi, e possono provocare danni
seri e permanenti.
A questo scopo è rivolta la Medicina del Lavoro, ed in particolare la
Medicina Subacquea, sua branca, la quale si occupa della diagnosi, del
trattamento e della prevenzione delle condizioni patologiche associate
all’immersione del corpo umano in un ambiente liquido. Include lo studio degli
effetti della pressione dei gas sull’organismo, la diagnosi e il trattamento degli
infortuni marini durante le varie attività professionali e come la sicurezza del
subacqueo sia influenzata dalla sua idoneità fisica.
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2. CENNI STORICI
Nel 1938, il professor F. Molino diede vita alla Clinica del Lavoro di
Genova e, spinto dalla sua grande passione per il mare, vi costituì un gruppo di
ricerca sulla Medicina Subacquea. Il professor Molfino si occupava dei
“cassonisti”, operatori subacquei addetti ai lavori in mare che, in assenza di
camere iperbariche, venivano sottoposti a ricompressioni terapeutiche
all’interno dei cassoni stessi.
Tuttavia, la vera e propria attività di Medicina Subacquea è iniziata nel
1952 con le ricompressioni terapeutiche di “cassonisti” e palombari, mediante
l’uso di una camera “Galeazzi” monoposto, poi sostituita da un’altra capace di
maggiori pressioni di esercizio.
Damiano Tannini e Giorgio Odaglia furono i due giovani assistenti che
svilupparono a Genova la Medicina Subacquea, ricomprimendo, curando,
istruendo palombari, “cassonisti” e i primi subacquei che si immergevano con
apparecchi respiratori ad ossigeno e ad aria.
Nel 1956 fu anche messa in funzione la camera multiposto che vedrà in
seguito migliaia di trattamenti per un periodo di oltre trent’anni.
Successivamente, nel 1963 ci si rese conto che in ambito nazionale non
esistevano medici con una preparazione specifica e certa. L’Università di
Genova istituì così, attraverso l’Istituto di Medicina del Lavoro, un corso di
Medicina Subacquea.
Contemporaneamente era apparsa nel mondo scientifico e su basi
moderne, al fianco della medicina subacquea, la Medicina Iperbarica: ci si era
accorti che l’ossigenoterapia praticata all’interno di camere iperbariche poteva
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essere utile anche per curare patologie diverse dalla “malattia da
decompressione”.
La Medicina del Lavoro di Genova fu molto attiva nel campo: già nel
1962 venivano, per la prima volta in Italia, trattate intossicazioni da monossido
di carbonio con ottimi risultati; furono anche trattate con successo piaghe da
decubito e diverse patologie ossee, oltre naturalmente agli incidenti disbarici.
Per quanto riguarda invece la formazione professionale subacquea,
sempre a Genova fu istituita nel 1849 la prima Scuola Professionale e Militare
Subacquea per la formazione di palombari nell’ambito della Marina Militare;
infatti, come già accennato, inizialmente la presenza dell’uomo in immersione
era legata fondamentalmente ad esigenze di natura bellica.
Venne a questo scopo assunto Robert Gardner, un palombaro inglese
uscito dal ristretto gruppo di coloro che avevano sviluppato e messo in atto la
recente invenzione dell’elmo e dello scafandro da palombaro dei fratelli Deane
e di Siebe, ampiamente utilizzata tra il 1834 e il 1843 sul relitto del Royal
George ed in altri interventi di lavoro in acque britanniche, che sancirono la
paternità dell’equipaggiamento da palombaro e la nascita di una figura
professionale destinata ad evolversi in un arco di tempo di oltre un secolo e
mezzo.
In tempi più recenti a Genova ebbero anche inizio i corsi formativi per
gli operatori subacquei dell’Arma dei Carabinieri e dei Vigili del Fuoco.
La formazione professionale degli operatori subacquei per le attività
commerciali e industriali si è sviluppata in modo organico e codificato in Italia
solo a partire dall’inizio degli anni ’70 con la costituzione di due
organizzazioni formative per l’alto fondale, fornite da SAIPEM e SSOS (Sub
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Sea Oil Services). Sempre negli anni ’70 venivano istituite altre due scuole per
la formazione degli OTS (Operatori Tecnici Subacquei) di basso fondale.
Negli anni ’80, con la scomparsa delle due scuole professionali
industriali, si creò lo spazio per la nascita di una scuola per OTS a Genova, in
ambito portuale con il supporto dell’ENFAP (Ente Nazionale Formazione
Addestramento Professionale) che iniziò con corsi di basso fondale per passare
dopo pochi anni all’alto fondale, grazie anche alla collaborazione con l’Istituto
di Medicina del Lavoro e la stessa SAIPEM.
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3. PROBLEMATICHE dell’ IMMERSIONE
SUBACQUEA
3.1 Narcosi d’azoto
La narcosi d’azoto è un’insidiosa e pericolosa sindrome che può
insorgere nelle persone che praticano attività subacquea. E’ stata anche definita
“euforia da azoto” o “estasi da profondità”, poiché gli effetti sul subacqueo
sono simili a quelli da eccesso di alcol. Così come l’alcol, l’azoto compromette
la capacità di giudizio e di coordinamento del soggetto, in particolare a
profondità superiore a 30 metri.
Il meccanismo preciso non è ben chiaro. La scienza stessa, pur
riconoscendo che questo problema è causato dall’aumento rapido della
pressione parziale e quindi della concentrazione dell’azoto, non è ancora
riuscita a stabilire dei parametri che consentano di prevenirne l’insorgenza.
La narcosi d’azoto è un’alterazione neuropsichica che si manifesta nelle
immersioni con autorespiratore ad aria compressa ed è determinata dall’azione
narcotica dell’azoto ad elevata pressione. Quindi, maggiore è la pressione,
maggiore è l’azione narcotica dell’azoto sulle membrane cellulari. Per la legge
di Henry: “A temperatura costante, la quantità di gas che si può sciogliere in
un liquido è direttamente proporzionale alla pressione parziale del gas stesso”.
Ciò significa quindi che, aumentando la profondità aumenta la quantità di azoto
trasportato nel sangue e presente nei tessuti. Il meccanismo d’azione dei gas
inerti nel provocare tali fenomeni è complesso e legato a vari fattori, di cui il
più importante è la solubilità del gas nei grassi. Esso è stato infatti associato
con la solubilità dell’azoto nel tessuto lipidico che ricopre le cellule nervose,
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dove interferisce con la trasmissione degli impulsi nervosi.
Il processo che presiede all’assorbimento di una quantità maggiore di
azoto è detto assorbimento o “saturazione”, mentre quello in base al quale esso
viene ceduto è detto eliminazione o “desaturazione”. Da studi effettuati, le
immersioni con percentuale minore di narcosi sono quelle con profondità
massima inferiore ai 20 metri e con velocità di discesa inferiore a 2 metri al
minuto. Bisogna essere particolarmente prudenti, poiché la soglia individuale
può essere variabile. La narcosi non si manifesta infatti in modo automatico ad
una precisa profondità uguale per tutti gli individui, ma dipende da soggetto a
soggetto, da situazione a situazione e non sempre si ripete con la medesima
cadenza ed alla stessa quota nello stesso individuo.
Gli effetti della narcosi d’azoto, sono spesso ignorati man mano che il
subacqueo, proprio a causa di tali effetti, diviene eccessivamente fiducioso in
sé stesso. Questo è particolarmente vero per i subacquei “esperti”, che possono
già aver compiuto molte immersioni oltre i trenta metri senza aver notato
particolari problemi. La maggioranza dei subacquei è ancora in grado di
assolvere a compiti ed azioni di routine, ma può non essere in grado di
affrontare situazioni di emergenza dovute al modo di agire incoordinato e alla
diminuzione delle capacità mentali. La narcosi riveste un ruolo rilevante nella
dinamica di molti incidenti subacquei.
Vista l’importanza basilare che la narcosi assume nelle immersioni
profonde, è opportuno soffermarsi anche sulle cause, ovvero sui fattori che ne
predispongono l’insorgenza o che la scatenano. Occorre sottolineare che, pur
essendo un pò l’uno e un pò l’altro, alcuni di questi fattori sono più
predisponenti e altri più scatenanti. In particolare non è affatto vero che la
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narcosi aumenta pian piano, ma in determinate condizioni può precipitare in
pochi secondi. Le cause che ne determinano l’insorgenza, si possono
suddividere in tre categorie: cause fisiche, psicologiche e ambientali o
operative.
Cause fisiche:
- la stanchezza e l’assenza di riposo predispongono ad una maggiore sensibilità
alla narcosi. Un subacqueo poco allenato o stanco tende a non controllare la
propria respirazione ed il suo corpo si affatica anticipatamente, ciò richiede un
maggior apporto di volume di ventilazione, che, se non controllato, può portare
alla narcosi;
- l’alcol ha un effetto depressivo sui centri nervosi, effetto che si somma
all’effetto narcotico dell’azoto ad alte pressioni, predisponendo il subacqueo ad
una maggiore sofferenza;
- alcuni farmaci hanno effetti che possono predisporre alla narcosi: farmaci
contro le cinetosi ed altri che agiscono sul cervello come ipnotici, sedativi. I
farmaci vanno perciò accuratamente controllati dal medico in vista di
un’immersione.
Cause psicologiche: lo stato mentale del soggetto può influire in maniera
rilevante sull’insorgenza della narcosi. Dato che questa colpisce principalmente
il sistema nervoso, bisognerebbe che lo stesso non fosse già sollecitato
negativamente da condizioni preesistenti:
- riflesso di un’indisposizione fisica, a causa, ad esempio, di un malessere
fisico preesistente. Ciò può provocare una ripercussione psicologica negativa
sullo stato mentale dell’individuo, deprimendo quindi il suo equilibrio
psicofisico. Spesso questo stato d’animo non è avvertito dal subacqueo e
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rimane allo stato latente, per poi eventualmente precipitare improvvisamente;
- ansia dovuta ad uno stato psicologico sfavorevole, ad uno stato di nervosismo
preesistente, alla paura, alla costrizione, ad un imprevisto durante
un’immersione o un lavoro. Questo tipo di stato mentale può determinare una
situazione anomala sull’equilibrio psichico dell’individuo;
- stress, che può essere sia fisico che mentale. Lo stress è il risultato di una
reazione dell’organismo all’incapacità, conscia o inconscia, di soddisfare le
esigenze fisiche e psichiche del momento. Maggiore è la difficoltà
nell’affrontare una determinata situazione, maggiore sarà il carico fisico e
mentale; questa è la condizione per cui un soggetto può cadere completamente
in preda alle proprie emozioni e non ragionare più con la normale freddezza,
fino a perdere completamente il controllo di sé stesso e di chi lo circonda.
Cause ambientali ed operative: come già esposto in precedenza, la causa
determinante della narcosi d’azoto è l’aumento della pressione parziale di
questo gas, ovvero la profondità, e la trasformazione dello stesso in agenti
chimici che vanno ad interagire negativamente, a livello cellulare, con il
sistema nervoso centrale. Inoltre maggiore è la permanenza in immersione ad
alte quote, maggiore sarà l’effetto narcotico:
- la velocità di discesa è un importante fattore scatenante. La discesa deve
rallentare rapidamente se si presentano sintomi narcotici: se non si rallenta la
discesa, la narcosi potrebbe trasformarsi in crisi violenta, dovuta all’aumento
repentino della pressione. Il momento di maggior sensibilità alla narcosi si ha
una volta raggiunta la profondità stabilita, in quell’istante è opportuno
concedersi una breve pausa prima di intraprendere qualsiasi lavoro, questa
pausa permetterà di adattarsi alla pressione raggiunta;