Introduzione
4
Pier Paolo Pasolini definendo il Pci “un paese nel paese” ha, secondo il mio punto
di vista, colto l’aspetto più significativo della vita del Partito comunista più grande
ed importante dell’Europa occidentale.
Il Partito comunista italiano è sempre stato una presenza costante e determinante
nella storia di Italia del XX secolo. Dal momento della sua nascita e fino alla sua
scomparsa infatti il Pci è stato un Partito che, nel bene o nel male, ha lasciato il
segno in tutti i maggiori avvenimenti della storia italiana. Durante il Fascismo è
stato l’unico partito ad essere presente clandestinamente in Italia e a cercare di
opporsi, seppure con mezzi molto limitati, ad un Regime che altrimenti, dentro i
confini nazionali, sarebbe stato incontrastato. Inoltre non può essere messo in
discussione da nessuno il ruolo egemone del Pci sulle altre forze antifasciste
durante la Resistenza. Ed infine, per oltre quaranta anni il Pci e la Dc sono stati i
protagonisti principali di quella democrazia italiana che, sebbene con ruoli diversi,
hanno contribuito entrambi a fondare e a far crescere. Quindi se per la Dc, il
principale partito di governo, può essere giustamente dato un giudizio storico
positivo, lo stesso trattamento deve essere riservato al suo antagonista, il Pci, che
pur subendo in molte fasi della sua esistenza i condizionamenti dell’Unione
Sovietica, ha svolto continuamente un ruolo di primo piano nella politica italiana e
può essere considerato a tutti gli effetti “un’altra importante parte del Paese”. Non
si spiegherebbe altrimenti il perché la stessa Dc, con la fine del Pci, ha cessato di
esistere. E infatti sebbene Tangentopoli abbia messo la pietra tombale sul partito
dello “scudo crociato”, la Dc è morta solo dopo aver concluso il suo compito
principale, ovvero sbarrare le porte del governo ai comunisti. La corruzione nella
politica italiana è stata un leit motiv per tutti gli anni ’80, e lo ha dimostrato
l’insistenza sulla “questione morale” di un leader pulito come Berlinguer, ma
Introduzione
5
Tangentopoli, con tutte le sue conseguenze, è potuta partire solo dopo che il
“pericolo comunista” era stato debellato.
Il Pci è stato inoltre un riferimento importante, ed in alcuni casi insostituibile, nelle
storie individuali di milioni di donne e di uomini del nostro Paese. Una immensa
comunità, un paese Partito che si estendeva in tutto il paese Italia e in cui “l’essere
compagni” ed avere in tasca la tessera del Pci costituiva un inalienabile diritto di
cittadinanza. In qualsiasi località italiana si trovasse, anche la più sperduta, un
compagno del Pci poteva recarsi in una sezione del Partito per chiedere aiuto o
semplicemente per intrattenersi. E’ una storia questa che potrebbero raccontare
tanti meridionali emigrati al nord ai quali molte volte era il Pci a fornire la prima
accoglienza e, ed è questa sicuramente la cosa più importante, ad agire per farli
sentire “meno soli”. E quante altre storie avrebbero potuto raccontare i braccianti
di Cerignola ai quali il Partito ha insegnato “a non togliersi il cappello davanti al
padrone di lavoro” e a chiedere, con dignità, il rispetto dei propri diritti, facendoli
così diventare “cittadini”. Quando questa storia è finita in molti si sono sentiti
orfani e tantissime persone, famiglie e amicizie non sono state più le stesse.
Ma proprio perché è finita questa storia poteva essere raccontata. E nonostante gli
ovvi limiti, poteva essere raccontata tutta, dall’inizio alla fine.
Ho provato con il lavoro svolto a fare questo e sono stati sicuramente preziosissimi
per me i lavori di chi, negli anni precedenti. ha speso tanto tempo della propria vita
per scrivere della storia di questo Partito. Tra questi il più grande di tutti, il punto di
riferimento inarrivabile e che purtroppo ha dovuto lasciare incompleto il proprio
lavoro, è stato Spriano, ma importanti contributi sono stati anche quelli di Agosti,
Galli, Colarizi, per quanto riguarda la storia della politica italiana, e, perché no, del
sanseverese Pistillo. Perché negare che senza il loro impegno un lavoro
Introduzione
6
“relativamente sistematico” di ricostruzione della storia nazionale del Pci sarebbe
stato irrealizzabile?
Essendo finita da poco questa storia poteva essere raccontata anche da coloro che
questa storia la hanno vissuta. Tra le molte possibilità che avevo a disposizione ho
scelto tre persone a me care e l’incontro con ognuno di questi non solo è stato
utilissimo ai fini del lavoro svolto, ma mi ha insegnato qualcosa. Ho affidato loro il
compito di parlare del Pci in Capitanata, dal dopoguerra alla sua fine, certo che con
la loro esperienza, partita dalle sezioni dei paesi natali e culminata in Parlamento,
avrebbero potuto narrare ai lettori non solo la storia di un partito, ma quella di una
Terra e di un Popolo. Tre uomini, Michele Galante, Pasquale Panico, Angelo Rossi,
dotati di un comune denominatore, l’onestà intellettuale, e le cui esperienze si
completano con la stessa precisione con la quale sono soliti incasellarsi i pezzi di un
puzzle.
Michele Galante, il dirigente del Partito esperto, attento e curioso, era perfetto per
un lavoro di ricostruzione storiografica che “ introducesse”, sul modello di una
relazione , gli altri interventi.
Pasquale Panico, il leader del Sindacato e dei braccianti di Cerignola, una delle
massime memorie storiche viventi, che con la sua esperienza e simpatia poteva
raccontare meglio di chiunque altro gli aneddoti di un Partito composto da donne e
da uomini.
Angelo Rossi, l’ intellettuale e lo storico, al quale era d’obbligo destinare un ruolo
di analisi storica, politica e culturale.
Un’altra curiosità è data dal fatto che ognuno dei tre, ha intrapreso una scelta
diversa dopo la fine del Pci. Michele Galante si è iscritto al Pds ed è ancora oggi
uno dei principali dirigenti provinciali e regionali dei Ds. Pasquale Panico, pur
Introduzione
7
avendo contribuito, più di chiunque altro, alla nascita di Rifondazione comunista,
non hai mai preso la tessera di quel Partito in quanto convinto che la sua stagione
politica si dovesse concludere con la fine del Pci e attualmente fa il nonno, segue
come sempre la politica, all’occorrenza non disdegna di dire la sua e dispensa
preziosi consigli ai giovani impegnati in politica. Angelo Rossi è stato il primo
Segretario provinciale di Rifondazione comunista ed è stato eletto Senatore della
Repubblica in quel Partito nel 1994. Oggi, dopo essere fuoriuscito dal Prc nel 1995,
è Presidente “dell’Associazione per la sinistra” ed è un importante riferimento
culturale della politica di Capitanata.
La storia del Pci nazionale e di Capitanata doveva essere raccontata. Doveva essere
raccontata perché è stata parte della storia del nostro Paese, l’Italia, e della nostra
Terra, la Capitanata. Doveva essere raccontata distinguendo gli indubbi meriti dagli
inevitabili errori. E non doveva essere raccontata per tentare oggi di “rifare il Pci”,
perché quella è stata una storia irripetibile, figlia di un mondo che ora non c’è più.
Ma doveva essere raccontata per i tanti giovani che, non certo per colpa loro, hanno
perso, con la fiducia nella politica e nella democrazia, la speranza in un futuro
migliore.
I Capitolo
Da Livorno alla Liberazione
I Capitolo
Da Livorno alla Liberazione
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La nascita del Partito comunista
Il 21 gennaio del 1921 nel teatro S.Marco di Livorno nacque il Partito Comunista
d’Italia (Pcd’I
1
) sezione italiana della III Internazionale. Il luogo che avrebbe dato i
natali a quello che in futuro sarebbe diventato il più grande ed importante partito
comunista dell’Europa occidentale, era stato utilizzato durante la guerra appena
conclusa come deposito e si presentava, come ricordò Terracini
2
, come un luogo
angusto, senza luce, privo di sedie e di panche, con finestre senza vetri ed il tetto
sfondato.
Coloro che costituirono il Pci furono una minoranza dei delegati del XVII Congresso
del Psi, che si tenne in quei giorni a Livorno in un altro teatro, il Goldoni.
Il Congresso socialista aveva appena rifiutato, con solo un quarto di voti contrari,
come previsto nelle 21 condizioni per l’adesione all’Internazionale Comunista, di
espellere i membri della corrente riformista del Partito. La minoranza, che
rappresentava 58.783 iscritti su 216.337, e che abbandonò il Goldoni riunendosi al
S.Marco, era costituita dal gruppo “astensionista” che faceva capo a Bordiga, futuro
primo Segretario generale del nuovo Partito, dal gruppo dell’Ordine Nuovo
3
di
Gramsci, Togliatti, Terracini e Tasca, dalla corrente massimalista di Marabini e
Graziadei e dalla stragrande maggioranza della Federazione giovanile socialista
1
Il Pcd’I cambiò la denominazione in “Partito Comunista Italiano” (Pci) in seguito dello scioglimento
dell’Internazionale Comunista (Comintern) avvenuta nel 1943. Utilizzando un metodo di
semplificazione adotteremo sempre la dicitura Pci.
2
Cfr. “La storia del futuro Livorno 1921 – 2001” numero unico edito dalla Direzione nazionale del
P.r.c. in occasione dell’ottantesimo anniversario della nascita del Pci.
3
L’”Ordine Nuovo” fu una rivista diretta da Gramsci e stampata per la prima volta il I maggio del
1919. La rivista diventerà ben presto l’organo dei Consigli di Fabbrica.
Cfr. Mordenti “Introduzione a Gramsci”, Datanews Editrice.
I Capitolo
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10
(Fgs)
4
. Questi gruppi oltre a dichiarare la nascita del nuovo partito elessero anche un
primo Comitato Centrale
5
, nel quale erano ben visibili i rapporti di forze interni.
Le cause che provocarono la scissione del Psi vanno ricercate in primo luogo oltre i
confini italiani. Infatti erano diventate fortissime le pressioni del nuovo centro
mondiale della politica comunista, la Terza Internazionale, che era nata a Mosca nel
1919 e che, essendo certa della possibilità di esportare in tutta Europa il proprio
modello vincente, con le 21 condizioni che poneva per l’adesione alla stessa,
chiedeva, oltre che l’epurazione delle correnti riformiste, l’assunzione del nome
comunista in luogo di quello socialista. Ma se è indubbio che la Rivoluzione
d’Ottobre facesse da catalizzatore, in tutti i paesi, per i settori più rivoluzionari dei
partiti operai, allo stesso tempo non possono essere dimenticate le particolarità del
Psi, che si era già caratterizzato per un proprio atteggiamento autonomo durante la I
Guerra Mondiale, quando diversamente dagli altri partiti socialisti europei che
appoggiarono le rispettive borghesie, lanciò la parola d’ordine “né aderire né
sabotare”. All’interno del Partito, si erano acuite, anche a causa della situazione post
bellica, le divisioni politiche tra le tre correnti principali: la destra riformista e
socialdemocratica di Turati, i massimalisti di Serrati, che erano la vera maggioranza
del Partito, e la componente di Bordiga e Gramsci. Ma come ricorda Agosti, l’analisi
4
La Fgs, con il 90% dei voti, nel suo ultimo Congresso si trasformò in Federazione giovanile
comunista italiana (Fgci).
I primi Segretari nazionali della Fgci furono Giuseppe Berti e, dopo il 1923, Giuseppe Dozza, storico
futuro Sindaco di Bologna.
La Fgci in seguito ebbe un ruolo importante soprattutto durante la Guerra di Liberazione: furono
create, in particolare, due organizzazioni parallele, il Fronte della Gioventù al Nord e, dopo l’8
settembre 1943, il MGC nell’Italia centro meridionale.
5
I 15 componenti del Comitato Centrale furono, in ordine alfabetico: Belloni, Bombacci, Bordiga,
Fortichiari, Gennai, Gramsci, Grieco, Marabini, Misiano, Parodi, Polano, Repossi, Sessa, Tarsia,
Terracini. Di questi otto erano Bordighisti, cinque massimalisti e due di Ordine Nuovo.
Cfr. Togliatti “Gramsci”, Editori Riuniti.
I Capitolo
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11
teorica fu sempre piuttosto carente nei socialisti di quel periodo
6
, che amavano
parlare di rivoluzione, senza mai, ed in questo era chiara la differenza con i
bolscevichi, preoccuparsi di discutere di cosa fare per arrivarci, magari confidando
nell’ineluttabilità della stessa.
Queste peculiarità proprie del socialismo italiano fecero sì che si arrivasse alla
nascita di un partito comunista rivoluzionario con molto ritardo rispetto agli altri
paesi europei, e senza un sufficiente dibattito ideologico, come quello che ad
esempio era avvenuto nella socialdemocrazia tedesca. Si giunse per questi motivi al
paradosso che il Pci, che era il partito che doveva nascere per fare la rivoluzione, fu
formato proprio nel momento in cui sfumarono le condizioni per la rivoluzione, che
erano sicuramente più mature nel biennio del 1919-20.
___________________________________
Anche in provincia di Foggia il panorama politico all’interno del Psi era, in quegli
anni in fermento. In Capitanata il movimento socialista
7
già nel periodo anteriore alla
prima guerra mondiale era molto più forte rispetto alle altre regioni meridionali. Nel
trasversale dibattito tra gli “interventisti” e i contrari alla guerra all’interno del
movimento socialista di Capitanata si distinsero e destarono forte scalpore
8
le
posizioni dei due più importanti leader locali: Giuseppe Di Vittorio di Cerignola,
interventista e soldato, e Leone Mucci, contrario alla guerra e divenuto, per questo
6
Cfr Agosti “Storia del Pci”, Editori Laterza.
7
Cfr. Allegato “Socialismo e Comunismo in Puglia”, edito dalla Amministrazione provinciale di
Foggia.
8
Cfr. Facchini-Iacovino “Le origini dei partiti in Capitanata (1860 – 1926)”, edito dalla
Amministrazione provinciale di Foggia.
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motivo, perseguitato politico. Ma se nel caso di Mucci si può parlare di caso di
coscienza dettato dalle sue radici culturali che erano ben salde nel “socialismo
umanitario a sfondo evangelico”
9
, il caso di Di Vittorio è senz’altro più clamoroso.
Il futuro maggiore sindacalista italiano dichiarò la sua posizione interventista con un
articolo, addirittura, sul “Popolo d’Italia”, il giornale di Mussolini, che, va ricordato,
fu il maggiore esponente dei socialisti interventisti e per questo espulso dal Psi. Ma
Di Vittorio mutò ben presto la sua posizione, quando, avendo conosciuto
personalmente in battaglia le amarezze della guerra, diede vita, dall’interno, ad
un’accanita attività sovversiva. I giovani socialisti, con il loro segretario Mangano,
assunsero invece una chiara posizione contraria alla guerra e diedero vita a numerose
azioni di boicottaggio.
Dopo la guerra, la situazione in Capitanata, soprattutto nelle campagne, era
disastrosa e la disoccupazione dilagava. In questo contesto riprese l’attività del Psi
anche grazie alla presenza nelle sezioni, nella federazione e negli organismi di massa
di numerosi elementi giovani che, su posizioni radicali, avevano dato notevole
impulso all’azione politica. I giovani della Fgs avevano individuato i limiti del
proprio partito ed andavano alla ricerca di nuove soluzioni più adatte ai tempi e alla
situazione politica. Punto di riferimento indiscusso di tutto il Partito era Ruggero
Grieco, nativo di Foggia.
La geografia politica del Psi di Capitanata era la seguente
10
:
9
Cfr. Facchini-Iacovino op. cit.
10
Cfr. Allegato op. cit.
I Capitolo
Da Livorno alla Liberazione
13
a) La corrente bordighiana era, almeno in un primo momento, quella
maggioritaria. Le figure più importanti erano Emilio Amoroso, Romeo
Mangano, segretario della Fgs, e Luigi Allegato.
b) La corrente “massimalista” era guidata da Domenico Fioritto. Ne facevano
parte la maggioranza degli esponenti istituzionali del Partito.
c) La corrente “socialdemocratica” era la più piccola, aveva solo pochissimi
quadri ed era caratterizzata da scarsa visibilità politica.
Questi schieramenti si fronteggiarono nell’importante dibattito che aveva preceduto
il Congresso nazionale di Livorno. Il Congresso provinciale si svolse a Foggia nel
dicembre del 1920 e i delegati delle 20 sezioni
11
si trovarono a votare per due
mozioni contrapposte. La prima, con primo firmatario il segretario uscente Euclide
Trematore, ottenne la maggioranza dei consensi, ed univa la corrente riformista e
quella massimalista, mentre la seconda, con primo firmatario Mangano, ottenne la
maggioranza solo in due sezioni e chiedeva l’adesione alla frazione comunista. Il
Congresso provinciale della Fgs, tenutosi pochi giorni dopo, vide invece prevalere
nettamente la componente comunista e per questo motivo quel Congresso divenne il
I Congresso giovanile comunista
12
.
Anche in Capitanata, quindi, la scissione era nei fatti; Luigi Allegato racconta
13
di
come al Congresso nazionale le correnti si riunivano solo al loro interno e che la
corrente comunista, pur essendo molto eterogenea, tenne un’importante assemblea
che “riuscì benissimo”. Allegato ricorda che quella occasione rappresentò il suo
11
Cfr. Facchini-Iacovino op. cit.
12
Cfr. Facchini-Iacovino op. cit.
13
Cfr. Allegato op. cit.
I Capitolo
Da Livorno alla Liberazione
14
primo incontro con Antonio Gramsci
14
. La delegazione foggiana era composta, tra gli
altri, da Trematore, Vacca, Maitilasso, Mucci, Fioritto per la maggioranza e
Mangano, Amoroso e Allegato per la frazione comunista. Qualche giorno dopo nel
Congresso nazionale dei giovani, che diede vita alla Federazione Giovanile
Comunista Italiana (Fgci), Mangano entrò nel Comitato centrale
15
.
Al ritorno da Livorno la scissione coinvolse anche la base e a San Severo, luogo di
maggiore radicamento della corrente comunista, su 40 consiglieri comunali 20
passarono al Partito comunista. Alla Provincia di Foggia solo 2 consiglieri su 24 si
dichiararono comunisti ed essi furono i sanseveresi Emilio Amoroso e Luigi
Allegato.
14
Tra Allegato e Gramsci in seguito si formò un sodalizio molto proficuo che portò Allegato, che
sarebbe divenuto il referente di Gramsci in Capitanata, a raggiungere all’interno del Partito comunista
importanti incarichi anche a livello nazionale.
Cfr. Facchini-Iacovino op. cit.
15
Cfr. Facchini-Iacovino op. cit.
I Capitolo
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15
L’affermazione del Fascismo. Da Bordiga a Gramsci
Nel maggio del 1921 si tennero le elezioni politiche e i comunisti si presentarono con
una lista autonoma
16
che raccolse solo 300.000 voti e 15 Deputati; il Psi, invece,
conservò quasi intatta la propria forza elettorale riportando 1.600.000 voti (122
seggi). Questo appuntamento fu contrassegnato da azioni di disturbo da parte dei
fascisti che cercarono di non far votare molti socialisti e comunisti. Contro il dilagare
dello squadrismo fascista nacquero gli “Arditi del popolo”, movimento che si
dichiarava “apolitico”, ma di cui facevano parte molti socialisti e alcuni comunisti.
La linea molto settaria del Pci di Bordiga, che vietò ai suoi iscritti di partecipare al
movimento, impedì il crescere di quell’esperienza, che fallì miseramente. Nel 1922 il
II Congresso del Pci, che si tenne a Roma, confermò la linea di Bordiga, fondata
sulla esclusione di qualsiasi tipo di accordo con i socialisti, e questo provocò, anche a
causa della scissione dell’ala riformista del Psi, i primi attriti con l’Internazionale, la
quale pose con forza il tema della riunificazione con il Psi di Serrati.
Intanto il Fascismo con la “marcia su Roma” dell’ottobre 1922 si insediò, con il
silenzio assenso della Corona, al potere e Antonio Gramsci si rese conto che la
politica di Bordiga, che aveva condotto all’isolamento del Partito andava superata
17
.
Il Pci, infatti, si trovava in quel momento in rottura sia con l’Internazionale
comunista, che avrebbe dovuto rappresentare il punto di riferimento per qualsiasi
partito comunista, sia con le altre forze di sinistra italiane. Fu in questo contesto che
Gramsci cominciò a lavorare per un cambio di maggioranza all’interno del Partito e,
con l’indispensabile aiuto di altri importanti dirigenti del Partito, quali Togliatti,
16
In queste elezioni Bordiga non fu candidato in quanto sosteneva l’inutilità di una sua elezione in
Parlamento. Ecco un primo esempio del “settarismo” bordighista.
Cfr. Pistillo “Pagine di storia del Partito Comunista Italiano”, Piero Lacaita Editore.
17
Cfr. Togliatti op. cit.
I Capitolo
Da Livorno alla Liberazione
16
Terracini, Scoccimarro e, in un secondo momento, Ruggero Grieco, oltre che con
l’appoggio dell’Internazionale, fondò il gruppo, cosiddetto “di centro”, che si
contrapponeva alla “destra” di Tasca e soprattutto alla “sinistra” di Bordiga.
Bordiga ebbe ancora la maggioranza con 41 delegati su 67
18
alla Conferenza
organizzativa, tenuta clandestinamente in un albergo di Como nell’aprile del 1924,
ma il peso politico del centro era in crescita se si considera che il Pci, alle elezioni
politiche del 1924, si presentò con un’unica lista con quelli che nel Psi si rivedevano
nelle posizioni della Terza Internazionale. Alla fine del 1923 vi era stato, infatti,
l’avvicinamento, che culminò nell’agosto del 1924 nell’entrata nel Pci, di numerosi e
validi dirigenti del Psi, denominati appunto “terzini” per la loro vicinanza alla linea
politica della III Internazionale, e che erano rimasti nel loro partito ai tempi della
scissione di Livorno. Tra questi i più importanti furono il vecchio leader del Psi
Serrati e il sindacalista di Cerignola Giuseppe Di Vittorio.
Alle elezioni del 1924, che furono tenute con la legge Acerbo ribattezzata “legge
truffa” che assicurava i due terzi dei deputati ai fascisti, il Partito comunista,
nonostante i ristretti margini d’agibilità politica, ottenne un discreto risultato
conseguendo 268.000 voti (2,7%) e 19 Deputati eletti. Se si considera che il Psi perse
oltre la metà dei consensi crollando con poco più di mezzo milione di voti al 8.2%, si
può affermare che quelle elezioni registrarono una sostanziale tenuta di una forza, il
Pci, che sebbene settaria, era caratterizzata da una importante motivazione dei propri
militanti, che nonostante le prime persecuzioni della dittatura fascista, che nel 1922
aveva fatto arrestare i tre quarti dei segretari di Federazione oltre che allo stesso
Bordiga, continuavano a svolgere attività politica e a credere nel Partito.
18
Cfr. Spriano “Storia del Partito Comunista Italiano”, Einaudi.
I Capitolo
Da Livorno alla Liberazione
17
Ma i crimini del Fascismo erano solo all’inizio e l’escalation di cieca violenza
culminò con l’assassinio di Matteotti, il deputato socialista che aveva denunciato in
Parlamento i brogli delle ultime elezioni. Il conseguente sdegno generale mise un po’
in crisi il nuovo regime ed il Pci ebbe maggiori e nuovi margini di manovra che si
concretizzarono con un consistente miglioramento nell’organizzazione del Partito
testimoniato dall’aumento del numero degli iscritti che da 9.000 del 1923 passarono
a 18.000 del 1924 e a 25.000 nel 1925
19
. Soprattutto la “bolscevizzazione” del
Partito, parola d’ordine lanciata nel V Congresso dell’Internazionale Comunista, e
con essa l’organizzazione capillare del Partito basata sulla sostituzione delle
“sezioni” con le “cellule” e sul nuovo ruolo dei militanti trasformati, alla stregua dei
bolscevichi, in “rivoluzionari di professione”, permise al Partito di cominciare a
mettere le radici nella società. Questa svolta era coerente con l’impostazione
“gramsciana” che, come detto, sponsorizzata dall’Internazionale, cominciò ad essere
maggioritaria nel Partito. Infatti nel 1924 Gramsci fu eletto Segretario e molti
dirigenti periferici bordighiani furono sostituiti con altri fedeli al nuovo gruppo
dirigente. Il definitivo passaggio di consegne da Bordiga a Gramsci si ebbe con il III
Congresso del Pci a Lione del 1926, dove il 90,8 % dei delegati si schierò con
Gramsci
20
che fu confermato Segretario generale del Partito. Le tesi approvate, le
cosiddette “Tesi di Lione”, rappresentarono un autentico punto di svolta nella storia
del giovane partito e si sostanziarono nella definizione di quelle che sarebbero
19
Cfr. Agosti op. cit.
20
Cfr. Gramsci nel saggio “cinque anni di vita del Partito”. Il discorso è stato tratto da “I comunisti e
l’unità della classe operaia” a cura della Sezione Centrale scuole di Partito del Pci.
In questo prezioso scritto Gramsci ricostruisce i primi cinque anni di vita del Partito. Gramsci
rivendica la necessità della scissione dal Psi, ma ammette le difficoltà che il Pci ha avuto nei suoi
primissimi anni di vita, giustificandole con le crisi acutissime della borghesia e del movimento
operaio.
Dopo una breve analisi dei primi anni dl Pci, Gramsci procede nel descrivere “il nuovo corso del
Partito”, l’importanza del III Congresso, il valore politico, i risultati e gli obiettivi fondamentali.
I Capitolo
Da Livorno alla Liberazione
18
dovute essere le “forze motrici” della rivoluzione in Italia, ovvero la classe operaia
del nord e i contadini del Mezzogiorno. Il compito del Partito era, come ricorda
Agosti, di organizzare, unificare e mobilitare queste forze per portarle, attraverso una
serie di obiettivi transitori, tra cui campeggiava quello di un’Assemblea costituente
repubblicana, alla insurrezione e alla dittatura del proletariato
21
.
Antonio Gramsci, inoltre, per primo intuì i problemi che potevano derivare dagli
scontri che in quel periodo dilaniavano il Partito comunista in Russia dopo la morte
di Lenin. Una sua lettera che denunciava tali pericoli fu bloccata dal più pragmatico
Togliatti che era il delegato del Pci nell’Esecutivo dell’Internazionale, che non
consegnò la missiva. Come ha giustamente scritto Spriano si può affermare che
Togliatti, da “totus politicus” fece la scelta giusta in quanto non consentì che il Pci si
alienasse i favori di Stalin, ma Gramsci, che può essere considerato politicamente
“presbite” (come colui che vede male da vicino e bene da lontano) intuì tutto quello
che avrebbe potuto portare la vittoria di Stalin
22
.
___________________________________
La maggioranza dei quadri del Psi non operò la scissione e una delle cause principali
fu imputabile alla crescita del pericolo fascista che anche in Capitanata fu evidente.
Le prime manifestazioni fasciste in Capitanata si ebbero alla fine degli anni ’20 quasi
contemporaneamente ai fatti di Palazzo D’Accursio, sede del Comune di Bologna.
L’organizzazione fascista di Capitanata non era molto forte e le iniziative si
limitarono a comizi che attaccavano il Psi e la Confederazione generale del lavoro.
21
Cfr. Agosti op cit.
22
Cfr. Spriano “Intervista sulla storia del Pci a cura di Simona Colarizi”