2
Tuttavia qualcosa è cambiato in questi ultimi due anni: il Parlamento
prendendo in mano la situazione, si è occupato più attentamente della
gestione dei rifiuti, con l’obiettivo primario di limitare la quantità di
rifiuti da smaltire dopo il loro recupero. Probabilmente l’attenzione del
Legislativo ‘all’allarme rifiuti’, è originata dall’impellenza della
situazione di fatto esistente (in un anno vengono prodotti circa 90.000
tonnellate di rifiuti, tra solidi urbani ed industriali), piuttosto che da
una presa di visione razionale e programmatica della situazione.
In effetti il Decreto Legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (meglio
conosciuto come Decreto Ronchi), di “Attuazione delle direttive n.
91/156 sui rifiuti, n. 91/689 sui rifiuti pericolosi, n. 94/62 sugli
imballaggi e rifiuti di imballaggi”, ampiamente rivisitato dal Decreto
Legislativo 8 novembre 1997, n.389 (detto anche Decreto Ronchi-bis),
si è sforzato di dare un ordine più organico e sistematico in materia dei
rifiuti, facendo grossa ‘pulizia’ della normativa preesistente. Tuttavia
la delicata e apprezzabile missione, non è ancora giunta al termine:
molte sono le incertezze, per la mancanza di alcuni decreti e
regolamenti di attuazione.
Ad ogni modo, con la nuova normativa il legislatore richiama il
generale impegno dei soggetti pubblici o privati, coinvolti nella
gestione dei rifiuti non solo ad incentivare il recupero dei rifiuti
mediante la rigenerazione e produzione di energia, ma anche ad
operare in termini di sensibilizzazione e di prevenzione.
In questo senso l’art. 3, D.Lgs. n. 22/1997: “le autorità
competenti adottano, ciascuna nell’ambito delle proprie attribuzioni
iniziative dirette a favorire, in via prioritaria la prevenzione e la
riduzione della produzione e della pericolosità dei rifiuti”(…),
“mediante(…)la promozione di strumenti economici(…), azioni di
informazione e di sensibilizzazione dei consumatori”.
3
Non dimentichiamo poi anche la neocostituita ‘Commissione
parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad
esso connesse’ ex Legge 10 aprile 1997, n. 97, di durata biennale, alla
quale il Parlamento ha attribuito vari compiti di controllo sulle
modalità di gestione dei rifiuti e di indagine sulle organizzazioni che li
gestiscono.
Il presente elaborato propone l’analisi di alcune realtà
organizzative per la gestione dei rifiuti, nella fattispecie il Consorzio
obbligatorio degli oli usati, il Consorzio obbligatorio delle batterie
esauste, il Consorzio nazionale di raccolta e trattamento degli oli e dei
grassi vegetali ed animali.
Questi operatori verranno analizzati nella loro dinamicità,
dovuta alle numerose iniziative da essi poste in essere e nella loro
efficienza; ma saranno anche inquadrati in un ambito di legittimità,
basato su principi generali nazionali e comunitari.
I Consorzi obbligatori per la gestione dei rifiuti riuniscono le
imprese che partecipano al ciclo di vita di alcuni materiali, dedicando
particolare attenzione al loro recupero; essi si occupano anche di
promuovere ed incentivare la raccolta ed il riciclo, offrendo consulenza
gratuita ad aspiranti imprenditori del settore e a tutti i cittadini
interessati.
La peculiarità che riguarda tali Consorzi obbligatori, è la
duplice presenza di un sistema ad organizzazione privatistica, che
garantisce un elevato grado di imprenditorialità, ed un sistema di tipo
pubblicistico, che assicura l’indirizzo ed il controllo sull’operato del
Consorzio, attraverso la partecipazione dei rappresentanti dei Ministeri
dell’Ambiente e dell’Industria negli organi consortili, nonché
attraverso i decreti ministeriali di attuazione per la gestione di esso,
previsti dalla legge istitutiva.
4
In un mercato delicato come quello dei rifiuti,
‘l’improvvisazione non paga’ e difatti le singole imprese, in particolare
di piccole dimensioni, sono fuori dalla portata dei costi per la raccolta,
il trasporto e lo smaltimento.
Così un notevole contributo e aiuto nella gestione dei rifiuti, ci
viene proprio dai Consorzi obbligatori, i quali con il capillare sistema
di raccolta organizzato, ed un sistema di distribuzione equa dei costi,
toccano tutto il territorio nazionale ‘dei rifiuti’, raggiungendo anche
talune zone che, o per la lontananza dei luoghi o per la scarsa
convenienza economica, il singolo imprenditore lascerebbe
volutamente ‘in ombra’. Ciò a vantaggio della criminalità organizzata
o ‘ecomafie’, legate all’azione di raccolta ed occultamento dei rifiuti.
In sostanza, attraverso i Consorzi obbligatori, alcune imprese
demandano per legge, all’organizzazione comune il potere di
disciplinare attività di recupero e smaltimento, di determinati rifiuti.
In questi termini ci troviamo di fronte ad un organismo nel
quale convivono due esigenze contrapposte, quella di politica
ambientale e salute pubblica e quella economica o di autonomia
imprenditoriale, legata alla possibilità di riciclaggio. Occorre
evidenziare in che modo il Consorzio obbligatorio riesce a conciliare le
due fondamentali esigenze.
Sia la protezione ambientale, che l’attività economica sono
principi tutelati dal nostro ordinamento.
La tutela dell’ambiente, in assenza di norme esplicite, viene
assicurata, come valore essenziale, facendo riferimento ai principi
costituzionali: dell’art. 9, sulla tutela del paesaggio, “la Repubblica
tutela il paesaggio e il patrimonio storico ed artistico della Nazione”,
con l’art. 32 sul diritto alla salute, “la Repubblica tutela la salute come
fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività” ed
indirettamente del diritto alla libera iniziativa economica, art. 41, “che
5
non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale”. Dall’esegesi
combinata dei disposti costituzionali per garantire il diritto inviolabile
dell’uomo a sviluppare la propria personalità in tutti i suoi aspetti
socio-economici, la giurisprudenza costituzionale ha operato
l’elevazione di ambiente come valore primario determinativo della
qualità di vita dell’uomo e nel quale dovendo fare un bilanciamento,
prevale il diritto alla tutela della salute come interesse della collettività,
sugli interessi economici.
Accanto all’aspetto ambientale suddetto, in funzione del quale il
Consorzio deve perseguire interessi pubblici, in quanto collettivi e
generali, vi è l’attività economica posta in essere dalle imprese
consorziate, anch’essa espressamente garantita dalla Costituzione
all’art. 41, comma 1 “l’iniziativa economica privata è libera”, nonché
dall’art. 42 sulla proprietà “ è pubblica o privata”, sui beni economici
“appartengono allo Stato, ad enti o a privati”, che individua il modello
esistente di ‘economia mista’.
Di fronte ad un Consorzio che opera secondo un modello di
obbligatorietà, e nel quale convivono interessi contrapposti, come si
giustifica il limite alla libera iniziativa economica delle imprese che vi
fanno parte? Quale sarà la corretta ponderazione degli interessi in
gioco?
L’esigenza di tener conto della forte connessione degli aspetti
economici con la politica ambientale, venne sottolineato dalla
Comunità europea, nel I Programma di Azione in materia ambientale
del 22 novembre 1973: si diceva che lo sviluppo delle attività
economiche nella Comunità, dipendeva dal miglioramento delle
condizioni di vita attraverso la eliminazione degli inconvenienti
ambientali e la salvaguardia delle risorse naturali.
6
Al fine di prevenire e ridurre l’inquinamento, questo ed i due
successivi Programmi di Azione in materia ambientale, hanno
proposto il principio “chi inquina paga”. Con l’Atto unico europeo del
1986, il principio suddetto è stato previsto solennemente all’art. 130 R,
tra le linee d’azione della politica comunitaria in materia ambientale.
Alla base della norma si ribadisce l’importanza per la tutela
dell’ambiente, del principio “chi inquina paga” (pollueur-payeur),
ovvero la regola dell’inquinatore pagatore al fine di disincentivare chi
inquina, attribuendogli i costi dell’inquinamento causato; il principio,
sempre in base all’art. 130 R, viene poi ricollegato agli strumenti
“dell’azione preventiva e della correzione, anzitutto alla fonte, dei
danni causati all’ambiente”, ovvero si privilegia la prevenzione
piuttosto che la riparazione dei danni già causati.
La ‘costituzionalizzazione’ del principio “chi inquina paga”
nell’ordinamento comunitario, attraverso l’art. 130 R, ha comportato
che, una volta recepito l’Atto unico europeo con la legge 23 dicembre
1986, n. 909, la ‘costituzionalizzazione’ riguardasse anche il nostro
ordinamento.
E’ necessario quindi tener conto del principio comunitario,
peraltro richiamato dalle leggi di istituzione dei Consorzi obbligatori,
per capire il bilanciamento degli interessi presenti nei peculiari
organismi.
Deriva che il principio “chi inquina paga”, viene fatto rientrare
nel nostro ordinamento, tra i limiti posti legislativamente al diritto di
cui all’art. 41 della Costituzione. Infatti, accanto alla proclamata
libertà di iniziativa economica ex art. 41, comma 1, si afferma al
comma 2 che essa “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale
o in modo da arrecare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità
umana” pertanto “la legge determina i programmi e i controlli
opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere
7
indirizzata e coordinata a fini sociali” (comma 3). In sostanza la libertà
in oggetto non è incondizionata, ma incontra dei limiti qualora si
ponga “in contrasto con l’utilità sociale”, addirittura in tal caso si
chiede l’intervento del legislatore ad imporre programmi opportuni
affinché l’attività economica “possa essere indirizzata e coordinata a
fini sociali”. Ora, dato che la salvaguardia ambientale, che è l’obiettivo
istituzionale dei Consorzi obbligatori per la gestione dei rifiuti, rientra
nel concetto di “utilità sociale”, consegue la incompatibilità con l’art.
41 Cost., di qualsiasi norma ordinaria che non sia conforme al
principio ‘chi inquina paga’.
L’obbligatorietà del Consorzio trova pertanto giustificazione
nella “utilità sociale” dell’attività di raccolta e recupero di rifiuti a
prevenzione dell’inquinamento, da esso svolta; mentre la limitazione
dell’iniziativa economica di ciascuna impresa obbligata a partecipare è
necessariamente posta affinché l’attività imprenditoriale “sia
indirizzata e coordinata a fini sociali”. Ciò deriva indirettamente per
aver demandato al Consorzio l’organizzazione comune di gestione.
Peraltro lo stesso Decreto Ronchi nei principi generali, precisa
all’art. 2 che “la gestione dei rifiuti costituisce attività di pubblico
interesse”.
Riguardo l’obbligo di far parte al Consorzio obbligatorio, posto
in capo alle imprese coinvolte nella gestione dei rifiuti, ci siamo chiesti
se in un’ottica di stampo pluralista, che comporta l’autodeterminazione
e la competizione tra soggetti sociali e dove il limite costituzionale alla
forme di associazione obbligatoria assume rilievo centrale, se sia
violato l’art. 18, Cost., nel suo aspetto negativo, corrispondente alla
libertà di ciascun soggetto di non aderire ad associazioni. In effetti
l’art. 18 garantisce la generica libertà di tutti i cittadini di associarsi per
lo svolgimento di certe attività, la cui finalità non sia vietata ad essi da
legge penale; allo stesso tempo, il risvolto negativo della norma lascia
8
liberi i cittadini nella formazione o meno di associazioni per perseguire
i loro fini leciti.
Nella fattispecie dei Consorzi obbligatori, il collegamento con
l’art. 18 Cost., deve essere approfondito, per un duplice motivo.
Innanzitutto procedendo ad una ricognizione letterale, si può notare
che la norma parla di “cittadini”, per tali intendendo chiaramente il
soggetto comune ovvero il singolo individuo, nel nostro caso invece, si
ha a che fare con dei soggetti qualificati professionalmente come
imprenditori, che non rientrano in quella accezione, ma più
ampiamente nell’accezione di “formazioni sociali” di cui all’art. 2
della Costituzione. Probabilmente i dubbi prospettati non sarebbero
sorti se l’art. 18 avesse esordito con la parola ‘tutti’ (hanno diritto di
associarsi). In secondo luogo, guardando all’ambito di applicazione
dell’art. 18, si ritiene che esso attenga alla sfera dei rapporti privati,
non a caso è inserito nella parte prima della Costituzione, tra i “Diritti
e doveri dei cittadini”, al titolo primo sui “rapporti civili”. Tuttavia se
si ritiene, come avviene ormai pacificamente in dottrina, di dover
applicare l’art. 18 anche alla figura delle imprese consorziate, la libertà
di non associazione non sarebbe violata con il meccanismo consortile
obbligatorio, poiché il legislatore nell’imporre tale partecipazione
adduce a motivi di protezione ambientale, facendosi pertanto portatore
di interessi pubblici. In sostanza in presenza di un concorso di interessi
pubblici e privati, lo Stato portatore degli interessi collettivi e generali
per eccellenza, è legittimato a fare dei bilanciamenti con gli altri valori
costituzionali, anche a svantaggio di interessi privati come nel nostro
caso, quello della libertà di associazione.
Nello stesso senso si potrebbe dire, che i limiti al potere di
costituire associazioni obbligatorie, dovranno discendere dal
bilanciamento tra esigenze costituzionalmente protette, quindi tra l’art.
9
18 e le norme costituzionali capaci di giustificarne (per finalità sociali)
la restrizione.
Altro problema da affrontare in materia di Consorzi obbligatori
per la gestione dei rifiuti, riguarda l’aspetto del loro finanziamento.
Gli aspetti organizzativi ed economici sono elementi
determinanti per il reale funzionamento dei Consorzi: l’adeguata
disponibilità finanziaria rappresenta lo strumento economico che
garantisce l’operato del Consorzio.
Di ricorso a strumenti economici si parlava già nell’ambito
della politica comunitaria in materia ambientale. Nel nostro caso il
richiamo ai contributi, per garantire il raggiungimento degli obiettivi
istituzionali consortili, trova fondamento nella direttiva n. 75/439, art.
14 per il Consorzio obbligatorio degli oli usati, nella direttiva n.
91/157, art. 7 per il Consorzio obbligatorio delle batterie, ed entrambe
derivano dal principio generale “chi inquina paga”. Le leggi di
istituzione nazionali assoggettano le imprese consorziate al pagamento
di contributi al Consorzio, per finanziare i costi sostenuti nello
svolgimento delle attività consortili, conformemente al principio
secondo cui si fanno ricadere sul responsabile dell’inquinamento, i
costi necessari per evitarlo o ridurlo.
Sul terreno aziendale la raccolta si traduce in un costo per gli
operatori, così si pone un vincolo di destinazione agli strumenti
economici, nella fattispecie i contributi sulle quantità degli oli immessi
al consumo per il Coou, il sovrapprezzo per il Cobat ed i contributi di
riciclaggio per il Consorzio nazionale degli oli vegetali, che è di
finanziamento al Consorzio obbligatorio.
10
La domanda che ci poniamo a questo punto è, che natura hanno
questi contributi?
Premesso che la risposta non è facile, perché la qualificazione
giuridica del contributo è ancora incerta ed ambigua, si discute sulla
natura tributaria o non.
I sostenitori della natura tributaria del contributo consortile
adducono al criterio della fonte e della finalità del provento, in base al
quale l’obbligo contributivo nasce autoritativamente per finalità di
interesse pubblico collettivo e ciò induce i consorziati a partecipare
alla spesa pubblica anche in contrasto col loro interesse individuale.
Gli altri ritengono che sebbene il contributo serva a finanziare
un’attività rilevante per la collettività non deve indurre all’errore circa
la sua natura. Non si dimentichi che il contributo viene versato dai
consorziati per lo svolgimento concreto dell’organizzazione comune,
quindi la loro natura è senza dubbio privatistica. I contributi consortili
non incidono sul bilancio statale, anche se sono disposti per legge ed in
funzione di tutela ambientale.
I contributi sono degli strumenti “parafiscali”
1
, cioè prestazioni
non fiscali ma coattive che l’imprenditore deve adempiere per
esercitare un’attività economica. Si tratta di prestazioni imposte, che
insieme a tutti gli altri obblighi caratterizzanti lo status di consorziati,
rientrano in un programma di salvaguardia ambientale a fronte di
fenomeni di minaccia ambientale, alla stregua del principio “chi
inquina paga”.
Circa l’applicabilità al contributo di precetti costituzionali, non
vi sono dubbi nell’applicare l’art. 23 Cost. (e non l’art. 53 Cost. che si
fonda sulla capacità contributiva, per un ambito tipicamente
tributarista), nel cui ambito oggettivo fanno parte le prestazioni da
1
A. ALIBERTI, C. FERGOLA, M. MARTINELLI, “La tassazione ambientale”, Roma,
Ed. Quasar, 1995.
11
ritenersi imposte, senza specificarne il destinatario, il quale potrà
quindi essere anche un organismo privato, come quello consortile.
Dice l’art. 23: “Nessuna prestazione personale o patrimoniale
può essere imposta se non in base alla legge”. Da ciò si evince una
riserva di legge relativa, in virtù della quale il legislatore deve indicare
gli elementi essenziali per identificare la fattispecie, ovvero il soggetto
passivo, il presupposto e la individuazione della base di
commisurazione della prestazione, poi si rimanda alle fonti
promananti dall’Esecutivo, che provvederanno nel dettaglio. Il
contenuto garantista della riserva di legge è rispettato, qualora il
legislatore preveda il massimo del contributo. Nei casi di contributi
che andremo ad esaminare corrispondono tali caratteristiche, sia la
previsione per legge di tutti gli elementi essenziali, da ciò derivando la
coattività sulle imprese partecipanti al Consorzio, sia la previsione nel
dettaglio delle modalità di accertamento, versamento e riscossione con
decreti ministeriali, richiamati dalla legge stessa.
L’esigenza di utilizzare uno strumento economico come il
contributo ai fini di reperire le risorse finanziarie per il Consorzio, è
collegata al vantaggio che si ricava dal servizio reso dall’organismo,
che consiste nell’organizzare l’attività di riciclaggio o smaltimento di
rifiuti potenzialmente inquinanti. Questo vantaggio si inquadra in
risultati di tutela ambientale, ovvero nello svolgimento di servizi
essenziali per la salute pubblica, che è valore costituzionalmente
protetto all’art. 32 Cost.
12
Capitolo I
CONSORZIO IN GENERALE E OPPORTUNITA’ DEL
CONSORZIO OBBLIGATORIO PER LA GESTIONE DEI
RIFIUTI
1. Nozione generale di consorzio.
Il consorzio è un’associazione di persone fisiche o giuridiche,
liberamente creata o obbligatoriamente imposta, per il soddisfacimento
in comune di un bisogno proprio di queste persone.
Tuttavia la parola consorzio come si può osservare sfogliando
un qualsiasi repertorio di giurisprudenza o enciclopedia giuridica,
viene usata nel linguaggio legislativo di oggi, con una grande varietà
di significati
1
. Così, ad es., si parla di consorzi industriali, di consorzi
bancari, di consorzi agrari, di consorzi idrici, di consorzi di bonifica,
di consorzi stradali, di consorzi tra enti pubblici, e così via.
Queste figure di consorzio rappresentano fenomeni certamente
eterogenei, ciascuno con proprie caratteristiche, ma il cui elemento
connotativo e peculiare, è dato dalla presenza di una struttura
organizzativa volta a soddisfare un interesse comune a più soggetti.
1
T. ASCARELLI, Riflessioni in tema di consorzi, mutue associazioni e società, in
Riv. trim. dir. e proc. civ., 1953, p. 327: “il nome ‘consorzio’ ha un’accezione
vastissima”.
13
Ne deriva che, diversamente da altre forme associative, si crea
con la struttura del consorzio, un organismo unitario, al quale si pone
la disciplina di questo comune interesse
2
o lo svolgimento di
determinate fasi di attività delle imprese consorziate (art. 2602 c.c.).
E’ peraltro da sottolineare che, la suddetta comunanza di
interessi non si crea artificiosamente con la costituzione del
consorzio
3
, poichè l’interesse dei singoli partecipanti è ad essa
preesistente. L’identità dei bisogni che esprime la volontà di
associarsi
4
dei soggetti interessati, (volontà che, vedremo, può essere
anche coatta ed obbligatoria), diventa comune per la situazione
oggettiva alla quale inerisce.
Il consorzio sorge sulla base di un atto, che può essere di
autonomia, ovvero contratto stipulato da una pluralità di soggetti,
oppure atto eteronomo, nel caso di consorzi obbligatori. In ogni caso,
l’interesse dei soggetti non si esaurisce in tale atto, ma nel
funzionamento dell’organizzazione comune, che è a tale fine lo
strumento.
2
A. BORGIOLI, Consorzi e società consortili, Milano, Giuffrè, 1985, p. 2:
“consorzio è una parola polisensa, suscettibile di indicare genericamente fattispecie
nelle quali emergono, situazioni caratterizzate da una comunanza di interessi, alle
quali si attribuisce un altrettanto comune destino (cum-sortis)”.
3
Si ritiene di dover distinguere il consorzio dalle società, proprio per questo
elemento cioè: nella società più persone si associano ponendo in comune una cosa
per dividersi lo sperato vantaggio economico derivante dall’esercizio dell’attività
d’impresa. Tale vantaggio rappresenta l’interesse comune che si crea
artificiosamente per effetto della costituzione della società, non prima. Cfr. G.
FERRI, Consorzio (teoria generale), in Enc. Dir., IX, Milano, Giuffrè, 1961.
4
Volontà facilmente riscontrabile nel caso dei consorzi volontari, ma presente
anche nei consorzi di tipo coattivo dove un atto di pubblica autorità impone la
costituzione, e gli interessati provvedono all’amministrazione dell’istituto; ciò
ravvisa l’esistenza di “un minimum di volontà associativa”. G. STANCANELLI,
(voce) Consorzi amministrativi, in Novissimo Digesto Italiano, Torino, Utet, 1957.
Di avviso contrario invece A. BORGIOLI, Consorzi e società consortili, op. cit., il
quale afferma che “nella costituzione dei consorzi coattivi si prescinde da qualsiasi
manifestazione di volontà dei singoli interessati”.
14
L’organizzazione dà vitalità al consorzio attraverso gli
“elementi personali”, cioè i soggetti consorziati ed “elementi
patrimoniali”, come i contributi consortili
5
, ma pensiamo anche ai vari
obblighi cui i consorziati sono tenuti. Sono appunto questi elementi
che, collegati in funzione di uno scopo “ultra-individuale”
6
,
costituiscono in sostanza una vera e propria organizzazione. Di
conseguenza anche le prestazioni dovute, personali o patrimoniali,
cioè obblighi e contributi, sono previste funzionalmente a consentire
lo svolgimento dell’attività programmata.
E’ chiaro che poi l’organizzazione potrà essere più o meno
complessa in base alle diverse fattispecie e alla identificazione della
situazione comune, si spiega pertanto la caratteristica tripartizione dei
consorzi in volontari, obbligatori e coattivi.
5
I contributi sono delle forme di sostentamento economico del consorzio, ma ciò
non deve portare a fraintendere con la società. La società, attraverso le quote di
partecipazione dei soci, espleta un’attività economica volta a perseguire un proprio
scopo di lucro, dopodichè divide gli utili tra questi soci (Cass. 14 ottobre 1958, n.
3251, in Foro it., 1958, I, 1617, ha riconosciuto come causa del contratto di società
il fine della ripartizione degli utili dei soci). Nel consorzio l’intento lucrativo, è del
singolo consorziato, non del consorzio stesso. Cfr G. GUGLIELMETTI, (voce)
Consorzi industriali, in Novissimo Digesto Italiano, IV, Torino, Utet, 1974.
6
Cfr. FERRI G., Consorzio (teoria generale), op. cit. L’autore precisa che nel
consorzio convive un aspetto negoziale, l’atto di autonomia delle parti appunto (o in
taluni casi un provvedimento autoritativo) e un aspetto organizzativo, che nell’atto
trova il suo ordinamento.
15
1.1 Consorzi volontari, obbligatori, coattivi.
Premesso che questi tre ‘modelli legali’
7
sono riferibili in via
generale a tutte le principali figure di consorzio conosciute nel diritto
positivo indipendentemente dalle loro funzioni
8
, poiché comune a tutte
le fattispecie è il rapporto di strumentalità intercorrente tra l’attività del
consorzio e quella dei consorziati, diverse sono invece la disciplina e la
struttura. Tali diversità sono relative al settore in cui il consorzio
opera, alle finalità da perseguire e in base ai soggetti che vi
partecipano.
L’elemento discriminante che fa la differenza nella triplice
figura di consorzio, è senz’altro la fonte che lo costituisce.
Alla base del consorzio volontario vi è un contratto, ovvero una
manifestazione della volontà privata, ciò consentendo di applicare la
disciplina civilistica ex art. 2602 e ss.; ma non è stato sempre così, di
conseguenza per avere un quadro più completo sull’argomento,
sebbene sommariamente, è utile fare un passo indietro nel tempo al
testo legislativo che per primo ha parlato di consorzi volontari.
Verso la fine degli anni trenta, fu emanata la L. 22 aprile 1937,
n. 961 (di conversione del r.d.l. 16 aprile 1936, n.1296) sul sistema
dei consorzi volontari.
9
Si prendevano in considerazione “i consorzi
volontari, comunque denominati o costituiti” aventi “per oggetto la
disciplina della produzione o della vendita fra gli esercenti di uno
7
“Essi sono riferibili in generale alle principali figure di consorzio conosciute nel
nostro ordinamento”. P. MANTINI, Un’opportunità per rinviare pubblico e privato,
in Impresa ambiente, 1992, n.6.
8
Si fa riferimento ad es. a consorzi agrari, industriali, di bonifica, portuali, idrici,
stradali, minerari, forestali, pubblici; come detto sopra al paragrafo 1.
9
In Le leggi, 1937. Si completava il sistema dei consorzi, dato che cinque anni
prima era stata prodotta per la prima volta una legge sui consorzi obbligatori, la L.
16 giugno 1932, n.834.