religione o dalla moralit� civile; il controllo delle malattie legate alla sessualit�,
come l'Aids.
A prescindere da questi obiettivi, difficili da raggiungere, in un contesto
sociale il binomio educazione - sessuale pu� avere un senso se con la parola '
educare ' intendiamo aiutare qualcuno a crescere ed a essere pienamente se
stesso potenziando la propria personalit�, e se con la parola ' sessualit� '
definiamo anche il carattere specifico della specie umana - comprendente gli
aspetti biologici, naturali, concreti e culturali - un carattere che spinge l'individuo
alla ricerca del piacere in rapporto con l'altro.
Se � concepita in questo senso, l'educazione sessuale diventa
un'operazione di supporto perch� qualcuno possa esprimere al meglio la
propria sessualit�, " Mettendo a disposizione di quel qualcuno tutte le
opportunit� di sperimentare, di scoprire, di provare, di praticare, e nel contempo
fornendo le informazioni che gli possono servire ".
4
In tal senso, anche il
termine ' educare ' assume una dimensione diversa dalla trasmissione di valori,
e s'intende educazione come cambiamento; cos� afferma Mannucci a questo
proposito: " L'educazione ha svolto in passato un ruolo fondamentale
nell'acquisizione di una mentalit�, di un modello di comportamento, di un modo
di porsi di fronte alla propria sessualit� ed a quella altrui. Spesso stereotipi
religiosi, etici, familiari, sociali, hanno condizionato il comportamento individuale
e la condotta educativa, determinando comportamenti talvolta basati sulla
paura, sull'ignoranza, sulla repressione ".
5
E come sostiene Loperfido: " Educare alla sessualit�, vuol dunque dire
imparare a capire i messaggi del nostro corpo e di quello dell'altro, vuole dire
individuare le potenzialit� della nostra sessualit�, i confini, ma anche gli
orizzonti pi� vasti o diversi, superando i concetti di normalit� che mal si
adattano alle multiformi realt� fisiche e psicologiche degli individui. La
sessualit� � relazione, � contatto, � desiderio, � piacere e sofferenza, ma tutto
questo passa attraverso il corpo e il suo vissuto".
6
3
M.BERNARDI,Sessualit�,op.cit., p. 5.
4
M.BERNARDI,Sessualit�,op.cit., p. 28.
5
A.MANNUCCI,Peter Pan vuole fare l'amore.La sessualit� e l'educazione alla sessualit� dei
disabili,Edizioni del Cerro,Tirrenia,1996,pp.24-25.
6
E.LOPERFIDO,La sessualit� dell'handicappato psichico,in AA.VV.,La sessualit�
dell'handicappato,Il Pensiero Scientifico Ed.,Roma,1987,pp.47-54.
Anche la lezione freudiana ha contribuito a rafforzare il concetto di
sessualit�, superando e ampliando quello di genitalit�.
Pur partendo dalla sensorialit�, come base della sessualit�, secondo
quello che afferma Trisciuzzi: " La validit� della rivoluzione psicoanalitica
consiste nell'aver ridato pieno valore esistenziale alla sessualit�; intendendo
con questo non tanto l'aver voluto fare della vita un atteggiamento pan-
sessuale, quanto nell'aver integrato la sessualit� nella vita e nell'aver dato un
significato esistenziale di gran lunga superiore all'atto sessuale specifico ".
7
Il metodo con cui si pu� raggiungere tale scopo, non deve essere n�
costrittivo n� permissivo ma avere entrambi questi atteggiamenti. Occorre
mettere a disposizione dell'individuo tutte le opportunit� di conoscenza e di
sperimentazione, pur restando libero il suo diritto di fare come vuole.
Sono molti i soggetti, come precisa Mannucci, che contribuiscono a questa
conoscenza: " Sar� quindi compito del genitore, dell'educatore, dell'insegnante
avvicinarsi per primi a queste tematiche, rifletterle, comprenderle e impostare la
propria azione educativa, magari in collegamento fra loro, cercando il pi�
possibile di fare in modo che la scoperta della sessualit� da parte del soggetto
sia un fatto individuale, unico, irripetibile, senza costrizioni, modelli, paure che
altro non fanno che reprimere la capacit� che ognuno di noi ha di sapersi
rapportare con l'altro, in tutte le sue manifestazioni ".
8
Esistono perci� numerose modalit� di approccio all'educazione sessuale,
a seconda degli ambienti - famiglia, scuola, societ� - in cui il soggetto vive le
proprie esperienze; solo grazie alla loro fusione ed integrazione in un
programma educativo comune, essi possono contribuire a fornire una buona ed
efficace educazione sessuale.
7
L.TRISCIUZZI,Il mito dell'infanzia.Dall'immaginario collettivo all'immagine scientifica,
Liguori,Napoli,1990, p.481.
8
A.MANNUCCI,Peter Pan vuole fare l'amore, op.cit., p. 26.
I.2. L'ADOLESCENZA E L'ADOLESCENZA NEGATA
L'adolescenza � il momento pi� importante e fondamentale per la crescita
psicofisica e per la costituzione della sessualit� di un giovane.
Nella nostra cultura, l'adolescenza, che abbraccia un periodo di tempo
abbastanza esteso, dall'et� di circa 12 anni fino ai 16 anni - anche se questi
parametri recentemente si sono estesi -, � vista come un'et� difficile, di
passaggio dal mondo infantile a quello adulto, sia per il diverso sviluppo
psicosessuale di maschi e femmine, sia per motivi culturali (l'aumento della
permanenza in famiglia, dovuto al prolungamento degli studi e talvolta al
problema della disoccupazione).
Questa fase della vita di ogni giovane � caratterizzato dal cambiamento
progressivo del proprio corpo, dalla ricerca della propria identit� personale, dal
bisogno di indipendenza, fattori che spingono i giovani ad un continuo squilibrio-
equilibrio, incontro-scontro, rifiuto-accettazione della realt�.
L'adolescente confronta le proprie esperienze con i valori e i modelli
espressi dalla societ� e dalla cultura che lo circondano : � quindi difficile
stabilire quando l'adolescente diventa adulto.
Tutto viene messo in discussione dal giovane, dalla percezione di se
stesso, che cambia continuamente, al legame con i genitori, ai rapporti con gli
altri.
Sul piano sessuale l'adolescente registra una notevole trasformazione
fisica, con la comparsa dei caratteri sessuali secondari e della capacit�
riproduttiva, tale da comportare 'il congedo' dal proprio corpo infantile e
l'identificazione col proprio ruolo sessuale.
Ansie, tensioni, frustazioni, inibizioni fanno parte dell'adolescenza; si
assiste all'abbandono delle figure precedentemente interiorizzate sul piano
affettivo e alla loro sostituzione con figure nuove : con la comparsa della
sessualit� si viene a creare una nuova situazione, nella quale i precedenti
oggetti d'amore si rivelano non pi� idonei alle circostanze.
Nasce pertanto il bisogno d'isolamento, e di conseguenza l'abbandono
della dipendenza dai genitori in vista di una propria autonomia sempre pi�
totale.
L' adolescenza degli handicappati � caratterizzata da "condizioni
psicologiche in cui alle modifiche somatiche caratteristiche dell'adolescenza
(accrescimento, pubert�) non corrisponde un'adeguata evoluzione mentale, in
sintesi relazionali".
9
La dipendenza fisico-psichica che inevitabilmente lega i figli portatori di
handicap ai loro familiari, pu� segnare profondamente il loro processo di
crescita, con bisogni istintivi e sociali, e di solito costituisce un momento di
profonda crisi; come afferma Govigli:
" Lo sviluppo puberale dell'adolescente handicappato � accolto con molta
ansiet�, ma con una profonda differenza. Mentre infatti i genitori si avvicinano
alla comparsa della sessualit� del figlio con una punta di compiacimento nel
ricordo del periodo in cui si � affacciata la propria sessualit�, unito se mai ad
una sorta di timore che questa sessualit� possa essere fonte di pericoli ( il che li
spinge, dopo quel periodo di relativa tranquillit� della fase pre-adolescenza, a
raddoppiare ansie e preoccupazioni ), all'opposto, invece, la famiglia con un
figlio handicappato vede che questo bambino, bambino non lo � pi�, mentre
handicappato resta sempre ".
10
La famiglia pertanto non sa cosa fare, gli operatori non hanno risposte da
offrire, eccetto nei casi in cui si � creato quel contatto tra famiglia ed educatore,
che rende possibile l'ascolto, il non intervento, ma allo stesso tempo la
percezione di segnali per svelare quali sono i veri problemi.
Inoltre � stato scritto " Handicappato: adolescente senza adolescenza ",
11
definizione questa che sintetizza perfettamente la questione della dipendenza
da parte dei disabili nei riguardi dei genitori. Difatti, " L'handicappato � rimasto
come un adolescente di un secolo fa: da bambino diventa uomo. Per lui non
esiste quel periodo di sospensione in cui non si � pi� bambini e per� si �
esentati da certe regole di comportamento degli adulti. Ma qui si compie un
paradosso: passa da bambino a uomo ma non diventa uomo; privo di riti di
iniziazione, resta quello che non � mai stato: un adolescente a vita ".
12
9
M.LANDI,Riflessioni introduttive,in A.MANNUCCI,Peter Pan vuole farel'amore, op.cit., p. 12.
10
G.GOVIGLI,La famiglia ed il figlio handicappato,in AA.VV.,La sessualit� dell'handicappato,
op.cit., p. 75.
11
E.MONTOBBIO e coll,Adolescente senza adolescenza.Atti del IX Convegno Nazionale
SINPI,San Marino,1980.
12
G.GOVIGLI,La famiglia e il figlio handicappato,in AA.VV.,La sessualit� dell'handicappato,
Nasce spontaneo chiedersi come si dovrebbero comportare i genitori o gli
educatori, in una fase tanto delicata come l'adolescenza. E' importante non
avere paura, e vivere questo periodo come una fase di crescita e di passaggio
per il formarsi della personalit�, anche di un adolescente disabile.
Coloro che circondano l'individuo handicappato devono essere pi�
disponibili e rispettosi, sicuri e coerenti per sostenerlo nelle sue scoperte,
solamente attraverso la valorizzazione complessiva e costante di tutte le
componenti della sessualit�, si aiuter� il portatore di handicap ad esprimere
liberamente le proprie potenzialit�.
op.cit., p. 82.
I.2.1 L'EDUCAZIONE SESSUALE E I DISABILI
Tutto quello che abbiamo detto finora si riferisce a bambini e ragazzi
normali, a genitori normali e ad ambienti familiari normali.
Ma, come afferma Bernardi: " Non possiamo trascurare il fatto che, nel
nostro paese come in ogni altro, esistono situazioni, genitori, ragazzi e bambini
che normali non sono ".
13
Se l'educazione sessuale � una questione controversa per i soggetti
normali, essa si presenta ancora pi� problematica per i soggetti handicappati, i
cosiddetti ' eterni bambini '; secondo una definizione adottata da molti studiosi
per evidenziare il pi� diffuso stereotipo con cui l'opinione pubblica considera i
portatori di handicap.
Oggi pi� di ieri i disabili hanno necessit� di essere aiutati ad acquisire una
maggiore capacit� di comprensione della propria personalit�, al fine di non
essere isolati dalla societ�.
In tal senso un aspetto importante, finora trascurato, � quello del
comportamento sessuale dei disabili che, anzich� essere considerato inutile,
pu� divenire un elemento fondamentale per la completa autonomia del
portatore di handicap. La sessualit�, in generale, ormai da alcuni decenni, �
stata oggetto di studi e di analisi approfondite; tuttavia questi risultati non
valgono se si affronta il tema della sessualit� in rapporto ai disabili.
In Italia, il problema dei rapporti affettivi e sessuali degli handicappati �
stato affrontato relativamente tardi, rispetto ad altri problemi che coinvolgono
sempre questi soggetti (integrazione a scuola e nel lavoro, gestione del tempo
libero, superamento delle barriere architettoniche...) ed il primo articolo che si
interessa dell'argomento risale al 1976, intitolato Quando il sesso �
dell'handicappato non se ne parla, di Camillo Valgimigli, pubblicato sul "
Corriere della Sera ",
14
per la prima volta quindi su un organo di larga
diffusione.
13
M.BERNARDI,Il problema inventato.Orientamenti di educazione sessuale dall'et�
prescolareall'adolescenza,Il Punto Emme Ed.,Milano,1974, p. 215.
14
C.VALMIGLI,Quando il sesso � dell'handicappato non se ne parla, in " Corriere della Sera ",
12 Agosto 1976.
L'articolo ebbe il merito di segnalare all'opinione pubblica i silenzi e i
pregiudizi sulla sessualit� e gli handicappati.
Tale articolo offr� lo spunto per organizzare un congresso internazionale al
CEMP ( Centro di Educazione Matrimoniale e Prematrimoniale ) di Milano, a cui
parteciparono studiosi a livello internazionale dell'handicap sia fisico che
mentale.
Gli interventi e i materiali del congresso confluirono nel volume Sessualit�
e handicappati, a cura di Anna Tessari ed Enrica Andreola.
15
La curiosit� suscitata dal tema si rivers� in un morboso interesse
dimostrato dai mass-media verso questo convegno.
16
Nonostante la cassa di risonanza costituita dalla stampa, il problema della
sessualit� legata all'handicap non ebbe negli anni seguenti una ripercussione
vera e propria su genitori ed operatori del settore, tuttavia il convegno ebbe il
merito di distinguere tre fasce di partecipanti e le loro diverse reazioni, e cio�: la
fascia degli operatori sociali, interessati soprattutto ai termini tecnici del
problema; una seconda fascia dei genitori o familiari di handicappati e di
handicappati stessi, pi� partecipi emotivamente e pi� sensibili alle proposte di
esperienze; infine la fascia di gruppi di animazione sociale dei disabili in gran
parte costituiti da essi stessi, con lo scopo di denunciare e contestare la
mancanza di strutture sociali adeguate.
A distanza di anni, chi si � occupato di riproporre il problema del rapporto
tra handicap e sessualit� sono le persone che vivono questa situazione sulla
loro pelle e le varie associazioni nazionali, in particolare l'AIAS di Bologna, che
nei suoi Quaderni di Riabilitazione
17
ha pubblicato una ricerca su sessualit� e
handicap.
E' opportuno riflettere a questo punto su cosa significhi sessualit� per
queste persone, perch� i numerosi significati ad essa assegnati nel mondo dei '
normali ' non sono adattabili a quello dell'handicap.
Secondo quello che dice Mannucci: " E' nella sfera globale dell'individuo
che si pu� realizzare un cambiamento che porti ad una dimensione di vita per il
15
A.TESSARI,E.ANDREOLA,Sessualit� e handicappati,Feltrinelli,Milano,1978.
16
La stampa italiana,in particolare,ha sempre affrontato il tema handicap e sessualit� facendo
risaltare esclusivamente gli aspetti di violenza e scandalo ad esso collegati:come viene
semplificato nel paragrafo II.2.2. di questa tesi.
17
Si tratta del notiziario AIAS,sezione scientifica,n� 3,Settembre 1978.
soggetto portatore di handicap; esso per� non deve essere la fotocopia di una '
normalit� ' che non esiste, ma un modo di vivere che rispecchi le varie esigenze
dell'individuo senza che ci� comporti separazione, scandalo o, peggio ancora,
piet� e commiserazione ".
18
Con queste caratteristiche, il soggetto disabile pu� imparare a vivere con
serenit� e responsabilit� allo stesso tempo, cessando di essere un 'eterno
bambino' , che non aveva l'occasione di crescere ulteriormente; nel considerare
il disabile non dobbiamo pi� pensare alla sua mancata crescita, ma apprendere
dalla sua maggiore sensibilit� gli spunti per far evolvere sia il suo
comportamento che il nostro.
Ci siamo quindi proposti di analizzare gli studi sulla vita sessuale degli
handicappati con lo scopo di contribuire a chiarire un aspetto della vita dei
disabili poco conosciuto - la sessualit� - e di trovare nella realt� particolari
suggerimenti che permettano di arricchire e di rivalutare il termine stesso di
sessualit�.
Le prime rivendicazioni sul diritto alla vita sessuale sono state avanzate
dagli handicappati fisici che hanno sostenuto, con le loro domande, gli studi e le
ricerche degli specialisti.
Certamente un handicap fisico, collegato per esempio all'incontinenza o
all'impotenza, limita la possibilit� di usare il proprio corpo compromettendo lo
sviluppo di una vita sessuale.
Tuttavia ogni portatore di handicap, sia fisico che psichico, ha emozioni,
bisogni e sentimenti, come le persone normali che alimentano speranze di
relazioni affettive, come afferma Valente Torre: " Essi, come tutti, nonostante un
corpo ' brutto ' esprimono il naturale desiderio di avere una persona vicino e
costruire con questa una famiglia ".
19
Ma spesso abbiamo una certa difficolt� ad immaginare e quindi ad
accettare questa ' vita sessuale ' dei disabili.
D'altra parte, per�, gli stessi handicappati non hanno sempre una
coscienza viva del problema sessuale, ed esso deve essere individuato e risolto
dalle persone che li circondano come i familiari, gli educatori e gli psicologi.
18
A. MANNUCCI, Anch'io voglio crescere.Un percorso educativo per l'autonomia dei
disabili,Edizioni del Cerro, Tirrenia,1995, p. 13.
19
L. VALENTE TORRE,M. T. CERRATO,La sessualit� negli handicappati psichici, Edizioni
Tuttora concentriamo l'aiuto agli handicappati esclusivamente
sull'integrazione lavorativa: l'inserimento sociale e professionale, anche se
limitato, ha permesso ai disabili di sviluppare una nuova coscienza di s� e di
avanzare successivamente anche diritti di vita sessuale.
Pi� di ieri l'integrazione familiare e sociale crea una realt� nuova: il
disabile, una volta raggiunta una certa autonomia in questi ambiti, tende ad
imitare i normodotati; coltivando sogni di matrimonio e figli, che rappresentano il
naturale completamento di un'esistenza normale.
La sessualit� degli handicappati finora � stata trattata su riviste molto
specializzate, tra cui le pi� importanti sono:
" Accaparlante ", " Difficolt� di apprendimento "
" Conoscere l'handicap ", " Insegnare all'handicappato ".
Altri studi si basano sulle opinioni dei ' normali ' nei confronti di questo
argomento; tuttavia l'aspetto della sessualit� dei disabili � limitata in entrambi i
casi, alla descrizione di diversi modi di comportamento; come rileva J.J.
Eisenring, le sole considerazioni che ne possono derivare sono di ordine statico
e non permettono, al di l� del censimento dei vari tipi di comportamento e della
loro frequenza, di scorgere il significato dello sviluppo psico - sessuale
dell'handicappato.
20
Diversi studiosi poi trattano la sessualit� dei disabili come espressione '
genitale ' ossia come oggetto di conoscenza medica e terapeutica, in modo da
intervenire a livello patologico sulla sessualit� del portatore di handicap;
soprattutto per regolarne gli impulsi al fine di non creare un disagio nei suoi
rapporti interpersonali e sociali.
Non sempre l'handicappato comprende le leggi e gli impulsi che regolano
la sua sessualit� ed � opportuno che, chi si occupa di lui scopra tali
meccanismi, in modo da trasmettergli nozioni anatomiche, adattandole alla sua
personalit�; e da sviluppare l'aspetto senso-motorio dell'individuo, aiutandolo a
formarsi un'immagine del proprio corpo e delle sue funzioni.
Al tempo stesso � importante che il soggetto disabile faccia esperienza
della propria sessualit� a livello della sua comprensione.
Cortina,Torino,1987, p. 12.
20
Cfr.J.J.EISENRING,Atteggiamenti e contro atteggiamenti di fronte alla sessualit�
dell'handicappato mentale,in AA.VV.,Sessualit� e handicappati, op.cit., pp. 32-51.
Inoltre il problema sessuale � una questione interpersonale e quindi va
risolto tenendo in considerazione gli altri aspetti della vita di relazione del
disabile.
Anche per lui, infatti, non � sufficiente solo il rapporto corporale-genitale
per esprimere il dialogo tra due persone, ma occorre un rapporto intersoggettivo
con una dimensione affettiva pi� ampia e comprendente vari livelli di sensibilit�.
Per ottenere un valido approccio dell'handicappato con la sessualit�, �
necessario quindi sollecitare, permettere e favorire incontri e amicizie, che, a
vario livello, educhino la sua sensibilit� affettiva, dato che il blocco dello
sviluppo cognitivo dei disabili non corrisponde un blocco affettivo, anzi talvolta
l'handicappato rivela una particolare disponibilit� affettiva verso chi lo circonda.
In misura diversa, tale dimensione relazionale pu� sfociare in un'attivit�
autoerotica, accompagnata di solito da un immaginario erotico, fondato su
evidenti aspirazioni di vita di coppia; oppure in una necessit� di forte protezione,
che pu� manifestarsi come il bisogno di ricevere cure e che pu� diventare la
base per un rapporto di coppia.
I.3. DOVE IL DISABILE PUO' RICEVERE UN'EDUCAZIONE
SESSUALE
Il percorso verso l'autonomia del disabile deve necessariamente tener
conto dell'ambiente, o meglio degli ambienti, dove l'individuo nasce e cresce, in
particolare la famiglia e la scuola, per poi lasciare il posto alla societ� nel suo
insieme, dove eventualmente acquista risalto l'ambiente lavorativo.
Tuttavia, " L'acquisizione di una propria identit� spesso si scontra con la
realt� di un mondo circostante non sempre ben disposto ad accettare la figura
del portatore di handicap, che continua a rimanere nascosto o nella famiglia o a
scuola o nello stesso centro extrascolastico ".
21
Anche il sorgere e il diffondersi dei centri di accoglienza e di educazione
dei soggetti disabili ha un senso vero e proprio a patto di non rimanere un luogo
esclusivo di cura e protezione dei portatori di handicap, ma se coinvolge tutta la
realt� circostante, come afferma Mannucci: " Non ci potr� essere cambiamento
nel soggetto se non c'� anche cambiamento nella realt� in cui egli vive, perch�
non solo il soggetto che deve acquisire regole di comportamento, ma anche chi
sta intorno a lui deve capire la realt�, i contenuti, gli specifici di una diversit�
che non deve spaventare, ma arricchire".
22
Se l'educazione generale dei portatori di handicap pone gi� di per s�
problemi relativi ai luoghi e alle occasioni pi� opportune in cui essa pu� essere
svolta, tanto pi� la questione si presenta difficoltosa a proposito dell'educazione
sessuale di tali soggetti.
Chi, infatti, � pi� adatto ad offrire l'opportuna educazione sessuale ai
disabili?
A questo riguardo, secondo quanto afferma Peretti,
" Nessuno esclude il dovere dei genitori, ma molti rimangono perplessi nei
riguardi delle loro possibilit� e della loro volont�, e preferiscono affidare alla
scuola questo compito ".
23
Sia all'estero, in particolare in Inghilterra e in America, tra i paesi pi�
all'avanguardia in questo settore, che in Italia, � emersa per� la deficienza del
21
A.MANNUCCI,Anch'io voglio crecere,op.cit., p. 47.
22
Ibidem., p. 48.
ruolo attribuito ai genitori nell'educazione sessuale, anche in modo
preoccupante: " Pochissimi sono i figli che hanno goduto del benificio d'una
conveniente e tempestiva informazione, in famiglia, sui temi del sesso ".
24
Il ruolo dell'educatore sessuale � quindi introvabile: i genitori non si
ritengono degli esperti, e perci� delegano con facilit� a insegnanti, medici e
psicologi l'incarico di assolvere questo compito delicato.
E' di questo parere anche Bernardi, quando dice: " La tendenza a
scaricare sulle spalle altrui l'onere della cosiddetta educazione sessuale �
umana, comprensibile e, per certi versi, anche giusta. La sessualit� � una
faccenda molto intima, molto privata, molto personale ".
25
Gli insegnanti, a loro volta, chiamati in causa dalla famiglia, ritengono di
non poter svolgere una educazione sessuale senza l'attiva collaborazione dei
genitori, poich� temono di andare contro i desideri, le aspettative e le convizioni
della famiglia del disabile soprattutto in ambito religioso e, pi� in generale,
morale.
Essi inoltre si ritengono i depositari di un sapere disciplinare (storia,
matematica, scienze...) che non ha niente a che fare con una materia cos�
difficile e sfuggente, come l'educazione sessuale, che non risulta in nessuna
parte del programma scolastico.
Quanto ai medici, anch'essi chiamati in causa dalle famiglie per sostenere
questa responsabilit�, si giustificano adducendo la loro competenza
strettamente scientifica, e pertinente a malattie, prevenzioni, diete, ma non
certo ad una educazione sessuale specifica.
Al massimo il loro intervento pu� essere finalizzato a fornire una maggiore
conoscenza del corpo e dell'educazione sanitaria ai soggetti in questione, ma
non fino al punto di impartire un codice di comportamento in ambito sessuale.
Quest'ultimo, affermano i medici, � piuttosto competenza degli psicologi e
dei pedagogisti, i quali si giustificano dicendo di non conoscere adeguatamente
l'anatomia e la fisiologia, e ribadendo il loro ruolo di educatori, in senso lato.
Non si pu� negare che vi sia del vero in ogni posizione e affermazione,
poich� ciascuno rivendica la competenza che gli deriva dalla sua
23
M.PERETTI,Sessuologia Cultura e Educazione,La Scuola,Brescia,1970, p. 103.
24
Ibidem., p. 103.
25
M.BERNARDI,Sessualit�,op.cit., p. 47.
specializzazione, e non vuole oltrepassarne i limiti.
In questo modo, tuttavia, la questione dell'educazione sessuale dei disabili
resta molto fumosa e non trova soggetti capaci di assumerne il compito.
Da quanto si � detto precedentemente, sembra che i rispettivi ambienti
dove il disabile cresce, dalla famiglia, alla scuola, alla societ�, si debbano
occupare della sua educazione ognuno indipendentemente dall'altro, senza
avere relazioni e scambi tra loro. Invece, � opportuno che entrambe le istituzioni
fondamentali - famiglia e scuola - cooperino a vari livelli, ma in stretto contatto,
perch�, come sostiene Peretti: " La collaborazione, anzi ci appare
indispensabile perch� nel caso di un'istruzione esclusivamente scolastica con
totale indifferenza della famiglia il fanciullo viene a trovarsi in una situazione
sgradevole simile a quell'altra di un fanciullo che � stato istruito dai suoi genitori
e deve tener segreto quanto sa nei confronti dei compagni ".
26
Il rischio di una educazione separata nei vari contesti � quello, come si
nota, di una parallela differenziazione dei comportamenti del soggetto, che con
sempre maggior difficolt� riuscir� a collegare quello che ha appreso in famiglia
con quanto gli � stato insegnato a scuola o altrove.
26
M.PERETTI,Sessuologia Cultura e Educazione,op.cit., p. 104.