2
In seguito, richiamando alcuni capisaldi del pensiero keynesiano, quali la nozione di
intraprendenza e il collegamento con gli “animal spirits”, la teoria delle aspettative, il
ruolo delle convenzioni e l’analisi delle componenti della domanda di moneta, ho
proposto di analizzare le caratteristiche del fenomeno speculativo con l’intento di
metterne in luce le cause di fondo.
Le cause della speculazione finanziaria sono riconducibili fondamentalmente alle
seguenti:
1) l’esistenza di incertezza sul futuro;
2) la presenza della moneta come fondo di valore (e “scudo contro l’incertezza”);
3) l’affermarsi di alcune condizioni storico-istituzionali, la principale delle quali è
la progressiva separazione tra proprietà e amministrazione delle imprese con il
conseguente sviluppo di mercati dei titoli di investimento ben organizzati e “liquidi”.
Queste tre cause concorrono a generare dinamiche comportamentali che risultano
analoghe nei mercati azionari e nei mercati obbligazionari, tant’è vero che in entrambi i
casi la speculazione si configura come attività di previsione della psicologia del
mercato. Lo scopo privato degli speculatori è infatti quello di lucrare sulle variazioni di
prezzo (normalmente di breve periodo) dei titoli azionari e obbligazionari prevedendo e
anticipando il mutamento della base convenzionale di valutazione fissata dall’opinione
media di mercato.
Il capitolo 2 mostra che anche gli effetti sono analoghi sui due mercati delle azioni e
delle obbligazioni.
In primo luogo si manifesta un effetto negativo in termini di instabilità monetaria e
finanziaria, ossia un’accentuata fluttuazione delle variabili che possono essere oggetto
3
di attività speculativa: principalmente l’efficienza marginale del capitale, così come è
riflessa nei prezzi delle azioni, e il saggio di interesse a lungo termine.
In secondo luogo si manifesta un effetto reale negativo indotto dall’instabilità monetaria
e finanziaria che impedisce al differenziale tra efficienza marginale del capitale e saggio
di interesse di mercato a lungo termine di mantenersi positivo nel corso del tempo.
Distorcendo il quadro informativo a disposizione degli imprenditori, l’instabilità
monetaria e finanziaria frena il ritmo dell’investimento reale corrente. In questo modo la
speculazione finanziaria contribuisce a determinare quella carenza di domanda
aggregata che, secondo Keynes, è alla base del fenomeno della disoccupazione
involontaria.
La conclusione di Keynes a livello macroeconomico è nota. Il sistema capitalistico in
condizioni di laissez-faire tende ad oscillare nel tempo intorno ad una posizione di
equilibrio subottimale, caratterizzata dalla sottoutilizzazione delle risorse disponibili e,
in particolare, dalla disoccupazione involontaria. Per portare tale sistema a livelli di
produzione e di occupazione non consentiti dai comportamenti umani mossi dal libero
gioco degli interessi individuali è necessario un intervento riformatore di politica
economica da parte delle istituzioni.
Il capitolo 3 mostra che in un’economia capitalistica concreta, così come essa si
presenta a seguito di un processo storico, non esistono rimedi definitivi al fenomeno
della speculazione, perché, in tale contesto, non è possibile rimuovere totalmente le
cause di fondo che lo hanno generato. Perciò la speculazione necessariamente coesiste
con l’intraprendenza sui mercati effettivi. Tuttavia la sua influenza relativa può variare
4
ed è proprio questo elemento che fa la differenza dal punto di vista delle conseguenze
sul sistema economico.
Ne segue che l’obiettivo delle autorità di politica economica consiste nel ridurre
fortemente l’influenza della speculazione sui mercati e, soprattutto, nell’impedire che
essa predomini sull’intraprendenza.
Per perseguire tale obiettivo, secondo Keynes, le istituzioni possono intervenire su tre
fronti:
1) ridurre l’incertezza;
2) modificare l’uso della moneta da parte degli individui;
3) regolamentare i mercati finanziari.
1) Ridurre l’incertezza ha un duplice significato.
In senso stretto ciò significa diffondere adeguate informazioni sui mercati finanziari per
impedire che gli speculatori si avvantaggino della loro conoscenza superiore rispetto a
quella degli altri operatori o che addirittura possano manipolare i mercati diffondendo
notizie false ad hoc.
In senso lato, invece, ciò significa creare le condizioni cognitive affinché gli
imprenditori, dalle cui decisioni di investimento reale dipendono le sorti della
produzione e dell’occupazione a livello di sistema, abbiano una base di conoscenza
meno limitata per poter agire.
2) Modificare l’uso della moneta da parte degli individui significa in sostanza
intervenire con una politica monetaria espansiva che abbassi stabilmente il saggio di
interesse a lungo termine nella percezione dell’opinione media del mercato. Per
raggiungere l’obiettivo di ridurre tale variabile altamente convenzionale la politica
monetaria espansiva deve essere persistente, coerente e credibile agli occhi
5
dell’opinione pubblica. Il risultato non è per niente assicurato a priori, in quanto,
secondo Keynes, la politica monetaria espansiva presenta alcuni limiti di carattere
tecnico-istituzionale e incontra alcuni diaframmi alla sua efficacia. Avendo dei margini
di manovra limitati, essa deve essere in grado di esercitare un’azione di influenza
psicologica sulle aspettative degli operatori.
3) Per limitare le eccessive oscillazioni speculative della valutazione di mercato
dell’efficienza marginale del capitale bisogna, inoltre, introdurre provvedimenti di
regolamentazione istituzionale del mercato borsistico. A questo proposito Keynes
suggerisce alcune misure le quali, facendo leva sulla restrizione della liquidità nel
mercato per via fiscale, consentono di ridurre la convenienza ad effettuare operazioni
speculative.
La politica monetaria espansiva e le pratiche regolatorie possono ridurre l’influenza
della speculazione sui mercati finanziari, ma non sono in grado di fornire un adeguato
stimolo all’investimento reale in presenza di una crisi dello stato della fiducia
imprenditoriale. Ne segue che nel caso di una grave depressione solo l’intervento
pubblico diretto nell’economia con una politica fiscale espansiva può generare quella
domanda aggiuntiva per consumi e per investimenti che il settore privato in condizioni
di laissez-faire non è in grado di esprimere.
6
CAPITOLO 1
NATURA E CAUSE DELLA SPECULAZIONE
1.1 - Introduzione
Generalmente gli economisti provano un certo imbarazzo di fronte al tema della
speculazione finanziaria e sono perlopiù disposti a riconoscerne la rilevanza soltanto
quando emerge (magari rovinosamente) in superficie nei sistemi economici concreti.
Preferiscono trasformarlo in qualcosa di più maneggevole e tranquillizzante
(assimilandolo all’arbitraggio, oppure occupandosene nell’ambito della teoria delle
scelte di portafoglio), con il risultato che spesso le loro teorie economiche risultano
depotenziate dalla mancata considerazione di un fenomeno che influenza notevolmente
il funzionamento dei mercati reali.
A questo proposito è significativa l’opinione espressa da Victoria Chick:
“Speculation provides a reason for the rate of interest to diverge from the rate of profit. For this
reason it is not popular; everyone would prefer to think that the rate of return on financial assets
is determined by the profitability of real assets.
Economic theory reflects this fact, doing its best to ignore speculation or turn it into something
else (arbitrage, or part of portfolio theory). No one really likes to think of the ease with which
financial wealth is inflated or destroyed, to recognize that the value of financial wealth is not
7
firmly based on something real, or to accept that the valuation of financial assets may determine
the pace of investment and thus the rate of profit rather than the other way round.” (Chick,
1987, pp. 124-125).
John Maynard Keynes rappresenta un’interessante eccezione nella storia dell'economia
politica. Egli compie un mirabile tentativo di ricomprendere il fenomeno speculativo
all'interno della propria analisi dei problemi dell'economia reale, per mostrare che esso
può condizionare pesantemente le variabili reali e segnatamente il livello di
occupazione complessiva nel sistema economico.
La sua posizione eterodossa è suffragata dalla sua stessa definizione del pensatore
eretico contenuta nel Treatise on Money:
“The heretic is an honest intellectualist, who has to pluck to stick to his conclusions, even when
they are surprising, so long as the line of thought by which he reaches them has not been
refuted to his own understanding. When, as in this case, his surprising conclusions are also of
such a kind that, if they were true, they would resolve many of the economic ills of suffering
humanity, a moral enthusiasm exalts and strengthens his obstinacy. He follows, like Socrates,
with unbowed head wherever the argument leads him.” (Keynes, CW, vol. VI, pp. 193-194).
1.2 - La natura della speculazione
1.2.1 – Le origini del problema
Molto spesso gli economisti che si confrontano con l’opera di Keynes considerano la
trattazione della speculazione finanziaria da parte sua restando all’interno della General
Theory e occupandosene nel contesto dell’analisi della domanda di moneta per il motivo
speculativo, contenuta nella teoria della preferenza per la liquidità.
I teorici della cosiddetta <<sintesi neoclassica>>, conosciuti anche come neo-
neoclassici, si sono spinti addirittura oltre, nel tentativo di neutralizzare la potenzialità
8
della teoria di Keynes, certamente imbarazzante per l’ortodossia sia dal punto di vista
dell’analisi che da quello della politica economica. Infatti, utilizzando il modello IS-
LM, proposto da John Hicks e Alvin Hansen e integrato dalle analisi di Franco
Modigliani e Don Patinkin, essi dimostrano (con parecchie forzature e limitazioni) che
tutta la costruzione teorica di Keynes non è altro che un caso particolare della teoria
neoclassica. Divulgare l’idea che la novità introdotta da Keynes nell’analisi e nella
politica economica è rappresentata soltanto dalla situazione nota come <<trappola della
liquidità>> (appunto un caso particolare della generale teoria neoclassica) è forse stata
la più abile, astuta e raffinata opera di mistificazione nella storia del pensiero
economico. Sarebbe interessante approfondire qui la questione, ma ciò esula dagli scopi
della presente tesi, anche se qualche osservazione in proposito sarà introdotta nel
paragrafo 3.3.2.1. Per un esame approfondito dell’argomento si rinvia a De Vroey e
Hoover, 2004.
Quello che invece è opportuno tenere presente subito è che, contrariamente a quanto
tradizionalmente è tramandato, Keynes ha cominciato a mettere a fuoco il fenomeno
della speculazione finanziaria molto presto, ben prima di introdurre lo strumento
analitico della domanda di moneta speculativa nella General Theory del 1936. Ciò è
testimoniato dalle Eight Lectures on Company Finance and Stock Exchange, risalenti al
1910. Per analizzare la speculazione finanziaria nella sua complessità, prima di
addentrarsi nelle problematiche tecniche, è bene partire proprio da qui, perché in queste
note manoscritte per la preparazione delle lezioni sul mercato azionario Keynes si
propone di esaminare il fenomeno speculativo nella sua essenza, nella sua intrinseca
natura.
9
Il paragrafo seguente e, in parte, la trattazione riguardante gli effetti della speculazione
sono fondati sui manoscritti citati e considerati in Carabelli, 2002.
1.2.2 - Rischio, speculazione, gioco d’azzardo
La visione giovanile di Keynes della speculazione è ovviamente influenzata da vari
autori, anche se le idee altrui sono sempre filtrate attraverso un metodo personale.
In particolare egli riconosce esplicitamente il suo debito teorico nei confronti di Alfred
Marshall, l’economista neoclassico che è stato il suo principale maestro e che tanto ha
insistito, anche presso il padre, John Neville, affinché il giovane Maynard si dedicasse
allo studio dell’economia. Tuttavia nelle note manoscritte per la preparazione delle
lezioni del 1910 sulla speculazione non vi sono riferimenti espliciti a Marshall e l’autore
maggiormente citato è Emery.
Keynes imposta la sua analisi circa la natura della speculazione distinguendo quattro
situazioni rilevanti secondo la natura del rischio. In questa fase del suo pensiero non usa
il termine incertezza, benché esso sia ricorrente nei passi degli autori da lui citati (per
esempio in Emery).
1) Situazioni in cui il rischio è incalcolabile. L’esempio è l’assicurazione di fatti
politici presso i Lloyd’s.
2) Situazioni in cui il rischio è calcolabile, ma non modellizzabile secondo una
distribuzione normale. L’esempio è quello del gioco della roulette a
Montecarlo.
Le situazioni 1) e 2) sono considerate come “gambling”, cioè gioco d’azzardo.
3) Situazioni in cui il rischio è calcolabile e anche normalmente distribuito. Sono
quelle spiegate con l’assicurazione. L’esempio è l’assicurazione sulla vita o
sugli incendi.
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4) La speculazione.
La distinzione fondamentale da approfondire è quella tra “gambling” e speculazione:
essa permea tutta l’analisi di Keynes dei mercati finanziari e ricorre spesso nel suo
pensiero.
La caratteristica distintiva è rappresentata dalla diversità di conoscenza che le due
situazioni richiedono.
Il “gambling” è praticato da individui ignoranti, ossia privi di conoscenza o dotati di
conoscenza insufficiente, ed è associato a situazioni in cui il rischio è o incalcolabile o,
se calcolabile, non normalmente distribuito.
Viceversa la speculazione è definita come quella situazione in cui la conoscenza o il
giudizio dello speculatore è superiore alla conoscenza o al giudizio del mercato.
Quindi è la conoscenza diversa e superiore rispetto a quella del mercato a differenziare
lo “speculator” dal “gambler”:
“…the essential characteristic of speculation is, it seems to me, the possession of superior
knowledge.” (Keynes, 1910, p. 93).
Ancora:
“…where the speculator’s knowledge or judgement is superior to that of the market.” (Keynes,
1910, p. 93).
La differenza è in seguito esplicitata:
“I shall regard the possession of superior knowledge as the vital distinction between the
speculator and the gambler.” (Keynes, 1910, p. 98).
Su questo aspetto della distinzione cognitiva, e non etica, Keynes si trova anche in
disaccordo con Emery:
“To make the distinction between speculation and gambling one of knowledge, rather than of
intent and purpose, is, I am convinced, the correct course.” (Keynes, 1910, p. 97).
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Keynes sottolinea ancora il concetto ponendo una domanda retorica:
“If the careful study of probability did the gambler any good, it would cease to be gambling.
Suppose a student of probabilities did succeed in discovering a system and went to Monte Carlo
to carry it out, would it be reasonable to regard him as a gambler?” (Keynes, 1910, p. 97).
Nella suddetta definizione di speculazione il ruolo centrale della conoscenza nell’analisi
è ben evidenziato anche dal fatto che Keynes la considera un attributo sia del singolo
individuo sia del mercato, dove comunque individuo e mercato (l’aggregato) restano
due entità concettualmente autonome non riducibili una nell’altra (altra costante del suo
pensiero).
L’enfasi sul ruolo della conoscenza conduce a fare importanti considerazioni sulla
razionalità dei comportamenti degli agenti economici, sia a livello individuale sia a
livello aggregato.
Infatti, quando si tratta di decidere se un dato comportamento sia da ritenersi
speculativo o gioco d’azzardo (e dunque razionale o meno, a seconda della conoscenza
alla sua base), il giudizio di razionalità non può essere assoluto, bensì deve essere
necessariamente relativo, perché deve tenere conto del grado di conoscenza che il
soggetto agente (individuo o mercato) ha di una certa situazione. In altri termini bisogna
tenere conto del fatto che la quantità e la qualità della conoscenza variano in funzione
delle condizioni cognitive.
Per Keynes è lecito parlare non solo di razionalità relativa, ma anche di razionalità in
qualche modo soggettiva, perché le condizioni cognitive inerenti ad una certa situazione
dipendono da circostanze cognitive oggettive e da capacità cognitive soggettive.
Keynes rimane fedele a questa nozione di razionalità del 1910 anche nelle opere della
maturità. Tuttavia il suo punto di vista in proposito è stato ripetutamente criticato. Si
tratta evidentemente di una nozione “debole” di razionalità, molto lontana da quella
12
completa o strumentale di un mondo neoclassico privo di incertezza e imperfezioni. È
una razionalità limitata (perché notoriamente limitate sono le possibilità di conoscenza
della mente umana) e può essere ben interpretata usando il termine ragionevolezza. In
effetti, nella sua distinzione tra speculazione e “gambling”, Keynes intende separare ciò
che è ragionevole da ciò che non lo è: il gioco d’azzardo non è ragionevole a causa della
conoscenza insufficiente, mentre la speculazione può esserlo.
Per quest’ultima egli utilizza il termine “sound”:
“What would be gambling for one man would be sound speculation for another (instance from
betting).” (Keynes, 1910, p. 93).
Un comportamento qualificato come “sound” è da intendere come <<giustificato
logicamente>>, <<valido a priori da un punto di vista logico>>, <<fondato sotto il
profilo della logica>> e quindi può anche essere giudicato oggettivamente razionale da
parte di un osservatore esterno. Nelle note manoscritte Keynes fa riferimento al concetto
di <<avere qualche ragione conosciuta alla base delle opinioni>>. Dunque si tratta di
ragioni che possono essere valutate in modo oggettivo, anche se in ultima istanza
cambiano da soggetto a soggetto.
Nelle note manoscritte del 1910 le tematiche della conoscenza e della razionalità si
collegano a quella della probabilità. A tale proposito occorre ricordare che Keynes già
dal 1907 stava lavorando ad una dissertazione sui fondamenti logici della teoria della
probabilità, opera che sarà pubblicata solo nel 1921 con il titolo di A Treatise on
Probability.
In conformità con tali interessi teorici, egli osserva che il rischio di un investimento
speculativo non è il suo rendimento futuro scontato, ma è il grado di probabilità del
rendimento atteso:
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“We do not mean by the risk of an investment its actual future yield - we mean the degree of
probability of the yield we expect.” (Keynes, 1910, p. 93).
In linea con la sua impostazione probabilistica non empirista, Keynes distingue tra
ragionevolezza ex ante e successo empirico ex post della speculazione. Infatti la
presenza della conoscenza è condizione necessaria e sufficiente per la ragionevolezza ex
ante della speculazione, tant’è vero che, quando la conoscenza è assente o insufficiente,
si può parlare soltanto di gioco d’azzardo. Tuttavia, affinché ex post la speculazione
abbia successo, la presenza della conoscenza è condizione necessaria, ma non
sufficiente, perché occorre anche che lo speculatore abbia una conoscenza superiore
rispetto a quella del mercato. A questo punto diventa comprensibile anche
un’affermazione criptica come la seguente:
“Superior knowledge underlies successful speculation, not <<speculation>> at large.” (Keynes,
1910, p. 104).
Ancora una volta la probabilità (di rendimento), così come la razionalità della
speculazione, è relativa, in quanto dipendente dal grado di conoscenza che il soggetto
agente ha di una certa situazione, e pertanto è anche soggettiva:
“The probability depends upon the degree of knowledge. In a sense, therefore it is subjective.”
(Keynes, 1910, p. 93).
Si noti che nei passi appena citati Keynes lascia intendere che il comportamento
speculativo ha l’obiettivo di prevedere i rendimenti attesi, mentre in altri passi delle note
del 1910 egli qualifica tale comportamento, più propriamente, come investimento.
Vedremo che nella General Theory egli parlerà di “enterprise” e metterà in aperta
contrapposizione la logica comportamentale della “enterprise” con quella della
“speculation” (si vedano i paragrafi 1.3.1 e 1.3.2). Tuttavia, coerentemente con quanto
sosterrà nella General Theory, nelle note del 1910 egli contrappone l’ottica di lungo
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periodo dell’investitore con quella di breve dello speculatore. In effetti, anche se la
speculazione non ha una connotazione limitata al breve termine (short-termism), questa
tende ad essere prevalente.
In ogni caso, per Keynes, lo speculatore è un operatore “intelligent” che, al pari
dell’investitore di lungo periodo, tenta ragionevolmente di prevedere il futuro dai dati
che ha a disposizione nella situazione cognitiva attuale:
“If we regard speculation as a reasoned attempt to gauge the future from present known data, it
may be said to form the basis of all intelligent investment.” (Keynes, 1910, p. 95).
La speculazione (di breve) è considerata razionale come lo è l’investimento intelligente
(di lungo): dal punto di vista della razionalità sia lo speculatore di breve sia l’investitore
di lungo si contrappongono al giocatore d’azzardo.
Però l’investitore di lungo e lo speculatore di breve si differenziano nelle loro attività
previsive, nel senso che il primo mira a prevedere i rendimenti attesi, mentre il secondo
cerca di prevedere i cambiamenti (di breve) dei prezzi o dei valori senza un esplicito
riferimento ai rendimenti attesi:
“A good working definition: speculation consists in the use of superior skill in forecasting
changes of value to take advantage of them by buying and selling.” (Keynes, 1910, p. 100).
Si noti l’espressione “superior skill”. Esiste una capacità ordinaria di prevedere il futuro
che è identificata da Keynes a volte con quella del mercato e a volte con quella della
maggioranza degli operatori nel mercato. Lo speculatore è caratterizzato da un’abilità di
previsione superiore rispetto a quella del mercato o della maggioranza degli operatori
nel mercato:
“But it is better, I think, to regard the speculator as a person who endeavours to make a profit by
means of a power of forecasting the future superior to the ordinary.” (Keynes, 1910, p. 95).
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Si tratta di una concezione dell’attività speculativa molto prossima a quella presente
nella General Theory, come sarà evidenziato nel prossimo paragrafo.
La nitida distinzione teorica tra speculatore e investitore non ha mai una perfetta
corrispondenza nella realtà. Ben conscio di questo, Keynes non cade nell’errore del
manicheismo. A tale proposito è interessante osservare che egli giunge a definire
speculatore anche l’investitore di lungo periodo nel momento in cui questi si forma
razionalmente un’aspettativa diversa da quella della generalità degli agenti, cioè quando
l’investitore, come fa di norma lo speculatore, si confronta con le aspettative del
mercato e ha qualche ragione per ritenere che il rendimento sarà diverso da quello atteso
dalla maggioranza. In tal caso il comportamento dell’investitore è ricondotto a quello
dello speculatore:
“When, however, we are considering philosophically the true nature of speculation, we must
admit that the investor who buys stocks with the full intention of holding it, because he has
reason to believe that its future yield will be higher than the generality think, is equally with him,
who buys to sell again soon, a speculator.” (Keynes, 1910, p. 100).
In conformità a quanto è stato detto finora è possibile fare alcune osservazioni.
Innanzi tutto le Eight Lectures on Company Finance and Stock Exchange del 1910
mostrano che l’interesse di Keynes per il fenomeno della speculazione finanziaria è
precoce e non è assolutamente limitato alla trattazione presente nella General Theory.
Inoltre, prescindendo da raffinamenti analitici successivi, questo approccio giovanile
segue un percorso filosofico-concettuale le cui tappe fondamentali, rappresentate dalle
nozioni keynesiane di rischio, speculazione, gioco d’azzardo, conoscenza, razionalità e
probabilità, rivelano nella loro essenza una sorprendente continuità con il pensiero delle
opere della maturità.
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1.3 - Speculazione nei mercati azionari ed efficienza marginale del capitale
1.3.1 - Speculazione, intraprendenza e aspettative
Le concezioni della speculazione e dell’intraprendenza sono tra loro accostate da
Keynes ed esposte con dovizia di particolari e di esempi nel capitolo 12 della General