1. Introduzione alla finanza islamica
Da secoli, la religione islamica si caratterizza per la sua radicata presenza in ogni sfera della vita
delle popolazioni che la professano. E' infatti del tutto inconcepibile immaginare che vi possa essere
una netta linea di demarcazione, tra le azioni che il singolo credente esercita nell'ambito del culto e
quelle che fanno parte della sua quotidiana mondanità.
L'adesione ai principi contenuti nel Libro Sacro, il Corano, e allo Hadith1 prevede che ogni attività
debba conformarsi a quanto prescritto dalla Shari‘a, e ciò vale tanto per le questioni socio-culturali,
quanto per quelle economiche.
Il revival islamico che ha caratterizzato l'ultimo quarto di secolo ha riguardato sia la vita pubblica
che quella privata dei musulmani. Molti di loro si sono riavvicinati ai dettami dell'Islam, indossando
abiti tipicamente islamici, frequentando le moschee, enfatizzando i valori della famiglia e astenen-
dosi da alcool e gioco d'azzardo.2 A livello pubblico, il revival si è manifestato con la presenza di
banche islamiche, di programmi religiosi nei media, di una vasta letteratura religiosa e con l'emer-
gere di nuove associazioni islamiche che volevano dare inizio a un progetto di riforma politica e so-
ciale.3 L'imposizione di un sistema bancario modellato in base ai canoni occidentali ha costituito un
serio motivo di ribellione, costringendo tanti a modificare le proprie abitudini in questo campo.
Così il possibile rimedio all'apertura di un conto corrente in una banca convenzionale, cioè non isla-
mica, poteva essere il rifiuto dell'interesse, oppure ripiegare su dei conti correnti che prevedessero il
principio del darura4 o in alternativa affidarsi al proprio materasso.
La nascita e la diffusione di un sistema bancario e finanziario rispettoso della legge islamica, soprat-
tutto con riguardo alla questione dell'interesse, è però precedente al revival politico e sociale dell'I-
slam.
1.1 I presupposti religiosi
L'Islam ha sempre considerato in maniera benevola la presenza di attività commerciali nella vita dei
fedeli, tale atteggiamento è del resto testimoniato dall'esistenza nello stesso Corano di molti versetti
che incitano a dedicarsi a questo tipo di attività. Non vi è alcun impedimento all'esercizio di attività
economiche oneste e legittime che permettano alle persone di guadagnarsi da vivere, di prestare aiu-
to ai propri familiari e di mostrarsi caritatevoli nei confronti di coloro che sono meno fortunati. Ciò
significa che la religione islamica non obbliga nessun musulmano a disfarsi dei propri beni per con-
durre una vita fatta di totali rinunce, ma è essenziale che tutto quello che attiene alla gestione del
proprio patrimonio economico sia conforme ai principi di onestà e di giustizia verso gli altri. So-
prattutto non è ammesso che i musulmani abbiano come obiettivo primario la ricerca della ricchez-
za, magari mettendo da parte i propri compiti religiosi.
La principale differenza tra l'economia islamica e quella convenzionale è rappresentata dal divieto
imposto dall'Islam, di pagare o ricevere interessi, cioè la riba. “La parola, generalmente tradotta con
‘usura’, letteralmente significa ‘aumento’. Ma la sua interpretazione è sempre stata oggetto di con-
troversie : secondo alcuni, la riba fa riferimento a tutte le forme di ‘interesse fisso’ ; per altre[sic], il
termine designa soltanto l'interesse eccessivo. Anche se alcune autorità religiose [...] hanno dichia-
1
Lo Hadith è la tradizione che riguarda gli atti e le parole del profeta Muhammad.
2
Si veda VENARDOS, A., Islamic Banking & Finance in South-East Asia: Its Development & Future, World
Scientific, Singapore, 2005, p. 23.
3
Ibid.
4
Parola araba usata per indicare l’idea di «necessità, urgenza».
rato legittimi alcuni tipi di interesse, numerosi ulema continuano ad attenersi a un'interpretazione
restrittiva.”5
Un concetto che chiarisce ulteriormente quali siano le divergenze tra il sistema islamico e quello
convenzionale, deriva dalla legittimità dell'acquisizione e dell'utilizzo della proprietà perché diretta-
mente fondata sul Corano e sulla Sunnah, essendo la religione islamica fondata sul Tawhid, l'ade-
sione totale al volere di Dio. La proprietà è creata e viene concessa da Dio Onnipotente. Si tratta di
una concezione radicalmente diversa dalla moderna comune concezione che vede la stessa proprietà
come un valore secolare, al contrario nella legge islamica, essa è considerata sacrosanta proprio per-
ché connessa alla dimensione divina. Fondamentale è poi l'enfasi che l'Islam pone sulla funzione so-
ciale che la stessa religione deve avere nei riguardi della comunità, mettendo in secondo piano i di-
ritti individuali. Infatti, come già accennato, scopo principale dell'economia islamica è quello di
mettere i musulmani nelle condizioni di poter vivere in modo dignitoso, anche cercando di costruir-
si un proprio patrimonio, ma senza che ciò implichi lo sfruttamento di altre persone e quindi in un
modo giusto che renda possibile l'estensione dei benefici all'intera comunità, la umma, l'anima del-
l'Islam.
1.2 I divieti della Shari‘a e le possibili alternative
La proibizione dell'utilizzo di interessi nelle attività economiche islamiche è fortemente connessa ad
alcune caratteristiche del sistema entro cui si inserisce. In primo luogo, tutti dovrebbero possedere
le risorse economiche minime necessarie per la propria sussistenza. In secondo luogo, si dovrebbe
prevenire ogni ingiusta concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi individui. In terzo luogo,
si dovrebbe scoraggiare l'accumulo di denaro fine a se stesso, ma al contrario incoraggiare l'utiliz-
zo della ricchezza per scopi produttivi. In quarto luogo, si dovrebbe agire affinché il sistema econo-
mico premi solo coloro che acquisiscono ricchezza esclusivamente col proprio lavoro, ad eccezione
dei disabili e di coloro che involontariamente non lavorano.6
Oltre all'uso degli interessi, vi sono altri due importanti divieti imposti dalla Shari‘a e che assumo-
no un certo peso nella finanza islamica. Si tratta del maysir e del gharar. Più generale è il concetto
di haram, che significa vietato, proibito, e si estende a tutta una serie di attività che hanno ad ogget-
to l'alcool, la carne suina, il gioco d'azzardo, solo per citarne alcuni. Ad esso è contrapposto il con-
cetto di halal, cioè tutto quello che invece è permesso perché in accordo con la Shari‘a. Ma tornan-
do ai due divieti principali, il maysir, che si può tradurre con speculazione, azzardo, è quello che
vieta le attività dove viene fatta un'esplicita speculazione, quelle dell'assicurazione convenzionale e
simili. Il gharar, che significa incertezza, ambiguità, è usato soprattutto con riguardo ad attività
come le vendite a breve termine, le speculazioni e simili, ma più in generale ogni volta che sono
presenti elementi di rischio e incertezza in un contratto. Il gharar è presente nelle transazioni in cui
il prodotto venduto non può essere immediatamente acquisito dall'acquirente magari perché si tratta
della vendita di pesci non ancora pescati o di frutta non ancora colta. Allo stesso modo, le transazio-
ni in cui all'acquirente non è consentito in certe situazioni di poter visionare i prodotti prima del loro
acquisto, presentano evidenti rischi. Un altro esempio sono gli investimenti speculativi, specie nel
mercato azionario. Tuttavia è possibile che in determinati casi, in cui vi sono piccole incertezze le
transazioni possano avere luogo, a patto che siano rispettate certe condizioni: i beni o i servizi ven-
duti devono effettivamente esistere e l'acquirente deve poterne conoscere le caratteristiche, le parti
5
WARDE, I., I Principi religiosi alla prova della globalizzazione: I Paradossi della finanza islamica, da “Le monde di-
plomatique”, <http://www.noglobal.org/glob_index.htm> (09-06-2007).
6
VENARDOS, A., op. cit., pp. 44-45.
5
contraenti devono essere in grado di assicurare che avrà luogo lo scambio e infine se è previsto che
quest'ultimo debba avvenire in futuro, è necessario stabilire una data certa per lo scambio.7
Naturalmente le attività che prevedono l'assunzione di rischi, sebbene normalmente siano proibite
dalla legge islamica, sono viste positivamente quando riguardano quelle imprese commerciali che si
impegnano in un'attività economica che si rivela utile per la collettività. Lo stesso vale per la crea-
zione di prestiti che abbiano lo scopo di finanziare attività socialmente utili. In questi casi il rischio
viene accettato solo se a farsene carico sono i finanziatori, ad esempio le banche, e non gli agenti
che dovranno poi gestire autonomamente l'impresa. E' evidente come le attività commerciali tipiche
della finanza islamica diventino in realtà parte della vita religiosa di chi le pratica, essendo esse in
accordo con il codice morale islamico. I principi come l'onestà, la sincerità, la fratellanza, la giusti-
zia, ma anche la scienza e la conoscenza, forniscono un background etico al modo di condurre
l'economia.
La Shari‘a vieta che siano pagati gli interessi di un debito e che un prestito venga considerato
un'attività proficua legittima. La legge islamica prevede che ogni volta che si crea ricchezza, questa
deve risultare da un rapporto di compartecipazione ai rischi e ai guadagni tra l'investitore e colui
che usa il capitale, in questo modo i guadagni sul capitale investito vengono realmente guadagnati e
non determinati a priori. Questa condivisione del rischio è alla base del profit and loss sharing
(PLS) che permette un'equità distributiva a livello di perdite e guadagni, e proprio per questa ragio-
ne un finanziatore non può imporre al debitore un tasso di interesse, in quanto questo non può tene-
re in conto l'effettivo risultato dell'investimento.
L'uso dell'interesse è rappresentato nel Sacro Corano come un atto di guerra “nei confronti di Allah
e del suo messaggero”. Questo fa meglio intendere quale filosofia vi sia dietro la proibizione dell'in-
teresse nell'Islam, essendo esso considerato alla stregua di una minaccia per lo stato di cose che Al-
lah vuole sia presente sulla terra. Nel versetto 276 della sura Al-Baqara è scritto che “Allah ha ripu-
diato la riba e ha fatto dei sadaqat”, questi ultimi sono della donazioni volontarie. Se ne deduce che
la pratica della riba va contro gli obiettivi di una società islamica, mentre quella dei sadaqat pro-
muove tali obiettivi. Le ragioni della proibizione dell'interesse nei Paesi musulmani sono giustifica-
te in quanto le transazioni basate sull'interesse violano l'aspetto equo dell'organizzazione economi-
ca. E' contrario alle norme della giustizia islamica il pagamento di un tasso d'interesse predetermi-
nato sulla somma data a prestito perché ciò non tiene in conto l'eventuale perdita di colui che ha ri-
cevuto il prestito. Inoltre un sistema basato sull'interesse non incentiva l'innovazione, in particolare
quella delle piccole imprese. Queste ultime al contrario delle grandi industrie, esiteranno molto pri-
ma di sperimentare nuove tecniche di produzione non avendo a loro disposizione riserve sufficienti
per far fronte a un eventuale fallimento degli investimenti effettuati. Del resto in un sistema come
questo le banche avranno come interesse esclusivo quello di riprendersi il proprio capitale proprio
mediante gli interessi, di conseguenza finché il guadagno che le banche traggono dalla somma pre-
stata rimarrà fisso e non legato in alcun modo ai reali profitti delle imprese che gestiscono il loro ca-
pitale, le banche non avranno alcun incentivo a privilegiare le imprese con il più alto potenziale di
profitto. Questa tipologia di banche è orientata più sulla sicurezza che sulla crescita, infatti anche
quando riservare i propri capitali alle imprese maggiormente stabili dal punto di vista economico
non basta, esse tendono a investire negli ancor più sicuri titoli di Stato. Tutto questo causa un grave
impedimento per la crescita, non permettendo che una parte delle risorse bancarie possa essere este-
sa a un maggior numero di potenziali imprenditori, il cui contributo andrebbe ad aggiungersi al pro-
dotto interno lordo dei rispettivi Paesi.8
7
Ivi, p. 57.
8
Ivi, pp. 47-49.
6