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Questo processo ha comportato la trasformazione della filiera automobilistica da un
sistema «piatto» ad un sistema «gerarchizzato» (Camuffo, 1997; Volpato, 1997). Nel
corso degli anni Novanta i costruttori occidentali hanno assimilato progressivamente
le caratteristiche proprie del modello giapponese attraverso il ricorso,
nell’organizzazione del processo produttivo, alla lean production, produzione
«tirata» dalla domanda, a flusso teso, senza magazzino e, nelle modalità di divisione
del lavoro, all’outsourcing, decentramento produttivo tramite esternalizzazione delle
attività non strategiche, procedendo quindi ad una selezione dei fornitori e alla
creazione di una rete di fornitura che permettesse loro di aumentare il proprio
vantaggio competitivo.
Questa nuova configurazione di impresa «estesa» permette di ridurre la dimensione
ottimale minima e contemporaneamente assicura lo sfruttamento di economie di
scala attraverso la crescita esterna realizzata con fusioni ed acquisizioni.
L’evoluzione nel corso degli ultimi anni ha visto inoltre l’utilizzo dei processi di
outsourcing non solo delle fasi produttive ma anche di quelle relative ai servizi, tra
cui quella cruciale della progettazione (Enrietti-Lanzetti, 2001).
Questa riorganizzazione proviene principalmente dallo sforzo continuato degli OEM
a sviluppare un nuovo rapporto con i clienti, basato sul metodo make-and-deliver-to-
order, opposto rispetto al metodo precedente denominato make to stock. Questo
implica una radicale trasformazione nell’organizzazione interna nell’industria
automobilistica, ma anche una trasformazione nella catena di fornitura dei
componenti. La riorganizzazione della catena di fornitura dei componenti riguarda
principalmente le forme di interazione fra i soggetti che intervengono all’interno
della catena, ovvero clienti, produttori e fornitori.
La riorganizzazione delle imprese automobilistiche, caratterizzata essenzialmente da
un’elevata esternalizzazione di fasi produttive, ha implicato conseguentemente la
modifica del sistema di subfornitura e delle relazioni tra fornitori di componenti e
assemblatori finali. Nel processo di ridefinizione dei rapporti di subfornitura risulta
fondamentale l’evoluzione della stessa struttura industriale della componentistica in
cui sembra prevalere la tendenza alla concentrazione, alla globalizzazione e alla
specializzazione produttiva (Richiardi-Vitali, 2001).
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Questa tendenza all’outsourcing (e quindi al concentrarsi sulle core competencies da
parte delle case automobilistiche) si è accompagnata ad una netta razionalizzazione
delle relazioni di fornitura e alla riduzione del numero dei fornitori diretti di ogni
casa automobilistica, una porzione crescente dei quali è ora chiamata a fornire interi
moduli o sottoinsiemi assemblati, invece che singoli componenti.
All’origine di quest’esternalizzazione di produzioni c’è, oltre all’esigenza di
contenere i costi di produzione, come nel passato, anche quella di assicurarsi capacità
di progettazione e ingegnerizzazione, stante il fatto che le case automobilistiche, da
un lato, non possiedono le risorse finanziarie necessarie per aprire e sviluppare tutte
le aree di ricerca che sono potenzialmente promettenti, dall’altro, non possiedono le
competenze necessarie per sfruttare le opportunità che si trovano in ambiti
tecnologici differenziati. L’organizzazione della catena di fornitura sotto forma
modulare si associa, all’interno delle case automobilistiche, alla strategia della
riduzione del numero e della standardizzazione delle piattaforme. La conseguenza di
questo processo sarà lo sfruttamento delle economie di scala tanto da parte delle case
quanto da parte dei componentisti.
E’ importante sottolineare che nell’ultimo ventennio i produttori automobilistici
hanno dovuto affrontare l’incremento della domanda di personalizzazione, la quale
ha richiesto una riorganizzazione della struttura della produzione e della
distribuzione in modo da aumentare la flessibilità di processo. I fattori che hanno
determinato questa trasformazione si riferiscono all'implementazione della
progettazione modulare ed al postponement della differenziazione di prodotto, ossia
il rinvio della personalizzazione del prodotto ad un momento successivo, ed ai forti
cambiamenti dal lato della domanda, dove i clienti richiedono sempre di più prodotti
personalizzati.
La modularità ha consentito il rinvio dell’assemblaggio finale di un prodotto
(postponement) sino al momento del ricevimento dell’ordine del cliente. Cosicché le
operazioni di assemblaggio avvengono in differenti posizioni della rete, per esempio
produttori, distributori, rivenditori e perfino i clienti all'estremità (Hulthe´n, 2002). In
questo modo assumono sempre più importanza le aziende distributrici di automobili
alle quali vengono demandate le operazioni di postponement, consentendo una
riduzione dei costi e dei lead time della produzione e dell’assemblaggio.
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L’obiettivo di questo lavoro è quello di valutare l’evoluzione dell’industria
automobilistica verificatasi nel corso dell’ultimo ventennio, contraddistinta da due
aspetti particolarmente importanti, il primo è rappresentato dalla forte attenzione
delle imprese automobilistiche alle esigenze dei clienti, centralità del cliente rispetto
alla centralità del prodotto; secondo, è il nuovo ruolo che vengono ad assumere i
suppliers, non più semplici produttori di beni su indicazioni fornite dal buyer, ma
bensì partner in processi di sviluppo, quali codesign.
Nel primo capitolo si cerca di mettere in evidenzia le determinanti e le implicazioni
derivanti dalla transazione in atto dal sistema manageriale della produzione snella
(lean production) a quello della produzione modulare, parallela alla transazione dal
paradigma competitivo della produzione di massa flessibile a quello della
personalizzazione di massa (mass customization). In particolare dopo aver descritto
dettagliatamente gli elementi fondamentali su cui si basa la lean production, si mette
in luce come la principale casa automobilistica italiana, la Fiat, abbia adottato i
principi della lean production passando dalla Fabbrica ad alta Automazione a
Fabbrica Integrata. In questo contesto la Fabbrica Integrata si presenta come
l’opportunità strategica per il raggiungimento della qualità totale ed il superamento
degli inconvenienti e dei limiti tecnico-organizzativi della Fabbrica ad alta
Automazione. Successivamente viene analizzato il sistema di produzione modulare e
le differenti aree in cui essa può essere applicata, ossia modularità in progettazione e
modularità in produzione ed infine vengono approfonditi gli effetti generati
dall’adozione dei principi della modularità in alcuni casi aziendali.
Nel secondo capitolo viene esaminata la supply chain del settore automobilistico,
partendo dalle trasformazioni delle relazioni tra OEM e OES verificatesi nel corso
degli anni ottanta e novanta, ed indicandone i relativi punti chiave. Dopo si
determina il ruolo svolto dall’ICT nell’integrazione della supply chain mediante lo
sviluppo di piattaforme informatiche per il miglioramento della gestione della
distribuzione dei prodotti e dei rapporti con i clienti. In seguito viene indicato come
le imprese hanno affrontato le richieste di personalizzazione dei prodotti da parte dei
clienti, mediante l’adozione della strategia BTO, riportando il caso aziendale della
Volvo. Nella parte finale si effettua una descrizione approfondita dei fornitori e delle
relazioni tra essi ed i compratori.
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Il terzo capitolo è interamente dedicato al processo di esternalizzazione (outsourcing)
messo in atto nel corso degli ultimi anni da parte dei produttori automobilistici per
far fronte alle esigenze di focalizzazione sul proprio core business, di riduzione dei
costi e di smobilizzo di capitali. Nella prima parte dopo aver delineato l’evoluzione
delle strutture organizzative aziendali si analizza l’outsourcing come strumento di
pianificazione strategica e le altre forme di esternalizzazione. In particolare dopo
aver fatto una classificazione del fenomeno, vengono affrontate le problematiche
relative alla valutazione delle attività da esternalizzare, alla selezione del partner. In
tale ambito ci si sofferma sui rischi e sulle opportunità derivanti dal ricorso
all’outsourcing. Successivamente si valuta il fenomeno dell’outsourcing all’interno
del settore automobilistico, riportando il processo di outsourcing adottato dalla Fiat
nella seconda metà degli anni novanta che ha condotto all’esternalizzazione delle
attività di logistica, di manutenzione, e di alcune fasi del processo di produzione.
Infine si considera l’evoluzione dei modelli di fornitura nel settore automobilistico
attraverso il passaggio dalla fornitura tradizionale alla fornitura a livelli e alla
modularizzazione.
Nel quarto ed ultimo capitolo si approfondisce il progetto AUTOMA, attualmente in
fase di sperimentazione, promosso dalla BLG Automobile Logistics Italia,
un’azienda operante nel settore della logistica automobilistica, insieme ad alcuni enti
di ricerca sia del settore pubblico che privato,ed aziende private del settore
informatico, il cui obiettivo è, oltre a quello di pervenire a miglioramenti della
gestione della logistica automobilistica a favore di BLG, con conseguenze positive
sulla competitività di questa azienda e sul potenziale indotto economico, di ideare e
realizzare, in una fase successiva alla chiusura delle attività di questo progetto,
sistemi software commerciali per il supporto alla logistica automobilistica
intermodale da proporre come soluzione integrata ad altri gestori di hub di
distribuzione di autovetture. Dopo aver svolto una descrizione del progetto, si
definisce la mission e si indicano le quattro linee di ricerca che il progetto si propone
di svolgere. Successivamente vengono riportati i risultati che si ipotizza di
raggiungere e nonché i vantaggi in termini economici ed occupazionali che tale
progetto potrà generare nell’area di Gioia Tauro. Infine viene descritto il Distretto
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Tecnologico R&D.LOG ed il relativo progetto integrato LogNet all’interno del quale
il progetto AUTOMA viene sviluppato.
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CAPITOLO PRIMO
L'ANALISI DEI SISTEMI DI PRODUZIONE AUTOMOBILISTICA
1.1. Complessità e turbolenza dei mercati spingono verso nuovi sistemi
produttivi
Just in time, produzione snella, struttura modulare o integrata di fabbrica
rappresentano le condizioni ampiamente riconosciute, che hanno consentito ai
sistemi industriali di passare dal modello fordista che ha dominato la metà del XX
secolo ad un nuovo modello che sta dominando il XXI secolo.
L’adozione di questo nuovo sistema di produzione ha generato una serie di vantaggi
quali: mix di prodotti variato e immediatamente sensibile alle fluttuazioni del
mercato, tempi quasi dimezzati nel passaggio dalla progettazione al lancio di nuovi
modelli (time to market), tendenziale raggiungimento della qualità totale gratuita,
ovvero prodotti senza difetti e senza costi aggiuntivi; progressiva riduzione dei costi
di produzione, clima aziendale collaborativo e senza conflitti.
Per i costi più bassi e per la maggiore reattività al mercato il nuovo modo di
produzione appare superiore anche alla cosiddetta produzione neoartigianale, che
viene ancora oggi adottata nei mercati di nicchia.
Questi nuovi sistemi di produzione hanno consentito alle imprese di rispondere
prontamente ai continui mutamenti delle esigenze di mercato, il quale risulta
caratterizzato da elevati gradi di complessità e turbolenza.
Un mercato si definisce complesso quando numerose ed interdipendenti sono le
variabili di cui si compone, turbolento quando i cambiamenti delle variabili
avvengono in modo distruttivo, discontinuo, rapido e imprevedibile.
L’incremento della complessità e turbolenza dell’ambiente registrato nell’ultimo
decennio ha determinato l’emergere delle seguenti situazioni di contesto:
- Nuovi modelli di competizione nei mercati dei prodotti, che riflettono la
sorprendente flessibilità e velocità di talune imprese nell’introdurre nuovi
prodotti, aggiornare quelli già esistenti, allargarne le linee;
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- Un nuovo modello di globalizzazione caratterizzato da un’elevata
integrazione delle conoscenze e dei processi tra produttori e fornitori
organizzati e dispersi su scala mondiale;
- Le nuove caratteristiche dello sviluppo tecnologico caratterizzato dal ritmo
discontinuo con cui avanzano le tecnologie di prodotto e di processo
Sanchez (1995) elenca e descrive i nuovi modelli di competizione come segue:
1. ricerche di mercato in tempo reale. Le imprese sembrano essere sempre
meno orientate a valutare la domanda attraverso le tradizionali tecniche di
marketing, al fine di lanciare nuovi prodotti sul mercato. Diversamente, sono
sempre più propense ad adottare quelli che vengono definiti modelli di
apprendimento (learning models) che consistono in modelli di prodotto
realmente fabbricati e commercializzati in piccoli lotti. Tale condotta deriva
dalle capacità possedute dalle imprese di sviluppare e produrre nuovi
prodotti a costi bassi e in tempi brevi attraverso cui valutare le reazioni di
consumatori reali, a prodotti reali.
2. rapida proliferazione di nuovi prodotti. La condotta competitiva delle
imprese è sempre più caratterizzata dalla saturazione dei mercati attraverso
l’offerta di cluster di modelli di prodotto correlati (product families). Ciò
anche al fine di scoraggiare e prevenire potenziali entrate di concorrenti.
3. intensiva segmentazione del mercato. E’ in atto nelle imprese un processo di
proliferazione spinta dalla varietà dei prodotti da offrire a specifici e sempre
più ridotti segmenti di mercato. L’orientamento all’intensiva segmentazione
dei mercati da parte delle imprese riflette l’attuale regola della produzione
capitalistica della personalizzazione di massa (mass customization) che
assurge a paradigma competitivo manageriale emergente, caratterizzato dalla
progettazione, produzione e commercializzazione di massa di prodotti
differenziati per nicchie di mercato e spesso singolarmente personalizzati.
La personalizzazione dei prodotti per consumatori individuali suggerisce
l’abbandono della logica produttiva dei piccoli lotti in favore dei prodotti
diversi l’uno dall’altro.
4. rapido miglioramento delle performance. Le imprese sono sempre più
orientate al rapido upgrading dei propri prodotti, rendendoli esse stesse
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obsoleti prima che lo facciano i diretti o potenziali concorrenti. Il fenomeno
della cannibalizzazione dei propri prodotti, attraverso il rapido
miglioramento tecnologico dei medesimi, si spiega con la volontà di
mantenere il controllo sui mercati, scoraggiando imitazioni e ingressi da
parte dei concorrenti attuali o potenziali.
I nuovi modelli di competizione e di globalizzazione dei mercati dei prodotti e le
nuove caratteristiche del progresso tecnologico sin qui brevemente descritti sono
causa ed effetto di due ordini di innovazioni:
- innovazioni tecnologiche che influenzano lo sviluppo, la produzione e la
commercializzazione dei prodotti, incrementando, in particolare, la
flessibilità e la rapidità del processo di realizzazione dei prodotti;
- innovazioni organizzative e gestionali (o innovazioni manageriali) del
manufacturing che, mettendo a frutto le innovazioni tecnologiche,
consentono alle imprese di ampliare il range dei prodotti offerti e, al tempo
stesso, di registrare un aumento dell’efficienza; allargare l’orizzonte
geografico della competizione; generare ulteriore innovazione tecnologica.
Le innovazioni manageriali cui s’intende far riferimento configurano il nuovo
sistema della produzione modulare.
Le innovazioni tecnologiche e manageriali trasformano i modelli di competizione, le
forme di globalizzazione e accelerano la discontinuità tecnologica nei mercati dei
prodotti, rendendoli altamente complessi e turbolenti. Al tempo stesso, i nuovi
modelli competitivi, l’integrazione produttiva a livello globale tra le unità produttive
specializzate e i breakthroughs delle tecnologie generano spinte ad ulteriori rapidi
cambiamenti che accelerano le innovazioni, creando così un’inesorabile spirale di
turbolenza nei mercati dei prodotti.
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Figura n°1 La spirale della turbolenza nei mercati dei prodotti
Fonte: Gallinaro S., (2001)
La turbolenza dei mercati spiega la transazione in atto del sistema manageriale della
produzione snella (lean production) alla produzione modulare, la quale è parallela
alla transazione dal paradigma competitivo della produzione di massa flessibile a
quello della personalizzazione di massa (mass customization).
La produzione modulare è descritta e analizzata come modello organizzativo e
gestionale evolutivo della lean production. Le imprese possono adottare la
modularità in produzione solo dopo essere passate attraverso lo snellimento
strutturale e gestionale realizzato secondo i dettami del modello lean. Il modello lean
rappresenta le fondamenta su cui si erige la produzione modulare, pertanto non è
possibile comprendere il recente modello di manufacturing senza aver delineato il
sistema di produzione che lo precede e nel quale esso stesso fonda le radici.
1.2. L’antefatto della produzione modulare: il sistema della produzione snella
Il sistema di produzione snella che si è diffuso all’interno delle imprese occidentali,
dopo aver avuto largamente successo in Giappone, ha generato effetti positivi sul
lavoro e sui lavoratori, sollecitando in questi ultimi un coinvolgimento quasi naturale
ed un senso di maggiore lealtà verso le direzioni aziendali. Il legame stretto tra lean
production e partecipazione attiva dei lavoratori costituisce del resto il fondamento
dello spirito Toyota.
Alla base dello spirito Toyota vi è una continua ricerca delle condizioni tecnico-
organizzative capaci di permettere forme di produzione per piccoli lotti a parità di
costi; abbassamento dei tempi per la sostituzione degli utensili; soprattutto alla
Innovazioni tecnologiche
Innovazioni manageriali
Nuovi modelli di
competizione
Globalizzazione
produttiva
Breakthroughs delle
tecnologie
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sistemica attenzione per le applicazioni capaci di garantire una perfetta sincronicità
delle operazioni produttive, tali da ridurre al minimo gli sprechi e i tempi morti.
La convinzione relativa al necessario coinvolgimento del lavoratore nella lean
production è stata rafforzata soprattutto dai risultati di quella che può essere
considerata l’analisi più completa sullo sviluppo della produzione snella, svolta da
Womack, Jones e Roos.
Tale analisi costituisce un contributo fondamentale alla descrizione dell’evoluzione
dei sistemi produttivi e dell’organizzazione del lavoro nel settore dell’automobile,
nelle tre fasi della produzione artigianale, di massa e snella.
La prima, come è noto, fa ricorso a lavoratori specializzati e a tecnologie generiche e
flessibili; realizza produzioni su scala ridotta, secondo i desideri del consumatore, si
caratterizza per strutture altamente decentrate e mercati molto concorrenziali.
La seconda tende invece a sviluppare un’organizzazione del lavoro parcellizzata e
utilizza addetti non qualificati o semi-qualificati; è basata su impianti costosi,
dedicati e progettati per produrre quantità elevate; è realizzata in grandi stabilimenti
che si caratterizzano per la loro struttura verticale, concentrata, e per le forti
economie di scala; si è affermata nei mercati oligopolistici.
La produzione snella, introdotta dai produttori di auto giapponesi, è in grado di
combinare i vantaggi di entrambe, poiché riduce i costi della prima e le rigidità della
seconda, utilizzando meno di tutto: meno risorse umane, meno ore di progettazione,
minor spazio produttivo e minori investimenti in impianti.
Ricorre a lavoratori qualificati e motivati grazie ad una gestione strategica delle
risorse umane e al concetto di azienda comunità (Dore, 1987); si basa sul contributo
attivo e integrato degli stakeholders della stessa comunità aziendale allargata: operai,
dirigenti, fornitori, clienti; realizza produzioni diversificate e flessibili, che si
adattano alle richieste della nuova domanda a crescita lenta e personalizzata, grazie
ai metodi del just in time e della qualità totale.
Il nuovo orientamento alla valorizzazione del capitale umano comporta quindi una
ristrutturazione delle stesse relazioni di lavoro, a livello collettivo con le
rappresentanze, a livello individuale con una più sofisticata gestione delle risorse
umane.
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Womack e Jones (1996) nel corso del loro studio hanno individuato i cinque principi
che caratterizzano la produzione snella, i quali svolgono una funzione guida nel
superamento della produzione di massa quali:
- la definizione del valore. Il tema centrale della produzione snella è
indubbiamente l’eliminazione degli sprechi (muda). Il pensiero snello
rappresenta il vero antidoto ai muda, poiché indica come fare con sempre
meno (minor lavoro, minori attrezzature, minor tempo, minor spazio ecc.).
Nella prospettiva della produzione snella il valore si definisce in termini di
prodotti specifici con caratteristiche specifiche offerti a prezzi specifici
attraverso un dialogo istaurato con clienti specifici. In altre parole, il valore
può essere definito solo dal cliente finale, individuando il prodotto in grado di
soddisfare le proprie esigenze ad un dato prezzo e in un dato momento. Il
valore è creato dal produttore, qualsiasi attività dell’impresa che assorbe
risorse ma non crea valore per il cliente è muda. I sette principali sprechi
individuati da Ohno, il dirigente della Toyota che negli anni ’50 ha dato
inizio al processo di revisione dei sistemi manageriali di produzione, sono:
difetti nei prodotti, sovrapproduzione non necessaria, magazzini non
necessari, lavorazioni non necessarie, spostamenti di persone non necessari,
trasporti di beni e pezzi non necessari, attese. A queste Womack e Jones ne
hanno aggiunto un ottavo: la progettazione di beni/servizi che non soddisfano
reali bisogni dei clienti.
- Identificazione del flusso di valore. Il flusso del valore è l’insieme delle
attività necessarie per realizzare un prodotto dalla sua ideazione all’effettiva
disponibilità, passando attraverso la progettazione, ingegnerizzazione,
produzione, vendita e consegna nelle mani del cliente. L’identificazione del
flusso di valore deve essere orientata ad eliminare attività e passaggi che non
creano valore. La prospettiva di analisi che sottostà all’individuazione del
flusso di valore, comporta il ripensamento dell’impresa secondo l’approccio
per processi organizzativi e un nuovo modo di concepire le relazioni
interaziendali. Affermano Womack e Jones che, in un’epoca in cui le singole
aziende stanno portando sempre più attività all’estero e tendono a fare sempre
meno in prima persona, c’è bisogno di alleanze volontarie tra tutte le parti
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interessate per sovrintendere ad un flusso di valore polverizzato, alleanze che
esaminino ciascun passaggio creatore di valore e che durino almeno quanto i
prodotti.
- Far scorrere il flusso. Una volta definito il valore in termini di soddisfazione
del cliente e che sia stato ricostruito il flusso di valore al fine di eliminare le
attività inutili, occorre che il prodotto fluisca ininterrottamente, attraverso le
attività creatrici del valore. In altri termini, occorre che le attività per
progettare, ordinare, produrre e fornire un prodotto avvengano in modo
continuo. A tal fine è necessario abbandonare la logica per lotti e code (batch
and queue) e passare ad una logica per flussi (flow) nella progettazione ed
esecuzione dei compiti di lavoro. Il lavoratore che opera per lotti e code vede
solo una piccola parte dell’attività dell’impresa. Nell’organizzazione in cui il
lavoro fluisce con continuità il lavoratore ha invece la visione dell’intero
processo di creazione del prodotto e percepisce il suo contributo
all’avanzamento del flusso di valore. L’unità organizzativa che emerge in un
sistema orientato a far scorrere il valore è il team di prodotto responsabile
della gestione dell’intero flusso del valore. Womack e Jones affermano che
per far fluire il valore, occorre in primo luogo, concentrarsi sull’oggetto reale
e non perderlo mai di vista, dall’inizio alla fine. Successivamente, occorre
ignorare i tradizionali confini organizzativi delle mansioni, della
professionalità, delle funzioni (spesso strutturate in reparti e uffici) e delle
aziende coinvolte nel flusso per creare un’impresa snella che rimuova tutti gli
ostacoli alla generazione di un flusso continuo per un dato prodotto o una
famiglia di prodotti. L’impresa snella è dunque la dimensione organizzativa
del flusso di valore, non necessariamente, anzi prevalentemente, non
coincidente con l’impresa singola. Da ultimo, affinché il flusso fluisca,
occorrerà effettuare un ripensamento delle pratiche e delle attrezzature riferite
agli specifici lavori per eliminare i flussi a ritroso, scarti e fermate.
- Pull. Il pensiero suggerisce all’impresa di non spingere (push) verso i clienti
il prodotto che potrebbe risultare loro indesiderato; diversamente propone che
siano i clienti stessi a tirare (pull) il prodotto dall’impresa. Il modo migliore
per ridurre i muda è, infatti, quello di attivare il flusso di valore a partire dalla
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richiesta concreta del cliente in modo da produrre il prodotto desiderato e nel
momento in cui lo richiede. La produzione just in time è dunque una
produzione che tende al flusso per pezzi singoli che favorisce la
minimizzazione dei lotti ma, al tempo stesso, richiede tempi rapidi di set-up
delle linee di produzione a monte del montaggio finale. L’adozione della
logica pull realizza di conseguenza la riduzione dei magazzini sia di prodotti
finiti sia di materie prime, poiché, risalendo a ritroso lungo la catena del
valore, gli approvvigionamenti presso i fornitori avvengono anch’essi just in
time.
- La perfezione. Infine la perfezione. Le imprese devono perseguire la
perfezione migliorando in modo incrementale (kaizen) e radicale (kaikaku)
ogni fase ed attività del flusso di valore. A tal fine occorre che il management
e i lavoratori dell’impresa vedano chiaramente il flusso di valore ed il fluire
del valore richiesto dal cliente lungo le varie fasi del processo di creazione
del prodotto. Ciò che occorre che sia ben visibile è altresì l’obiettivo del
miglioramento. La soluzione organizzativa dei team di prodotto aumenta in
genere la capacità di visione dei partecipanti al sistema d’impresa. La
riduzione dei muda è un risultato concretamente raggiungibile se si persegue
la perfezione.
1.2.1. I Pilastri della produzione snella
Just in time e autoattivazione dei lavoratori (l’automazione del tocco umano) sono i
due pilastri del sistema Toyota per ottenere l’eliminazione totale degli sprechi.
Just in Time (JIT) è la sigla adottata dagli occidentali per rappresentare un modello
organizzativo inventato dai giapponesi e da essi quasi totalmente sviluppato. Il just in
time è un metodo di organizzazione e gestione per adeguare la produzione aziendale
effettiva alle fluttuazioni della domanda, come quantità e mix, facendo si che tutte le
fasi di lavoro dell’impresa realizzino il prodotto realmente richiesto dal mercato, nel
momento giusto e nelle quantità necessarie.
Il risultato della produzione just in time si quantifica in scorte e manodopera
superflue automaticamente diminuite, realizzando così un aumento della produttività
dell’impresa. Il controllo autonomo della qualità (jidoka) è di supporto al just in time
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in quanto evita che i pezzi difettosi provenienti da una fase di produzione passino a
quella immediatamente a valle, causando o interruzioni nel flusso produttivo o
prodotti non di qualità.
Il metodo just in time consente di contenere le giacenze in tutte le fasi del processo
produttivo: nell’approvvigionamento, attraverso frequenti e piccole forniture; nella
produzione, grazie all’eliminazione dei magazzini interoperazionali e alla riduzione
dei prodotti in corso di lavorazione; nella fase finale, attraverso consegne continue.
Per attuare in maniera efficiente la produzione just in time è necessario disporre di un
sistema informativo che informi le varie fasi di lavoro circa il tipo di prodotto da
realizzare, le quantità richieste e il momento in cui renderlo concretamente
disponibile per la consegna al consumatore.
Il just in time è un metodo di produzione a trazione (pull), ovvero la produzione
viene tirata dal consumatore anziché essere spinta dall’azienda verso il mercato.
Poiché il sistema di produzione just in time è del tipo pull, spetta alla fase di lavoro a
valle prelevare i pezzi dalla fase a monte non sulla base di programmi formulati a
livello centrale e aventi riferimento temporale generalmente il lead time del prodotto,
ma sulla base di ordini di vendita giornalieri, raccolti e inviati alla fase di montaggio
finale. La linea di montaggio finale è, infatti, il punto della fabbrica più vicino alla
domanda perciò è a questa che giungono gli ordini di vendita raccolti sul mercato e
da questa prende avvio la produzione nello stabilimento.
Nel momento stesso in cui le pervengono gli ordini di vendita la fase del montaggio
conosce con precisione il tipo di pezzi da prelevare dalle fasi a monte, nelle quantità
necessarie e nel momento giusto.
La linea di montaggio preleva dalla fase immediatamente a monte solo i pezzi
necessari per ottenere il tipo e le quantità di prodotto richiesti, in questo modo la fase
di lavoro immediatamente a monte della linea di montaggio deve produrre solo i
pezzi che le servono a rimpiazzare quelli che sono stati prelevati dal montaggio
stesso, per cui preleva a sua volta dalle fasi che la precedono gli input necessari a tal
fine.
Così procedendo lungo l’intero sistema di produzione si arriva ai fornitori, dai loro
magazzini si prelevano pezzi ogniqualvolta occorrono e nella quantità necessaria e
sufficiente a produrre i beni richiesti dal mercato.