essere osservate nell’agone sportivo e che compongo la parte tecnica del
regolamento di ciascuna federazione
2
.
Le problematiche giuridiche che, come si può vedere, caratterizzano il
mondo dello sport non sono agevolmente leggibili senza avere presente, almeno
sommariamente, il processo di trasformazione che ha interessato il settore e che si
articola essenzialmente attraverso interventi normativi a distanza di circa trenta
anni l’uno dall’altro, processo che interessa la presente analisi e che si cercherà di
portare avanti al fine di individuare le caratteristiche essenziali del sistema,
nonché le contraddizioni e le problematicità che questo comporta.
Tale processo ha interessato più alcune discipline sportive di altre, più
alcuni istituti di altri, ma esso si è generalmente mosso dapprima nel tentativo di
rendere meno stridente il contrasto che caratterizzava i rapporti tra ordinamento
statale e ordinamento sportivo, cercando di incidere soprattutto sui punti in cui
tale contrasto rischiava di divenire incontrollabile e nel tentativo di correlarsi con i
principi comunitari.
Ciò spiega la particolare attenzione generalmente rivolta ai problemi del
c.d. vincolo sportivo che costituiscono, in realtà, insieme alla giustizia sportiva, le
vicende attraverso le quali è possibile comprendere l’evoluzione sotto il profilo
giuridico dello sport italiano e rappresenta il punto di partenza dell’analisi che ci
si appresta ad effettuare, considerando non solo le tappe evolutive del fenomeno
sportivo, ma anche esaminando le conflittualità e le difficoltà che il suo
inserimento nell’ambito dell’ordinamento statale ha comportato e i suoi rapporti
non sempre facili e definiti con quest’ultimo, soprattutto a livello giurisdizionale.
2
L’area del rischio consentito deve ritenersi coincidente con quella delineata dal rispetto di queste
ultime regole, che individuano, secondo una preventiva valutazione fatta dalla normazione
secondaria, il limite della ragionevole componente di rischio di cui ciascun praticante deve avere
piena consapevolezza sin dal momento in cui decide di praticare, in forma agonistica, un
determinato sport. CARINGELLA – GAROFOLI, cit., 166.
4
CAPITOLO I
L’ordinamento giuridico sportivo
1. Il fenomeno sportivo
Le problematiche che caratterizzano il mondo dello sport possono essere
comprese solo se considerate alla luce del processo di trasformazione che ha
interessato il settore e che si articola attraverso interventi normativi a distanza di
trent’anni l’uno dall’altro.
Tale processo ha tentato innanzitutto di rendere meno stridente il contrasto
che caratterizzava i rapporti tra ordinamento statale e ordinamento sportivo,
incidendo in particolare sui punti in cui tale contrasto rischiava di divenire
incontrollabile e, in secondo luogo, nel tentativo di correlarsi con i principi
comunitari.
Va peraltro ricordato che lo sport professionistico fino agli anni ottanta
adottava strumenti tecnico-giuridici per lo più provenienti dal diritto privato, con
la conseguente diversa posizione gerarchica dei vari soggetti operanti nell’ambito
sportivo, soprattutto in relazione ai meccanismi di affiliazione federale e del
tesseramento che esaurivano gli aspetti formalizzati del quadro entro cui si
svolgeva il rapporto tra professionista e associazione sportiva.
La legge 23 marzo 1981 n. 91 segna l’ingresso anche degli strumenti
tecnici del diritto amministrativo nella disciplina dello sport professionistico, con
speciale riguardo a quelli giuslavoristici, come la contrattazione collettiva, e al
diverso assetto delle società sportive.
Nella disciplina anteriore alle legge n. 91 del 1981
3
, un ruolo determinante
è stato rivestito dalla giurisprudenza
4
, la quale riconobbe all’ordinamento sportivo
3
Ancora prima della l. 91/81 poteva affermarsi quanto oggi è pacificamente accertato e cioè che,
in sede nazionale, l’ordinamento sportivo è rappresentato dal CONI, il quale anche allora
provvedeva alla regolamentazione e all’organizzazione dello sport, in particolare inquadrando,
attraverso le Federazioni nazionali, le associazioni sportive (ora società sportive). SANINO,
Diritto sportivo, Padova, 2002, 3.
4
Si veda, ad esempio, una delle questioni essenziali trattate dalla legge 91/81, ossia quella del
vincolo sportivo e della cessione degli atleti alle varie società. Il vincolo era caratterizzato dai
lineamenti del rapporto di lavoro subordinato ed era stato affermato che la cessione dei giocatori di
5
la natura di ordinamento originario, caratterizzato dalla plurisoggettività,
dall’organizzazione e dalla potestà normativa, tutto ciò in un quadro assai precario
e lacunoso, dove ogni istituto, ogni prassi aveva trovato una sua collocazione in
un sistema che aveva approfittato della totale latitanza del legislatore, per darsi un
assetto comunque funzionale agli interessi prevalenti nell’ambito sportivo.
Giuridicamente, la costruzione del sistema era certamente di diritto
pubblico, in quanto delineata su un ordinamento proveniente essenzialmente dal
CONI, ma lo strumento pubblicistico veniva adottato soprattutto nella prospettiva
della disparità dei piani su cui i vari soggetti agivano.
E’ evidente che, dietro ad un quadro tutto orientato nella prospettiva
amministrativistica si celasse una concezione dello sport caratterizzata da una
visione asettica e ingenua del fenomeno, concezione che ha accompagnato lo
sport professionistico in un tumultuoso sviluppo, in cui allo strumentario di tipo
amministrativistico-autoritativo sotto il profilo giuridico, faceva riscontro sul
piano sociologico una visione essenzialmente paternalistica del rapporto tra
associazioni federate e atleti professionisti.
Tutto ciò è, poi, stato spazzato via dall’ulteriore sviluppo del
professionismo e dalla mutata cornice culturale, sociale e soprattutto economica in
cui lo sport si è andato a collocare e, in tale situazione, erano veramente numerose
le incrostazioni del sistema su cui ha dovuto operare la riforma attuata con la
legge 91/81; del resto, il legislatore aveva espressamente previsto un termine di
cinque anni dall’entrata in vigore della legge per attuare la riforma in modo
ordinario ed efficace ed, in particolare, la piena applicazione della norma più
qualificante della legge, quella cioè che ha soppresso ogni limitazione alla libertà
contrattuale dell’atleta professionista, è stata appunto gradualmente raggiunta
nell’arco temporale sopra indicato.
calcio avesse natura contrattuale e fosse valida ed efficace anche a prescindere dal consenso del
giocatore interessato. Vari giudici di merito si sono soffermati sulla cessione dei giocatori, dando
ad essa una configurazione imperniata sulla rinuncia al vincolo, operata dalla società cedente
dietro corrispettivo. Tuttavia, anche la riconduzione, non particolarmente convincente, del
rapporto di lavoro dei calciatori alla figura della subordinazione allora poteva considerarsi una
forzatura volta all’inquadramento in una delle figure note di un fenomeno altrimenti veramente
sfuggente. Di grande interesse è la lettura di una sentenza della Cassazione che dà un quadro
quanto mai significativo del regime giuridico vigente nell’ambito sportivo prima della legge 89/81.
Cfr. Cass. 2 aprile 1963, n. 811, in Foro it., 1963, I, 894.
6
2. I riferimenti costituzionali
Con la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 sono state apportate
importanti modifiche all’art. 117 della Costituzione, relativo alla potestà
legislativa dello Stato e delle Regioni e la nuova formulazione prevede, in linea
generale, che “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel
rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento
comunitario e dagli obblighi internazionali”.
Nell’indicazione delle materie nella quali lo Stato ha legislazione
esclusiva, il comma 2 dell’art. 117, alla lett. g), contempla anche l’ordinamento e
l’organizzazione amministrativa dello Stato e degli Enti pubblici nazionali,
ribadendo, in tal modo, la competenza esclusiva dello Stato a legiferare
sull’ordinamento e l’organizzazione del CONI, quale ente pubblico nazionale al
vertice dello sport italiano.
Il comma 3 dell’art. 117 elenca, invece, le materie di legislazione
concorrente, per le quali spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la
determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato,
tra le quali comprende anche l’ordinamento sportivo e la tutela della salute
5
.
E’ la prima volta che la Costituzione prende in considerazione lo sport:
fino all’8 novembre 2001, data in cui è entrata in vigore la legge costituzionale n.
3 del 2001, infatti, la nostra Carta Costituzionale non conteneva, a differenza di
altre Costituzioni europee più recenti
6
, alcun riferimento allo sport, come se il
Costituente, pur così attento ai diversi modi di esplicarsi della personalità umana
che riconosce e tutela nelle sue diverse forme, avesse intenzionalmente trascurato
lo sport.
5
In dette materie la potestà legislativa concorrente delle Regioni deve essere esercitata tenendo
presente, da una parte, i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi
internazionali e, dall’altro, i principi fondamentali contenuti nelle leggi statali, in particolare ma
non solo nel decreto legislativo “Meandri” come modificato ed integrato dal recente decreto
legislativo “Pescante” che hanno riordinato il CONI e nel decreto legislativo “Omnibus” che ha
previsto la costituzione della Coni Servizi S.p.A.
6
Cfr. i riferimenti di DI NELLA, Il fenomeno sportivo nell’ordinamento giuridico, Napoli, 1999,
alla Costituzione greca del 9 giugno 1975, alla Costituzione portoghese del 2 aprile 1976, alla
Costituzione spagnola del 29 dicembre 1978. Tra queste, pur, nella comune previsione che è
compito dello Stato favorire l’educazione allo sport, anche a mezzo di opportune forme di
incentivazione, spicca l’esplicito riconoscimento da parte dell’art. 79 della Costituzione
portoghese dello sport come oggetto di un diritto fondamentale, attribuendosi a ciascuno il diritto
alla cultura fisica e allo sport.
7
La ragione di questa scelta andava ricercata, piuttosto, nel periodo storico
nel quale nasceva lo Stato democratico repubblicano e, in particolare, nel generale
atteggiamento di ripudio di quanto si riallacciasse all’epoca fascista.
E’ probabile che l’Assemblea Costituente, investita dal compito di
rifondare radicalmente l’assetto dello Stato nelle sue strutture organizzative e,
soprattutto, nei suoi principi fondamentali, avesse preferito ignorare lo sport la cui
esaltazione, come strumento di formazione della gioventù per la valorizzazione
della razza e il rafforzamento sul piano bellico dello Stato, aveva rappresentato
uno dei valori tipici dell’ideologia fascista.
Il silenzio della Costituzione assumeva, allora, un significato ben preciso,
quale volontà di escludere che il fenomeno sportivo rappresentasse un bene di cui
lo Stato potesse appropriarsi o che potesse gestire per potenziare il proprio
dominio militare o perseguire un interesse che non sia quello del suo legittimo
fruitore
7
.
Nonostante ciò, era (ed è tuttora) incontestabile che lo sport trovasse una
tutela indiretta nella Costituzione italiana, in particolare negli art. 2, 3, 18, 32, 33 e
34, nonché 4 e 35, per quanto riguarda lo sport professionistico.
L’art. 2 riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come
singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità; questa che è
stata definita “norma di chiusura”, in quanto esaurisce in sé tutte le istanze di
libertà, ma anche norma “a fattispecie aperta” perché in grado di ricomprendere
tutte quelle nuove fattispecie che maturino e si affermino nella coscienza sociale,
sembra di per sé sola sufficiente a soddisfare nella coscienza l’esigenza di
garanzia del fenomeno sportivo.
Alla luce dell’art. 18, poi, assume rilevanza costituzionale la pratica
sportiva svolta in forma organizzata, alla quale è riconosciuta ampia autonomia
regolamentare.
La Costituzione, quantunque in forma implicita, riconosce pienamente che
la cultura e la pratica sportive costituiscono strumento di promozione umana e
sociale e, quindi, è compito della Repubblica, ai sensi dell’art. 3, comma 2,
favorirne la diffusione, rimuovendo gli ostacoli di ordine economico e sociale che,
7
SANNONER, La Costituzione italiana e lo sport, in MASTRANGELO, Aspetti giuspubblicistici
dello sport, Bari, 1994.
8
impedendole, si pongano anche come limiti al pieno sviluppo della persona
umana
8
.
In modo analogo, non vi è espresso riferimento, nelle norme degli artt. 33
e 34 in tema di ricerca ed istruzione, alla cultura sportiva come oggetto di sapere
elevato al rango di dignità scientifica; il legislatore ha, però, favorito
l’insegnamento della cultura fisica nelle scuole primarie e secondarie e, da ultimo,
elevato la ricerca scientifica e gli studi di livello superiore nel campo delle scienze
motorie all’insegnamento universitario
9
.
L’art. 32, comma 1, infine, statuisce che la Repubblica tutela la salute
come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività ed essa trova
la sua espressione in campo sportivo, in primo luogo, nel diritto all’integrità fisica
collegato alla scelta di vita che il soggetto ha effettuato.
Negli ultimi tempi si è avvertita in maniera sempre più pressante
l’esigenza di garantire non solo la verifica della sussistenza dei requisiti
attitudinali, sul piano psico-fisico, per la partecipazione dell’atleta alle
competizioni di natura agonistica, ma altresì di garantire la vigilanza ed il
controllo per assicurare effettivamente la parità delle condizioni fisiche dei
partecipanti alla gara.
8
GIAMPETRAGLIA, Riflessioni in tema di responsabilità sportiva, cit., 66.
9
In proposito, si segnala la norma dell’art. 2 del D.lgs. 8 maggio 1998, n. 178, a mezzo del quale è
stata disposta la trasformazione degli Istituti superiori di educazione fisica in Facoltà di Scienze
Motorie, con l’istituzione dei relativi corsi di laurea, nei quali, tra le aree di formazione, è
espressamente prevista quella tecnico-sportiva, finalizzata alla formazione nelle diverse discipline.
9
3. Pluralismo ordinamentale e principio di sussidiarietà
La nozione di pluralismo giuridico e quella di localismo giuridico sono
nozioni relative, al momento che entrambe non possono esistere senza un termine
di paragone che consiste nel primo caso semplicemente nell’esistenza di un altro
ordinamento giuridico di riferimento, mentre nel secondo, in un ordinamento
giuridico più ampio.
La differenza, da un punto di vista teorico, sta nel fatto che mentre tra
ordinamenti giuridici diversi non esiste e non può esistere alcun rapporto
gerarchico, ben diverso è il rapporto tra ordinamento giuridico generale e
ordinamenti locali, laddove i secondi devono sempre soggiacere al primo, rispetto
al quale hanno dimensioni e contenuti variabili.
La comparsa nello Stato del diritto, unitamente alla tendenza
monopolistica del fenomeno giuridico da parte dello Stato stesso e
all’insofferenza illuministica per i particolarismi dei giudici che riflettevano le
ineguaglianze sociali, ha per molto tempo messo in ombra le differenze tra
pluralismo e localismo ordinamentale: lo Stato, sia inteso come “Principe
moderno”
10
, che intuisce il valore fondamentale che il diritto può avere per la
dimensione politica, sia inteso quale creazione della nazione che dava inizio
all’età contemporanea, si poneva con la stessa ferma determinazione contro
entrambi i fenomeni.
Il localismo giuridico è ben diverso dal pluralismo ordinamentale, poiché
ad ogni soggetto corrisponde di volta in volta, nelle varie fattispecie, un solo
ordinamento giuridico e rispetto a quest’ultimo egli deve rapportare le sue
condotte; la sensazione di un caotico pluralismo ordinamentale, quale, ad
esempio, lo percepiva Voltaire
11
, la si ha soltanto perché il localismo giuridico
10
GROSSI, Prima lezione di diritto, Bari, 2003, 57.
11
Illuminanti sono, a tal proposito, le parole che Voltaire mette in bocca all’ideale viaggiatore
venuto dall’India alla voce Des lois del suo Dizionario filosofico: “Il giorno seguente il mio
processo fu giudicato in una Camera del Parlamento, ed io persi a pieni voti. Il mio avvocato
invece mi disse che invece avrei vinto a pieni voti in un’alta Camera…Abbiamo, continuò, a
quindici leghe da Parigi, una provincia che si chiama Normandia, dove sareste stato giudicato in
tutt’altro modo”. Il che ovviamente fece venire voglia al curioso osservatore di visitare la
Normandia, dove però si accorse con stupore che in materia ereditaria vigeva, a differenza che a
Parigi, ancora la legge salica: “qui la legge dà tutto al primogenito e non lascia nulla ai cadetti”, si
lamenta appunto con astio verso il fratello maggiore un cadetto, rivolgendosi allo stupito
interlocutore che, invece, era in compagnia proprio dell’amato fratello maggiore, col quale viveva
10
vive in uno stesso ordinamento politico, nel quale, per una stessa fattispecie
valgono regole di condotta diverse.
Il problema del localismo giuridico è più politico che giuridico e, spesso,
coincide con il problema del centralismo statale, e proprio alla luce della
distinzione tra pluralismo ordinamentale e localismi giuridici, si può meglio
cogliere il rapporto tra il diritto europeo e il diritto dei Paesi membri, alla luce del
quale è opportuno leggere la decisione della nota sentenza Bosman
12
che ci
riporta, peraltro, al tema principale di questa trattazione.
Tanto il mondo dei giuristi quanto la società civile rimasero tutt’altro che
indifferenti al dictum del Giudice europeo
13
e si disse che la sentenza di Bruxelles,
per il fatto di aver consentito alle squadre di club di schierare in campo undici
elementi, tutti stranieri, ma che stranieri non dovevano più essere considerati in
quanto cittadini dell’Unione europea, “fino all’entrata in vigore dell’euro come
moneta circolante, è stata elemento di maggior impatto simbolico nella
costruzione di un’idea di Europa comunitaria”
14
.
benissimo insieme. E aggiunse sempre Voltaire: “il diritto consuetudinario di Parigi è stato
codificato in ventiquattro diversi commentari ed è a sua volta in contraddizione con centoquaranta
consuetudini di altre province, che hanno tutte forza di legge e si contraddicono fra loro: ne risulta
che in un solo paese d’Europa, tra le Alpi e i Pirenei, convivono più di centoquaranta popolazioni
che si chiamano tra di loro compatriote e si trovano in realtà per forza di legge estranee le une alle
altre, come il Tonchino e la Cocincina. Lo stesso accadde nelle province di Spagna. Non parliamo
poi della Germania, dove nessuno sa quali sono i diritto dei capi, né dei singoli Stati e gli abitanti
delle rive dell’Elba si stimano di una stessa nazione di quelli della Baviera soltanto perché parlano
la stessa lingua; che non neppure molto bella…Mille signori feudali unirono le loro consuetudini
al diritto canonico e ne risultò una mostruosa giurisprudenza di cui restano ancora tante vestigia,
tanto da far pensare che forse sarebbe stato meglio non avere leggi, piuttosto che averne di tal
genere”. VOLTAIRE, Dizionario filosofico, voce “Des lois”.
12
Corte di Giustizia europea, 15 dicembre 1995, in Foro it., 1996, IV, 149. La Corte afferma che:
“l’art. 48 del trattato Ce osta all’applicazione di norme emanate da federazioni sportive in forza
delle quali un calciatore professionista, cittadino di uno Stato membro, alla scadenza del
contratto che lo vincola ad una società può essere ingaggiato da società di altro Stato membro
solo se questa ha versato alla società di provenienza un’indennità di trasferimento, formazione e
promozione. L’art. 48 del trattato Ce osta all’applicazione di norme emanate da federazioni
sportive in forza delle quali, nelle partite che organizzano, le società calcistiche possono schierare
solo un numero limitato di calciatori professionisti cittadini di altri Stati membri”.
13
“Una volta pronunciata la sentenza, nel mondo del calcio se non è scoppiata quasi una
rivoluzione, si è diffuso un autentico panico: chi non poteva sapere, si è dichiarato sconcertato e
sgomento, ha paventato scenari apocalittici e annunciato la morte dello sport o almeno del calcio;
si sono mobilitati governo e federazioni sportive; si sono organizzate riunioni su riunioni,
nazionali, europee e mondiali, alla disperata ricerca di un via d’uscita, in particolare cercando
pretesti per aggirare la sentenza o almeno per limitarne la portata”. TIZZANO – DE VITA,
Qualche considerazione sul caso Bosman, in Riv. di diritto sportivo, 1996, 416.
14
RUSSO, I megalomani italiani non li ha creati Bosman, in Internet.www.Indiscreto.it.
11
E’ opportuno, a questo punto, confrontare questa sentenza con quanto
detto in apertura di questo paragrafo ed, in particolare, domandarsi se la sentenza
Bosnam possa dirsi rispettosa dell’ordinamento giuridico sportivo, per ciò che
riguarda il gioco del calcio e rispettosa altresì del principio di sussidiarietà.
Alla prima domanda bisogna rispondere che sicuramente non lo è, perché
nel momento stesso in cui impone a chi opera nello sport il rispetto delle sue
proprie regole, l’UE si pone in una posizione di assoluta supremazia e viene a
considerare la normazione della Federazione sportiva del gioco del calcio a sé
subordinata
15
.
Se un ordinamento giuridico si rivolge ad un altro ordinamento per fare
rispettare la sua normazione, esso non è più un ordinamento giuridico ma è
espressione dell’autonomia privata e finché l’ordinamento del calcio ha ignorato
l’ordinamento giuridico statale, ogni ordinamento è andato per la sua via e, così,
mentre lo Stato puniva il giocatore che aveva prodotto in un’azione di gioco una
lesione ad un avversario, la Federazione nazionale espelleva il malcapitato
tesserato che si fosse rivolto allo Stato per ottenere un risarcimento del danno
subito.
In altri termini, l’ordinamento sportivo ha rinunciato alla sua identità di
ordinamento giuridico nel momento stesso in cui, per sfruttare economicamente e
la sua popolarità e la sua diffusione, ha preteso di integrarsi nelle istituzioni
statali, usufruendo del diritto di queste, chiedendo aiuti economici e protezione
nel proprio commercio; un ordinamento giuridico, infatti, non può chiedere e
pretendere autonomia rispetto ad altri ordinamenti in quanto, a sua volta, li ignori,
non ne subisca l’autorità, non chieda ad essi protezione e tutela.
15
“Come i seguaci di Kelsen sono giunti a trovare la norma giuridica, quale norma positiva, nel
più modesto atto, anche non negoziale, di un privato, così si rischia di giungere a trovare
ordinamenti giuridici ad ogni angolo di strada; sarebbero ordinamenti giuridici la comunità
occasionale dei passeggeri di un battello, o quella dei partecipanti ad una riunione di rock and roll,
solo perché le esigenze tecniche del mezzo o la specie particolare dello svago impongono
l’osservanza di regole che non sono certamente seguite dalle persone che si trovano in situazioni
non così particolari. Del resto, ciò non è mera fantasia, perché si sono spiegati in termini di
ordinamenti giuridici taluni rapporti tra due persone: senza così avvertire che accettando le
premesse di questo risultato dovrebbe fissarsi un ordinamento giuridico in ogni madre col suo
bambino o in ogni coppia di innamorati; né ciò dovrebbero far sorridere, ove si consideri, sulla
scorta degli studi psicologici, che ogni rapporto educativo è un unicum e che ogni corrispondenza
amorosa è diversa dall’altra. Tutto ciò è talmente stravagante che non può neppur dirsi più
grottesco”. GIANNINI, Gli ordinamenti giuridici, cit., 221.
12
Il grosso affare che stava dietro al caso Bosman era la prova che le
federazioni e le società che operavano nel mondo del calcio erano ormai operatori
del mercato, che dal mercato cercavano tutela e protezione quali soggetti
economici tout court e non solo quali operatori sportivi.
Quanto alla seconda domanda, ovvero, se la sentenza ignori o meno il
principio di sussidiarietà, è possibile rispondere che questa riconosce
esplicitamente che i regolamenti delle Federazioni internazionali di settore
possano riservare la partecipazione alle gare internazionali, alle società che hanno
un ruolo particolare e che le squadre nazionali devono essere composte di cittadini
del paese interessato, che non devono essere necessariamente qualificati per le
loro società di tale paese e che, ai sensi dei regolamenti delle associazioni
sportive, le società che hanno alle loro dipendenze calciatori stranieri sono tenute
a permettere loro di partecipare a determinati incontri nella fila della nazionale del
loro paese.
L’esplicito richiamo, quindi, ai regolamenti sportivi sembra un chiaro
indice del rispetto del principio di sussidiarietà, dal momento che ognuno,
nell’UE, ha diritto al proprio diritto, purché non intacchi il diritto dell’unione
stessa, del quale deve piuttosto rispettarne la primazia.
13