2
she owes a civil reverence”1. Una donna avrebbe potuto mettere a rischio il
suo stesso “onore” facendo udire pubblicamente la propria voce, essendo
ciò un marchio di condotta inaccettabile, come suggerito da Margaret
Hannay: “An eloquent woman is never chaste”2.
Un piccolo flusso di libri indirizzato al pubblico femminile iniziò ad
apparire sul mercato inglese intorno al 1570, prova evidente che, alla fine
del Sedicesimo secolo, un numero sostanziale di donne sapeva leggere e che
i suoi bisogni e interessi iniziavano ad essere riconosciuti sia dagli scrittori,
sia dagli stampatori. I differenti generi a loro diretti erano una
rappresentazione dell’ampia varietà della popolazione femminile: una
letteratura piuttosto ricercata ed impegnata richiamava le donne
appartenenti ai circoli di corte, un gruppo sempre crescente di guide
pratiche era rivolto alle massaie della classe media in cerca di consigli di
cucina, giardinaggio e per la produzione di distillati e medicinali, mentre
alcuni semplici libri di preghiera e di ricamo erano riservati alle donne che
sapevano leggere appena. Il piccolo, ma ben identificabile, corpus letterario
è da mettere in relazione con i cambiamenti che riguardavano la società e
l’istruzione in Inghilterra in quel periodo: la continua crescita della classe
media, l’aumento delle possibilità di ottenere una buona educazione ed il
1
Richard Brathwaite, The English Gentleman; And The English Gentlewoman; Both In one
Volume couched, and in one Modell portrayed...With a Ladies Love-Lecture And a Supplement lately
annexed, and Entituled The Turtles Triumph. London: John Dawson 1641, Ttlv. [“non è
adatto all’onore di una giovane donna d’essere portavoce […], specialmente in presenza
sia di uomini, che di antiche matrone, ai quali lei debba rispetto civile”].
2
Margaret Hannay P. (a c. di), Silent but for the Word: Tudor Women as Patrons, Translators,
and Writers of Religious Works, Kent, OH: Kent State University Press 1985, p. 4.
3
nuovo rilievo dato al ruolo della donna, soprattutto tenendo conto che due
successivi regni erano stati governati da regine istruite.
Come ci suggerisce Suzanne Hull3, nell’Inghilterra medievale e
rinascimentale, quando i libri erano insufficienti e le possibilità di
un’adeguata istruzione scarse, la letteratura era ristretta alle famiglie nobili e
dell’alta borghesia, agli insegnanti specializzati ed ai religiosi. In alcune
famiglie le ragazze erano incoraggiate a studiare letteratura classica e le
lingue, tramite lezioni private in casa propria o di amici, a cui si
affiancavano insegnamenti di tessitura, filatura ed arti domestiche; questo
tipo di preparazione era considerato sufficiente per la maggior parte delle
giovani; nei circoli elitari della famiglia reale e della nobiltà l’istruzione
femminile era invece parzialmente accettata. Per quanto riguardava il resto
della popolazione inglese, le donne rimanevano per lo più illetterate, salvo
nelle classi borghesi, dove ragazzi e ragazze frequentavano scuole per
imparare a leggere. E’ importante ricordare che il genere d’educazione
impartito loro non comprendeva la scrittura: tranne rare eccezioni, a
malapena sapevano scrivere il proprio nome. Del resto insegnare a leggere
le parole degli uomini, senza saper scrivere le proprie, rappresentava un
mezzo molto efficace per farle tacere e, quindi, poterle controllare.
I testi che circolavano tra il Sedicesimo ed il Diciassettesimo secolo si
sforzavano di definire la donna a livello culturale, fissandone dei parametri
3
V. Suzanne Hull, Chaste, Silent and Obedient: English Books for Women, 1475-1640, San
Marino: Huntington Library, 1982.
4
di comportamento accettabile e ponendo l’enfasi sul bisogno di castità e
silenzio. Le era permesso rompere le regole imposte dalla società maschile
solo in poche situazioni: tramite la traduzione di testi religiosi, al fine di
incoraggiare l’educazione delle novizie; utilizzando le proprie ricchezze per
appoggiare gli scrittori nelle pubblicazioni delle loro opere; più raramente
scrivendo testi per dare dimostrazione della propria devozione a Dio.
Tuttavia le donne che osavano dedicarsi alla scrittura erano soggette a forti
critiche e poche trovavano la loro strada attraverso la pubblicazione.
Sicuramente non vi erano autrici popolari a quel tempo, e se anche avessero
scritto qualcosa di interessante, sarebbero state largamente ignorate
Altra considerazione ottennero al contrario quelle che si dedicarono al
patronato artistico, incoraggiando e favorendo gli autori. Diverse donne
facoltose e potenti possedevano libri ed erano riconosciute, anche in
periodo pre-rinascimentale, come importanti sostenitrici di scrittori e
stampatori; erano ricercate per l’abilità nell’acquistare e promuovere nuovi
testi letterari, utilizzando il loro stesso nome. Distribuire o raccogliere
denaro era un’occupazione femminile desiderabile, laddove la
partecipazione creativa era meno accettata. Per ringraziarle ed ottenerne
l’appoggio, scrittori e stampatori utilizzavano frequentemente le dediche,
che assumevano la forma di lettere, sonetti o versi. Molti di loro, non
soddisfatti di presentare il proprio lavoro ad un solo patrono, scrivevano
dediche multiple. La contessa Mary Sidney Herbert, sorella di Sir Philip
5
Sidney, era una delle protettrici più note: le furono omaggiati trenta libri,
solo ad alcune regine fu offerto tanto riguardo. Le donne a cui erano
indirizzate le dediche erano aristocratiche, facoltose senza titolo nobiliare, o
religiose, quali suore, superiore, badesse e sante. La presenza del gran
numero di omaggi “al femminile” sembrerebbe indicare una relativa
accettazione delle donne come patrocinanti della letteratura, il che
permetteva loro di agire anche per conto degli autori. Lucy Harington
Russell, contessa di Bedford, incoraggiò così tanti prominenti scrittori che
fu identificata come “la patrona dei poeti”. Tra il Sedicesimo ed il
Diciassettesimo secolo, offrire contributi finanziari agli scrittori, leggerne
talvolta le opere ed esprimere un giudizio, costituiva un vero traguardo per
una donna. Furono, invece, così poche le autrici che videro pubblicate le
loro opere, che è difficile trovare testimonianze concrete sulle loro modalità
di approccio al patronato, anche se le dediche incluse nei loro testi spesso
citavano amiche o parenti che ne avevano patrocinato la stesura.
Come ho già affermato in precedenza, alcuni generi letterari erano
ritenuti più appropriati ad una donna che altri; del resto, come sottolinea
Tina Krontiris, “the acceptable literary areas for women were basically
religion and domesticity”4, senza dimenticare le traduzioni. Utilizzando
questi generi, le donne erano criticate o condannate meno severamente,
poiché la serietà dei soggetti garantiva loro una certa modestia. Bandite
4
Tina Krontiris, Oppositional Voices: Women as Writers and Translators of Literature in the
English Renaissance, London: Routledge, 1992, p. 17.
6
dalla composizione originale, tradussero un corpus voluminoso di opere
religiose e di trattati utili allo stato o alle varie fazioni politiche, di solito su
consiglio del padre, del fratello o del marito. Quando gli scritti venivano
pubblicati, spesso erano anonimi o, se era risaputo che l’autore fosse una
donna, rimanevano di solito sotto forma di manoscritto circolante nel
nucleo ristretto di interessati all’argomento.
Nonostante le restrizioni sociali alla libera espressione ed all’istruzione
femminile, un discreto numero di nobildonne del Sedicesimo e del
Diciassettesimo secolo si cimentò
nella scrittura, dando libero sfogo
alle proprie abilità ed ai propri
desideri. Molte raggiunsero una
certa dimestichezza con le varie
forme ed i diversi stili letterari; la
funzione centrale che acquisirono
come protettrici delle lettere fece
sì che loro stesse svilupparono
una conoscenza letteraria ispirata
ai generi di scrittura utilizzati dai loro stessi protetti. Come però suggerisce
Elaine Beilin5, l’assenza di modelli femminili a cui ispirarsi era di grave
ostacolo per un’autrice, poiché doveva tentare di elaborare un personaggio
5
Elaine Beilin, Redeeming Eve: Women Writers of the English Renaissance, Princeton, NJ:
Princeton University Press 1987, xx.
7
con cui identificarsi che, di fatto, non esisteva. Questa situazione le faceva
sentire spesso inadeguate; ad esempio, Margaret Cavendish, aristocratica
damigella d’onore della regina Henrietta Maria e prolifica scrittrice, in una
delle sue Sociable Letters (1662) denigra le proprie qualità letterarie
sostenendo di non essere in grado di scrivere orazioni, perché priva
d’ingegno ed eloquenza6.
Di tutti i generi scritti e rappresentati sulla scena inglese durante il
Rinascimento e la prima Restaurazione, il più lontano dall’essere
considerato adatto ad una donna dell’epoca era sicuramente il dramma, in
quanto implicava una rappresentazione, pubblica o privata, di fronte ad una
platea; ovviamente colei che avesse scritto per il teatro avrebbe messo in
grave rischio la propria reputazione. E’ particolarmente interessante
studiare proprio il dramma dal punto di vista del discorso femminile, anche
per la stretta relazione con le questioni sulla sessualità. Per ragioni sociali,
economiche e morali in Inghilterra le donne potevano accedere ai teatri
pubblici solo in veste di spettatrici. A differenza degli uomini, infatti, non
potevano presentarsi come attrici o scrittrici, perché ciò implicava
un’esposizione del proprio corpo al pubblico in sala ed un rapporto
personale con le compagnie teatrali, situazioni inaccettabili per una donna
dell’epoca. Non era inoltre concesso rappresentare le proprie opere in
6
Per ulteriori dettagli sull’autogiustificazione della Cavendish scrittrice, v. Helen Wilcox,
“‘First Fruits of a Woman’s Wit’: Authorial Self-Construction of English Renaissance
Women Poets”, in Barbara Smith e Ursula Appelt (a c. di), Write or Be Written: Early
Modern Women Poets and Cultural Constraints, Aldershot: Ashgate, 2001, pp. 199-223.
8
privato tra le mura domestiche, tanto che, se una donna componeva un
lavoro significativo era per lo più attribuito ad un uomo. Sir John
Harington attribuì al cappellano di Mary Sidney la stesura dei Psalmes,
nonostante fosse palesemente stato scritto dalla nobildonna, solo perché “it
was more than a woman’s skill to espress the sense so right as she hath
done in her verse”7.
Proprio a causa di queste restrizioni le scrittrici e le traduttrici di opere
drammatiche spesso destinavano i loro testi a diventare closet drama, un
genere che rifletteva l’esigenza, o meglio, l'imposizione di privatezza, al
contrario del teatro rappresentato. I closet drama non erano composti per
essere rappresentati e, quindi, potevano essere letti senza la necessità di
portarli in scena. Tuttavia, critici come Gweno Williams8 hanno messo in
seria discussione queste affermazioni. Nelle sue ricerche ha osservato,
infatti, che nessuna donna partiva dall’intenzione di scrivere un closet drama,
denominazione attribuita in tempi moderni per definire questo particolare
genere letterario. Al contrario, la Williams sostiene che le scrittrici di
drammi, nonostante scrivessero per uso privato, componevano opere atte
ad essere rappresentate: un’analisi attenta, dettagliata e senza
condizionamenti di questi testi rivela l’esistenza di riferimenti precisi e
dettagliati alle pratiche teatrali ed alle direzioni di scena, come le istruzioni
7
V. John Harington, Nugae Antiquae, New York: Twayne Publishers, 1985.
8
V. Williams Gweno, “Why May Not a Lady Write a Good Play?”, in S. P. Cerasano -
Marion Wynne-Davies (a c. di), Readings in Renaissance Women’s Drama: Criticism, History,
and Performance 1594-1998, London and New York: Routledge, 1998, pp. 95-107.
9
per le entrate, i movimenti sul palcoscenico, le notazioni su particolari fisici
e sugli effetti visivi ed i riferimenti specifici alla presenza di un pubblico,
specialmente nella richiesta di applausi.
Il Rinascimento è stato un periodo di grande cultura teatrale condivisa,
come dimostrato dalla proliferazione di testi drammatici, dall’acceso
dibattito pubblico riguardo le convenzioni e l’influenza del teatro sulla
società dell’epoca, dall’ampio uso delle metafore teatrali in tutti i tipi di
scrittura. Non avrebbe senso quindi sostenere che queste colte scrittrici
fossero immuni o per nulla influenzate dalla cultura teatrale del periodo.
Ognuna di loro aveva accesso a biblioteche ben fornite di testi che
dovevano aver letto e tra i quali devono aver scelto il genere e lo stile a loro
più adatto. Inoltre, le loro biografie ed autobiografie rivelano la
frequentazione di teatri pubblici nei periodi in cui erano aperti e di una
varietà di intrattenimenti a corte.
***
L’emergere di una critica femminista intorno agli anni ‘70 ha avuto un
notevole impatto sul modo in cui vengono lette e studiate al giorno d’oggi
la storia e la letteratura medievale e rinascimentale. Grazie al ritrovamento
di lettere, diari e manoscritti ed alla riscoperta di testi mai più ristampati, le
studiose femministe hanno iniziato a ricostruire la vita e le produzioni di
diverse figure femminili del passato. Laddove gli studi tradizionali del
periodo spesso avevano ignorato il significato del ruolo e dello status della
10
donna nella società, il riconoscimento che il gender fosse una categoria di
studio efficace ha permesso alla critica femminista di iniziare ad analizzare
queste espressioni. Nel primo ‘900, i lavori di autrici come Alice Clark e
Mary Beard9 si basavano sull’importanza del ruolo e dell’immagine della
donna nell’Europa del Medioevo e del Rinascimento. Queste importanti
intuizioni sono state approfondite, negli anni ’70 e ’80, da studiosi come
Natalie Davis, Eileen Power, Lawrence Stone, Diane Bornstein, Joan
Kelly10 e molti altri. La proposta della Kelly sull’esperienza delle donne
come modo per rivalutare la storia ed il lavoro della Davis sulla figura
femminile quale agente di cambiamento all’interno della società, hanno
rappresentato una provocazione per riformulare alcune idee formatesi
durante i secoli. Allo stesso tempo, il canone della letteratura rinascimentale
si è allargato, includendo testi che in precedenza erano considerati marginali
o di scarso valore letterario; quelli conosciuti, invece, sono stati rivalutati
alla luce di differenti ideologie di potere e di genere11. Studiose come Lisa
Jardine, Catherine Belsey e Carol Hansen12 hanno pubblicato diversi studi
9
Per approfondimenti sull’argomento si consultino: Alice Clark, Working Life of Women in
the Seventeenth Century, New York: Dutton, 1919. Mary Beard, Woman as a Force in History,
New York: Macmillan, 1946.
10
Fonti bibliografiche per ulteriori studi su questi aspetti: Natalie Davis, Society and
Culture in Early Modern France, Stanford, Calif.: Stanford University Press, 1975. Eileen
Power, Medieval Women, Cambridge: Cambridge University Press, 1975. Lawrence Stone,
Family, Sex and Marriage in England 1500-1800, New York: Harper & Row, 1977. Diane
Bornstein, The Lady in the Tower: Medieval Courtesy Literature for Women, Hamden, Conn.:
Archon Books, 1983. Joan Kelly, Women, History, and Theory, Chicago: University of
Chicago Press, 1984.
11
Carole Levin - Jeanie Watson, Ambiguous Realities: Women in the Middle Ages and
Renaissance, Detroit: Wayne State University Press 1987.
12
Lisa Jardine, Still Harping on Daughters: Women and Drama in the Age of Shakespeare,
11
sulle rappresentazioni della donna nel periodo rinascimentale e in quello
della prima Restaurazione in Inghilterra. Margaret King, Suzanne Hull e
Jean Howard13 hanno tentato di collocarle all’interno della società del
Sedicesimo e del primo Diciassettesimo secolo. Inoltre, Margaret Hannay,
Nancy Cotton e Barbara Lewalski14, tra le altre, ne hanno studiato le diverse
espressioni culturali in una vasta gamma di generi, come la poesia, il
dramma e le epistole. Sono state pubblicate varie antologie che raccolgono
una varietà di scritti di donne, come The Paradise of Women nel 1981 di Betty
Travitsky15, cosi come edizioni moderne di testi composti da donne, come
The Tragedy of Mariam di Elizabeth Cary, a cura di Margaret Ferguson e
Barry Weller. In questo modo le produzioni culturali che per lungo tempo
erano state dimenticate, al giorno d’oggi sono diventate disponibili a tutti.
Tra le varie figure femminili del periodo ho scelto di trattare Elizabeth
Cary e The Tragedy of Mariam per lo stretto legame tra l’opera e la vita
dell’autrice e per esaminare il profondo disagio di quelle scrittici che, pur
volendo in qualche modo emergere nella scena letteraria inglese, dovettero
attenersi ai dogmi dettati dalla cultura prettamente maschilista del periodo.
Sussex: Harvester Press, 1983. Catherine Belsey, The Subject of Tragedy: Identity and
Difference in Renaissance Drama, London: Methuen, 1985. Carole Hansen, Woman as
Individual in English Renaissance Drama: A Defiance of the Masculine Code, New York: American
University Studies, 1993.
13
Margaret King, Women of the Renaissance, Chicago: Chicago University Press, 1991.
Suzanne Hull, Chaste, Silent and Obedient, cit. Jean Howard, The Stage and Social Struggle in
Early Modern England, London: Routledge, 1994.
14
Margaret P. Hannay, Silent but for the Word, cit. Nancy Cotton, Women Playwrights in
England c. 1363-1750, London: Associated University Presses, 1980. Barbara Lewalski,
Writing Women in Jacobean England, Cambridge: Harvard University Press, 1993.
15
V. Betty Travitsky, The Paradise of Women: Writings by the Englishwomen of the Renaissance,
Westport, Connecticut: Greenwood Press 1986.