V
sul territorio dalle piccole e medie civiltà che, nel corso dei secoli, si
sono avvicendate sulla nostra penisola: sto pensando, tanto per citarne
alcuni, agli Etruschi, ai Bizantini, agli Svevi, agli Arabi, e per restare nel
nostro piccolo, ai Messapi.
Con questo lavoro di tesi ho provato a metter in evidenza il
legame che può e dovrebbe esserci tra un territorio e il proprio
patrimonio, la centralità che la funzione di valorizzazione di un bene di
natura culturale può assumere nello sviluppo locale della comunità che
lo ospita.
Il mio lavoro ha inteso soffermasi, in particolare, sui beni culturali da
tutelare, valorizzare, conservare. E per poter spiegare il legame tra un
territorio e i propri beni ho pensato fosse opportuno spiegare cosa si
intende per bene culturale.
A ciò è dedicato il primo capitolo. In esso vi è un’ampia dissertazione
sulla nozione di bene culturale così come si è venuta a formare nel
corso degli anni in virtù delle varie teorie e dei vari apporti legislativi;
ne ho descritto le tipologie ed i tratti essenziali che la dottrina ritiene
connotino tale figura giuridica.
Ho trattato poi il concetto anche da un punto di vista costituzionale in
quanto l’art. 9 della nostra Costituzione è proprio dedicato alla tutela
del patrimonio storico ed artistico della Nazione. A tal proposito ho
messo in evidenza anche le modifiche intervenute recentemente sul
versante del riparto di competenze nel settore dei beni culturali ad
opera della l. cost. 18 ottobre 2001, n. 3, di revisione del Titolo V, parte
seconda, della Costituzione.
Mi sono poi soffermato sul più recente atto legislativo in materia che è
il “Codice dei beni culturali e del paesaggio” emanato con il d. lgs. 22
gennaio 2004, n. 42. Questo Codice, in omaggio al principio della
VI
semplificazione normativa, ha avuto il complicato compito di fare una
vera opera di razionalizzazione nella vecchia ed infinita materia dei
beni culturali ed ambientali.
Scorrendo il Codice è stato poi inevitabile affrontare le varie questioni
che interessano un bene culturale iniziando dalla sua tutela per poi
poter giungere anche a ciò che riguarda la loro conservazione, non
omettendo di parlare di quelli che sono i soggetti interessati, primo fra
tutti il Ministero per i Beni e le Attività culturali, anch’esso sottoposto
recentemente ad una corposa opera di ammodernamento.
Il secondo capitolo invece è entrato più nel cuore dell’argomento
portante della mia tesi in quanto ha trattato da vicino la funzione della
valorizzazione dei beni culturali così come disciplinata nel Codice. Ho
quindi evidenziato la distinzione tra tutela e valorizzazione operata dal
legislatore, in omaggio anche alle scelte effettuate a livello
costituzionale. Valorizzazione che i compilatori del Codice, dettandone
la disciplina in due capi differenti, hanno tenuto distinta anche dalla
fruizione, quest’ultima considerata però semplicemente un ambito
della prima, poiché non è riuscita ad assumere i connotati di una vera e
propria funzione autonoma.
Una volta considerata la valorizzazione dal punto di vista generale, si è
passati all’analisi di quegli articoli che il Codice ha espressamente
dedicato ai principi che fanno da cornice a tale funzione, soffermandosi
in maniera accurata sulle varie modalità di intervento che i diversi
attori coinvolti debbono porre in essere.
Si è così dato ampio spazio alle recenti modifiche apportate con il d.
lgs. 156 del 2006 che in particolare hanno inciso fortemente sulle
modalità di valorizzazione dei beni di appartenenza pubblica. A tal
ultimo proposito, punto cruciale del capitolo è stato il paragrafo
VII
dedicato alle modalità di gestione e ai possibili accordi stipulabili tra
gli Enti pubblici e i privati per la migliore valorizzazione dei beni.
Si è poi concluso con un’analisi di quelli che sono i vari ulteriori
strumenti messi a disposizione dei privati per una partecipazione
attiva nelle attività di valorizzazione del patrimonio culturale pubblico:
servizi aggiuntivi e sponsorizzazioni.
Coniugando insieme le potenzialità proprie di un territorio con
quelle dei beni culturali sono giunto al terzo capitolo nel quale ho
voluto affrontare il fenomeno che viene definito “sviluppo locale”. In
questa parte del mio lavoro ho messo in evidenza come il patrimonio
culturale può costituire un ottima risorsa locale che trova ragion
d’essere solo nell’integrazione all’interno delle dinamiche di sviluppo.
Sicuramente un ruolo primario in questo sviluppo lo hanno gli
enti locali ai quali è stato dato ampio risalto nel testo. Sono loro i veri
protagonisti dello scenario più vicino al cittadino, spetta loro adottare
tutte le strategie di sviluppo più idonee affinché un territorio possa
crescere e soprattutto possa restare al passo coi tempi della
globalizzazione. Si è così ampiamente dissertato sugli strumenti che lo
sviluppo locale mette a disposizione degli Enti e dei privati, trattando
in particolar modo della programmazione negoziata, intesa come un
nuovo metodo di programmazione economica, non autoritativo, non
dirigistico, che parte dal basso, dalle istituzioni locali e dalle forze
sociali, legate dall'obiettivo comune del potenziamento del tessuto
economico e dell'incremento dell'occupazione e tendente alla
realizzazione di interventi produttivi e infrastrutturali, non isolati ed a
pioggia, ma integrati in un programma di coordinamento delle varie
iniziative.
VIII
Infine, per mettere bene in evidenza quanto lo sviluppo locale
possa contare sulla valorizzazione dei beni culturali siti in un
determinato territorio, ho riportato un caso a me molto vicino e nel
quale si è assistito ad un efficace coordinamento tra i soggetti
interessati, dando luogo a quella che ho voluto definire come una
valorizzazione “negoziata”. Ho così parlato, nel quarto ed ultimo
capitolo, del “Parco Archeologico delle Mura Messapiche” di
Manduria. In questa ultima parte della tesi ho trattato di una
situazione reale facendo notare come la stessa cittadina abbia risentito
positivamente dell’istituzione di questo parco in quanto si è realizzato
un incremento a livello di presenze turistiche. Ciò naturalmente
comportando un buon risultato economico per gli operatori del settore
insediati sul territorio. Sicuramente un ottimo esempio di sinergia tra
pubblico e privato in quanto il primo ha saputo valorizzare, attraverso
diversi finanziamenti, un bene di inestimabile valore che sembrava
essere destinato alla rovina, mentre il settore privato ha saputo
sfruttare le nuove opportunità, cominciando ad offrire nuovi e più
adeguati servizi.
1
CAPITOLO I
I BENI CULTURALI
1. Il bene culturale
1.1. Nozione di bene culturale: evoluzione legislativa
Nell’ambito dei beni, pubblici o privati, una delle categorie
maggiormente espressive, specialmente in Italia, in virtù della sua
lunga storia, è quella dei beni culturali.
In primis, è utile precisare che la nozione di bene culturale oggi,
alla luce dei vari interventi normativi susseguitisi nel tempo, si
distingue da quella di beni ambientali in quanto questi ultimi, secondo
il Codice Urbani, sono definiti separatamente come espressione dei valori
storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici del territorio.
Sostanzialmente si è voluto continuare a tenere distinti i beni culturali
da quelli paesaggistici che, insieme, compongono il patrimonio
culturale della Nazione
1
.
La locuzione bene culturale venne introdotta in Italia con l’inizio
dei lavori della cosiddetta Commissione Franceschini
2
. I lavori di
questa commissione si conclusero con la stesura di 84 dichiarazioni che
dovevano avere il compito di guidare il legislatore nell’emanazione di
1
Anche il T.U. n. 490 del 1999 presentava la distinzione tra beni culturali, cui era dedicato
il Titolo I, e quelli ambientali, disciplinati al Titolo II. Quindi, già con il T.U. si abbandonava
l’idea di unificare, in un’unica categoria, le due tipologie di beni, mantenendo così distinti i
due settori normativi e confermando le scelte fatte anche con il d. lgs. 112/98.
2
Si trattava di una commissione di indagine, istituita con l. 26 aprile 1964, n. 310, alla
quale fu affidato il compito di studiare il problema della tutela e valorizzazione delle cose di
interesse storico, archeologico, artistico e del paesaggio.
2
nuove leggi in materia di tutela concernenti il patrimonio culturale
nazionale. Sicuramente un ruolo principale lo ha avuto la prima di tali
dichiarazioni che in primo luogo forniva una definizione di ciò che
doveva intendersi per bene culturale: “Appartengono al patrimonio
culturale della Nazione tutti i beni aventi riferimento alla storia della
civiltà. Sono assoggettati alla legge i beni di interesse archeologico,
storico, artistico, ambientale e paesistico, archivistico e librario, ed ogni
altro bene che costituisca materiale avente valore di civiltà”. In
sostanza venne coniata una definizione non basata solo sulla semplice
enumerazione bensì sulla eterogeneità dei beni da considerare non più
dal punto di vista estetico ma da quello storico
3
. Definizione ripresa
poi successivamente da altre due Commissioni: le Commissioni
Papaldo, istituite una nell’aprile del 1968 e l’altra nel marzo del 1971. I
loro sforzi portarono, in pratica, alla creazione di una formula avente la
capacità di reductio ad unitatem delle varie categorie prima esistenti e
rappresentò “un concetto – valvola al quale il diritto non dà un proprio
contenuto, rinviando piuttosto a discipline non giuridiche, e per il
quale non pretende alcuna definitività: ciò che ieri ha destato scandalo
3
È questa una delle principali differenze rispetto alle vecchie discipline che si
occupavano della tutela di ciò che era definito variamente come “antichità e belle arti”, “cose
d’arte” e “cose di interesse storico ed artistico”. Ci si allontanava quindi dai concetti fatti
propri dalle cosiddette “Leggi Bottai” che riconoscevano la tutela solo a quei beni di
particolare pregio e rarità interessando, invece, qualsiasi manifestazione rilevante più che da
un punto di vista estetico da quello storico. A questo proposito si veda anche come si sia
conformata la stessa giurisprudenza amministrativa che in una recente sentenza ha
affermato: “Il bene culturale poi è la nozione che sostituisce ormai le vecchie categorie di
cose d’interesse artistico o storico, di cose d’arte, di cose d’antichità, realizzando una
considerazione unitaria della materia. Il bene “culturale” viene protetto per ragioni non solo
o non tanto estetiche, quanto per ragioni storiche, così sottolineandosi l’importanza
dell’opera o del bene per la storia dell’uomo e per il progresso della scienza. Si deve ritenere
abbandonata, nell’intentio legislatoris e nella prassi amministrativa, nonché
nell’interpretazione giurisprudenziale costituzionalmente orientata (artt.9 e 33 Cost.) una
concezione estetizzante (o estetico – idealistica) del bene culturale (come del bene
paesaggistico – ambientale), che era alla base della legge fondamentale del 1939, in favore
dell’evoluzione della nozione che ne valorizza il significato di documento del tempo e
dell’ambiente in cui è sorta” (Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4566).
3
costituisce oggi opera d’arte e l’evoluzione del gusto va di pari passo
con la diversità delle concezioni in tema di cultura e di civiltà, senza
che ciò sia smentito […] dall’esistenza di beni […] il cui valore culturale
risulta universalmente e permanentemente accettato”
4
.
La locuzione beni culturali era già stata fatta propria da vari atti
legislativi di livello internazionale
5
, intrecciandosi più volte con quella
di “patrimonio culturale”
6
.
Una volta recepita in Italia, però, per vedere comparire la
nozione in un testo legislativo si è dovuto attendere il 1974, anno in cui
fu emanato il d. l. del 14 dicembre, n. 657, poi convertito nella l. 29
gennaio 1975, n. 5, istitutivo del Ministero per i beni culturali e
ambientali. Si trattò, però, di una mossa che destò molte perplessità e
scatenò vari dibattiti in seno alla dottrina in quanto mancava ancora
una vera e propria definizione di “bene culturale” contenuta in un
testo normativo.
Concetto che invece è stato definito per la prima volta, in tempi
più recenti. La locuzione beni culturali è stata utilizzata, infatti, da due
importanti testi normativi: il primo è il d. lgs. 31 marzo 1998, n. 112,
recante il “Conferimento di funzioni e compiti dello Stato alle Regioni e
agli enti locali”
7
mentre l’altro è il d. lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, recante
4
M. A. Cabiddu, Il quadro costituzionale, in M. A. Cabiddu e N. Grasso (a cura di), Diritto
dei beni culturali e del paesaggio, Torino, G. Giappichelli Editore, 2004, p. 7.
5
Si pensi alla “Convenzione per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato”
Firmata a L’Aja nel 1954 e ratificata dall’Italia con la l. 7 febbraio 1958, n. 279 o ancora alla
“Convenzione concernente le misure da adottare per vietare e interdire l’illecita importazione ed
esportazione e trasferimento di proprietà dei beni culturali”, stipulata a Parigi nel 1970.
6
A tal proposito si veda la “Convenzione culturale europea” tenutasi a Parigi nel dicembre
del 1954.
7
I beni culturali, tenuti distinti da quelli ambientali, sono considerati dall’art. 148, comma
1, lett. a), che li individua in quelli che compongono il patrimonio storico, artistico,
monumentale, demo – etno – antropologico, archeologico, archivistico e librario e gli altri
che costituiscono testimonianza avente valore di civiltà così individuati in base alla legge. Si
tratta di una disposizione sicuramente influenzata dai lavori della Commissione
4
il “Testo unico delle disposizioni legislative in tema di beni culturali e
ambientali”
8
- i cui articoli 2 e 3 elencano le categorie di beni da
considerare appunto culturali.
Da ultimo, ma sicuramente di maggior rilievo, è da menzionare
il recentissimo “Codice dei beni culturali e del paesaggio”
9
emanato
con il d. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, definito anche come Codice Urbani
dal nome del Ministro proponente allora in carica.
1.2. Segue. I caratteri
Nonostante la grande varietà dei beni culturali esistenti, la
nozione fatta propria dai testi legislativi permette di delineare alcune
caratteristiche ad essi comuni.
Alcuni autori hanno ad esempio parlato di pluralità, tipicità e
materialità dei beni culturali
10
.
Franceschini ma dalla quale se ne distingue per certi aspetti. Innanzitutto non contiene più
l’aggettivo “materiale” riferito alla “testimonianza avente valore di civiltà”: tale
eliminazione però non mette in chiaro quali dovessero essere i beni immateriali da poter
ricomprendere nell’art. 148. In secondo luogo, la disposizione del decreto sottolinea che, ai
fini della concreta individuazione dei beni culturali, è sempre necessario il filtro della legge.
Su questi aspetti cfr. M. P. Chiti, La nuova nozione di beni culturali nel d. lgs. 112/98: prime note
esegetiche, in “Aedon”, n.1, 1998.
8
Il primo articolo del Testo unico enuncia un principio di carattere generale secondo il
quale i beni culturali compongono il patrimonio storico e artistico nazionale. In sostanza, il
Testo unico, tra una pluralità di nozioni come quella delle “leggi Bottai” ed una concezione
unitaria coniata dalla Commissione Franceschini, ha optato per una soluzione di
compromesso in quanto all’elencazione analitica dei beni contenuta negli artt. 2 e 3 fa da
contrapposto l’art. 4 che dispone che il legislatore futuro potrebbe individuare come beni
culturali altri beni, diversi da quelli elencati negli articoli precedenti, a condizione che si
presentino come testimonianza di civiltà.
9
Per facilità espositiva, da qui innanzi il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio verrà
indicato semplicemente come Codice.
10
Cfr. G. Sciullo, I beni, in C. Barbati, M. Cammelli, G. Sciullo (a cura di), Il diritto dei beni
culturali, Bologna, Il Mulino, 2003, p. 27.
5
La pluralità, in primo luogo, deriva dal fatto che la nozione beni
culturali rappresenta più categorie di beni non esistendone un solo ed
unico tipo.
In secondo luogo, la dottrina ha coniato il carattere della tipicità in
quanto sono riconducibili alla categoria dei beni culturali solo i beni
individuati dalla legge o in base alla legge: in poche parole, non esiste
di per sé un bene culturale, ma esso nasce dalla qualificazione
normativa fatta dal legislatore in relazione a qualsiasi testimonianza
avente valore di civiltà.
Infine, si è parlato della materialità dei beni pubblici.
Quello della materialità è stato un concetto lungamente dibattuto in
dottrina
11
. Il Giannini
12
distingueva tra “cose” e “beni” per constatare
che i beni culturali sono immateriali in quanto la testimonianza avente
valore di civiltà è un’entità astratta che si incardina in una cosa che
funge da supporto fisico. Prima di lui anche il Cantucci
13
si era
espresso nel senso che la cosa sarebbe una semplice entità
extragiuridica, qualificabile giuridicamente in quanto presenti un
interesse tutelabile. Secondo queste tesi, quindi, “il bene giuridico […]
può inerire ad uno o più supporti materiali ma non si confonde con
essi, giacché non attiene alla patrimonialità della cosa ma piuttosto
11
In particolare è da segnalare come il Cassese, per sopperire alla necessità di rinnovare
la nozione di bene culturale introduceva una definizione comprensiva anche delle cosiddette
attività culturali come species del genere bene culturale, aprendo così a manifestazioni
immateriali della cultura. Questo concetto di attività culturali fece ingresso nella legislazione
attraverso il d.P.R 616 del 24 luglio 1977, recante le norme sul trasferimento delle funzioni
alle regioni ordinarie. Innovazione che permise di liberare il bene culturale dai legami
necessari con le cose materiali. Ma con il d. lgs. 112/98 si è definitivamente abbandonato un
concetto di bene culturale omnicomprensivo in quanto l’art. 148, comma 1, lett. g) ed f),
menziona esplicitamente le attività culturali, definite come ciò che sia rivolto al futuro,
perché diretto a formare ed a diffondere le espressioni più avanzate della cultura e dell’arte.
12
M. S. Giannini, I beni culturali, in “Rivista trimestrale di diritto pubblico”, 1976, pp. 1 ss.
13
M. Cantucci, La tutela giuridica delle cose di interesse artistico e storico, Padova, CEDAM,
1953, p. 98.
6
all’utilità spirituale, che si può trarre da quel bene in quanto avente
valore culturale”
14
.
Altri autori invece hanno criticato tali impostazioni perché, a loro dire,
non applicabili a tutti i tipi di beni culturali ma solo per le cosiddette
opere dell’ingegno. In particolare, essi hanno fatto notare come le cose
di interesse storico e artistico appaiono caratterizzate da un minor
grado di astrazione e, pertanto, “nel bene culturale il valore ideale si
presenta profondamente compenetrato nella materia”
15
. In sostanza,
alla stregua di queste altre teorie, ciò che la stessa Costituzione tutela è
la cosa nella sua corporalità e non nella sua essenza immateriale. E
sembra che questo indirizzo sia anche stato accolto dal Consiglio di
Stato in varie sentenze nelle quali ha affermato che i vari valori che una
cosa può esplicare, per essere tutelabili, devono essere “incarnati o
incorporati in strutture e tali strutture debbono in qualche modo essere
perpetuabili o stabili”
16
.
Il Codice del 2004 ha mutuato sostanzialmente la nozione di beni
culturali da quella elaborata dalla Commissione Franceschini ma
anch’esso, come già fatto dal d. lgs. 112/98, ha tenuto fuori dalla
definizione il termine “materiale”. Tale esclusione non significa però
che siano inclusi tra i beni anche quelli che non hanno un substrato
materiale perché ad impedirlo è lo stesso Codice, il cui articolo 2
considera come beni culturali le sole cose aventi un determinato
interesse.
14
M. A. Cabiddu, Il quadro costituzionale, in M. A. Cabiddu e N. Grasso (a cura di), op. cit.,
p. 9.
15
F. Saverio Marini, Profili costituzionali della tutela dei beni culturali nell’ordinamento
italiano, in N. Assini e P. Francalacci (a cura di), Manuale dei beni culturali, Padova, CEDAM,
2000, p. 47.
16
Cfr. Consiglio di Stato, sezione VI, 5 maggio 1986, n. 359.
7
In conclusione, in base alle attuali disposizioni di legge, i beni culturali
sarebbero solo quelli aventi materialità estrinseca ma ciò non toglie
l’esistenza anche di beni immateriali – quali le opere dell’ingegno, le
invenzioni industriali, le opere della letteratura e della musica, le
espressioni significative della cultura dei popoli, le attività culturali –
che però vengono a rientrare in una più generale nozione di
patrimonio culturale ricevendo, quindi anch’essi tutela
nell’ordinamento, anche se diversa
17
.
É opportuno, infine, ricordare che, considerati nella loro
unitarietà, secondo una vecchia dottrina, i beni culturali presentavano
un’ulteriore caratteristica, cioè quella del loro essere beni pubblici. Al
proposito il Giannini affermava trattarsi di beni pubblici non in ragione
della loro appartenenza, secondo quindi la concezione soggettiva della
pubblicità, relativa alla riferibilità di un bene o un servizio ad un ente
pubblico, ma in quanto “beni di fruizione” in omaggio ad una
accezione oggettiva, riguardante la loro destinazione al
soddisfacimento di un interesse pubblico, cioè al godimento da parte
dei cittadini della cultura insita negli stessi beni
18
. Non importava
quindi chi fosse il reale proprietario del bene e, come fatto notare da
alcuni Autori, “l’uso collettivo dei beni culturali raggiunge la massima
espansione qualora essi entrino a far parte del patrimonio dello Stato o
di altri soggetti pubblici; ma anche se il bene sia di proprietà privata
può essere colpito da vincoli e gravami di varia intensità”
19
17
Per le opere dell’ingegno e le invenzioni industriali la tutela si estrae dalle leggi 633/41,
sulla protezione del diritto d’Autore, e dal r. d. 127/31, in tema di brevetti per invenzioni
industriali.
18
Sui caratteri della immaterialità e della pubblicità della concezione unitaria dei beni
pubblici si veda G. Sciullo, I beni, op. cit., p. 41.
19
M. Ainis, I beni culturali, in M. Ainis e M. Fiorillo (a cura di ), L’ordinamento della cultura.
Manuale di legislazione dei beni culturali, Milano, Giuffrè Editore, 2003, p.111.