6
O forse è il caso, più discreto ma straordinariamente dirompente, dell'architettura, visibilissima
arte pubblica e formidabile disciplina “omologante”, esempio di quella “estetizzazione della
politica” di cui parlerà Walter Benjamin trent'anni dopo.
L’arte italiana nella prima metà del ventesimo secolo deve quindi essere rivista e compresa alla
luce di questo strano rapporto con la storia sociale e politica del Paese, non sottovalutando la
curiosa spinta reciproca che le avanguardie artistiche ed il nuovo corso politico internazionale si
sono date per superare l'ottocento e la vecchiezza di pensieri ed ideologie polverose ed
antimoderne.
Nel cercare di tracciare la linea di sviluppo della pittura, della scultura, delle belle arti in genere,
bisognerà individuarne il grado di autonomia rispetto ai processi storici a loro contemporanei,
ma soprattutto la capacità/possibilità d'influenzare davvero questi ultimi, oppure se si dovrà
parlare di una inevitabile sottomissione alla ”logica del potere” ed alle peggiori “brutture” di
regime.
Così nel primo capitolo viene sviscerato il complesso legame fra l’esigenze propagandistiche dela
dittatura e l’architettura, chiamata a dare corpo a quella “religione” civile, a quella liturgia
collettiva incarnata dal fascismo.
Successivamente l’analisi affronta il nodo cruciale delle reciproche influenze fra arte e politica
totalitaria, laddove viene teorizzato da una parte, dai futuristi, il ruolo “demiurgico” dell’artista
anche in campo sociale ed amministrativo (se ne parla nel capitolo secondo) e dall’altra invece il
completo appiattimento su posizioni propagandistiche e di acriticità rispetto al potere.
Il dibattito fondamentale della funzione dell’arte e delle sue possibilità dentro ad una dittatura
passa necessariamente dalle pagine di “Critica fascista” e dalle idee del suo fondatore, Giuseppe
Bottai, ministro per l’Educazione nazionale e personaggio chiave per comprendere il problema:
fedelissimo a Mussolini ed entusiasticamente fascista, ha una visione curiosamente liberale per
quel che riguarda la cultura, l’arte e le sue prerogative.
Negli ultimi due capitoli la tesi dipana la vicenda artistica e la crescita intellettuale di tutta l’arte
italiana durante il ventennio - palesemente antitetica rispetto alle esigenze estetiche mussoliniane
ma comunque in grado di operare e vivere quasi sempre tranquillamente - per scoprire infine se
sotto le difficoltà di una tirannia così lunga sia riuscita lo stesso a vivere ed esprimersi.
7
1-Estetica di una religione
L'architettura e i simboli della “fede” fascista
Le nostre sedi devono essere dei templi, non solo delle case,
devono avere linee armoniose e possenti. Quando il fascista
entra nella sede del suo circolo, deve entrare in
una casa di bellezza perché siano suscitate in lui emozioni
di forza, di potenza, di beltà e di amore.
B.Mussolini, discorso all'inaugurazione della
Casa del Fascio di Milano il 28 ottobre 1923
Come la Chiesa, (il fascismo) ha affidato all’arte il compito
di tradurre e glorificare in immagini fisiche e, pur spirituali,
i fatti dello spirito. Il compito di concretare nella realtà questo
simbolo del mito, toccò, come era giusto, all'architettura,
la più concreta e insieme la più simbolica delle arti.
Margherita Sarfatti
8
Di fronte alle forti pressioni fatte al Podestà da un decano dell'arte d'avanguardia
nonché da uno dei “pionieri” del fascismo sansepolcrista come Filippo Tommaso
Marinetti, i fratelli Attilio e Giuseppe Terragni si vedono costretti a ripensare i loro
piani per il Monumento dei Caduti di Como e dunque rielaborano - riadattandolo -
un primitivo progetto datato 1914. Firmato da Antonio Sant'Elia, l'architetto comasco
morto nel 1915 durante la Grande Guerra ed enfant prodige del primo futurismo, il
disegno rappresenta un'ipotetica torre - o forse un faro - da collocare in un'altrettanta
ipotetica città futurista, la “città nuova”, dove anziché palazzi e arengari avrebbero
dovuto trovare posto, nei sogni del giovane artista, alberghi, strade, stazioni e
gallerie illuminate. In questo nuovo scenario ci sarebbe stato spazio per creare
un'architettura “elastica e di consumo”
1
, fondata sull'idea che “le case dureranno
meno di noi” e che “ogni generazione dovrà fabbricarsi la sua città
2
. Governata dalla
modernità, la metropoli del futuro avrebbe avuto il proprio “cervello” in una centrale
elettrica, una vera e propria “cattedrale della religione elettricità”
3
. Ma nel 1931 del
movimento fondato da Marinetti si ha solo un'eco lontana e le suggestioni estetiche
dei primi anni del secolo sono state definitivamente abbandonate; l'edificio che
prenderà corpo sul Lungolago avrà poco a vedere con lo schizzo originario: le forme
solenni, i volumi che si alternano in pieni e vuoti, la monumentalità sproporzionata ed
il rigore delle linee sono le definitive caratteristiche del Razionalismo, lo stile
architettonico nuovo, moderno ma rispettoso del gusto classico, del gusto dell'antica
Roma. Lo stile, insomma, per molti aspetti in sintonia col regime.
1 C.Tisdall, A.Bozzolla, Futurismo, ed. Skira, 2002, pag. 167.
2 A.Sant'elia, Manifesto dell'architettura futurista, 11 Luglio 1914.
3 C.Tisdall, A.Bozzolla, .cit., pag. 159.
9
Politica nuova, architettura nuova
Anche nel campo delle arti architettoniche, l'immediato dopoguerra italiano è
caratterizzato da un forte ripensamento di alcune problematiche estetiche ed il
dibattito fra le diverse scuole di pensiero si fa interessante. Conciliare le esigenze di
riassetto e di riordino della città con le differenti esigenze stilistiche è il problema
principale al centro dei discorsi degli architetti italiani. Un' architettura dai caratteri
aulici, tesa a preservare e a valorizzare il patrimonio artistico e monumentale italiano,
è il primo pensiero di Gustavo Giovannoni, direttore della Scuola superiore di
Architettura di Roma, istituita nel 1919. Interventi mirati al diradamento del tessuto
urbano ed il risanamento della città vecchia sono le direttrici lungo le quali bisogna
muoversi per ripensare l'urbe. Sua è anche l'idea di formare generazioni di giovani
professionisti in grado di risolvere i problemi urbanistici delle città moderne,
tralasciando la vecchia politica edilizia interessata solo ad interventi parziali
all'interno del centro storico. Definendo queste figure “architetti integrali”
4
- cioè
veri architetti che sono insieme artisti, tecnici e persone colte - egli apre il fronte
anche per questa disciplina a quell' “uomo nuovo” che il fascismo cercherà in seguito
di creare e formare.
Marcello Piacentini è invece più radicale nei suoi interventi: secondo l'architetto
romano la città ha bisogno di creare un'altra dimensione residenziale lontano dal
centro storico, lasciando quest'ultimo ad un ambito puramente evocativo. A Brescia -
dove vince un suo progetto di riqualificazione urbana, prevedendo fra i vari interventi
la demolizione di circa 19000 metri quadrati di vecchie strutture per ricostruire una
zona dedicata al terziario ed ai servizi statali - le sue idee trovano un applicazione
esemplare. Nella rinnovata Piazza della Vittoria si sperimenta dunque un nuovo
linguaggio architettonico ed urbanistico: il centro della città diviene ora anche il
4 G.Giovannoni, Gli architetti e gli studi di Architettura in Italia, Roma, 1916.
10
centro finanziario e il centro del potere politico, mentre i nuovi edifici nascono da un
“compromesso” stilistico fra elementi classici come i portici, gli archi e le colonne e
le esigenze moderniste. D'altra parte “aderire perfettamente alla vita d'oggi, materiale
e spirituale, pur rispettando le condizioni d'ambiente” è il compito d'una “architettura
contemporanea inquadrata in una grande compostezza e in una perfetta misura”
5
.
Come Piacentini, collegati alla tradizione ed in cerca di forme e stili che
possano fare da filo continuo fra le tradizioni “italiane” e una nuova esigenza di
classicità rivisitata in chiave moderna – ed in questo assai simili alla cerchia dei
pittori e scultori guidata dalla critica d'arte Margherita Sarfatti alla conquista di un
nuovo spazio nel panorama artistico italiano e, perché no, come auspicato dallo stesso
duce, un “posto nella Storia” - operano a Milano un gruppo di architetti che si
possono raccogliere sotto la definizione di “novecentisti”. Giovanni Muzio, Giuseppe
De Finetti, Emilio Lancia, Pier Giulio Magistretti e Piero Portaluppi sono i nomi più
rappresentativi di questa corrente di pensiero: opponendosi ai “cascami del
decorativismo liberty o al sovraccarico inerte dell'eclettismo di ritorno, secondo una
formula che molti di loro definivano neoclassica”
6
, il gruppo porta avanti uno stile
lineare che prevede l'utilizzo di motivi classicheggianti come l' arco o il timpano,
lasciandosi però contaminare dalle suggestioni delle avanguardie, siano esse la
ricerca di una spazialità quasi evanescente e dunque metafisica, o piuttosto una
decorazione fatta di linee ed elementi geometrici, in puro stile futurista. Il Palazzo
delle Poste di Palermo, per esempio, costruito da Angelo Mazzoni nel 1934, verrà
decorato da alcuni pittori legati all'ultimo futurismo. Ancor più emblematico è il caso
della nota Ca' brùta di via Moscova, realizzata fra il 1919 ed il 1923 da un progetto di
Muzio, che in tutto e per tutto ricalca le posizioni estetiche e la poetica del
movimento sarfattiano.
5 M.Piacentini, Architettura d'oggi, Roma, 1930.
6 R.Bossaglia , Sironi e il Novecento, Giunti editore, 1991, pag. 38.
11
Accostando frammenti di tradizione classica e riaggregandoli in un ordine di
linee e livelli, l'intervento dell'architetto tende a costruire una “metafora della
struttura della città: i frammenti architettonici atemporali inseriti in una superficie a
due dimensioni assumono il valore di edifici” che compongono “ il disegno della
trama urbana”
7
. Nel 1927, quando si presenta l'occasione di partecipare al concorso
per il piano regolatore della città - vinto dal piano firmato da Portaluppi e Semenza,
basato su una “colonizzazione” delle aree esterne della città per farne sviluppare le
potenzialità da metropoli - il gruppo si presenta unito sotto il nome di Club degli
urbanisti e propone una modifica sostanziale della viabilità milanese mantenendo
comunque l'immagine storica della città.
E' in questa occasione che si vede per la prima volta all'opera una nuova
generazione di architetti, tutti giovani laureandi o laureati, da subito polemici con le
istanze estetiche dei loro “illustri colleghi” e propositori di una nuova linea formale
per le città e i monumenti italiani. Sotto il nome di Gruppo 7 e con un articolo
d'esordio e di programma “poetico” sulla rivista “Rassegna italiana”, nel dicembre del
1926 inizia l'avventura dei Razionalisti.
Facendosi interpreti dell' esprit nouveau - già avanzato da Le Corbusier –
e superando ampiamente il gruppo novecentista nella disputa su chi sia più
“classico”, Ubaldo Castagnoli, Luigi Figini, Guido Frette, Sebastiano Larco, Gino
Pollini, Carlo Enrico Rava e Giuseppe Terragni arricchiscono e condizionano in
maniera significativa il dibattito artistico del dopoguerra. Con loro l'architettura
comincia a diventare un'arte tesa sempre di più alla ricerca di una sintesi formale e ad
una purezza stilistica davvero “ellenica”: convinti della necessità di dare un “tono
fondamentale” alle nuove costruzioni, tralasciano i residui decorativisti di Muzio per
approdare a quelle “forme assolute che in tutti i paesi” si possono rilevare “e che ne
sono il fondamento: alcune forme sono già nate e si possono considerare appunto
patrimonio internazionale, al modo stesso che l'elemento colonna o l'elemento arco
7 G.Ciucci, Gli architetti e il fascismo, ed.Einaudi, 1989, pag. 63.
12
erano fondamentali nelle architetture passate”
8
. E' il trionfo del puro ritmo e della
logica, in perfetta sintonia con l'ideale classico - e dunque non più “neoclassico” - in
pieno accordo con l'ormai consolidata “esigenza di romanità” del fascismo, che ha
fatto del culto di Roma Antica un suo principio, se non addirittura un proprio mito
fondativo.
La novità è tale e il richiamo alle radici è così forte che la “fedeltà” alla
vera classicità diventa quasi un motivo d'adulazione da parte degli architetti verso il
proprio Governo. Nel 1929 il piano urbanistico per la Capitale presentato dal Gur
9
si
conclude con una dichiarazione d'intenti - estetici ma anche politici - inequivocabili:
la città di Roma dovrà oscillare fra una “esaltazione del passato “ e quella “della vita
moderna e razionale dall'altra (...) Questa è la Roma che noi vediamo capitale del
fascismo”. E' questo un momento importante per l'architettura italiana: le polemiche
contro gli accademici portate avanti sin dalla nascita dal movimento milanese
sembrano trovare una sponda importantissima nel Governo stesso. Allo stesso tempo,
però, è questa polemica a creare le condizioni perché si crei una frattura insanabile fra
gli architetti razionalisti, trovatisi ad un certo punto distantissimi nella scelta di una
posizione di più o meno duro contrasto nei confronti di Piacentini e del Sindacato
Nazionale fascista degli Architetti, simbolicamente intesi come i portatori di un'idea
“superata” dell'Arte e del suo ruolo nazionale
10
.
C'è chi da una parte pensa di non dover creare problemi nell' “ambito
romano” per non compromettersi di fronte al Potere politico; altri invece fuoriescono
persino dalla rivista “La Casa bella” - fin lì organo semi ufficiale del Miar – forti
della consapevolezza di essere professionalmente capaci e dunque autonomi.
11
8 Gruppo 7, Architettura, in Rassegna Italiana, dicembre 1926.
9 Del Gruppo Urbanisti di Roma fanno parte, fra gli altri, Eugenio Faludi, Gaetano Minnucci e Luigi Piccinato. Al
Progetto per Roma parteciperà anche Piacentini. Il programma urbanistico prevede un collegamento diretto fra la
città e il mare e fra la città e i colli, creando città satelliti in forma di borgate rurali.
10 Ripensando all' “avventura” degli anni precedenti, Pagano deve constatare con amarezza che il Razionalismo è stata
“una leva con la quale assurdamente si sforza di rovesciare una situazione.” Citato in U.Silva, Ideologia e Arte del
fascismo, ed.Mazzotta, 1973, pag. 118.
11 La frattura in seno al gruppo dei Razionalisti si consuma in maniera piuttosto grave e negli anni a venire i diversi ex
membri del gruppo non si risparmieranno scortesie. E' il caso dello scontro fra Terragni e Pagano: il primo viene
addirittura “consigliato” nel 1938 dal collega Sartoris di indagare sulla possibile origine ebraica di Pagano;
13
A cavallo fra gli anni Venti e Trenta, l'architettura italiana si trova dunque
ad affrontare in maniera radicale non solo un sano confronto fra diverse scuole di
pensiero, bensì un nodo cruciale per quegli anni, già al centro dei pensieri di molti
intellettuali e artisti, riguardante il proprio ruolo ed i propri compiti all'interno d'uno
Stato totalitario. Ed in verità, è prima di tutto il potere politico a scegliere
l'architettura - “la massima fra le Arti perché comprende tutto
12
” - come segno e
strumento primo per fondare, come dice Mussolini stesso, “una grande arte che può
essere tradizionalista ed al tempo stesso moderna” , insomma un'arte “nuova dei
nostri tempi, l'Arte fascista”
13
, tramite la creazione di un altrettanto nuovo e
inconfondibile Stile Littorio.
Non sono certo contrari a quest'idea gli architetti stessi ed anzi sono i
primi a pensare di dover finalmente costruire un'architettura di Stato, un'architettura
fascista: il compito loro – costruire nuove città – sembra identificarsi perfettamente
con il compito storico e politico del fascismo - l'educazione delle masse e la creazione
di un “uomo nuovo”-, ed è necessario creare un'estetica che sia allora non solo
imitazione della romanità bensì una sua emanazione nella modernità, inevitabilmente
in funzione antiborghese, laddove proprio la borghesia liberale ha voluto costruire il
mondo secondo regole e canoni “passati”.
Così si hanno plateali dichiarazioni di adesione
14
alla missione storica del
fascismo, convinti come sono del ruolo fondamentale della loro arte, improntata a
quest'ultimo non perderà occasione per denigrare il lavoro dell'architetto lariano, in particolare per quel che riguarda
la Casa del Fascio di Como, giudicata un'opera insolita e senza originalità. L'episodio è riportato in G.Ciucci, Gli
architetti e il fascismo, op. cit.
12 E.Ludwig, Colloqui con Mussolini, Milano, 1932, pag 205.
13 B.Mussolini, Opera Omnia, a cura di E.Susmel, vol XXII pag. 230. L'”auspicio” del duce è parte di un discorso
tenuto a Perugia il 5 ottobre 1926 La frase verrà utilizzata dai Razionalisti per aprire la II Esposizione di
architettura razionale del 1931: sarà un chiaro segno di comunanza con il capo del fascismo che peraltro si
presenterà puntuale il giorno dell'inaugurazione.
14 Il 31 gennaio 1931 in un articolo firmato da Pier Maria Bardi dal titolo “Architettura, arte di stato” e pubblicato
sulle pagine de “L'Ambrosiano”, si sottolinea il compito ideale dell'architettura, che deve sorreggere e illustrare le
imprese e le conquiste del fascismo. Non solo: contro le influenze liberali ed ottocentesche lo Stato dovrà
impegnarsi a “vigilare sulla nuova coscienza artistica italiana”, diventando anche “il centro della vita di ogni singolo
Un rapporto complesso
14
“definire e fermare nel tempo il carattere e la storia di un'epoca”
15
. Si potrebbe dire
che ci sia addirittura una “gara” fra le diverse scuole di architettura per ottenere il
privilegio di definire lo Stile Fascista. Si prenda per esempio la polemica innescata da
alcuni ideologi del Partito Nazionale fascista che preferivano alle istanze razionaliste
un'architettura monumentale, funzionale all'idea di “durata eterna” della rivoluzione
mussoliniana.
Eppure saranno proprio i Razionalisti a raccogliere ed in un certo senso a
rappresentare le volontà artistiche del regime; in particolare, sottostando all'esigenza
fascista di glorificare il proprio avvento, creando veri e propri luoghi di culto, spazi
sacri per la “celebrazione del culto littorio, contribuendo così ad istillare nella
coscienza dell'italiano nuovo la fede nella religione fascista”
16
. Farà lo stesso Sironi,
anzi, sarà “il primo a dare forma visibile a quel sistema di immagini fondamentali
che il regime utilizzerà per legittimare il proprio potere”
17
, investendo anima e corpo
nel fascismo, esaltando le doti della nuova monumentalità, che rappresenta “la voce
del Capo al di sopra della voce delle moltitudini, l'espressione della Fede in
contrapposto al gesto dell'interesse”
18
.
Ecco dunque un concetto chiave per interpretare la storia dell'architettura
durante il ventennio: il fascismo, fin dall'inizio della sua storia, si è presentato agli
italiani come un movimento rigeneratore della coscienza nazionale e nel corso degli
anni ha instillato miti e credenze nella popolazione fino a diventare una “religione
civile”.
E come una religione il fascismo crea dunque una propria liturgia statale,
propagandando la fede attraverso miti e manifestazioni di massa, componendo poi un
rosario di simboli e riti per ottenere sia un rafforzamento interno - creando legami ed
indottrinando i propri adepti - sia per magnificare la forza dello Stato ormai
architetto”. Riportato in G.Ciucci, Gli architetti e il fascismo, op. cit.
15 Minucci e Libera, in Richiesta di autorizzazione per l'esposizione Italiana. Riportato da E.Gentile, Il culto del
Littorio, 1975, ed.Laterza, pag. 213.
16 E.Gentile, Il culto del Littorio, cit.
17 E.Braun, Mario Sironi, arte e politica in Italia sotto il fascismo, ed. Bollati Boringhieri, 2003, pag.24.
18 M.Sironi, Monumentalità fascista, in “La Rivista illustrata”, novembre 1934.
15
totalitario, santificandone il capo supremo, Mussolini
19
. Utilizzando strumenti di
comunicazione di massa come il cinema, la radio, i giornali ma soprattuto l'Arte, il
regime permea tutta la società di sé, tramite l'esposizione infinita e onnipresente delle
sue immagini, della sua storia. Anche perché l'artista deve far affiorare la coscienza
delle masse, principale fruitore dell'opera pedagogica dello Stato, traendo ispirazione
dalla stirpe e dalla sua predestinazione alla missione storica dell'Italia, diventando
quindi un “profeta”. L'architettura dal canto suo presta volentieri il braccio
all'ideologia mussoliniana creando i templi per “osservare” e conoscere la nuova fede,
per poter svolgere la funzione - “come nelle grandi epoche della Chiesa” - di
“illustrare ed esaltare i miti della religione fascista”.
20
19 In questa “febbre” propagandistica e in questa visione mistica della sua funzione storica, il fascismo sembrò
volersi sostituire alla religione cattolica. Nel 1927 per esempio viene creato un ennesimo rito “religioso”, la “Leva
fascista”, una cerimonia che sanciva il passaggio di un giovane fascista dalle organizzazioni giovanili al partito, e
che assomigliava in tutto per tutto ad una “cresima”. Starace, il segretario del PNF negli anni trenta, tanto per
ribadire il proprio ruolo sacerdotale del partito, stabilì che ogni casa del fascio avrebbe dovuto avere una “torre
littoria” con tanto di campane da suonare in occasione dei riti del regime. L'assimilazione della ritualità cattolica e
la
pretesa palese per cui il fascismo nasce e poi governa l'Italia allo scopo di “educare le masse” finiscono però per
infastidire il potere ecclesiastico, tanto che il pontefice Pio XI scrisse un'enciclica di condanna contro
quest'ingerenza spirituale. “ Una concezione dello Stato – recita nel Non abbiamo bisogno del 30 giugno 1931 -
”che gli fa appartenere le giovani generazioni interamente e senza eccezione dalla prima età fino all'età adulta non è
conciliabile per un cattolico con la dottrina cattolica”. A questo proposito si possono citare le parole del pittore
Basilio Cascella il quale, rivolgendosi al duce per presentargli un progetto di una mostra dedicata agli italiani
all'estero, disse:”L’arte è servita esclusivamente con tutti i suoi mezzi all'esaltazione del trono e dell'altare(...). La
chiesa ha saputo sempre servirsene per i suoi fini lo Stato invece ha trascurato questo potente mezzo, lasciando
l'Arte in balia di se stessa, per un malinteso scrupolo di libertà (...).Bisogna quindi istituire una specie di
organizzazione parallela alla Propaganda Fide papale”.
20 E.Gentile, op cit.
16
La religione fascista
Ma quali sono i miti e i caratteri di questo nuovo culto? Prima di
affrontare le caratteristiche e le “produzioni religiose” dell'architettura italiana fra le
due guerre e prima dunque di ritornare all'altra “guerra”, quella estetica, fra gli stili
architettonici durante gli anni Trenta, è giusto inquadrare la genesi prima e la struttura
poi della “nuova religione” voluta dallo Stato totalitario ed imposta nella coscienza
di quasi tutti gli italiani.
Il fascismo affronta fin da subito un problema cruciale della storia Italiana
a partire dalla sua unificazione politica, avvenuta nel 1861: la Nazione esiste, il
carattere nazionale, la coscienza collettiva, il senso di patria, invece, mancano.
Muovendosi dunque nel solco della tradizione risorgimentale che, dal settarismo
carbonaro ai riformatori giacobini, i quali pensavano che la politica fosse una
rigenerazione morale della nazione, cercava di creare uno Stato adatto a svolgere
un'azione pedagogica tramite il culto di una religione patriottica, il movimento
fascista si forma, a ridosso della Grande Guerra, raccogliendo i malumori di chi
guarda con nostalgia ai valori del “radicalismo nazionale” di Mazzini
21
, dei
Nazionalisti di Corradini
22
, degli intellettuali legati a “La Voce” di Prezzolini, ai
reduci di guerra, ai reduci delle imprese di D'Annunzio.
23
I valori della Patria, la valenza della guerra come forza rinnovatrice -
”Guerra unica e sola igiene del mondo” dicevano i futuristi nel loro manifesto del
21 Mazzini, col suo misticismo politico e la sua idea di una vita politica dedicata interamente alla dedizione della
Patria, viene considerato da molti come uno dei pensatori cardine per comprendere la nascita dell'ideologia
fascista. Alcuni suoi convincimenti saranno in effetti ripresi e rielaborati dal fascismo: pensiamo ad esempio alla
visione del Risorgimento come “rivoluzione incompiuta”, perché non essendosi verificata un'unità morale degli
italiani, l'unità non è completa.
22 Il movimento nazionalista propone una religione politica per assolutizare il culto della patria come divinità vivente
(idea tipica dei nazionalisti dell'estremo oriente), tramite il culto degli eroi come testimonianza di amore per la
Nazione, sacrificatisi in guerra – la più grande manifestazione “ di vita” - per santificarla.
23 In questa fase di creazione della “religione fascista” è molto importante la figura del poeta abruzzese. Riprendendo
il mito della religione civile risorgimentale e la coscienza della romanità, crea una teologica politica, fondendo
l'arte
con la politica, ottenendo miti, simboli e rituali di un nuovo culto.
17
1909 - e momento eroico della coscienza nazionale
24
, il culto degli eroi morti in
battaglia e dei reduci, sopravvissuti a testimonianza del loro sacrificio patriottico, la
paura del Bolscevismo: e' questo il nucleo embrionale ideologico da cui partirà il
movimento fascista per elaborare in seguito un suo proprio credo.
Forte del consenso di questa parte della società, che vede nel
movimento mussoliniano l'unica possibilità di rigenerare e riconsacrare il popolo al
culto della Nazione, già dopo il 1919, anno della fondazione a Milano dei Fasci di
Combattimento, Mussolini si autorappresenta come il fondatore di un nuovo credo,
istituzionalizzando il fascismo tramite la fondazione del Partito Nazionale Fascista –
nel novembre del 1921 -, le cui caratteristiche appaiono subito chiare a chi si subirà
la violenza del suo “esercito privato”. Le formazioni di picchiatori in camicia nera
daranno al fascismo il pretesto per formulare ed organizzare alcune credenze poi
fondamentali per creare la sua religione: il valore attribuito al fuoco, simbolo della
forza distruttrice e rigeneratrice; il culto dei caduti e del sangue dei martiri; il rito
della benedizione del gagliardetto alla fine di ogni “spedizione punitiva” e il rito
dell'Appello durante i funerali di un camerata ucciso; il festeggiamento del 21 Aprile,
ricorrenza della nascita di Roma, come motivo della riconciliazione con lo spirito
classico e della continuazione della romanità nel mondo moderno.
E' questa dunque la prima tappa – la “guerra dei simboli”, come la definisce Emilio
Gentile, dei primi anni Venti fra fascisti, da una parte, e repubblicani, liberali,
comunisti dall'altra, anche loro a ben vedere possibili eredi delle tradizioni
risorgimentali e pericolosi avversari, per i futuri “padroni d'Italia”, nel rivendicare il
culto della Patria - d'un percorso più ampio, sempre più pianificato, d'un
cambiamento radicale nella società e nella cultura italiana grazie alla creazione di una
“religione civile”. Per arrivare a questo scopo il fascismo opera lungo due direttrici:
riproporre e riconsacrare i simboli dell'Unità nazionale e della Nazione risorta prima,
24 Bisogna ricordasi che Mussolini, con la sua posizione interventista nel 1914, e che gli costerà la poltrona di direttore
dell'Avanti!, diventerà il politico preferito del movimento Futurista di Marinetti, che nel futuro duce vedrà
l'incarnazione dei sui proclami estetici e programmatici. Si veda anche il capitolo successivo.