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In campo psicologico l’interesse per il concetto di valore si sviluppa a partire dagli
anni 50. Durante il decennio successivo tale attenzione continua a crescere e si ha la
prima importante definizione ad opera di Kluckon al quale si deve la
concettualizzazione dei valori come principi guida. Negli anni 70, si realizza la prima
sistematizzazione teorica ed operativa grazie al fondamentale contributo di Rokeach.
Agli anni 90 risalgono invece gli sviluppi più recenti della psicologia dei valori che
comprendono gli apporti di Seligman, Kahle e Schwartz.
Data la pluralità dei contributi allo studio della psicologia dei valori è opportuno
citare un lavoro di Schwartz e Billsky (1987) in cui i due autori, a seguito di una
rassegna della letteratura psicologica sull’argomento, individuano cinque tratti
comuni alla maggioranza delle definizioni sui valori i quali risultano essere descritti
come:
ξ Concetti o credenze;
ξ Relativi a comportamenti, scopi, stati desiderabili;
ξ Che trascendono le specifiche situazioni;
ξ Guidano la selezione e valutazione di eventi e comportamenti;
ξ Sono ordinati in base alla loro importanza relativa.
Altre caratteristiche dei valori sulle quali si nota un sostanziale accordo tra gli autori
sono la loro origine socio-culturale, la duplice appartenenza al livello individuale e
sociale ed il fatto che vengano concettualizzati come dimensioni valutative
organizzate gerarchicamente in sistemi, in base al grado di importanza.
Inoltre, per comprendere chiaramente il concetto di valore è importante distinguerlo
da altri ad esso affini ai quali è spesso accostato con la possibilità di generare
confusione; si tratta di costrutti quali bisogno, motivazione, desiderio, obiettivo,
norma, atteggiamento.
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1.2 KLUCKHOHN
Nel 1951, Kluckhohn dà una prima definizione dei valori descrivendoli come
concezioni esplicite o implicite di ciò che è desiderabile, che influenzano la selezione
di modi, mezzi e mete disponibili e che sono distintive di un soggetto o caratteristiche
di un gruppo.
Successivamente, nel 1961, egli arricchisce la sua definizione introducendo con
Strodtbeck alcuni principi su cui basare lo studio dei valori. In base a questi principi,
egli afferma in primo luogo che esistono un numero limitato di problemi per i quali
tutte le persone devono trovare una soluzione. Inoltre, sottolinea che la variabilità
nelle soluzioni dei problemi non è né illimitata né casuale ma è definita all’interno di
una serie di possibili soluzioni. Infine, evidenzia come le diverse soluzioni non siano
sempre presenti in egual misura in tutte le società ma siano preferite in modi
differenti. Kluckhohn e Strodtbeck affermano che le soluzioni privilegiate dalle
diverse società rispecchiano i differenti valori di cui sono portatrici ed individuano
nella misurazione di queste un possibile metodo per conoscerli.
Alcuni autori (Antonelli, Rubini, Saviane, Gatto; 1998) tralasciano
l’approfondimento del contributo di Kluckhohn nella rassegna storica sulla psicologia
dei valori in quanto antropologo e, pur riconoscendo l’importanza di tale apporto,
colgono l’occasione per segnalare come il rifarsi a teorie elaborate in ambiti
disciplinari differenti possa generare difficoltà nel rispondere a quesiti
eminentemente psicologici. Anche Calvi (1976) rileva l’importanza e la necessità di
una teoria propriamente psicologica dei valori nel rispondere ad importanti domande
riguardanti i fenomeni di massa quali ad esempio i conflitti sociali, le guerre, il
cambiamento dei modelli di sviluppo o l’evoluzione delle culture.
Tuttavia, appare importante citare in breve il contributo di Kluckhohn poiché primo
autore a dare una definizione dei valori come principi guida nella vita delle persone e
punto fermo nella concettualizzazione di tale tematica al punto da influenzare gli
autori successivi, primo tra tutti Rokeach.
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1.3 ROKEACH
Il contributo di Rokeach, costituisce la prima trattazione sistematica relativa al tema
dei valori. La sua teoria è illustrata nel libro The nature of human values scritto nel
1973, che ha suscitato grande interesse da parte di studiosi americani ed europei ed è
diventato opera fondamentale nello studio della psicologia dei valori. E’ rilevante il
fatto che Rokeach fosse uno psicologo: quest’opera segna anche l’incremento
dell’interesse da parte della psicologia nei confronti dello studio dei valori e la
raggiunta autonomia concettuale del costrutto all’interno della disciplina.
Nel suo lavoro, Rokeach riprendendo la definizione di Kluckhohn, definisce il
concetto di valore come: “Un convincimento permanente per cui un particolare stile
di vita o una finalità dell’esistenza è preferibile ad altri stili di vita e finalità”. La sua
teoria è basata su cinque affermazioni assiomatiche secondo le quali:
1) Il numero dei valori di cui una persona dispone è relativamente limitato;
2) Tutti gli uomini dispongono dei medesimi valori a diversi livelli;
3) I valori sono organizzati in sistemi;
4) I presupposti dei valori umani devono essere reperiti nel contesto culturale,
nella società, nelle sue istituzioni, nella personalità degli individui;
5) Le conseguenze dei valori umani si manifestano in tutti quei fenomeni che gli
scienziati sociali considerano meritevoli di essere sondati ed interpretati.
Per Rokeach i valori sono organizzati in un sistema valoriale da lui definito:
“Un’organizzazione permanente di convincimenti, riguardanti particolari stili di vita
o finalità dell’esistenza, ordinata lungo un continuum d’importanza relativa”
(Rokeach, 1973). Ogni persona possiede un proprio sistema valoriale organizzato in
maniera gerarchica e pertanto si riscontrano numerose differenze individuali nelle
priorità accordate ai diversi valori.
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Le scelte di comportamento della persona sono strettamente legate al suo sistema
valoriale; infatti, Rokeach riconosce ai valori la funzione di guida del comportamento
affermando che possano, ad esempio, indurre le persone a prendere posizione in
maniera differente nei confronti dei problemi e dei temi sociali, influenzare il modo
di presentarsi e relazionarsi con gli altri, favorire l’adesione dell’individuo ad alcune
ideologie politiche o religiose piuttosto che ad altre.
Seligman e Katz (1996), in accordo con Rokeach, affermano che i valori sono uno
standard che il Sé utilizza come giudizio nelle scelte e che la loro organizzazione
stabile in sistema è necessaria per mantenere un punto di riferimento costante utile a
verificare la coerenza del sé nelle decisioni che vengono prese nelle diverse situazioni
e nel corso del tempo. Tuttavia, dato che i valori sono organizzati in un sistema ed
operano in relazione tra loro è difficile che le azioni di un individuo possano essere
guidate da un unico valore sempre stabile e costante nel tempo. Per questo motivo è
facile comprendere l’importanza di considerare l’intero sistema valoriale della
persona e non il singolo valore come guida per la comprensione di atteggiamenti e
comportamenti.
Un altro aspetto significativo della teoria di Rokeach riguarda il ruolo dei valori a
livello motivazionale. Infatti, egli nel riconoscerli come parti centrali del sé rileva
come, in quanto tali, abbiano un ruolo nel mantenere l’autostima del soggetto e
nell’aumentarla quando possibile.
Inoltre, secondo Rokeach, i valori possiedono connotazioni affettive e possono,
dunque, favorire l’emergere di dinamiche emotive.
Un contributo fondamentale dello studio di Rokeach è costituito anche dalla
precisazione della differenza tra il concetto di atteggiamento e quello di valore.
Questa osservazione è di cruciale importanza per la psicologia in quanto la riflessione
sull’opportunità o meno di considerare gli atteggiamenti come predittivi dei
comportamenti costituisce uno dei dibattiti di più difficile soluzione per la disciplina.
Rokeach spiega che mentre gli atteggiamenti sono relativi a situazioni, oggetti e
convinzioni specifiche, i valori hanno carattere più generale e tendono, quindi, ad
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avere una maggiore validità predittiva riguardo al comportamento proprio in virtù del
fatto che sono più stabili e resistenti.
Un ulteriore contributo di Rokeach è relativo alla distinzione tra valori terminali o
finali e valori strumentali. Mentre i primi si riferiscono a mete finali idealizzate
dell’esistenza, come per esempio l’uguaglianza, i valori strumentali sono relativi ai
modi ritenuti adeguati per raggiungere tali condizioni (Anolli, 2004), ad esempio
essere onesti.
Schwartz (1994) critica la distinzione tra valori strumentali e finali operata da
Rokeach affermando che essa non sia utile ai fini della ricerca empirica. Inoltre, lo
stesso Rokeach riconosce come i valori terminali possano, a seconda dei casi, essere
considerati strumentali per il raggiungimento di altri valori.
L’autore distingue due tipologie di valori finali, quelli personali, come ad esempio la
salvezza, e quelli sociali, per esempio la pace nel mondo. Inoltre, in riferimento ai
valori strumentali, Rokeach opera un’ulteriore distinzione tra valori morali e valori di
competenza spiegando che i primi sono relativi a modalità di comportamento, non
necessariamente a finalità dell’esistenza ed hanno carattere interpersonale mentre i
secondi hanno carattere individuale e non riguardano l’etica o la morale.
Un limite importante della teoria di Rokeach consiste nel fatto che non affronta la
questione della formazione dei valori, tralasciando di spiegare quali siano, in termini
di processi psicologici, le modalità attraverso cui questi si costituiscono. Pertanto, le
funzioni assegnate ai valori dall’autore possono avere solo un ruolo descrittivo
(Calegari-Massimini, 1976).
Rokeach ha anche elaborato uno degli strumenti più utilizzati fino agli anni ’90 nella
misurazione di valori credenze e atteggiamenti: si tratta del RVS (Rokeach Value
Survey) da lui sviluppato con la finalità di comprendere l’importanza relativa dei
singoli valori all’interno del sistema valoriale. Tale strumento è impiegato in diversi
contesti che vanno dalle ricerche di mercato (Pitts-Woodside, 1983; Novack-McEvoy,
1990) ai confronti cross-culturali (Bond, 1988), all’individuazione delle differenze tra
gruppi (Becker-Connor,1981; Tetlock, 1986).
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Un esempio pratico della sua applicazione è costituito dallo studio di Kristiansen
(1985) in cui, tramite una rilevazione postale, fu chiesto a 113 soggetti di completare
il RVS con l’aggiunta di un valore definito come salute e di rispondere a 15 domande
sul loro comportamento preventivo definito PHB (Preventive Healt Behavior). Le
analisi statistiche dimostrarono che salute ed altri valori erano in relazione col
comportamento di prevenzione. In accordo con la teoria di Rokeach che sottolinea il
ruolo dei valori come guida dell’azione e del comportamento, i soggetti con un alto
punteggio relativo al PHB consideravano la salute un valore molto più importante di
quanto non facessero coloro con un basso PHB.
Il RVS comprende due parti contenenti ciascuna 18 valori esposti in ordine alfabetico,
una riguardante i valori strumentali ed una relativa a quelli finali. La consegna data ai
soggetti è quella di ordinare ciascun item in base all’importanza da loro riconosciuta
ad ogni valore come principio guida della vita, dal 1°, vale a dire il più importante, al
18°.
La fase di preparazione dello strumento impegnò Rokeach in una minuziosa rassegna
della letteratura psicologica americana allo scopo di individuare i valori da inserire. A
quelli così individuati ne aggiunse alcuni da lui stesso proposti e altri rilevati
attraverso uno studio che coinvolse 30 studenti e 100 soggetti adulti. In seguito,
prestò attenzione all’eliminazione di valori troppo specifici e di tutti quegli item che
potevano non essere chiari per i soggetti o avere significati simili. In relazione ai
valori strumentali, Rokeach fece riferimento alla teoria di Anderson (1968) il quale
aveva descritto 555 tratti di personalità selezionando solo i 200 connotati
positivamente. Attraverso una cernita successiva pervenne ai 36 item che
compongono le due parti dello strumento.
Esistono numerose forme del questionario ma le più utilizzate risultano essere la
forma D e la forma E. La forma D è quella più semplice, particolarmente adatta per la
somministrazione a bambini ed anziani dato che i valori sono proposti tramite
supporti ricoperti di gomma morbida che possono essere facilmente ricollocati dai
soggetti.
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Nella forma E, invece, i soggetti devono scrivere l’ordine di classificazione negli
spazi posti a fianco dei valori. Il tempo medio richiesto per la compilazione dello
strumento è di 15-20 minuti ed è possibile utilizzarlo per un’ampia fascia di età che
va dagli 11 ai 90 anni.
Nonostante il suo vasto utilizzo il RVS è stato ampiamente criticato evidenziandone i
limiti.
In primo luogo la distinzione effettuata da Rokeach tra valori strumentali e finali non
trova riscontro nelle applicazioni dello strumento e ciò rafforza l’opinione di chi
critica tale distinzione: le stesse analisi fattoriali del RVS la smentiscono
evidenziando un numero maggiore di fattori (Bond, 1988; Heat e Fogel, 1978).
Anche la distinzione teorica tra valori personali, sociali , morali e di competenza non
ha ricevuto consistenti conferme dalle rilevazioni empiriche (Weber, 1993).
Ulteriori critiche riguardano la validità di contenuto e di costrutto dello strumento
messe in discussione dall’astrattezza e dalla difficile interpretazione di alcuni item.
Per questo motivo alcuni autori (Kitwood-Smithers, 1974; Thompson-Levitov-
Miederhoff, 1982) sconsigliano l’uso dello strumento nel counselling e ritengono
opportuno un suo impiego limitatamente a scopi di ricerca.
Una tra le principali critiche mosse nei confronti dello strumento è riferita al fatto che
permette misurazioni solo a livello ordinale e di natura ipsativa. Il primo limite
comporta il fatto che lo strumento non consente di rilevare con quale intensità una
persona creda in un determinato valore mentre il secondo sottolinea come
quest’ultimo sia adatto ad effettuare solo confronti intra-individuali e non inter-
individuali. Rankin e Grube (1980) sottolineano come un confronto relativo ai valori
di soggetti e gruppi diversi possa essere realizzato solo a condizione che le classi
stabilite da un soggetto o gruppo corrispondano in termini assoluti a quelle stabilite
dai soggetti con cui sono confrontati. Nel caso del RVS questa condizione non si
verifica dato che, ad esempio, due persone che valutano come primo valore
l’uguaglianza possono attribuirle un’importanza molto diversa: per uno essa può
essere il sommo valore, mentre per un altro può essere il più importante tra quelli che
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compaiono nello strumento ma non tra i valori in genere. Questi limiti, causano
difficoltà nei calcoli statistici dato che comportano il dubbio di produrre correlazioni
spurie tra gli item e la possibilità di inficiare i risultati dell’analisi fattoriale.
I problemi sollevati dalle misurazioni ipsative ottenute tramite RVS hanno
contribuito ad accendere il dibattito sui pregi e i difetti delle scale ordinali e di quelle
a intervalli (Miethe, 1985; Aureli Cutillo, 1997), e inducendo molti studiosi a
trasformare le scale ordinali in scale a intervalli (Feather, 1987).
Infine, l’approccio di Rokeach viene criticato in quanto forza i valori in una gerarchia
assoluta tralasciando la possibilità che due o più di essi possano avere una stessa
importanza per l’individuo.