concretamente il “modus operandi” di un soggetto attivo nell’area no-profit e
con lo scopo di creare “messaggi di utilità collettiva”.
Ci siamo chiesti come e attraverso quali canali tale soggetto sia e sia
stato in grado di affrontare le importanti sfide che si è posto dal suo atto costi-
tutivo.. Un approccio comunicativo con il quale dimostrare un modello di co-
municazione vincente sul piano della partecipazione attiva e della creazione
dei contenuti da parte del pubblico.
Abbiamo voluto dimostrare il modo con cui un soggetto può affrontare
le sfide di una società sempre più invasa dal fenomeno del sovraffollamento
mediatico, che spesso si traduce in una non positiva ricaduta del messaggio
presso il contesto di riferimento.
È stata questa la parte più interessante. Lo è stata soprattutto per il suo
sposare pienamente e positivamente l’intento che ha dato vita alla tesi: un
approccio volutamente pragmatico alla realizzazione di uno studio nel quale
la teoria si potesse evincere attraverso l’analisi pratica delle varie tematiche
proposte.
Tutto ciò è collegato dal filo rosso dell’approccio cross mediale che si
potrà comprendere praticamente nello sviluppo del caso trattato nel terzo ca-
pitolo, e per mezzo del quale si entrerà nel vivo di un progetto di comunica-
zione sociale cross-mediale.
2
1. LINEAMENTI DI STORIA DELLA COMUNICAZIONE SO-
CIALE
1.1 La comunicazione sociale in una prima definizione
Quando affrontiamo temi inerenti la storia e lo sviluppo dei generi le-
gati alla comunicazione ed ai suoi strumenti, è spesso difficile delineare i con-
fini che li distanziano e separano.
Le attività di comunicazione, di ogni ordine e grado, richiedono ingenti
sforzi sia nel reperimento, sia nell’organizzazione, che nell’uso di risorse ade-
guate, atte a mettere in moto la “macchina comunicativa”. Nell’analizzare un
linguaggio come quello della comunicazione sociale possiamo notare come la
sua nascita ed il suo sviluppo siano relativamente recenti nella storia della co-
municazione appartenente alla sfera pubblica. Nonostante la comunicazione
sociale non sia un fenomeno nuovo1, è dall’inizio degli anni settanta del nove-
cento che si scopre, o “riscopre”, l’importanza per il mondo contemporaneo
dei messaggi di pubblica utilità. All’inizio degli anni settanta, in Italia, inizia
a concepirsi, ad opera soprattutto di un soggetto importante quale “Pubblicità
progresso”, una comunicazione non meramente commerciale. La pubblicità,
che fino ad allora non aveva mostrato alcun interesse nella promozione di una
comunicazione slegata da fini consumeristici, rivolge le sue strategie e tecni-
che alla comunicazione avente come fine tematiche di carattere pubblico. Il
panorama delle definizioni proposte in questi anni dagli studiosi ed esperti
1
Cfr. Silvia Caprioglio (2002-2003: pp. 21-22), “Uno strumento insostituibile a tal fine è rappresen-
tato dalle campagne sociali […] Nell’antica Grecia e a Roma, infatti ve ne furono per la liberazione
degli schiavi. In Inghilterra, durante la rivoluzione industriale, vennero realizzate ad esempio, in fa-
vore del diritto di voto alle donne, o per vietare il lavoro infantile. In America […] all’inizio del se-
colo scorso, vi furono le prime volte, per esempio, a scoraggiare il consumo delle bevande alcoliche,
oppure a segnalare i pericoli di contagio della tubercolosi e le precauzioni da adottare”.
3
della materia è alquanto variegato, pur evincendosi, all’interno delle diverse
categorizzazioni, dei tratti comuni.
Mandell parla di pubblicità sociale, riferendosi a “quei comunicati che
riguardano tematiche pubbliche, realizzati nell’interesse pubblico”2. Tale de-
finizione ci introduce all’ambito in cui va ad operare la comunicazione socia-
le. Certo è che tale definizione deve comunque essere integrata, alla luce dei
diversi usi della comunicazione sociale anche in riferimento, ad esempio, alla
campagne sociali prodotte dalle aziende commerciali. In questi casi, possiamo
ancora parlare di messaggi sociali, in quanto realizzati per conto ed in favore
dell’utilità pubblica? Tali messaggi non puntano a veicolare semplicemente il
prodotto, ma il valore che esso esprime, confermandogli un carattere positivo
poiché correlato a stili di vita, ad esempio, rispettosi dell’ambiente e delle
problematiche sociali.
Ma, ancor prima di definire la materia, vi sono studiosi che sottolinea-
no anche la distinzione fra le due denominazioni di “pubblicità sociale” o “co-
municazione sociale”3. Tale distinzione vede spesso prevalere quella di “co-
municazione sociale” “non solamente per la gamma più ampia di strumenti e
interventi che sembra includere ma soprattutto per la valenza fortemente po-
sitiva – cioè di messaggio utile alla collettività – che esso comunemente evo-
ca”4. La denominazione di “sociale”, così intesa, cerca, forse, di porre in mag-
giore risalto il carattere e la superiorità dell’interesse pubblico e del raggiun-
gimento e perseguimento della sua utilità.
Nel contesto italiano, diversi autori si sono cimentati nello studio e nel-
la definizione della comunicazione sociale.
Nel prossimo paragrafo si evidenzieranno le ulteriori definizioni elabo-
rate in seno alla disciplina della comunicazione sociale. Nel concludere que-
2
Riportato in Gadotti, (2003: p. 21).
3
“Secondo alcuni autori, infatti, la pubblicità sociale si baserebbe unicamente sulle campagne di co-
municazioni di massa, mentre la comunicazione sociale sarebbe un approccio più ampio, che utilizza,
oltre alla pubblicità, anche altri metodi per raggiungere e persuadere il pubblico”, (Caprioglio 2002-
2003: pp. 19-20).
4
Gadotti, (2003: p. 24).
4
sto primo paragrafo introduttivo, risulta evidente come, da questa prima foto-
grafia sulla comunicazione a carattere sociale, si delinei una caratteristica fon-
damentale di questo linguaggio, ovvero il perseguire come fine ultimo l’inte-
resse sociale.
1.2 Alcune autorevoli definizioni della comunicazione sociale
Dopo aver definito, in una prima accezione, il significato prioritario
della comunicazione sociale, è utile approfondire e ampliare tale definizione
attraverso lo sguardo ad ulteriori studi compiuti in tale ambito.
Il sociologo delle comunicazioni Paolo Mancini delinea un profilo arti-
colato sia degli attori di tale forma di comunicazione, sia dell’oggetto di tale
linguaggio. La comunicazione sociale viene da questi inglobata nella onni-
comprendente macrocategoria della comunicazione pubblica, che a sua volta
comprende tutte quelle forme di comunicazione che hanno come focus gli in-
teressi generali.
La macrocategoria della comunicazione pubblica è così strutturata5:
• la “comunicazione politica”, che affronta questioni sulle quali esi-
stono punti di vista contrastanti;
• la comunicazione delle “altre istituzioni quasi pubbliche”, che pro-
viene da “istituzioni private e/o semipubbliche e affronta argomenti
di carattere relativamente controverso” (es. la Chiesa, i sindacati, la
confindustria etc etc);
• la “comunicazione sociale”, avente per oggetto “problematiche di
interesse generale relativamente controverse”.
5
Tratto dal materiale pubblicato on-line all’interno del corso sulla comunicazione pubblica tenuto dal
prof. Paolo Mancini, www.universitanettuno.it
5
La comunicazione sociale viene poi ripartita in tre sottocategorie:
• la “comunicazione di pubblico servizio”;
• la “comunicazione sociale propriamente intesa”;
• la “comunicazione delle responsabilità sociali”.
Nell’elaborare tale suddivisione, è importante constatare le tre diverse
specificazioni che Mancini fa della pubblicità sociale: mentre nella prima
“microcategoria” si cimentano le “organizzazioni non profit”, che assurgono
oggi ad un ruolo significativo nell’espletamento di servizi primari di pubblica
utilità (cultura, istruzione, sanità etc etc), la seconda categoria è volta al soste-
nimento di valori e bisogni relativamente controversi; nella ultima categoria
operano le imprese a scopo di profitto che legano il proprio marchio a temati-
che di interesse generale6.
Mancini pone l’accento sia sull’oggetto affrontato dalla comunicazione
sociale, sia sugli attori istituzionali che assolvono la funzione di proposizione
di campagne e messaggi aventi come obiettivo tematiche di carattere parzial-
mente controverso, facendo riferimento quasi sempre a valori condivisi dal
pubblico di riferimento. A sostenere la riflessione di Mancini sul carattere re-
lativamente controverso della comunicazione sociale vi è anche la studiosa e
docente di pubblicità sociale, Giovanna Gadotti. Ella riscontra un dato impor-
tante, ovvero l’esistenza di “un accordo unanime tra gli studiosi nel definire
la comunicazione sociale come una comunicazione che fornisce nell’interesse
collettivo, un’informazione imparziale, su tematiche di interesse collettivo”
(Gadotti 2003: p. 211).
La Gadotti riprende la riflessione di Mancini, che chiarisce come non
ci possa sempre essere un accordo unanime sui valori appoggiati e promossi
dalla pubblicità sociale, preferendo parlare, più che di imparzialità della co-
6
Tali tematiche verranno affrontate nei paragrafi dedicati ai soggetti della comunicazione sociale.
6
municazione sociale, di natura relativamente controversa della medesima7.
Questo in virtù del fatto che risulta difficile che su un dato argomento vi sia la
totalità di accordo da parte del pubblico ricevente, cosicché è necessario stabi-
lire criteri che aiutino a determinare il grado di relativa controversialità della
comunicazione8.
Procedendo in una ulteriore specificazione della comunicazione sociale
la Gadotti classifica i vari tipi di messaggi di natura “sociale”:
• gli “appelli al pubblico”;
• la “comunicazione di sensibilizzazione”;
• la “comunicazione di educazione”.
Tale classificazione è una delle più esaustive del panorama della comu-
nicazione sociale in Italia e cerca di fornire una griglia di rappresentazione
per la contestualizzazione e comprensione dei vari messaggi, nonché dei sog-
getti promotori che si attivano nella loro elaborazione. La prima tipologia di
messaggi si rivolge ai destinatari con l’obiettivo di ottenere dei contributi da
parte loro: in tale ambito si consolida con maggiore visibilità l’attività degli
attori non-profit del terzo settore9, la cui mission (la missione) di comunica-
zione riguarda soprattutto le campagne di “found raising”10. Il contributo ri-
chiesto ai destinatari del messaggio verrà poi, in un secondo momento, tra-
7
La Gadotti fa rientrare le tematiche con un alto valore di contorversialità (ad es. temi etici come l’a-
borto) in un’altra categoria di pubblicità non commerciale, che la letteratura inglese definisce “advo-
cacy”: “rientrano in questa categoria i comunicati che vertono su temi controversi, proponendo e sot-
tolineando un punto di vista sull’argomento. Tale punto di vista non si preoccupa affatto di essere
neutrale, ma si presenta come essenzialmente “polemico”, nel senso che il più delle volte gli annunci
in questione indicano esplicitamente le tesi o i gruppi cui tendono opporsi”, (Gadotti 2003: pp. 27-
28).
8
“Il primo è di carattere quantitativo: quanto più diffusa ed accettata un’idea è nella comunità tanto
più il suo livello di controversialità tenderà a diminuire” ed il secondo criterio “fa riferimento alla di-
stinzione tra tema e valore […] è possibile che la comunicazione sociale affronti dei temi che, almeno
in parte, presentano un certo livello di controversialità ma sottintenda valori a proposito dei quali
sono ben poche le posizioni discordanti”, (Gadotti 2003: pp. 211-212).
9
Le organizzazioni del terzo settore verranno trattate nel prossimo paragrafo insieme agli altri attori
della comunicazione sociale.
10
L’attività di found raising “consiste nel reperimento di risorse finanziarie, e people raising, cioè al
reperimento di nuovi volontari, un maggior coinvolgimento di quelli già presenti e il consolidamento
delle motivazioni nei fondatori e negli associati”, per un profondimento si rimanda a www.urp.it
7
sformato in azioni concrete che rispondano alla reason why (la motivazione)
del messaggio stesso.
Figura 1 Campagna "Il salvamondo"11
La seconda tipologia, la comunicazione di sensibilizzazione, mira a
“sensibilizzare il destinatario su tematiche di solidarietà e difesa delle cate-
gorie più svantaggiate e dei più deboli” (Gadotti 2003: p. 215).
La missione del messaggio, in questo caso, è rivolta direttamente al
target di riferimento e alla diffusione presso questo di un nuovo atteggiamen-
to o comportamento di segno positivo, rispetto alle tematiche sopra delineate:
andando a modificare o a rinnovare un impegno, ad esempio, nei confronti
della salvaguardia del patrimonio ambientale o storico-artistico, come nel
11
La campagna “Il salvamondo” si è svolta in occasione dello storico passaggio alla moneta comune.
La finalità di tale campagna, promossa da organizzazioni internazionali quali, Amnesty International,
WWF e UNICEF, risiede nell’appello al pubblico volto a donare la vecchia lira in favore di “cause so-
ciali” veicolate dagli stessi organismi promotori della campagna raccolta fondi in questione.
8
caso della campagna “storica” dell’ancor più storica fondazione italiana “Pub-
blicità Progresso”.
Figura 2 Campagna a "Tutela del patrimonio artistico" Pubblicità Progresso-197812
Infine, la comunicazione di educazione, anche in questo caso, come
evoca la definizione, punta ad educare il target di riferimento “con l’obiettivo
di dissuadere da comportamenti dannosi mesi in atto dall’individuo o per
suggerire comportamenti positivi: in tutte queste campagne il destinatario
della comunicazione coincide con il beneficiario della stessa”(Gadotti 2003:
p. 215). Il punto di partenza di tale analisi è la definizione che di pubblicità
sociale dà il Codice di Autodisciplina Pubblicitaria13 e che la Gadotti prende a
12
La campagna fu lanciata da Pubblicità progresso con lo scopo di combattere l’indifferenza e la non
curanza verso il patrimonio storico-artistico italiano, e fu diffusa attraverso le emittenti pubbliche tele-
visive e radiofoniche, oltre che su alcune di queste operanti in ambito privato.
13
Il Codice di Autodisciplina Pubblicitaria è stato per moltissimo tempo l’unico punto di riferimento
in materia di legislazione relativa alla pubblicità. Come ricorda Vanni Codeluppi, “In Italia, la caren-
za della legislazione statale in relazione alla pubblicità, ha portato le principali categorie professio-
nali operanti nel settore a decidere, nel 1963, di istituire uno strumento di regolamentazione come il
Codice di Autodisciplina Pubblicitaria che fu ufficializzato a Roma il 12 maggio 1966. Le finalità di
tale Codice sono quelle di tutelare tre tipi di interessi: dei consumatori, dei singoli utenti e della pub-
blicità”. Pur costituendosi come un’insieme di norme comportamentali volontariamente sottoscritto
dalle categorie professionali appartenenti al mondo della pubblicità, “è molto difficile far sì che una
pubblicità possa sottrarsi al Codice, perché almeno uno dei soggetti che partecipano alla realizzazio-
9
modello per elaborare questa classificazione e definire con maggiore articola-
zione la natura dei messaggi di tale approccio comunicativo. L’Istituto di Au-
todisciplina ha incluso, allargando la sua sfera di competenza, il settore della
comunicazione sociale, che viene così ad essere sottoposto al suo controllo:
tale funzione si esprime con la verifica, sia su iniziativa diretta dei consuma-
tori, sia attraverso l’opera di monitoraggio dell’istituzione, del rispetto di pa-
rametri fondamentali stabiliti dal Codice stesso.
Al titolo VI della raccolta viene recepita la pubblicità sociale, la quale
viene sottoposta, insieme a quella commerciale, al controllo e al rispetto delle
norme in esso contenute da parte degli operatori. L’articolo 46, nel definire
gli “appelli al pubblico”, ne definisce i limiti, vietando di:
• sfruttare indebitamente la miseria umana nuocendo alla di-
gnità della persona, né ricorrere a richiami scioccanti tali
da ingenerare ingiustificatamente allarmismi, sentimenti di
paura o di grave turbamento;
• colpevolizzare o addossare responsabilità a coloro che non
intendano aderire all'appello;
• presentare in modo esagerato il grado o la natura del pro-
blema sociale per il quale l'appello viene rivolto;
• sovrastimare lo specifico o potenziale valore del contributo
all'iniziativa;
• sollecitare i minori ad offerte di denaro.
Si specifica poi, a conclusione dell’articolo, che “le presenti di-
sposizioni si applicano anche alla pubblicità commerciale che con-
tenga riferimenti a cause sociali”14.
ne di una campagna ha aderito ad esso e pertanto inserisce nei propri contratti una speciale clausola
di accettazione del Codice […] obbligando in tal modo la controparte ad assoggettarsi a tale clauso-
la, che è stata riconosciuta valida ed efficace, con una sentenza del Tribunale di Milano del gennaio
del 1976, dalla magistratura ordinaria”, (Codeluppi 2003: pp. 393-94).
14
Per ulteriori approfondimenti e per la visione integrale del Codice si rimanda a, www.iap.it .
10
È chiaro l’intento del comitato di controllo, che, pur sottoli-
neando la libertà di espressione, invita coloro che operano nella co-
municazione sociale al rispetto di determinati parametri, non esclu-
dendo da tali finalità neanche quello che viene definito come “cause
related marketing”15.
Ma oggi possiamo notare come il Codice non sia più l’unico, e
peraltro limitato punto di riferimento del settore, grazie all’istituzio-
ne, da parte dello Stato italiano, del Garante della concorrenza e del
mercato, meglio noto come Antitrust. Tale organo si propone di sor-
passare i limiti del Giurì di autodisciplina previsto dal Codice di Au-
todisciplina Pubblicitaria, ricoprendo un ruolo ed un potere più incisi-
vo rispetto al precedente16.
Come ricordato in precedenza, è solo nell’ultimo quarto del se-
colo trascorso, che nel nostro Paese si è data effettiva importanza alla
comunicazione sociale, con il fiorire di una vasta messe di studi di
ambito sociologico. Sempre la Gadotti ci ricorda come, solo nell’ulti-
mo decennio (dagli anni ‘90 in poi), tale forma di comunicazione si
sia sempre più diffusa presso il pubblico italiano, passando così da
una “bassa frequenza” di messaggi di natura sociale ad una crescente
proliferazione di spot, con l’obiettivo di “rendere attuale una que-
stione, un tema, un problema sociale, un valore, un comportamento”
(Gadotti 2003b: p. 407).
15
Il “Cause related marketing” verrà trattato specificatamente nel paragrafo dedicato alla comunica-
zione sociale legata alle imprese private.
16
“L’antitrust è una autorità indipendente […] con il termine autorità indipendente si fa riferimento a
un’amministrazione pubblica che prende le proprie decisioni sulla base della legge, senza possibilità
di ingerenze da parte del governo né di altri organi della rappresentanza politica […] Essa ha anche
competenze in materia di pubblicità ingannevole e comparativa […] per ciò che concerne l’applica-
zione della normativa sulla pubblicità ingannevole, compito dell’Autorità è quello di “inibire” la di-
vulgazione dei messaggi pubblicitari giudicati ingannevoli […] l’Autorità ha inoltre il compito di giu-
dicare le controversie in materia di pubblicità comparativa, verificando se sono soddisfatte le condi-
zioni di liceità della comparazione pubblicitaria”, ( www.agcm.it) . Bisogna precisare che la sfera di
applicazione dell’Autorità si rivolge alla pubblicità intesa in senso commerciale, escludendo altre for-
me di comunicazione, come quella politica e, in questo caso, sociale. In Italia ancora oggi manca una
specificazione chiara in senso legislativo che permetta di determinare giuridicamente la comunicazio-
ne sociale distintamente dalle altre forme di comunicazione.
11