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per te. Ma l’esito più importante di questo processo sarà la nascita, di lì a pochi anni, di un
festival della canzone d’autore, intitolato allo stesso cantautore ligure.
Il 1967 è anche l’anno in cui Francesco Guccini pubblica il suo primo album, Folk beat n. 1, e
Fabrizio De André, dopo i successi già riscontrati con le prime canzoni, pubblica anche lui il
suo primo lavoro, Fabrizio De André: Volume I. Ecco quindi che può essere assunto come
apice temporale da cui pensare di stilare un bilancio della prima produzione d’autore e
contemporaneamente gettare uno sguardo sul proseguo della sua evoluzione attraverso
l’analisi del primo Guccini e del primo De André.
Nel primo capitolo, dopo qualche accenno sulle origini della canzone, viene esposto il quadro
storico dell’Italia della canzone dal primo Novecento alla comparsa dei cantautori, con
particolare interesse all’evoluzione della “lingua cantata”. Quindi, aprendo una parentesi
nozionistica relativa al rapporto testo-musica, sono presi in esame i tratti prosodici specifici
del genere testuale canzone, la metrica e la struttura strofica della forma-canzone. Nel
secondo capitolo, invece, una serie di riflessioni documentano le difficoltà a cui si deve far
fronte ancor oggi nel fornire una definizione esauriente di canzone d’autore. A tale scopo si
affronterà anche la nozione di cantautore.
Il terzo capitolo dà conto di quelle opere e di quegli autori che nella seconda metà degli anni
cinquanta, in un certo qual modo, hanno precorso e influenzato l’avvento della nuova canzone
d’autore: si prenderanno in considerazione alcuni testi di Modugno, di Fred Buscaglione e dei
Cantacronache.
Dal quarto capitolo in poi si entra nel pieno dello studio di tesi. Nell’ordine, vengono presi in
considerazione i testi dei cantautori Luigi Tenco, Gino Paoli, Giorgio Gaber, Fabrizio De
André e Francesco Guccini. Ovviamente si prenderanno in esame solo i testi relativi al lasso
temporale considerato, con l’obiettivo di mettere a fuoco i tratti salienti della “lingua cantata”
da questa schiera di cantautori e poterne così misurare la portata di novità radicale rispetto alla
tradizione. Nel fare ciò verranno evidenziati i rapporti che la lingua della canzone d’autore ha
stretto con l’italiano parlato, i dialetti e, dove presente, con la tradizione letteraria.
Di ogni autore, dopo alcuni cenni biografici, si considera la produzione testuale, inquadrata
per tematiche, e si procede all’analisi della lingua. Si prenderanno via via in considerazione
aspetti di grammatica (fonetica, lessico, morfologia e sintassi), di metrica e di retorica.
Prima di iniziare la ricerca debbo preliminarmente giustificarne l’impostazione. Questo studio
di tesi è basato su un approccio analitico testuale il cui fine è quello di stilare una rassegna dei
VII
tratti salienti della lingua della canzone d’autore1. Ma una ricerca volta alla sola analisi
testuale della canzone, tralasciando la parte musicale, sembrerebbe nascere difettosa, o peggio
incompleta. Il testo di una canzone, infatti, risulta essere “celibe” se considerato avulso dalla
musica assieme alla quale si presenta all’ascolto. Nella canzone gli elementi verbali non sono
autonomi, ma si mostrano strettamente amalgamati a quelli musicali, ed entrambi concorrono
in modo determinante a costruirne il significato. E’ questa imprescindibile fusione che
contribuisce maggiormente a differenziarla dalla poesia.
Tuttavia, non si potrebbe prescindere dallo studio della componente musicale qualora lo
scopo della ricerca fosse di esprimere un giudizio di valore complessivo della canzone in
questione2. Viceversa, viste le finalità storico-linguistiche a cui mira questo studio, sarà
sufficiente tener conto della musica soltanto nella misura pari alle “ricadute” che essa provoca
sul piano verbale: la lingua della canzone infatti, come vedremo, subisce le convenzioni
ritmiche della musica, sia sul piano metrico che lessicale. Verranno perciò valutati i legami di
interdipendenza (o meglio, di subordinazione) che il testo intesse con la musica e le soluzioni
formali che ne conseguono: i fenomeni come l’apocope, le clausole ossitone, le rime ecc.
dovranno necessariamente essere analizzati anche in relazione all’evoluzione del dettato
musicale.
Possiamo, dunque, considerare i testi autonomi dalla musica solo nella misura in cui tale
autonomia è dettata dalla tipologia della nostra analisi, un’analisi di natura documentaria che
non implica di per sé un giudizio di valore. Essendo oggetto di studio solo la lingua della
canzone d’autore e non la canzone d’autore in toto si potranno valutare solo parzialmente gli
esiti estetici raggiunti dai singoli autori, tenendo presente, tuttavia, che già solo accertare un
certo uso della sintassi, della metrica e del lessico può contribuire ad individuare lo stile di un
autore non meno di quanto possa identificare, più in generale, il genere stesso della canzone
d’autore.
1
Michele A. Cortelazzo (in GARZONE-SCHENA 2000 : 25-27) aggiunge che «è soprattutto la ricezione dei
testi che legittima una considerazione anche solo linguistica dei testi delle canzoni. Vi è infatti un uso diffuso
delle sole parole […], nella citazione scritta e orale di versi di canzone, nella riproposizione in lettere e diari,
soprattutto giovanili, dei testi. Insomma, esiste anche una circolazione puramente verbale delle canzoni».
2
Oltre alla musica e al testo, in un’analisi complessiva della canzone, non si potrebbe prescindere
dall’interpretazione. Il linguista L.-J. Calvet ha introdotto un’interessante distinzione tra c. scritta, c. cantata e c.
ricevuta (cfr. CALVET 1981). Ciò consente di descrivere gli spazi di significato (per. es. l’ironia) che si aprono
tra testo scritto ed esecuzione, e tra esecuzione e ricezione da parte del pubblico, tenendo conto di elementi di
difficile notazione come la grana della voce, lo stile vocale e il sound.
Introduzione
9
Prima parte
1. La canzone italiana
11
1. La canzone italiana
1.1 Definizione e cenni delle origini
In italiano il termine “canzone” può denotare almeno due tradizioni testuali distinte. La prima
è costituita da un genere letterario, le cui forme e funzioni furono già teorizzate da Dante nel
secondo libro del De vulgari eloquentia3, e poi continuamente rimodellate e trasformate nel
corso della storia fino a giungere a una organizzazione testuale relativamente libera.
La seconda, invece, comprende, in linea di principio, tutti quei testi musicati che,
differenziandosi dal canto popolare (ma continuando tuttavia ad attingere da esso a volontà),
iniziarono ad affermarsi in Italia nel corso dell’Ottocento nei luoghi e locali pubblici di
frequentazione borghese; testi musicati aventi ognuno la fondamentale caratteristica di essere
una breve «composizione per canto e strumenti, orecchiabile, solitamente con ritornello»4. In
tali canzoni l’organizzazione testuale dipende dalla strutturazione musicale. Tale tradizione
testuale ha visto la canzone evolvere secondo varie forme e modi così da giungere ai nostri
giorni ancora in fase di piena espansione e dotata di crescente vitalità. In termini strutturali la
canzone presenta una forma strofica in cui si possono individuare almeno due parti:
- il ritornello, o refrain, che “ritorna” almeno una volta nel testo complessivo e consiste, per
lo più, nella ripetizione di una sequenza musicale e verbale anteriormente enunciata5. Il
ritornello quasi sempre riconduce all’ipertema della canzone, dopo l’espansione tematica
svolta nella singola strofa;
- la strofa che s’alterna in vari modi con il ritornello. Spesso la sequenza musicale delle varie
strofe è identica, mentre la loro sequenza verbale e il contenuto sono diversi.
Per ipertema s’intende il tema principale della canzone, solitamente indicato all’ascoltatore
fin dal titolo. Quest’ultimo è formato, il più delle volte, da un condensato essenziale tratto dal
ritornello.
3
Dante nel suo trattato (II.VIII.6-7) scrive: «canzone null’altro è se non opera compiuta di chi compone con arte
parole armonizzate per una modulazione»; definisce la canzone – modellata sulla chanson (cansó) provenzale –
una composizione artistica di parole messe in forma metrica e musicate, ma di fatto privilegia il testo di cui, nel
proseguo del suo trattato, fornisce la struttura strofica (II.VIII.14), contribuendo in modo determinante
all’affermazione di una canzone come forma poetica autonoma, non associata alla musica e scritta in volgare.
4
Cfr. DIZ. ZINGARELLI 2004, alla voce “canzone” 2 (mus.). A tale definizione abbiamo aggiunto l’attributo
“breve” sulla scorta di quanto scrive Franco Fabbri (vedi FABBRI 2001): nel definire la canzone «una breve
composizione di testo e musica», aggiunge che «si sarebbe tentati quasi di farlo cadere [l’attributo “breve”]» ma
forse «qualche compromesso è necessario: meglio rischiare di escludere dalla definizione qualche canzone
particolarmente lunga […] che finire per includere anche il Parsifal di Richard Wagner». Sulla definizione di
cfr. anche SCHOLZ 1998 : 9-12.
5
I ritornelli possono presentare lievi variazioni sia musicali che verbali.
1. La canzone italiana
12
La canzone, in questa seconda accezione, pur affermandosi solo a partire dal XIX secolo,
affonda le sue radici ben addietro nel passato. Come scrive Salvatore la sua «fisionomia non
nasce dal nulla, ma è il risultato di mille anni di evoluzione e selezione di varie forme e
funzioni della musica vocale, e non solo vocale»6. La canzone moderna, insomma, è frutto
d’un rapporto millenario tra musica e parole che ha visto intrecciarsi a più riprese la tradizione
colta con la tradizione delle arti popolari. Intreccio che può essere fatto risalire fino alla prima
musica vocale a carattere profano tramandatasi in Europa, la chanson elaborata dai trovatori
di area provenzale (e non solo) nel XII e XIII secolo, per poi scendere lungo i secoli
attraverso gli sviluppi quattro-cinquecenteschi della frottola nell’Italia settentrionale, dello
strambotto, principalmente toscano, e della villanella nell’Italia meridionale, dell’ ode-
canzonetta fino al melodramma settecentesco.
E’ utile accennare alla canzone trobadorica perché in essa possiamo riconoscere quei tratti
strutturali che ritroviamo ancor oggi nella canzone moderna, tratti derivanti dalla sua natura
popolaresca7. E’ tipico, infatti, del mondo musicale popolare l’impiego di forme che
contemplino un certo tasso di ridondanza, all’incrocio tra testo e musica, come la ripetizione
della stessa melodia in una o più frasi, o in intere strofe. La pratica della reiteratio, infatti,
presentando forti addentellati emotivi, tende all’identificazione e alla partecipazione, laddove
non svolge anche un preciso richiamo alla danza, dunque si adatta ad esprimere una
concezione e una funzione della musica che sono tipiche della tradizione popolare, di certo
meno consonanti con quelle della pratica d’arte.
Un tassello fondamentale per capire come si sia arrivati alla canzone quale la conosciamo
oggi è il melodramma. Nell’Italia del XIX secolo, segnata dalla «non-esistenza di una
letteratura popolare in senso stretto», si registrò il «primato» del melodramma, tanto da
poterlo considerare il vero «romanzo popolare italiano»8. Ebbe grande successo presso il
pubblico – che dall’ambito aristocratico cominciava ad allargarsi a quello borghese e popolare
– grazie soprattutto alle forme chiuse e strofiche delle arie di cui era composto. Le più
popolari “arie d’opera” cominciarono a circolare come numeri vocali autonomi, cantati dalla
gente in privato o per strada. Il popolo si riappropriava così della produzione “d’autore”
facendo ritornare al mittente quelle suggestioni popolari che avevano nutrito la musica colta.
Da questi influssi derivò, per ulteriore semplificazione, la romanza da salotto con
6
Cfr. SALVATORE 1997 : 140, a cui si rimanda per una dettagliata analisi dell’evoluzione storica della
tipologia canzone – intesa come composizione di testo e musica – dai trovatori sino ai giorni nostri (pp. 139-
148).
7
La chanson dei trovatori portò alla codifica di certe forme strofiche chiuse e certi schemi in rima: chansons à
refrain strutturate nelle forme del rondeau, del virelai e della ballade (Per una dettagliata descrizione degli
schemi strofici cfr. SURIAN 1993 : Vol. I, 105-112).
8
Cfr. GRAMSCI 1954 : 58-59.
1. La canzone italiana
13
accompagnamento di basso continuo (chitarra, pianoforte o arpa), a metà strada tra il
melodramma e il canto popolare9.
«Tutte queste forme rappresentano gli antenati più prossimi della canzone moderna: e ciò non
solo perché le trasmisero una concezione vocale melodrammatica (fortunatamente non eterna)
e una serie di temi (e di retoriche), ma perché anche la gente comune, il popolo, vi si
riconobbe, cullandosi nella familiarità di elementi che appartenevano alla sua memoria, alla
sua tradizione, al suo retaggio di forme ed espressività. Tutto ciò ridiventò “canzone” quando
cominciò ad adattarsi alle esigenze dei locali pubblici, ai nuovi circuiti di diffusione»10,
cosicché la canzone (chanson de variété), tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, si
affermò via via sempre più come genere autonomo, soprattutto di carattere sentimentale, ma
anche caricaturale e scherzoso, seguendo le mode del cabaret, del caffè-concerto, del
vaudeville, dell’operetta e del tabarin.
La canzone italiana in “lingua” fin da subito si trovò ad affiancarsi alla canzone della
tradizione dialettale, di gran lunga più affermata, principalmente napoletana e romana. Se gli
intrecci e le reciproche influenze non mancarono, si può comunque dire che per gran parte del
primo Novecento la canzone in “lingua” continuò a presentare un’impronta fortemente
melodrammatica, artefatta, spesso patetica, dominata dalla tematica amorosa e strutturata sulla
continua rielaborazione di forme strofiche. Non mancarono, fin da subito, alcune “aperture”
verso un italiano più colloquiale e quotidiano – conseguenza soprattutto della facilità con cui
la canzone andava imponendosi come prodotto di massa – ma, come vedremo, furono episodi
a sé stanti che non riuscirono a trovare immediato seguito. La lingua della canzone avrebbe
impiegato tutta la prima metà del secolo per ancorarsi in maniera stabile all’italiano “vivo”, a
una lingua più vicina alla parlata quotidiana.
9
«Su queste arie [delle opere più famose] i musicisti iniziarono ad intonare brevi romanze che, dal 1871 al 1914,
furono la colonna sonora della società europea e uno degli incunaboli della canzone moderna. […] consentirono
alla piccola e media borghesia, a modico prezzo, il lusso aristocratico del concerto in casa», BORGNA 1992 :
35.
10
Cfr. SALVATORE 1997 : 148.
1. La canzone italiana
14
1.2 La canzone italiana dal primo Novecento alla comparsa dei cantautori
1.2.1 Uno sguardo più generale : il mondo dei media e la canzone
L’evoluzione della canzone italiana nella prima metà del Novecento è segnata dal mutamento
dello scenario mediatico. Con il progredire delle scienze elettriche e l’introduzione di nuovi
apparecchi elettromeccanici per la riproduzione e trasmissione del suono, molte sono le novità
che vengono a stravolgere il modo di concepire, produrre e usufruire la musica (e quindi
anche la canzone). Prendiamo qui in esame quelli che furono i nuovi strumenti e fenomeni
mediatici che più di tutti determinarono le sorti della canzone: il disco, la radio, il cinema
sonoro, il microfono, il juxe-box e la elettrificazione di alcuni strumenti musicali.
Per primo fece la sua comparsa il disco, assieme al grammofono, che nei primi due decenni
del secolo fece arrivare la musica nelle case di milioni di italiani. Alle due forme canoniche di
trasmissione della musica, quella scritta e quella orale, se ne aggiunse dal nulla una terza,
quella mediatica del disco. Le caratteristiche tecniche dei primi dischi – la scarsa durata e una
banda di frequenza riproducibile molto limitata – contribuirono a determinare la tipologia
della canzone e suggerirono verso quali repertori i discografici avrebbero dovuto orientarsi:
«brani brevi, di non più di tre minuti, con una dinamica molto ridotta (no ai pianissimo, a
causa del rumore di fondo), dominati dalle voci o da strumenti particolarmente sonori e in un
registro medio»11. Il disco, fin da subito, da mezzo di riproduzione si fece strumento di
“produzione” musicale, imponendo alla canzone dei limiti di durata e quindi una grande
economia di mezzi verbali e musicali. La canzone introiettò questi tratti o limiti a tal punto da
continuare a rispettarli anche quando, tecnicamente, essi non avrebbero più avuto ragione di
esistere. Trovò in esso un formidabile veicolo di diffusione, tanto da raggiungere alla fine
degli anni venti, anche grazie l’avvento della radio, le caratteristiche di un fenomeno di massa
tale da diventare uno dei principali motori «di irradiazione di modelli linguistici dal centro
alla periferia»12.
La radio in Italia iniziò le sue trasmissioni alla fine del 1924, ma solo nel decennio successivo
trovò larga diffusione: nel 1938 sfiorava il milione di abbonati, con un palinsesto che vedeva
prevalere la musica leggera (16,73% dello spazio radiofonico) rispetto agli altri generi quali,
11
Cfr. FABBRI 2002 : 18-19, dove si dice anche: «Le ragioni del commercio e quelle della tecnica possono
aiutarci a capire come mai uno degli artisti di maggior successo nei primi vent’anni del disco fosse Enrico
Caruso. Le arie e le romanze che interpretava erano della durata giusta […] e la voce dl tenore si stendeva in un
ambito di frequenze che il grammofono era in grado di riprodurre senza impoverirne il timbro».
12
Cfr. BORGNA 1992 : 105 e seguenti, a cui si fa riferimento anche per i dati che seguono.
1. La canzone italiana
15
ad esempio, la musica sinfonica (14,44%) e la lirica (7,85%). Pur presentando, rispetto al
disco, il vantaggio tecnico della continuità (ossia le esecuzioni musicali più lunghe di tre
minuti non dovevano essere interrotte per cambiare la facciata, come nel disco, cosa che la
rendeva congeniale alla musica lirica o sinfonica), la radio non erose, anzi, consolidò il
formato standard della canzone. Si realizzarono subito dei precisi palinsesti o format radio per
cui ogni stazione radio era dedicata principalmente a un genere o insieme di generi musicali,
con il duplice effetto di tranquillizzare l’ascoltatore e renderlo fedele, ed assicurare ai
pubblicitari una selezione accurata del target. La canzone fu inesorabilmente segnata da tali
processi: a fronte d’una diffusione di massa che la rese sempre più popolare (anche se sarebbe
più esatto dire popular13) dovette subire un processo di standardizzazione e livellamento
anche qualitativo da parte dell’industria discografica e radiofonica.
Non è questo il luogo per inoltrarsi in ulteriori considerazioni relative al grado di
subordinazione della canzone nei confronti dell’industria o del livello artistico riscontrabile in
un genere espressivo che è anche e soprattutto “prodotto”. Basti ricordare, tra gli altri, due
lavori saggistici che si sono occupati proficuamente della questione: il saggio di Adorno14,
dove si parla di riduzione del prodotto musicale a “feticcio”, per cui non appena una musica,
anche colta, viene introdotta in un circuito di consumo di massa, il rapporto che si instaura tra
quel messaggio (prodotto artistico mercificato) e il fruitore (uomo massificato) si configura
come una irriflessa adorazione d’un oggetto feticcio: la musica, buona o cattiva, non viene più
percepita analiticamente, ma accettata in blocco, come cosa che è bene consumare perché il
mercato la impone esimendoci da ogni giudizio. Un’altra analisi della canzone e dei processi
industriali in cui è implicata, volta a dimostrare come le forme e i contenuti di certa canzone
di consumo siano determinati dalla dialettica inesorabile della domanda e dell’offerta del
mercato stesso, è realizzata nel libro Le canzoni della cattiva coscienza15.
Sempre in merito alla radio, non bisogna dimenticare che la sua diffusione nel nostro paese
coincise con l’affermarsi del regime fascista, e che quest’ultimo ne utilizzò fin da subito le
sue potenzialità attuando un controllo molto stretto delle trasmissioni, anche sui più disparati
generi musicali. Frutto del purismo linguistico fascista fu l’ordine di presentare tutte le
13
Il termine popular, di derivazione anglosassone, indica la musica di larga diffusione, dotata di popolarità.
S’usa invece la dicitura folk music per indicare la musica di tradizione orale (per cui si fa riferimento alla
nozione di “popolo”), il corrispettivo della nostra musica popolare.
14
Cfr T. W. ADORNO, Il carattere di feticcio in musica e il regresso dell’ascolto, in ADORNO 1959 : 15.
15
Cfr. AA.VV. 1964. Umberto Eco, nella prefazione, chiarisce come i quattro autori considerino la canzone di
consumo «un prodotto industriale che non persegue alcuna intenzione d’arte, bensì il soddisfacimento delle
richieste di mercato», e pertanto venga analizzata come «sovrastruttura» della «struttura economica» nella quale
cercare «le ragioni per cui essa è così e non potrebbe essere altrimenti» (p. 7).