2
filosofiche, incluso il pensiero scientifico. Una delle manifestazioni pratiche di
questa interminabile ricerca è costituita dallo sviluppo, nella cultura occidentale,
dell’autobiografia
3
. L’autobiografia è anch’essa uno strumento, uno dei molti che
l’uomo ha creato e sperimentato, nel corso dei secoli, per rispondere, o almeno
tentare di rispondere, alla domanda “Chi sono?”, per dare un senso alla propria
esperienza, per delineare il confine della propria personalità, tra il sé e l’altro da
sé, per darsi una collocazione nell’economia dell’universo
4
. Nell’uso
dell’autobiografia in questo senso viene filtrata l’esigenza di raccogliersi attorno
a se stessi, di tentare di ricomporre alcuni frammenti della propria storia,
riconoscendo l’impossibilità di una sintesi completa della propria esistenza
5
.
Questa esigenza scaturisce da un sottile disagio, dal percepirsi come troppo fluidi
nella corrente di un tempo che scorre senza interruzioni, che non consente di
fermarsi a riflettere. La coscienza non si elabora nella frenesia dell’agire, ma
nello spazio senza tempo di una pausa ricercata, una nicchia di pensiero ‘altro’
6
,
nella quale ci si astiene dall’agire irriflesso dell’immediatezza, per recuperare il
senso di ciò che si è e si fa
7
.
L’ autobiografo riesce con un movimento del pensiero in un’impresa che
altrimenti risulta impossibile: trovarsi nello stesso istante su due piani temporali
differenti; uno mutevole ed inarrestabile, l’altro quieto e stabile
8
. Come se si
trovasse su una canoa nella corrente al centro del fiume, e tuttavia si guardasse
scivolare a valle dalla stessa barca tirata in secca sulla riva. A questa bilocazione
di se stessi non si arriva casualmente, occorre decidersi, operare uno scarto
consapevole rispetto ad una consuetudine che non ci richiede nulla più che
lasciarci andare insieme alla corrente. Nel decidere, all’opposto, di radicarsi da
qualche parte, di avere profondamente bisogno di coagulare la vita attorno ad un
centro, costituitodai propri ricordi, dalla propria storia, si trova il nucleo del
3
Demetrio D., Raccontarsi. L’autobiografia come cura di sé, Cortina, Milano 1996, p. 43.
4
Ivi, p. 60.
5
Demetrio D., Autoanalisi per non pazienti. Inquietudine e scrittura di sé, Cortina, Milano 2003, p. 77.
6
A. Bosi, Il sentimento del tempo, op. cit., p. 11.
7
Mortari L., Apprendere dall’esperienza. Il pensare riflessivo nella formazione, Carocci, Roma 2003, p.
88.
3
pensiero autobiografico, che da quel momento in poi diventa costante,
un’esigenza irrinunciabile
9
. Se già questo primo passo appare inusuale, tanto più
raro è che ad alcune persone questo solo non basti: il ricordo è infatti ancora
troppo labile per la solidità di cui hanno bisogno, il pensiero è condannato
comunque a sfumare e perdersi nel tempo; l’esigenza autobiografica compie
allora un passo ulteriore, il bisogno di recuperarsi in maniera più concreta si fa
scrittura e quindi anche progetto. E’ il passaggio dal pensiero autobiografico al
lavoro autobiografico, un’abitudine dell’anima che fa dell’inquietudine il proprio
nutrimento
10
.
Siamo qui giunti ad un paradosso: cercare nel ricordo il nucleo di se stessi
significa radicarsi nell’inquietudine
11
, accettare che il passato sia mutevole
anch’esso, che a seconda di come noi stessi cambiamo, possiamo guardarlo da
prospettive diverse. Il passato stesso non si scopre, si crea di volta in volta. Il
passaggio alla scrittura trasforma un innocuo passatempo in una missione
coraggiosa, che infatti non è da tutti, perché scavare nella propria memoria e
mettere tutto nero su bianco, diventare gli archeologi di se stessi senza riserve,
significa accettare sorprese talvolta amare, riscoprire vissuti dolorosi, mettere in
crisi taluni presupposti che si credevano magari basi solide e ormai incrollabili
12
.
L’autobiografo scopre di essere radicato nell’incertezza, nell’inquietudine umile
che consiste nel continuare a porsi domande senza pretendere di poter trovare
tutte le risposte.
“L’invito a non sconcertare quanto crediamo abbia raggiunto un equilibrio (in
un’età, nel benessere, per privilegio) in una stabilità quasi sempre egoistica e
interessata ha generato costumi improntati ad avidità, a ipocrisia, a
trasformismo. […] L’inquietudine, quali ne siano le ragioni, è invece quanto di
meglio la storia umana abbia saputo esprimere. Che cosa sarebbe la cultura
senza questa anima sottile o eccitante, che seduce una generazione dopo l’altra,
8
Demetrio D., Raccontarsi, op. cit., p. 12.
9
Ivi, p. 9.
10
Ivi, p. 10.
11
Demetrio D., Autoanalisi per non pazienti, op. cit., p. 7.
4
la parte migliore di ogni giovinezza? Che ne sarebbe della scienza, della
filosofia, dell’arte senza chi ne seppe interpretare ogni volta i rischi? […] Che
l’insensata voglia di non essere mai turbati sia motivo di ravvedimento, per chi è
ancora in tempo. […] Che lo scrivere non plachi mai una onesta passione di
esistere senza ritegno, nelle sublimi solitudini di chi ne cerca la voce. Che i
racconti interiori interpretino, giorno per giorno, una condizione umana, un
destino da accettare ed esprimere”
13
.
1.1.2 - Il legame con la scrittura e la costruzione dell’identità dell’individuo
L’autobiografia si esplicita quindi compiutamente nel passaggio alla
scrittura. Come punto di cesura la pagina scritta stabilisce un prima e un dopo, è
in qualche modo un punto di non ritorno che si oltrepassa spesso quando si
elaborano particolari eventi che rompono la continuità routinaria della vita, come
lutti, perdite e gravi traumi, o momenti di passaggio e cambiamento meno
violenti ma comunque percepiti come importanti. Non a caso si parla di eventi
separatori, si tratta di momenti percepiti nella loro unicità e particolarità come
germe di un nuovo inizio. Voltare pagina, dare un taglio netto al passato,
ricominciare, non è mai ricominciare da zero. Il passato che si è deciso di
mettersi alle spalle non sparisce, è dietro di noi e dentro di noi. Con questa
consapevolezza si procede nel lavoro autobiografico. Allora la scrittura può
aiutare a trovare il filo conduttore, una sottile linea di continuità che permetta di
non sentirsi dispersi nella vita, di riprendere a vivere a partire da ciò che si è, dal
frutto del proprio ricordo. La scrittura concretizza l’elaborazione della coscienza
e la percezione del mondo, costituisce una vera e propria tecnologia dell’io. Nel
passaggio dal pensiero alla scrittura si esercita un primo livello di introspezione
nel focalizzare gli elementi significativi nel flusso dell’esperienza. Cosa ha fatto
12
Demetrio D., Raccontarsi, op. cit., p. 48.
13
Demetrio D., Autoanalisi per non pazienti, op. cit., pp. 5-7.
5
in modo che io mi presenti oggi come sono? Quali sono stati, nel bene e nel
male, gli eventi significativi della mia vita? Cosa mi hanno lasciato le persone
con le quali ho condiviso determinate esperienze? Se mi fossi comportato
diversamente, in talune circostanze, le cose sarebbero poi potute andare
diversamente? Come potrebbe essere la mia vita, se avessi fatto scelte diverse,
incontri diversi? La scrittura si snoda attraverso domande come queste, in un
continuo interrogarsi tra il fatto compiuto e ulteriori possibilità, tra il vaglio
critico e la fantasticheria. Scrivendo ci si sofferma, si fa un lavoro critico in
primo luogo scegliendo cosa raccontare e cosa omettere, anche ciò che si
tralascia è sottoposto ad un ripensamento radicale. Si tratta di qualcosa di non
fondamentale, o al contrario di qualcosa di talmente cruciale da essere
innominabile? Chi legge non lo saprà, ma chi scrive non può sfuggire a questo
interrogativo. Occorre in questo caso accettare che l’autobiografia non è una
terapia, ma un aiuto limitato, e che in alcuni casi non giova affatto esplorare da
soli troppo in profondità. Se lo sforzo autoanalitico diventa insopportabilmente
doloroso, allora è il caso di smettere
14
. L’utilità dell’autobiografia è sospesa nello
spazio che sta tra la terapia e il gioco adulto, nel quale si danno delle regole
‘altre’ ritagliandosi un tempo e uno spazio specifici, per esplorarne liberamente
gli esiti. Giocare all’autobiografia significa soppesare le parole e utilizzarle
poeticamente, fuori dai vincoli imposti dalla banalità quotidiana, sdoppiarsi e
vedere sé come un altro, ci si ripensa in azione in momenti difficili o fasi di
passaggio, si ripercorrono decisioni che hanno portato ad una recuperata serenità
o che hanno avuto esiti imprevisti.
Spesso rivivere nella mente fasi della propria vita, unitamente allo sforzo di
mettere le cose nero su bianco aiuta a fare ordine, a costruire la propria versione
del mondo. Chi scrive vede agire il proprio io passato, come un personaggio
familiare (in esso l’io presente riconosce il proprio passaggio ) e allo stesso
tempo lontano (vi è una distanza temporale tra il presente della scrittura e il
passato degli eventi che vengono ripercorsi); inoltre vi è un filtro emotivo creato
14
Demetrio D., Raccontarsi, op. cit., pp. 45; 79.
6
dalla scrittura, nel passaggio dal ricordo al racconto. Attraverso questo processo
il lavoro autobiografico permette di partecipare emotivamente delle proprie
esperienze passate, mantenendo però un certo distacco, una vigilanza razionale e
che rende possibile diventare critici pietosi di se stessi.
Scrivere qui ed ora, di qualcuno che ormai sta nel passato, ma di cui ci si porta
dietro tracce persistenti, fissarne i passi attraverso la parola scritta e ricomporre
un quadro, questo è il primo esito della scrittura autobiografica. Ma la scrittura
come permanenza consente un ulteriore piano di analisi: si può ritornare sulla
propria scrittura a distanza di tempo, ancora una volta riflettere sulle stesse
proprie riflessioni, trovarsi nuovamente mutati, valutarsi di nuovo, nuovamente
diversi e persistenti. A cosa può servire tornare ripetutamente e ricorsivamente su
se stessi, in questo sforzo mai concluso di ricercare nuovi approdi e insieme di
non adagiarvisi mai del tutto? Gli obiettivi finali ai quali tendere attraverso il
dialogo con se stessi (ma da considerarsi come idee limite mai compiutamente
raggiungibili) sono l’accettazione di sé, dei propri limiti e delle proprie
contraddizioni
15
. Non si tratta di un compito che si esaurisce, ma di un impegno
che si rinnova giorno per giorno, e che lungi dallo spezzettare sempre più
l’individuo, o ancorarlo nel passato, aiuta a ricomporre la fragile continuità tra
passato e presente, strutturando un progetto di vita del quale si immaginano gli
esiti futuri non in termine di utopia, ma di concreta costruzione.
1.1.3 - L’autobiografo e gli altri
L’autobiografia richiede uno spazio riservato, momenti di introspezione
solitaria, ma non si risolve nel solipsismo autoreferenziale di chi basta a se stesso
per esistere. La solitudine guadagna un angolo di pensierosità nella banalità del
quotidiano gioco delle parti che ci vede recitare ruoli spesso inautentici, ma si
15
Ivi, p. 48.
7
tratta di un passaggio, verso una vita sociale che si vorrebbe più piena.
L’autobiografo che impara passo dopo passo a prendersi cura di sé, e che inizia a
sperimentare i benefici che questo comporta, successivamente tende in modo
naturale a trasferire la competenza del ‘prendersi cura’ anche nell’ambito delle
proprie relazioni. Accettare di prendersi cura di sé significa riconoscere che le
debolezze, proprie ed altrui, sono parte di una stessa natura umana che ci rende
simili. Da questo presupposto nasce un senso di solidarietà profonda che unisce
le persone con le quali si condividono il qui ed ora. Chi scrive la propria
autobiografia sente profondamente il bisogno di confrontarsi con altre
esperienze, di trovare ciò che lo accomuna e nello stesso tempo lo differenzia da
chiunque altro, così come comprende che da altri punti di vista non può che
essere arricchito nella propria consapevolezza.
Tuttavia l’autobiografo è cauto nell’esporsi: conosce bene la propria fragilità e
valuta a chi e come mostrarsi. Forse questa difficoltà fa sì che gli autobiografi
fatichino a riconoscersi a vicenda, a trovare un modo di comunicare tra loro, se si
escludono poche fortunate iniziative. Trovare una persona alla quale raccontare
la propria vita costituisce un vero salto di qualità che non sempre si compie,
sebbene in fondo sia vissuto da tutti gli autobiografi come un’esigenza primaria:
non si racconta mai esclusivamente per se stessi. Più facile è reperire altre
autobiografie, confrontarsi a distanza con opere letterarie senza tempo,
intramontabili proprio perché raccontano la costante che è l’umana inquietudine.
L’interesse sempre vivo per la vicenda umana e per sé ha permesso a tante opere
autobiografiche di superare la barriera del tempo sfuggendo l’oblìo. Basti
ricordare le “Confessioni” di Sant’ Agostino, la “Vita scritta da esso” di Vittorio
Alfieri, o ancora le “Confessions” di Rousseau e la “Recherche” di Proust, per
arrivare fino a “Dedalus” di Joyce e “L’uomo senza qualità” di Musil, solo per
citare alcune tra le autobiografie che sono diventate classici della letteratura.
Sono state ritenute in qualche modo esemplari, dei modelli da imitare, ed ancora
oggi esercitano un fascino magnetico, si riportano citazioni sui diari, si prova
quella sensazione di ammirazione mista ad una certa invidia, quando ci si rende
8
conto che sì, quelle erano proprio le parole esatte per rendere uno stato d’animo,
una disposizione, le parole che noi da soli non avremmo mai trovato. In fondo è
sempre l’avventura della vita, con le sue incertezze e i suoi imprevisti, ciò di cui
ciascuno partecipa leggendo. Nonostante la diversità delle esperienze vissute,
ogni donna ed ogni uomo sperimenta la vita come cammino, ora accidentato, ora
più agevole, denso di gioie ma anche di dolori.
Duccio Demetrio a questo punto suddivide gli eventi salienti di ogni esistenza in
quattro categorie: l’amore, il lavoro, l’ozio, la morte.
“E’ impossibile, a donne e uomini, quale che sia l’origine di censo o di cultura,
quali le convinzioni e le fedi, i caratteri e le scelte, sottrarsi a questi quattro
appuntamenti esistenziali, così disarmanti nella loro ancestrale evidenza e
patibilità. Vissuti e visti vivere con gli altri, esperiti in solitudine totale o in
convivialità. […] Tutta quanta l’umanità ha inventato e costruito per
rappresentarsi e spiegarsi le ragioni del proprio esistere […] è sempre ruotato e
continua a gravitare attorno a queste quattro universali continuità”
16
.
16
Demetrio D., Raccontarsi, op. cit., p. 117.
9
1.2 - PANORAMICA STORICA SULL’AUTOBIOGRAFIA
1.2.1 - Scrittura e memoria
La letteratura fornisce una miniera pressoché inesauribile di fonti
autobiografiche, che si sono sedimentate nel corso del tempo, tanto che
l’autobiografia è conosciuta dai più prima di tutto come genere letterario. La
scrittura ha permesso a tante vite, più o meno celebri, di attraversare indenni i
secoli, e allo stesso tempo ha registrato l’evoluzione dei modi e dei contenuti
tipici del genere. Prima ancora però ha ‘liberato’ la memoria, aprendole uno
spazio quasi ludico. Prima dell’avvento della scrittura è infatti la memoria a
dover custodire il sapere, per l’individuo e la comunità. Il racconto orale
tramandato di bocca in bocca filtra le conoscenze essenziali facendole passare da
una generazione all’altra
17
: ogni nuovo membro partecipa alla costruzione e
conservazione di una memoria tradizionale e condivisa. Prevale un principio
economico, che porta ad isolare e sacralizzare le conoscenze essenziali, insieme
ad un principio d’ordine collettivo, tramite il quale le esigenze della persona sono
subordinate a quelle della comunità di appartenenza
18
. La memoria così
sacralizzata fa parte di una struttura di potere, ed il racconto, in forma di poema o
mito, serve alla sua legittimazione, sancisce diritti e doveri, stigmatizza
comportamenti ritenuti dannosi. Il protagonista può anche essere un singolo, ma
più che essere individuo, ‘persona’, è archetipo, simbolo in qualche modo di una
umanità originaria nella quale ciascun membro della comunità può e deve
riconoscersi.
Quando la memoria si trasferisce su un supporto esterno alla mente, divenendo
scrittura, inizia un processo di radicale trasformazione del pensiero. Avere
competenza nella scrittura significa potenziare la struttura di potere tradizionale,
17
Bosi A., Il sentimento del tempo, op. cit., pp. 53-54.
18
Laurent A., Storia dell’individualismo, Il Mulino, Bologna 1994, p. 27.
10
ma nello stesso tempo la progressiva diffusione di questa tecnologia ha in parte
liberato la parola scritta proprio dal ruolo sacro di custode della tradizione, per
aprirle nuovi orizzonti. La scrittura si personalizza, diventa luogo in cui pensare
se stessi, si apre ad una funzione ‘ludica’ e poetica, l’uomo impara a ‘giocare’
con le parole, costruendo un sapere non immediatamente spendibile sul piano
pratico, ma capace di plasmare l’orizzonte culturale. Il lento cammino della
scrittura accompagna la nascita e l’evoluzione dell’idea di individuo, che si
sviluppa progressivamente nel senso dell’emancipazione del soggetto dai vincoli
imposti dalla società. L’uomo che si percepisce in dissonanza rispetto alle idee
dominanti non è più riconducibile al silenzio: la parola scritta diffonde con forza
idee in controtendenza oltre la precarietà del tempo di una vita umana, e obbliga
il pensiero dominante al confronto. Questo si esplicita, per lo meno in occidente,
attraverso la filosofia. Il sapere tradizionale si mostra vacillante. Allora menti
brillanti attraverso il proprio contributo favoriscono l’emergere, nell’incertezza,
di nuove prospettive rispetto all’uomo e al mondo
19
.
1.2.2 - Cenni storici
Nell’antichità greca e romana compaiono i primi autori individuati dalla
memoria del proprio nome. Il processo di costruzione dell’autonomia del
soggetto, che si emancipa gradualmente dai forti vincoli imposti dalla comunità,
è tuttavia lungo e difficile. E’ paradigmatica in questo senso la figura di Socrate.
Egli infatti attraverso la maieutica inaugura il tema della cura di sé, promuovendo
il ruolo attivo dell’individuo nella costruzione della propria personalità
20
, ma la
sua proposta è troppo divergente rispetto al pensiero dominante. Le leggi
democratiche costituiscono il fondamento della convivenza all’interno della
polis, ciò significa che l’individuo, cittadino, vede riconosciuta in essa una
19
Laurent A., Storia dell’individualismo, op. cit., p. 28.
20
Ivi, p. 29.
11
propria dignità ed una certa possibilità di esprimersi, tuttavia nella proposta di
Socrate è stata probabilmente percepita una proposta ben più radicale.
Nell’accusa di essere corruttore dei giovani si può leggere un rifiuto della carica
potenzialmente sovversiva insita nell’insegnamento di cercare in sé la propria
versione del mondo.
L’individuo guadagna progressivamente la scena, ma sarà solo il
cristianesimo a capovolgere radicalmente la prospettiva. Come scrive Laurent:
“La virtuale individualizzazione che si è manifestata confusamente nel corso
dell’antichità, rimane inibita e sterile, per la persistente pressione dell’ordine
chiuso delle comunità organiche, fino a quando l’avvento del cristianesimo non
finisce per sovvertirle e sgretolarle in un duplice senso: interiorizzando
radicalmente l’essere umano come persona libera e irripetibile, e strappandolo
alle appartenenze tribali o statali per fare di ciascuno l’eguale incarnazione di
una umanità di valore universale
21
.”
E’ con Sant’Agostino che nasce l’autobiografia in senso proprio come
confessione di sé, come riflessione sulla propria coscienza e sui propri vissuti
personali, allo scopo di comprendersi e riorientarsi. Attraverso la scrittura
autobiografica sostenuta dalla fede nasce un uomo nuovo. Sant’Agostino
inaugura un modo tipicamente moderno di fare autobiografia, incentrato
sull’autovigilanza del soggetto su se stesso, ma nella sua opera la soggettività è
vissuta in un vincolo costitutivo a ciò che la trascende e la ingloba, cioè Dio.
Attraverso il Medioevo maturano nuove forme di autobiografia che mettono al
centro sempre più gli eventi mondani e un soggetto inquieto e proteso a dare
senso al proprio vissuto (con Abelardo, Dante, Petrarca) in un senso che si fa
sempre più esplicitamente laico
22
, in concomitanza con l’evolversi della vita
nelle città, l’invenzione della stampa, le scoperte della scienza, il libero scambio
di idee, la Riforma. L’individuo vuole essere l’artefice del proprio destino. Così
come pretende di poter interpretare da sé le sacre scritture, allo stesso modo
21
A. Laurent, Storia dell’individualismo, op. cit., p. 31.
22
Cambi F, L’autobiografia come metodo formativo, Laterza, Bari 2002, pp. 4-5.
12
rivendica la propria signoria sul pensiero razionale attraverso il ‘cogito’. I
pensatori del periodo, come Hobbes, Spinosa, Locke, si misurano con il contrasto
tra volontà individuale e istanze comunitarie. I vincoli sociali, quand’anche non
siano imposti, risultano comunque un male necessario, un peso da sopportare,
una limitazione della libertà
23
.
Il Settecento, secolo della modernizzazione-laicizzazione compiuta, con
Rousseau propone una tipologia nuova dell’autobiografia.
Il soggetto si percepisce come in formazione: del suo percorso di vita fanno parte
gli eventi vissuti, come anche le riflessioni intorno agli eventi, sviluppate
successivamente. Questo ritorno del soggetto sui propri vissuti costituisce il
senso stesso delle esperienze.
24
I valori della borghesia che trapelano nell’autobiografia di questo periodo
vengono progressivamente messi in discussione, nel corso dell’ottocento, dal
romanticismo e dal decadentismo. Il soggetto si contrappone alla società che
sembra nutrirsi di convenzioni e di apparenza, per ricercare le proprie radici
profonde. L’io inquieto, tormentato, non trova più approdi sicuri, stabili punti
d’appoggio. Il soggetto si fa problema
25
, e attraversa il novecento andando
progressivamente alla deriva, perdendosi nelle ideologie totalitarie per poi
ritrovarsi e faticosamente tentare di ricomporsi nel secondo dopoguerra
26
.
Attualmente lo sviluppo dell’autobiografia segue, secondo Cambi,
principalmente due linee
27
:
9 un processo di ricostruzione storica e definizione teorica;
9 l’utilizzo di strumenti autobiografici per indagare varie aree della
cultura.
23
Laurent A., Storia dell’individualismo, op. cit., pp. 35-48.
24
Cambi F., L’autobiografia come metodo formativo, op.cit., p. 8.
25
Ivi, pp. 9-10.
26
Laurent A., Storia dell’individualismo, op. cit., p. 111.
27
Cambi F., L’autobiografia come metodo formativo, op. cit., p. 10.
13
A queste è da affiancare, come terza opzione
9 l’elaborazione di un metodo autoformativo attraverso un uso
consapevole di pratiche autobiografiche.
1.2.3 - Diffusione dell’autobiografia
Per secoli la scrittura è stata una pratica elitaria, riservata a pochi
privilegiati ed utilizzata quasi esclusivamente nella gestione del potere. Al di là
dell’ambito pubblico la scrittura veniva sperimentata come ‘ozio’ in senso
classico, di elevazione culturale e ristoro dello spirito.
La progressiva diffusione della pratica della scrittura ha generato una gran mole
di documenti autobiografici, che si fanno via via più numerosi ed articolati mano
a mano che ci si avvicina a noi lungo la linea del tempo. Si è passati dai ricordi di
singole, eccezionali personalità politiche o religiose, come per esempio Marco
Aurelio, gli annali e commentarii degli imperatori, autobiografie fondamentali
nella storia della Chiesa come Sant’Agostino e San Tommaso, ai libri dei ricordi
delle ricche famiglie di commercianti medievali, segnali della voglia di
protagonismo degli esponenti dei ceti emergenti nella vita delle città.
L’invenzione della stampa, liberando la produzione dei testi dall’ostacolo della
lentezza imposta dalla copiatura manuale, ha dato vita al primo fenomeno di
‘globalizzazione’ della scrittura, e nello stesso tempo ha modificato
sensibilmente il baricentro della diffusione del sapere: non più i conventi e le
biblioteche ecclesiastiche, dove i codici venivano faticosamente copiati e poi
gelosamente custoditi, ma le libere università, dove il sapere si costruisce anche
attraverso il vaglio critico delle conoscenze. La stampa moltiplica le voci
autorevoli in circolazione, che sono ritenute tali da chi le legge e contribuisce a
diffonderle.
Il rinascimento porta alla luce, con il ‘cogito’, un soggetto alla ricerca della
propria autonomia attraverso l’uso della razionalità, principio fondamentale ed
14
anteriore persino alla scelta di fede
28
. L’elaborazione a partire dal cogito di un
forte senso dell’io, pienamente responsabile delle proprie scelte e delle proprie
vicissitudini esistenziali, matura compiutamente nel settecento, e costituisce il
germe dell’autobiografia moderna.
Il successo editoriale delle autobiografie di personaggi popolari, come Rousseau
prima e Proust più tardi, fa da traino all’emergere dell’autobiografia come vero e
proprio genere letterario, con una propria struttura e propri criteri di definizione.
Importanti sono non solo gli eventi narrati, ma anche la riflessione che ne
accompagna la scrittura a posteriori, nonché la visione critica attuata globalmente
sulla relazione ricorsiva tra memoria e scrittura
29
.
Nasce a questo punto il diario, come propagazione spontanea dei criteri
autobiografici nella massa popolare (dal momento che l’alfabetizzazione diffusa
è divenuta la regola e non più l’eccezione), mediamente istruita, capace di
padroneggiare la scrittura almeno per quel tanto che basta per esprimersi
adattando i moduli dell’autobiografia alle proprie esigenze e capacità.
Il diario si è diffuso nel corso del tempo in modo pressoché capillare, investendo
trasversalmente ogni strato della società, segnatamente interessando per la prima
volta coloro che precedentemente erano esclusi dall’uso abituale della scrittura.
Il diario è una forma di scrittura alla portata di chiunque perché il suo scopo non
è la pubblicazione, e proprio questo ne ha decretato il grande successo: è bastato
sapere che per scriverlo non occorreva appartenere alla ristretta cerchia degli
scrittori o dei giornalisti, tradizionalmente deputati a scrivere per la carta
stampata.
La scrittura del diario è rimasta per lungo tempo un fenomeno sotterraneo, un
flusso di parole enorme ma silenzioso. Per i francesi il diario è ‘journal intime’, e
questo ne sottolinea il carattere personale e soggettivo, la ricerca di una intimità
con se stessi che consenta l’elaborazione della propria esperienza in uno spazio
ritirato e solitario.
28
Laurent A., Storia dell’individualismo, op. cit., p. 40.
29
Cambi F., L’autobiografia come metodo formativo, op. cit., pp. 37-42.
15
Tuttavia sarebbe erroneo pensare che il diario non cerchi dei lettori; forse nessun
diario si scrive solamente per se stessi. Quand’anche si scrivesse solamente per
rileggersi in un futuro prossimo o remoto, infatti, bisogna ammettere che chi
legge è in fondo un altro, quell’altro da sé che nel frattempo si diviene. Si
potrebbe quindi affermare che il diarista non ricerca il successo editoriale, non
aspira ad essere letto dal maggior numero possibile di persone, ma spera di
affidare la propria scrittura ai lettori giusti, che in qualche modo gli sappiano
restituire il senso della propria parola.
Il vincolo formale della pubblicazione istituisce tra l’autore e l’opera, così come
tra l’opera e i lettori, un rapporto di tipo economico. Il diarista al contrario
ricerca con i propri lettori, spesso a loro volta diaristi, un rapporto di fiducia, crea
relazioni in una comunità ristretta di persone. Per questo il successo di iniziative
come laboratori autobiografici, o concorsi per diari, non si misura sul numero di
partecipanti, ma sulla densità dell’esperienza per coloro che la vivono.
L’esperienza autobiografica si è arricchita negli ultimi anni di un nuovo canale di
diffusione, costituito da internet. Non solo importanti iniziative come l’Archivio
diaristico di Pieve Santo Stefano e il relativo concorso, tanto per rimanere in
ambito italiano, sono state pubblicizzate attraverso le pagine del web
30
, ma
attraverso i blog moltissime persone hanno iniziato a condividere materiale
autobiografico da ogni parte del mondo.
Dei blog si discute oggi come di qualsiasi altra moda, denunciandone i rischi,
veri o presunti, presentandolo come un fenomeno di massa, sostanzialmente
aspettando che tramonti. Probabilmente dovrà passare l’ondata di attenzione
mediatica sguaiata e superficiale, prima che si possa serenamente ragionare sui
blog e soprattutto sul significato che essi rivestono per chi li mette in rete.
30
http://www.archiviodiari.it