2
economiche che hanno via via influenzato la comunità mondiale, ed
i più recenti orientamenti.
Sembrerebbe, infatti, che il focus della questione si sia man mano
spostato dalla semplice “cancellazione del debito” all’effettivo grado
di sviluppo delle popolazioni, partendo sempre più dal basso, cioè
dalle esigenze delle famiglie, e non solo delle attività governative.
In conclusione questa tesi propone un’analisi comparativa fra due
Stati (classificati come HIPC, cioè Paesi poveri pesantemente
indebitati) che hanno ricevuto entrambi la riduzione del 100% del
debito: la Bolivia e l’Etiopia, appartenenti a due aree geografiche,
economiche e culturali diverse. Da questo confronto sembrerebbe
rafforzata l’ipotesi che la semplice “riduzione del debito”, sebbene
necessaria, non sia uno strumento adeguato a risolvere in maniera
opportuna le esigenze di ogni Paese. Pertanto, in un’economia
globale come quella attuale, sono richiesti più efficaci e maggiori
interventi sinergici.
3
CAPITOLO 1
LA QUESTIONE DEL DEBITO
Con il termine “debito” si intende l’aspetto passivo del rapporto
obbligatorio, cioè il dovere del debitore di eseguire la prestazione
dovuta.
Il cosiddetto “debito pubblico” è quello contratto dallo Stato e dagli
Enti del settore pubblico per far fronte ai saldi negativi di bilancio
1
sia verso i cittadini (“debito interno”) sia verso altri stati o verso
privati stranieri o organizzazioni internazionali (“debito pubblico
estero”)
2
.
In particolare il “debito estero” è la somma totale, che gli operatori di
un paese (privati e pubblici) devono versare a scadenze prestabilite
ad operatori privati o pubblici residenti all’estero.
Si distingue, poi, tra capitale (che è la somma prestata e dovuta) ed
interessi (che sono dei pagamenti aggiuntivi calcolati in proporzione
al capitale stesso).
Se le condizioni del prestito non obbligano al pagamento di interessi
parliamo di debito estero a titolo gratuito (come alcuni debiti
pubblici), altrimenti di debito a titolo oneroso (come tutti i debiti
privati e la maggior parte di quelli pubblici).
Il debito estero in un paese nasce quando il fabbisogno di fondi per
finanziare la sua spesa pubblica e privata, supera la disponibilità dei
risparmi.
1
Rescigno Giuseppe Ugo, Manuale di diritto pubblico ed. Zanichelli 1983, Cap.10, pag.399 (Il
Bilancio dello Stato)
2
Dal Dizionario enciclopedico “La Piccola Treccani” alla voce “prestito”.
4
Nelle statistiche ufficiali, il debito viene classificato in ordine a tre
criteri che si integrano e sovrappongono:
3
ξ La scadenza;
ξ Il livello di garanzia fornito dal debitore;
ξ La tipologia del creditore.
3
Dal sito del Dipartimento Teoria Economica e Metodi quantitativi per le scelte politiche
Università “La Sapienza “ Roma.
5
IL DEBITO ESTERO NEI PAESI IN VIA DI SVILUPPO
DAL LATO
DEL
CREDITORE
UFFICIALE PRIVATO
MULTI
LATERALI
E
BANCHE
COMMERCIALI
OBBLIGAZIONI ALTRI BILATERALI
IN BASE ALLA
SCADENZA
A BREVE TERMINE A LUNGO
TERMINE
CREDITI DEL FMI
DAL LATO DEL DEBITORE
PRIVATO
NON GARANTITO
PUBBLICO O
GARANTITO PUBBLICAMENTE
6
Per poter valutare le garanzie del debito stesso bisogna individuare
fra gli indicatori dell’indebitamento, quelli che maggiormente
forniscono informazioni sulla natura dell’indebitamento e sulla sua
sostenibilità.
4
I principali indicatori dell’indebitamento sono:
ξ Rapporto fra valore attuale netto del debito e prodotto
nazionale lordo (per stabilire quanti beni e servizi prodotti
servono per ripagare il debito);
ξ Debt service ratio cioè, rapporto fra il costo annuo del debito
(capitale ed interessi) (valore attuale netto) e le entrate annue
correnti delle esportazioni (per la previsione degli effetti
negativi di una eventuale flessione delle esportazioni);
ξ Rapporto fra il valore delle importazioni e quello delle riserve
ufficiali (per prevedere gli effetti delle oscillazioni valutarie,
infatti ad un alto indice corrisponde una minor elasticità di
gestione valutaria e maggiore rischio di insolvenza)
ξ Rapporto fra importazioni e prodotto nazionale lordo (per
misurare il grado di rigidità dell’economia, infatti un valore
elevato denota un maggiore rischio di deficit della bilancia dei
pagamenti e maggiori possibilità di richiesta di dilazioni)
ξ Rapporto fra lo stock del debito ed il costo annuo del servizio
del debito, cioè dei pagamenti (per conoscere la struttura della
scadenza dei debiti: alti indici denotano prevalenza di debiti a
lungo termine, bassi indici denotano prevalenza di debiti a
breve con maggiori rischi di insolvenza)
4
Un debito si ritiene sostenibile quando il pagamento delle rate avviene come prestabilito e senza
ricorso a nuovi prestiti.
7
La BM valuta annualmente il grado di indebitamento dei paesi
utilizzando i primi due indici. In particolare, nell’ambito
dell’iniziativa HIPC, sono considerati fortemente indebitati i paesi
che hanno rispettivamente:
ξ Rapporto tra VAN del servizio debito e PNL >80%
ξ Rapporto fra VAN del servizio del debito ed esportazioni
>220%
In linea di principio, sono i Paesi in via di sviluppo, e, quindi in fase
di industrializzazione (con livelli di reddito medio-bassi), ad
acquisire prestiti all’estero per avviare un processo di sviluppo
economico interno.
5
In effetti, “sotto il profilo economico”, i Paesi in via di sviluppo sono
molti di più di quelli sviluppati e coloro che sono privi dei beni e dei
servizi, offerti dallo sviluppo, sono più numerosi di quelli che invece
ne dispongono. Questa constatazione di fatto ci introduce all’analisi
di quello che potremmo definire un grave problema di diseguale
distribuzione dei mezzi di sussistenza e dei conseguenti benefici,
destinati originariamente a tutti gli uomini. Questa disuguaglianza
6
,
tuttavia, non avviene né per “responsabilità delle popolazioni
disagiate”, né per una “combinazione di fattori” dipendenti da
condizioni naturali o dalle circostanze.
5
Dal sito del Dipartimento Teoria Economica e Metodi quantitativi per le scelte politiche
Università “La Sapienza “ Roma (Billi 2006).
6
Per approfondire il concetto è di particolare interesse “La disuguaglianza .(Un riesame critico)”
di Amartya K. Sen (Premio Nobel 1998 per l’economia) ed. Il Mulino 1994. Dall’introduzione,
pag.16: “l’eguaglianza viene giudicata dal confronto di certi tratti particolari” (es. reddito,
ricchezza, felicità, libertà, opportunità, diritti, appagamento dei bisogni) quindi il giudizio e la
misurazione della disuguaglianza dipendono dalla scelta della variabile perciò “l’eguaglianza in
termini di una variabile può non coincidere con l’uguaglianza di un’altra”. “La teoria della
valutazione della disuguaglianza è strettamente legata a quella della valutazione della povertà, e
la scelta dello spazio assume un’importanza centrale nell’identificare i poveri ed aggregare le
informazioni sullo stato di chi è stato identificato”.
8
Tra l’altro, lo sviluppo vero, non può e non deve consistere nella
“semplice accumulazione di ricchezza” o nella maggiore quantità di
beni e di servizi disponibili, soprattutto se ciò si ottiene come
conseguenza diretta del “sottosviluppo delle moltitudini”.
Non si devono, poi, trascurare quelle dimensioni sociali, culturali e
spirituali dell’essere umano poiché, le popolazioni escluse da una
equa distribuzione dei beni, potrebbero domandarsi: “perché non
rispondere con la violenza a quanti ci trattano per primi con la
violenza?”
Ed infine, come giustificare il fatto che ingenti somme di denaro, che
potrebbero e dovrebbero essere destinate allo sviluppo dei popoli,
sono invece utilizzate per “l’arricchimento di individui o di gruppi”,
o addirittura impiegate per ampliare gli arsenali di armi, sia nei Paesi
sviluppati sia in quelli in via di sviluppo, ribaltando in questo modo
le vere priorità?
Si tratta di interrogativi che ci invitano a rivedere il concetto di
sviluppo, che non può certamente limitarsi a soddisfare le necessità
materiali mediante l’accumulazione dei beni, senza farsi carico delle
“sofferenze dei più” e lasciando che “l’egoismo delle persone e delle
Nazioni” ne sia la motivazione principale.
Alla luce di queste considerazioni potremmo pertanto affermare che
“sviluppo è il nuovo nome della pace ”.
7
Se, poi, ci soffermiamo ad osservare il fenomeno della
globalizzazione, potremo notare che, non soltanto per ciò che
riguarda l’ambito specifico della liberalizzazione dei mercati e degli
7
Dalla Lettera enciclica “Sollecitudo rei socialis” (nn.9-10) scritta il 30 dicembre 1987 da
Giovanni Paolo II, nel suo decimo anno di Pontificato, in occasione del XX anniversario della
“Populorum Progressio” di Paolo VI.
9
scambi, ma in ogni altro suo aspetto, misure apparentemente animate
dalle migliori intenzioni hanno spesso sortito l’effetto opposto.
E, addirittura, anche quando i “progetti agricoli o infrastrutturali
raccomandati dall’Occidente”, portati a compimento dagli stessi
consulenti occidentali e finanziati dalla Banca mondiale o da altre
istituzioni internazionali, sono falliti, i paesi cosiddetti “poveri”
hanno dovuto comunque affrontare quegli aggravi sociali ed
economici della restituzione del debito.
La globalizzazione
8
consiste, in buona sostanza in “una maggiore
integrazione tra i paesi e i popoli del mondo”, determinata da una
notevole riduzione dei costi dei trasporti e delle comunicazioni e
dall’abbattimento delle barriere artificiali della circolazione di beni,
servizi, capitali, conoscenza.
Alcuni ritengono che non si tratti di un fenomeno recente, ma che
affondi le sue radici addirittura con l’insediamento dell’uomo
moderno nell’Africa circa 50000 anni fa. Vi siano stati poi, nel corso
dei millenni varie evoluzioni, ad esempio con l’impero romano.
8
Dal documento 4813 “Globalization and implications on industries”, disponibile on line al sito
www.unido.org (sito ufficiale dell UNIDO-United Nations Industrial Development
Organization- che ha celebrato il 40 anniversario dalla sua istituzione il 28.11.2006):
“Il termine globalizzazione è stato coniato negli anni ’80 per rimpiazzare parole come
internazionalizzazione e transnazionalizzazione”, ma sebbene si riferisca all’interazione di tutti
gli ambiti delle attività umane (sociale, politico, culturale, finanziario ed economico) l’enorme
varietà degli intrecci di scambi e relazioni avvenuti negli ultimi due decenni ne rendono il
significato non ancora chiaro.
Esistono 3 tesi dominanti:
1) quella degli “iperglobalisti” che intravedono un progressivo aumento di potere del
mercato in corrispondenza del declino di quello delle nazioni che si ridurrebbe così ad
una mera cintura di collegamento;
2) quella degli “storici” di una continuità degli scambi mondiali, i quali intravedrebbero
nell’attuale sistema un fallimento dell’integrazione e del flusso di capitali fra gli Stati, in
quanto gli attuali trasferimenti sarebbero addirittura inferiori a quelli degli anni 1890;
3) quella di coloro che intravedono una “confusa” concentrazione dei capitali che
privilegerebbe solo alcune Nazioni provocando di fatto la marginalizzazione di altre,
infatti solo un quinto delle risorse mondiali andrebbe a quelle Nazioni dove si concentra
oltre il 70% della popolazione mondiale, con un profondo declino proprio negli ultimi
15 anni
10
Tuttavia, il fenomeno attraverserebbe la storia più recente dell’uomo
a ondate
9
che si varierebbero in intensità ed effetti.
Ma, quella globalizzazione, guidata con forza dalle multinazionali
che, attraverso i confini, fanno circolare non solo capitali e merci, ma
anche tecnologia, non è tuttavia, priva di aspetti oggetto di
controversia. Si tratta di quelli più strettamente economici, e,
soprattutto, di quelle regole che “impongono o spingono
provvedimenti come la liberalizzazione dei mercati finanziari”.
Ed è per monitorare e contenere quelle conseguenze meno opportune
che la “società civile internazionale” affida a nuovi gruppi come il
movimento Giubileo 2000, insieme ad “organizzazioni di lunga
durata come la Croce Rossa internazionale”, il compito di premere
sull’opinione pubblica nonché sulle organizzazioni internazionali,
con l’auspicio della riduzione del debito dei paesi poveri.
10
Osserviamo, infine, le dinamiche di formazione di questi debiti ed i
vari approcci della comunità internazionale.
1.1 BREVE INTRODUZIONE AL CONCETTO DI SVILUPPO
Quando vi è equilibrio tra le risorse offerte dall’ambiente ed i bisogni
e i valori del gruppo, nella consapevolezza di ciò che è veramente
indispensabile per evitare la decadenza fisica senza rinunciare alla
9
Secondo le stime recenti della BM nel “Global Economic Prospect 2007: managing the next
wave of globalization” rapporto 38140 pubblicato il 13.12.2006 (capp.1- 2) nei prossimi 25 anni
la crescita potrebbe subire un balzo in avanti maggiore che nell’ultimo quarto di secolo,
raggiungendo il 7%, anche se un po’ a rilento nel 2007-08 (6%). Ovviamente si tratta solo di
stime che tengono conto di molti fattori: il volume globale dei commerci; la tipologia dei prodotti
e delle risorse disponibili a livello mondiale; e la distinzione fra i paesi ad alto reddito e quelli in
via di sviluppo (distinti per aree geografiche)
10
Joseph E. Stiglitz, dalla “La globalizzazione ed i suoi oppositori” pubblicato nel 2002, cap.1
pagg.8-9 . Stiglitz dal 1997 al 2000 ha rivestito la carica di Senior Vice President e Chief
Economist presso la World Bank.
11
propria identità, allora possiamo affermare che il rapporto con il
consumo, in quella società, è corretto. Quando questo rapporto viene
distorto, ogni gruppo sociale viene spinto ad inseguire falsi valori,
s’impoverisce la qualità della vita, e appare all’orizzonte una linea di
demarcazione tra sviluppo e sottosviluppo
11
.
E’ proprio nel suo discorso del 1949 al Parlamento, che il Presidente
americano Truman
12
, utilizzando per la prima volta l’espressione
“aree sottosviluppate” per distinguere le zone povere della Terra
dalle “aree sviluppate” caratterizzate da un maggior grado di
benessere, porta all’attenzione pubblica la questione .
In questa fase storica comincia a delinearsi una nuova visione del
mondo nella quale tutti i popoli devono sforzarsi di condividere e
realizzare il fine comune dello “sviluppo”.
Si tratta, ancora, di una visione “quantitativa” del concetto inteso solo
come “crescita economica”.
In realtà “crescita economica” e “sviluppo” non sono sinonimi, in
quanto: la prima si riferisce all’aumento di beni e servizi prodotti dal
sistema economico in un dato periodo di tempo; con il termine
“sviluppo”
13
, invece, si intende inserire anche elementi di qualità
della vita di natura sociale, culturale e politica e, quindi, un concetto
più ampio di quello di “crescita economica”.
A lungo gli Stati Uniti e le principali organizzazioni internazionali
hanno creduto opportuno l’utilizzo esclusivo di indicatori economici
11
“Sviluppo e sottosviluppo” da “Il sistema aperto” di Barbiellini Amidei Bernardi - “Risorse per
il benessere comunitariopar.5.6, pag.65
12
Truman H.S. Inaugural Address, 20.1.1949, pubblicato su “Documents on American Foreign
Relations”, Princeton University Press, Connecticut, 1967.
13
Sen (1999) “Lo sviluppo è libertà” Ed. Mondadori 2001 (pag.9). La libertà deve essere intesa
contemporaneamente fine ultimo dello sviluppo e mezzo necessario per raggiungerlo. Anche se
la crescita economica è un “importantissimo mezzo”non è l’unico. Sono necessari anche “altri
fattori come gli assetti sociali ed economici” o “i diritti politici e civili”.
12
quali il prodotto interno lordo (PIL), il reddito nazionale lordo
(RNL) e il reddito pro capite.
La misura più semplice e quella più utilizzata è proprio quella del
prodotto interno lordo (PIL) che misura il valore totale dei beni e
servizi prodotti in un anno, ed il suo livello in un sistema economico
dipende principalmente dalla dotazione di risorse o fattori produttivi:
ambiente (fattori disponibili in natura), capitale fisico (fattori a loro
volta prodotti), capitale umano (più semplicemente forza lavoro).
Nella classificazione dei Paesi in ordine al loro grado di “sviluppo”,
vi è, quindi, l’uso prevalente del reddito pro capite annuo che
costituisce, però, una misura approssimativa della ricchezza per i
seguenti motivi:
ξ le statistiche economiche dei Paesi sottosviluppati si riferiscono
solo alla produzione destinata al mercato, e ignorano quella
consistente quota destinata, invece, all’autoconsumo delle
famiglie contadine;
ξ è necessario tenere conto del diverso potere d’acquisto del
dollaro nelle varie aree: con 1 dollaro si comprano più beni in
Africa che negli Stati Uniti.
E’ una conquista piuttosto recente la creazione di indicatori capaci di
includere anche gli aspetti non monetari dello sviluppo: ad esempio
l’Indice di sviluppo umano (ISU) o Human Development Index
(HDI) creato dal Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo
(UNDP)
14
. Questo indice contribuisce ad ampliare ed a ridefinire la
14
Da Bonaglia e de Luca (2006) Cap.3, pag.76 “In particolare grazie al nuovo approccio, ispirato
agli studi di Amartya Sen e approfondito nel dibattito svoltosi particolarmente in seno all’ONU,
che punta a finalizzare gli aiuti all’obiettivo dello sradicamento della povertà, intesa in
un’accezione ampia ed inclusiva non solo degli aspetti strettamente economici, ma anche di
istruzione, diritti umani, ambiente, uso delle risorse e capacità degli indivisui di vivere una vita
dignitosa.”
13
nozione stessa di sviluppo in quanto è costruito sulla base di fattori
molto diversi fra di loro:
ξ la speranza di vita alla nascita, che misura la vita media della
popolazione in un determinato Paese;
ξ il tasso di mortalità infantile;
ξ il tasso di alfabetizzazione degli adulti o di istruzione della
popolazione;
ξ la disponibilità di acqua potabile;
ξ il reddito pro capite annuo.
15
16
In base al livello del reddito
17
, i Paesi possono essere divisi in :
ξ Paesi sviluppati, nei quali il reddito pro capite annuo supera i
5000 dollari. Si considerano tali gli Stati Uniti, il Giappone, il
Canada, l’Australia, i Paesi dell’Europa occidentale e alcuni
Paesi esportatori di petrolio (Arabia Saudita, Emirati Arabi
Uniti).
15
Alessia Bolobanovic. “Noi, il diritto e l’economia” – (La società globale, vol.2 pp.192-196)
16
Delbono Flavio e Lanzi Diego da Politica economica - rivista di studi e ricerca- ed. Il Mulino
agosto 2004, pp.177, 205.
Lo sviluppo umano può essere inteso come la capacità delle popolazioni di convertire i propri
mezzi in miglioramenti della propria qualità della vita.
In tal senso gli ISU rappresentano un bagaglio informativo fondamentale per i policy-maker
perché consentono:
ξ Individuazione di una serie di obiettivi di pari opportunità (fase della programmazione,
pluriennale)
ξ Identificazione delle politiche pubbliche per evidenziare ogni territorio o gruppo in termini
di sviluppo (fase della progettazione)
ξ Specifica di indicatori per una buona rappresentazione della condizione dei gruppi (fase di
monitoraggio o auditing)
ξ Ricognizione attenta delle persistenti diversità di condizioni di sviluppo umano dei vari
gruppi allo scopo di una lettura sensibile delle necessità (fase di feed-back).
17
Sen (vedi ibidem) Cap.VII pag.149: “L’attenzione esclusiva per lo spazio dei redditi è spesso
indotta dalla disponibilità comparativamente maggiore di dati sul reddito rispetto ad altri tipi di
dati. All’interno di quella struttura informativa, l’uso tradizionale della quota dei poveri come
misura di povertà può distorcere le politiche anti-povertà perché ignora la posizione più misera
dei più poveri fra i poveri. In effetti, prendendo la quota come misura di povertà, qualsiasi
governo affronterebbe una forte tentazione di concentrare gli sforzi sui più ricchi fra i poveri,
dato che questo sarebbe il modo più immediato per ridurre il numero dei poveri e quindi la quota
H.” (quota H=numero di poveri/popolazione complessiva)
14
ξ Paesi in via di sviluppo, nei quali il reddito pro capite annuo
è compreso fra i 1000 dollari e i 5000 dollari. Fanno parte di
questo gruppo alcuni Paesi dell’America Latina (Brasile,
Venezuela, Uruguay), dell’Europa Orientale (Polonia,
Ungheria), dell’Africa (Algeria) e dell’Asia (Taiwan, Corea
del Sud).
ξ Terzo Mondo, ( o Paesi Sottosviluppati), secondo la
definizione introdotta alla vigilia della Conferenza afro -
asiatica di Bandung, in Indonesia, tenutasi dal 18 al 24 aprile
1955, che segnò un passo importante nella cooperazione
politica attraverso la proclamazione dell’uguaglianza fra tutte
le nazioni, la lotta al colonialismo ed il rifiuto delle alleanze
militari egemonizzate dalle superpotenze. L’espressione Terzo
mondo fu utilizzata allo scopo di distinguere i Paesi
sottosviluppati dai Paesi a economia di mercato (Primo
Mondo) e dai Paesi a economia pianificata (Secondo Mondo).
Dopo la caduta del muro di Berlino, nel 1989 e la crisi dei
sistemi centralizzati, parlare di Terzo Mondo non ha più
senso, ma l’espressione è entrata nell’uso corrente e la
manteniamo in questa sede. I Paesi sottosviluppati hanno un
reddito pro capite annuo inferiore ai 1000 dollari. In questi
Paesi la distribuzione del reddito è estremamente iniqua: la
maggior parte della popolazione è poverissima mentre pochi
privilegiati vivono nel lusso. Fanno parte del Terzo Mondo
molti Paesi dell’Africa (Zambia, Kenya, Somalia) e dell’Asia
(Pakistan, Indonesia, Thailandia) e alcuni Paesi dell’America
Latina (Bolivia, Nicaragua).
15
ξ Quarto Mondo, secondo una definizione “inventata” negli
anni Ottanta. Si tratta di una quarantina di Paesi
sottosviluppati, in prevalenza africani, la cui popolazione
sopravvive con meno di 1 dollaro al giorno, con un reddito
pro capite annuo inferiore ai 200 dollari. Gli scambi
avvengono soprattutto nei villaggi sotto forma di baratto.
Fanno parte di questi Paesi l’Etiopia, il Ciad, lo Zaire.
1.2 ORIGINI DEL SOTTOSVILUPPO
Alcuni economisti affermano che il sottosviluppo sia dovuto
principalmente da cause naturali: il clima torrido, la scarsa fertilità
dei terreni, la povertà di materie prime. Questo non può definirsi un
elenco esaustivo, perché non si spiegherebbe il caso di paesi come il
Giappone, il cui decollo economico era assolutamente impensabile a
fine Ottocento in quanto, era fortemente penalizzato dalla struttura
morfologica del suo territorio e dalla natura dei suoi abitanti ritenuti
“oziosi”
18
.
Altri studiosi, osservano che le radici storiche, sociali, culturali ed
economiche del sottosviluppo sono molto più profonde di quanto non
si potrebbe a prima vista considerare. Essi fanno risalire, ad esempio,
al colonialismo l’origine degli attuali squilibri. Infatti, attraverso una
logica assoluta di sfruttamento, esso era inteso dai popoli
colonizzatori “come un’autentica espansione di nazionalità, un
18
Nakai gennaio 1999 , “Blessing or curse: characteristics of Japanese Economy” su Japan
Gazette LIV