La prima forma contrattuale flessibile menzionata dall’ articolo 36 del Testo Unico
sul Pubblico Impiego, e a cui è dedicato il primo capitolo, è il contratto di lavoro a
tempo determinato, oggi disciplinato dal decreto legislativo 6 settembre 2001, n.
368
2
, che ha dato attuazione alla Direttiva 1999/70/CE.
La nuova normativa, ai sensi di quanto disposto dall’art. 11, ha espressamente
abrogato la previgente normativa ovvero la Legge 18 aprile 1962, n. 230, l’art.8-bis
della Legge 25 marzo 1983, n. 79, l’art. 23 della Legge 28 febbraio 1987, n. 56
nonché “tutte le disposizioni di legge che sono comunque incompatibili e non sono
espressamente richiamate nel presente decreto legislativo”.
La riforma attuata, nell’ottica di una maggiore flessibilità, dal richiamato decreto
consente di stipulare liberamente il contratto a tempo determinato, vale a dire senza
che debbano essere individuate motivazioni di carattere particolare o anche
eccezionale, facendo invece riferimento a “ragioni di carattere tecnico, produttivo,
organizzativo o sostitutivo”
3
.
Naturalmente l’utilizzo di personale con contratto di lavoro a termine da parte delle
Pubbliche Amministrazioni è assoggettato alle medesime fonti legislative che oggi
disciplinano tale istituto nell'ambito del lavoro privato.
Tuttavia, la violazione di norme imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di
lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, così come stabilito dal comma 2
dell’art. 36 del DLgs 165/2001, non può comportare la costituzione di rapporti di
lavoro a tempo indeterminato, come è invece previsto per il settore privato, gravando
2
Pubblicato in G.U. del 9 ottobre 2001ed entrato in vigore il 24 ottobre 2001.
3
Cfr. art. 1 d.lgs n. 368 del 2001.
7
pur sempre sul datore di lavoro pubblico la responsabilità civile e patrimoniale ai
sensi della normativa vigente.
Principalmente a questo aspetto è dedicato il secondo capitolo, nel quale ci
soffermerà, inoltre, sul problema delle infinite assunzioni mediante contratti precari
da parte delle pubbliche amministrazioni.
Il terzo capitolo, infine, porrà l’attenzione sulla tutela risarcitoria riservata al
lavoratore pubblico a termine, che sia stato assunto in violazione delle disposizioni
imperative sulle assunzioni, così come stabilito dal comma 2 del citato art. 36.
8
Capitolo primo
LA DISCIPLINA NORMATIVA DETTATA DAL D. LGS. 368/2001
1.1 Il Decreto Legislativo 6 settembre 2001, n. 368.
Il decreto legislativo n. 368 del 2001, che recepisce la Direttiva 1999/70/CE, relativa
all’accordo quadro CES (Confederazione europea dei sindacati), UNICE (Unione
delle Confederazioni delle industrie della Comunità europea), CEEP (Centro europeo
dell’impresa a partecipazione pubblica) sul lavoro a tempo determinato, concluso il
18 marzo 1999, non rappresenta semplicemente un atto formale connesso
all’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione
Europea, ma si configura quale manifestazione normativa di un più generale processo
di modernizzazione dell’organizzazione del lavoro già da tempo avviato
1
.
Tale normativa recepisce, inoltre, le linee di tendenza tracciate:
a) Nelle conclusioni del Consiglio Europeo di Essen del 1994
2
, dove si sottolineava la
necessità di provvedimenti per “incrementare l’intensità occupazionale della
crescita, in particolare mediante un’organizzazione più flessibile del lavoro, che
risponda sia ai desideri dei lavoratori che alle esigenze della competitività”.
1
Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, Circolare 42/2002, Il decreto legislativo 368/2001
recante la nuova disciplina giuridica sul lavoro a tempo determinato. Prime indicazioni
applicative, Roma, 1 agosto 2002.
2
Riunione del Consiglio Europeo del 9-10 dicembre a Essen; il testo completo è consultabile
all’URL www.consilium.europa.eu/ueDocs/cms_Data/docs/pressData/it/ec/00300.I4.htm
9
b) Nella risoluzione del Consiglio Europeo del 9 febbraio 1999
3
relativa agli
orientamenti in materia di occupazione per il 1999, dove si invitano “le parti sociali a
tutti i livelli appropriati a negoziare accordi per modernizzare l’organizzazione del
lavoro, comprese le forme flessibili di lavoro, al fine di rendere le imprese produttive
e competitive e di realizzare il necessario equilibrio tra la flessibilità e la sicurezza”.
c) Nella Raccomandazione del Consiglio dell’Unione Europea del 19 gennaio 2001,
riguardante l’attuazione delle politiche degli Stati membri in materia di occupazione
per il 2001, dove, fra l’altro, viene ulteriormente ribadito l’auspicio del metodo del
dialogo sociale per la modernizzazione e la riorganizzazione del mercato del lavoro al
fine dell’incremento delle opportunità di occupazione regolare e di buona qualità,
anche alla luce dei mutamenti strutturali in campo economico
4
.
L'istituto del contratto a termine è quello che, rispetto alle altre tipologie contrattuali,
ha subito le maggiori innovazioni.
Le trasformazioni apportate dal d.lgs. 368/2001, sono intervenute su una tipologia
contrattuale flessibile da sempre circondata da molte cautele e ritenuta un’eccezione
rispetto alla tipologia ordinaria del contratto di lavoro a tempo indeterminato
5
.
Per la verità lo stato della normativa vigente al momento dell'emanazione del decreto
legislativo in esame, conteneva già sostanziali attenuazioni dei vincoli della legge
3
Reperibile all’ URL http://ec.europa.eu/employment_social/empl_esf/empl99/guide_it.pdf.
4
Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, Circolare 42/2002, Il decreto legislativo 368/2001
recante la nuova disciplina giuridica sul lavoro a tempo determinato. Prime indicazioni
applicative, op. cit.
5
Non a caso l’art. 1 della legge 230/1962 recitava “Il contratto di lavoro si reputa a tempo
indeterminato, salvo le eccezioni appresso indicate.”
10
base
6
, soprattutto per effetto della devoluzione di potere normativo alla contrattazione
collettiva operata dalla legge
7
.
La contrattazione, infatti, era già pervenuta all’allargamento della casistica sul ricorso
ai contratti a termine, visti pur sempre come eccezione rispetto alla tipologia
ordinaria di reperimento del personale.
L'evoluzione della disciplina legislativa e contrattuale a partire dalla legge 230 del
1962, è stata quindi indubbia ma il tradizionale disfavore verso questa forma di
lavoro precario non si è del tutto dissolto tanto che, prima di tale intervento
legislativo in attuazione di una direttiva dell'Unione europea
8
, il ricorso al lavoro a
termine era ancora circoscritto ad alcune causali ben precise e puntualmente
disciplinate
9
, essendo considerato un’eccezione rispetto al lavoro a tempo
indeterminato.
Sul finire degli anni settanta sono state introdotte alcune aperture per particolari
settori, ma si è dovuto attendere la legge n. 56 del 1987 per promuovere la via
contrattuale all’individuazione di ulteriori tipologie.
6
Cfr. Legge n. 230 del 1962 sul contratto a tempo determinato.
7
Ci si riferisce all’art 23 della legge 56 del 1987, che ha riconosciuto alla contrattazione il potere di
integrare le causali di legge che legittimano il ricorso ai contratti a termine.
8
La direttiva UE 70/99, recepita dal decreto legislativo 368, raccoglie integralmente l’accordo CES-
UNICE-CEEP sul lavoro a tempo determinato e si colloca quindi nell’area del c.d. dialogo sociale.
L’accordo afferma che “i contratti di lavoro a tempo indeterminato sono e continueranno ad essere
la forma comune dei rapporti di lavoro[…]”, dichiarazione che è un indubbio passo in avanti
rispetto alla vecchia impostazione del contratto a termine, visto solo come eccezione.
9
La lista originaria della legge n. 230 del 1962 comprendeva cinque ipotesi. Si ammetteva
l’apposizione di un termine di durata al contratto di lavoro: a) nel caso di assunzioni di carattere
stagionale; b) per sostituire lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto; c) quando
l’assunzione doveva effettuarsi “per l’esecuzione di un’opera o di un servizio definiti e
predeterminati nel tempo aventi carattere straordinario od occasionale”; d) per certe lavorazioni a
fasi successive richiedenti “maestranze diverse, per specializzazioni, da quelle normalmente
impiegate”; e) nelle assunzioni di personale “riferite a specifici spettacoli ovvero a specifici
programmi radiofonici o televisivi”.
11
Nel 1991, la legge 223 introduceva un’ulteriore tipologia, quella dell’assunzione a
termine di lavoratori in mobilità, ma è solo dal ’97, con la legge Treu, che vengono
apportate significative flessibilizzazioni sul lavoro a termine, senza peraltro
rimuovere completamente l’atteggiamento di grande cautela verso il ricorso a tale
tipo di contratto.
Si è giunti infine, all’emanazione di un decreto, quello del 2001, che ha recepito una
direttiva contenente obiettivi quali “la garanzia del rispetto del principio di non
discriminazione”
10
e “la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una
successione di contratti a tempo determinato”, già presenti nel nostro ordinamento
11
.
Non a caso la Corte Costituzionale dichiarò l’inammissibilità del referendum,
proposto dai radicali, che puntava alla piena ed assoluta liberalizzazione dell’istituto
del lavoro a termine, a causa del contrasto che si sarebbe verificato, in caso di esito
positivo del referendum, tra il nostro ordinamento e quello comunitario, rispetto al
quale, invece, la normativa esistente era già del tutto conforme
12
.
La maggioranza di centrosinistra, però, inserì nella legge comunitaria del 2000
13
anche la direttiva 70/1999, tra quelle a cui dare attuazione nell’ordinamento interno.
Probabilmente sarebbe stato opportuno dare più spazio ad altri aspetti della direttiva,
10
Dice la direttiva a proposito del principio di non discriminazione:“I lavoratori a tempo
determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo
indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo
determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive”.
11
Infatti l’art. 5 della legge 230/1962 fissava il principio della parità di trattamento tra lavoratori a
termine e lavoratori stabili, ad esempio.
12
Cfr. Corte Cost., 7 febbraio 2000, n. 41, in www.giurcost.org/decisioni/2000/0041s-00.html.
13
Legge 29 dicembre 2000, n. 422, intitolata “Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti
dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee”, in G.U. 20 gennaio 2001, n. 16, Supplemento
ordinario n. 14.
12
non presenti nella nostra disciplina interna, come “il sistema delle informazioni ai
lavoratori a termine sui posti stabili vacanti in azienda”
14
, “le specifiche attività
formative nei loro confronti”, “il loro computo tra i dipendenti ai fini della
costituzione degli organismi di rappresentanza dei lavoratori”
15
.
In realtà l’accordo definitivo, stipulato il 27 aprile ed il 4 maggio 2001, non è stato
sottoscritto né dalla CGIL, né da alcune associazioni padronali
16
.
La mancata sottoscrizione da parte della confederazione sindacale con il maggior
numero di iscritti rappresenta un problema di carattere politico, legato
all’eliminazione del potere della contrattazione collettiva di individuare le ipotesi in
cui è legittima l’apposizione del termine.
Il Governo, utilizzando la delega ricevuta con la l. n. 422/2000, ha emanato il d.lgs. n.
368/2001, decidendo di far proprio tale accordo, pur non sottoscritto dalla CGIL, e
recependolo nel testo della c.d. manovra dei “100 giorni”
17
.
Pertanto la normativa introdotta con il decreto in questione, secondo alcuni, risulta
essere mistificatoria della ratio della direttiva perché parifica il contratto a termine a
quello indeterminato, con l’eliminazione della regola per cui le assunzioni a termine
14
Si veda la clausola 6 della direttiva 1999/70/CE intitolata “Informazione e possibilità di impiego”.
15
Cfr L. MENGHINI, Il Termine, in C.CESTER (a cura di), Trattato di Diritto del Lavoro, in F. CARINCI
(diretto da) , Torino, Utet, volume II, 2007, in corso di pubblicazione.
16
Si tratta di Confcommercio, Cispel, Cna, Lega cooperative.
17
E’stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 24 ottobre 2001, n. 248, la Legge 18 ottobre 2001, n.
383 relativa ai “Primi interventi per il rilancio dell’economia” nonché la Tramonti-bis. E’ entrata
in vigore a far data dal 25 ottobre 2001.
13
sono legittime nei casi tassativamente previsti dalla legge o dalla contrattazione
collettiva
18
.
Inoltre l’accordo europeo, recepito nella direttiva, non esprime, un favor
incondizionato per il contratto a termine in quanto stabilisce che “i contratti di lavoro
a tempo indeterminato rappresentano la forma comune dei rapporti di lavoro e
contribuiscono alla qualità della vita dei lavoratori interessati e a migliorarne il
rendimento”.
Inoltre la nuova disciplina del lavoro a termine nulla dice in ordine alla propria
applicabilità nel pubblico impiego, ma in via interpretativa essa deve comunque
ritenersi operante anche in questo settore, tenuto conto di quanto previsto dall’art. 36
del Testo Unico sul pubblico impiego
19
.
1.1.1. La violazione della clausola di non regresso.
Come già accennato in precedenza, il d.lgs. n. 368/2001, ampiamente dibattuto in
dottrina
20
, è stato emanato in attuazione della direttiva n. 1999/70/CE relativa
18
In tal senso si v. B. VOLTATTORNI, La riforma del contratto a termine nel pubblico impiego, in
Lavoro nelle Pubbliche Amministrazioni, 2002, n. 5, p. 365.
19
L’articolo 36 del d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165 stabilisce che “Le pubbliche amministrazioni si
avvalgono delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dal
codice civile a dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa”
20
Tra i tanti cfr. L. MENGHINI (a cura di), La nuova disciplina del lavoro a termine, Milano, Ipsoa,
2002; M. BIAGI (a cura di), Il nuovo lavoro a termine: commentario al D.lgs. 6 settembre 2001 n.
368, Milano, Giuffrè, 2002; S. CENTOFANTI, Peculiarità genetiche e profili modificativi del nuovo
decreto legislativo sul lavoro a tempo determinato, in Lavoro nella Giurisprudenza, 2001, pp. 913
e ss.; V. SPEZIALE, La riforma del contratto a tempo determinato, in Diritto delle relazioni
industriali, 2003, p. 225; A.VALLEBONA, C. PISANI, Il nuovo lavoro a termine, Padova, Cedam,
2001; R. ALTAVILLA, I contratti a termine nel mercato differenziato, Milano, Giuffrè; A.
RICCARDI, La Corte di Cassazione e il lavoro a termine, in Rivista giuridica del Lavoro e della
Previdenza Sociale, 2003, II, p. 51.
14
all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dalle organizzazioni
europee delle parti sociali.
Tale direttiva si è posta come un contributo alla strategia europea per l’occupazione,
adottata dal vertice di Lussemburgo del 1997 in poi, che si pone come obiettivo il
raggiungimento di un maggiore equilibrio tra flessibilità dell’orario e sicurezza dei
lavoratori. In questo contesto il primo obiettivo della direttiva è quello di migliorare
la qualità del lavoro a tempo determinato, garantendo il rispetto del “principio di non
discriminazione”.
Il secondo obiettivo è quello di creare un quadro normativo per la prevenzione degli
abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o di rapporti a tempo
determinato
21
.
Le finalità della direttiva comunitaria
22
, però, sembrano essere state travisate allo
scopo di liberalizzare le assunzioni precarie
23
.
Nella direttiva, infatti, le assunzioni non appaiono in nessun modo incoraggiate, anzi
la loro utilità è riconosciuta solo in “alcune circostanze”, fermo restando che i
“contratti di lavoro a tempo indeterminato rappresentano la forma comune dei
21
Si fa riferimento alla lettera a e b della clausola 1.
22
La quale, secondo una sentenza della Cassazione (21.5.2002, n. 7468), svolge la funzione di
limitare la tendenza normativa alla progressiva apertura nei confronti del lavoro a termine.
23
Cfr. M. ROCCELLA, Prime osservazioni sullo schema di decreto legislativo sul lavoro a termine,
all’URL www.coordinamentorsu.it/doc/altri2001/2001_0721.htm; A. ANDREONI, La nuova
disciplina sul lavoro a tempo determinato davanti alla corte costituzionale (a proposito della
clausola di non regresso), all’URL www.cgil.it/giuridico; R. COSIO, Relazione su “La nuova
disciplina del lavoro a termine”, Centro studi di diritto del lavoro “Domenico Napoletano”, 2002,
all’URL www.csdn.it.
15
rapporti di lavoro e contribuiscono alla qualità della vita dei lavoratori interessati e
a migliorarne il rendimento”
24
.
In realtà, il decreto del 2001 è stato molto discusso, non solo sotto il profilo
dell’opportunità della sua emanazione e delle sue scelte circa la tecnica delimitativa
del ricorso al contratto a tempo determinato
25
, ma anche sotto il profilo della sua
conformità alla normativa comunitaria
26
e del rispetto della clausola di non
regresso
27
, venendo in gioco la sua stessa legittimità costituzionale
28
.
La Corte Costituzionale ha infatti ritenuto
29
, a seguito di una questione di legittimità
sollevata dal Tribunale di Rossano
30
, non manifestamente infondata la questione di
costituzionalità del d.lgs. n. 368/2001 nella parte in cui, abrogando l’art. 23, comma
24
Le citazioni sono tratte dal Preambolo e dalle considerazioni generali dell’accordo quadro allegato
alla direttiva n. 70/99.
25
Secondo parte della dottrina tra cui M. ROCCELLA, Prime osservazioni sullo schema di decreto
legislativo sul lavoro a termine, op. cit., “la normativa introdotta con il d.lgs. n. 368/2001 appare
più svantaggiosa per i lavoratori a termine rispetto alla precedente in materia di proroga del
contratto, di oneri formali, di diritto di precedenza nelle assunzioni, di regime sanzionatorio”.
26
Alcuni autori avevano preventivato la possibilità che il decreto passasse al vaglio della Corte
Costituzionale. Tra questi si v. M. ROCCELLA, Manuale di diritto del lavoro,Torino, Giappichelli,
2004, p. 143; L. ZAPPALÀ, Riforma del contratto a termine e obblighi comunitari: come si attua
una direttiva travisandola, in Il Diritto del mercato del lavoro, 2001, n. 3, p. 633; C. LAZZARI,
L’attuazione nell’ordinamento italiano della direttiva europea sul contratto a termine: spunti
problematici, in Diritto delle relazioni industriali, 2002, p. 435; A. BELLAVISTA, La direttiva sul
lavoro a tempo determinato, in AA.VV., Il lavoro a termine in Italia e in Europa, Torino,
Giappichelli, 2003, p. 28. In generale v. M. DELFINO, Il principio di non regresso nelle direttive in
materia di politica sociale, in Giornale di diritto del lavoro e di relazioni industriali, 2002, p. 487;
L. GAROFALO, Le clausole di non regresso nelle direttive comunitarie, in Rivista giuridica del
Lavoro e della Previdenza Sociale, 2004, I, p. 39.
27
Ci si riferisce alla clausola n. 8, punto 3, dell’accordo quadro europeo allegato alla direttiva
1999/70/CE ove si afferma che “l’applicazione del presente accordo non costituisce un motivo
valido per ridurre il livello generale di tutela offerto ai lavoratori nell’ambito coperto dall’accordo
stesso”.
28
L. MENGHINI, Il termine, op. cit.
29
Con ordinanza n. 252 del 2006, consultabile all’URL www.giurcost.org.
30
Con ordinanza del 17 maggio 2004 n. 889, reperibile all’URL www.cgil.it/giuridico.
16
2, legge n. 56/1987
31
e non ripristinando ex lege il diritto di precedenza nella
riassunzione presso la stessa azienda, appare in eccesso di delega, per violazione della
“clausola di non regresso” posta dalla Direttiva n. 1999/70/CE, recepita dalla legge
delega n. 422/2000.
La clausola di non regresso, per il carattere perentorio della formulazione, determina
la inderogabilità in peius della normativa italiana da parte del legislatore successivo,
almeno in sede di attuazione della direttiva, nella parte riguardante il trattamento
afferente alla generalità dei lavoratori interessati
32
.
Pertanto la sua funzione è quella di evitare, in relazione alla trasposizione delle
direttive, delle “corse verso il basso delle regolazioni interne, favorendo, viceversa,
un reale progresso delle disposizioni protettive”
33
.
Inoltre, nel libro bianco sul mercato del lavoro in Italia, si è affermato, che il
significato della clausola di non regressione “è da intendersi nel senso che non deve
verificarsi una regressione del livello generale di protezione dei lavoratori in seguito
all’adozione della direttiva comunitaria”
34
.
L’affermazione svaluta la portata della clausola riferendola “non già all’istituto di
volta in volta regolato dalla direttiva, bensì al livello generale di protezione dei
lavoratori”, mentre appare preferibile riferire la clausola all’obiettivo di impedire un
31
Si tratta della parte in cui si afferma che “i lavoratori, che abbiano prestato attività lavorativa con
contratto a tempo determinato, hanno diritto di precedenza nell'assunzione presso la stessa
azienda, con la medesima qualifica, a condizione che manifestino la volontà di esercitare tale
diritto entro tre mesi dalla data di cessazione del rapporto di lavoro”.
32
Così A. ANDREONI, La nuova disciplina sul lavoro a tempo determinato davanti alla Corte
Costituzionale (a proposito della clausola di non regresso), op. cit.
33
Cfr. V. LECCESE, L’orario di lavoro, Tutela costituzionale della persona, durata della prestazione
e rapporto tra le fonti, Bari, Cacucci, 2001, pp. 199 e ss.
34
R. COSIO, Relazione su “La nuova disciplina del lavoro a termine”, op.cit.
17
arretramento delle tutele “con riguardo alle specifiche finalità della normativa
comunitaria che si deve trasporre nell’ordinamento interno”
35
.
In dottrina, però, ci sono autori che sostengono, contrariamente a quello che è stato
esposto sinora, che il decreto legislativo del 2001 non abbia affatto ridotto “il livello
generale di tutela”, poiché è stata conservata la rigorosa disciplina della parità di
trattamento, della prosecuzione di fatto del lavoro e della riassunzione a termine
36
.
1.1.2. Le norme ancora in vigore.
A seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 368/2001, alcune norme sono rimaste in
vigore ed in particolare:
a) l’art. 8, comma 2, della Legge 23 luglio 1991, n. 223, che prevede la possibilità di
assumere con contratti a termine di durata non superiore ad un anno i lavoratori
iscritti nelle liste di mobilità;
b) l’art. 4 d.lgs. 151/2001, in forza del quale è possibile l’assunzione a tempo
determinato di personale in sostituzione di lavoratori o lavoratrici in congedo per
motivi parentali, anche a decorrere da un mese, o dal periodo maggiore previsto dai
contratti collettivi, prima dell’inizio del periodo di congedo;
35
Per approfondire l’argomento si veda M. ROCCELLA, Prime osservazioni sullo schema di decreto
legislativo sul lavoro a termine, op. cit.; U. CARABELLI, Intervento al seminario sulla nuova legge
in materia di contratto di lavoro a termine, Roma, Cesri, 22 ottobre 2001, in Diritto del lavoro on
line, all’URL www.unicz.it/lavoro/carabelli_368.htm.
36
Così A. VALLEBONA, Relazione su “La nuova disciplina del lavoro a termine”, Centro studi di
diritto del lavoro “Domenico Napoletano”, Roma, 25 gennaio 2002, all’URL www.csdn.it.
18